Una febbre edilizia sta divorando Roma producendo un modello urbano dissennato e devastante.
Il meccanismo e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: si costruiscono residenze e grandi centri commerciali a ritmo forsennato lungo il Raccordo consumando quel che resta dell’Agro Romano; a questi insediamenti si può accedere solo con l’auto privata, provocando così per l’oggi e ancor più per il domani un aumento del traffico; con un ultimo paradosso, aumentano le case e aumenta l’emergenza abitativa per il semplice fatto che si costruisce non per chi ha bisogno (giovani coppie, anziani, migranti) ma perché qualcuno ha la forza di imporlo alle proprie condizioni.
Un bene pubblico, il paesaggio, viene così lasciato alla mercè degli interessi speculativi privati. Con questo ritmo e seguendo la previsione del Piano Regolatore ci mangeremo, come ha affermato la Sovrintendenza Archeologica di Roma, 15.000 ettari di Agro Romano. Una follia. Tutto il contrario di quanto sta facendo l’Europa: in Germania dal ’98 si è limitato il consumo di suolo a 10.000 ettari l’anno, in Italia ne consumiamo 244.000 l’anno; in Inghilterra si è deciso che solo il 30% delle nuove edificazioni può sorgere in aree libere e il 70% in aree già costruite, e il Sindaco di Londra Ken Livingstone ha deciso di concentrare il 100% delle nuove costruzioni nelle aree già edificate non toccando la campagna londinese. A tutto ciò si aggiunga che nell’ultimo anno sono stati approvati in deroga al Piano Regolatore oltre 30 progetti privati: con una mano si scrivono le regole con l’altra si cancellano.
E’ positivo che negli ultimi anni importanti architetti siano impegnati nella nostra città, ma come diceva Antonio Cederna la buona architettura non sana la cattiva urbanistica.
Se passiamo dal consumo del suolo alla mobilità il discorso non cambia.
Roma è prigioniera delle auto: 89 auto ogni 100 abitanti, compresi i bambini e minorenni. Solo il 18% usa il mezzo pubblico, a Parigi il 67%, a Madrid 66%, a Londra 55%.
Una buona politica è quella capace di invertire questa tendenza: promuovere e incentivare il mezzo pubblico (soprattutto su ferro) e limitare l’uso del mezzo privato. Al contrario l’attuale espansione edilizia, disseminata a macchia d’olio lungo la campagna, provocherà un uso ancora più massiccio dell’auto privata moltiplicando traffico, congestionamento, inquinamento, (siamo la capitale europea dello smog insieme ad Atene).
Basti pensare che in 10 anni a Roma sono stati aperti 28 grandi centri commerciali, quasi tutti a ridosso del GRA, con parcheggi per migliaia di posti auto. E che ogni anno se ne aprono in media altri quattro. Non esiste una situazione analoga in nessun’altra capitale europea. Il risultato è che non essendoci infrastrutture adeguate il traffico è perennemente paralizzato e il Comune dovrà intervenire con soldi pubblici e consumare altro suolo agricolo. Un tipico esempio di ricchezza privata e povertà pubblica.
La stessa subalternità all’auto porta ad altre scelte devastanti: nei centri storici delle capitali europee da decenni non si realizzano più parcheggi perché è dimostrato che attraggono auto, a Roma si è dato il via libera tra l’altro ad un parcheggio di oltre 700 auto sotto il Pincio, uno scempio di uno dei luoghi più belli e conosciuti al mondo, nonostante a poche centinaia di metri vi sia il Parcheggio del Galoppatoio. Tutelare il centro storico è interesse pubblico, far costruire un parcheggio sotto il Pincio no.
Ogni mese leggiamo i dati sull’aumento del turismo nella nostra città, con il puntuale seguito di dichiarazioni entusiaste. Ma in assenza di un governo dei fenomeni l’altra faccia della medaglia è lo stravolgimento, come mai era avvenuto, del centro storico di Roma: prosegue l’espulsione degli abitanti; Stato e Comune stanno dilapidando il proprio patrimonio edilizio storico; dilagano alberghi e bed and breakfast e la città politica e i ministeri hanno via via allargato la loro presenza contrariamente a quanto da anni si era ipotizzato; solo nel 2007 sono stati aperti oltre 40 tra pub, ristoranti, bar; le vie, le piazze, le strade sono state privatizzate e invase da tavoli, sedie, fioriere e quant’altro. Passeggiare tra i famosi vicoli di Roma è oggi diventato impossibile. Il centro si è trasformato in un luogo di transito per turisti, adibito al consumo mordi e fuggi senza più alcuna identità. Un esito inglorioso per un luogo unico al mondo per le sue bellezze artistiche, archeologiche, monumentali.
Infine, da anni si parla di “emergenza casa”. Dopo la felice stagione che portò all’approvazione della Delibera 110 del 2005, si sta tornando indietro. Invece di puntare, come prevede la Delibera, alla partecipazione ancora una volta ci si muove in una logica di contrattazione: ultimo il protocollo d’intesa sottoscritto dal Comune con Acer e Lega delle Cooperative per la realizzazione di alloggi con la pratica consolidata e devastante della deroga al Piano Regolatore cancellando le aree destinate a verde e servizi.
Scompare ancora una volta il governo pubblico delle politiche abitative e di parte della locazione privata; così come una politica di utilizzo del patrimonio sfitto o non occupato che a Roma è enorme, si stima in oltre 200.000 abitazioni, lasciando al loro destino non meno di 700.000 cittadini a cui non si offrono né risposte né prospettive.
Questo modello non riguarda più solo Roma ma coinvolge il territorio provinciale. Infatti queste “emergenze”, dal consumo del suolo a quella abitativa e della mobilità, dallo smaltimento dei rifiuti alla produzione di energie vengono sempre più scaricate al di fuori della città per evitare di mettere in discussione un modello sempre più insostenibile. Il contrario di quanto serve: una programmazione di area metropolitana in grado di superare squilibri e disfunzioni e mettere in relazione progetti e risorse.
PERCHE’?
Da questa rapida panoramica la domanda è semplice: perché? Perché si procede in questa direzione dello sviluppo urbano che non solo non risolve i problemi della città ma li aggrava, moltiplicandone i fattori negativi?
C’è innanzitutto un motivo di carattere generale che non riguarda solo Roma. L’abuso di territorio infatti coinvolge l’intero paese a causa di una norma, voluta nel 2001 dall’allora governo Berlusconi, che permette ai Comuni di utilizzare gli introiti degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente e non più solo per investimenti. Così i Comuni, a cui vengono tagliati i finanziamenti dallo Stato, hanno trovato nell’edilizia un modo per fare cassa e rastrellare soldi. Il tutto a spese del paesaggio, dell’ambiente, della qualità della vita. Il centrosinistra non ha modificato questa norma sciagurata.
C’è poi il peso enorme che a Roma ha sempre avuto la rendita fondiaria, i “palazzinari”. Nel passato le forze della sinistra seppero opporsi e ottenere anche risultati significativi in nome di un’altra idea di città. Oggi non è più così, negli ultimi anni anche la politica e la cultura di sinistra hanno finito in larga misura per aderire al pensiero dominante che la proprietà immobiliare debba essere protagonista delle scelte urbanistiche. E’ anche per questo che oggi in chi governa ciò che più colpisce è l’assenza di un’idea di città, mancando la quale diventa poi inevitabile accodarsi alle richieste e ai desiderata di chi ha potere e soldi per proporre soluzioni. Una politica debole, con scarsa autonomia culturale, in crisi di radicamento e rappresentanza cerca nel potere forte del mattone e della rendita risorse e sostegno. Al pubblico non resta che fare o da passacarte oppure cercare ruolo e spazio contrattando e garantendo determinati interessi in funzione gregaria e subalterna.
D’altronde non è un mistero che a Roma opera da tempo un cartello di costruttori che agiscono di fatto in condizioni di monopolio in un rapporto diretto con l’amministrazione pubblica; che questi costruttori sono anche proprietari di banche, assicurazioni e giornali; e al tempo stesso siedono in fondazioni, enti, istituzioni comunali. Un circuito pervasivo in cui si confonde interesse pubblico e interesse privato; una commistione che di sicuro non fa bene alla trasparenza e all’autorevolezza e credibilità della politica.
A questo dato strutturale si aggiunge poi la scarsa considerazione cha da noi c’è sempre stata per il paesaggio, per i beni pubblici. Secondo la ben nota teoria e pratica che se una cosa è pubblica non è di nessuno e quindi ognuno può fare come gli pare.
Da qui il deperimento e sempre più l’assenza di coinvolgimento dei cittadini nelle scelte. Mentre in tante città europee (Stoccolma, Monaco di Baviera) prima di prendere decisioni l’amministrazione comunale è tenuta ad un processo democratico in cui vagliare con gli abitanti i progetti di trasformazione urbana, qui da noi nulla di tutto questo, se va bene si promuovono incontri in cui viene illustrato ciò che si è già deciso. Non ci si può lamentare poi delle contestazioni o delle proteste se manca una pratica di partecipazione su scelte che riguardano la vita dei cittadini.
La Corte dei Conti nel 2006 ha scritto “la scarsità di informazioni corrette ed esaustive alle comunità locali, che garantisce sulla imparzialità, autorevolezza e incisività delle scelte effettuate, ha accentuato la conflittualità generale…..solo nella condivisione e nel processo partecipativo di tutti i soggetti interessati possono derivare soluzioni stabili, efficienti, efficaci ed eque”. Serve più trasparenza e più capacità di ascolto, più democrazia partecipata se si vuole una città più consapevole e più capace di educare alla responsabilità.
CHE FARE
Per fare cose diverse bisogna pensare diversamente. C’è bisogno quindi di una coraggiosa riflessione critica anche a sinistra sul passato più recente riconoscendo errori, limiti, una perdita di autonomia culturale e politica. La sinistra del XXI secolo o è quella dei diritti fondamentali della persona, della democrazia partecipata, dei beni comuni o non è. Una sinistra capace di rimettere in discussione gli idoli della quantità e del denaro per affermare un’idea di ben - essere e di equilibrio con gli altri e con l’ambiente. Le scelte di cui Roma ha bisogno per realizzare un nuovo modello urbano che incorpori diritti e beni pubblici sono sotto gli occhi di tutti. Ne indichiamo sette in grado di rappresentare un volano per un’idea nuova di città.
1. Una moratoria immediata di tutte le deroghe al Piano Regolatore. Sostituire al consumo dissennato di territorio che aggrava i mali di Roma il recupero e la riqualificazione urbana: caserme, aree ferroviarie e dell’ATAC, demani di aziende pubbliche, impianti tecnologici obsoleti e immobili uso ufficio abbandonati, aree vuote ex SDO. E’ in questa direzione che bisogna muoversi con l’obiettivo di riportare le residenze nelle zone semicentrali, riqualificare i vuoti interni alla città. I privati guadagneranno di meno ma sarà la città a guadagnarci di più. A questo serve il potere pubblico.
2. Una legge regionale che, come la legge ponte del 1967 che salvò i centri storici dall’abbandono e dalla speculazione, perimetri le aree agricole e quelle ancora non urbanizzate intorno alla città così da bloccare cambi di destinazione d’uso. In questo modo gli stessi costruttori saranno indirizzati e incentivati ad impegnarsi verso la riqualificazione delle periferie e della città invece che in nuove lottizzazioni nell’agro romano. Serve solo la volontà politica e la cultura di ritenere il paesaggio un bene pubblico da salvaguardare e tutelare per le generazioni future.
3. Dare finalmente avvio al progetto Fori di Antonio Cederna e Luigi Petroselli. La più importante e innovativa idea urbanistica di Roma capace di unire storia e modernità, di riformare la città mettendo al centro la qualità, di risaldare il centro con la periferia e l’hinterland. Iniziando con la chiusura al traffico di Via dei Fori Imperiali perché come diceva il Sindaco di Roma Argan i monumenti e le macchine sono incompatibili.
4. Riduzione del traffico privato su gomma, rafforzando e modernizzando la rete su ferro; itinerari protetti per autobus e tram raddoppiando la lunghezza attuale; dare impulso, come avviene in tante capitali europee, ai taxi collettivi, car sharing, linee a chiamata; istituire una cabina di regia tra Comune, Provincia e Regione per affrontare in una visione d’insieme di area metropolitana la mobilità. Realizzazione in ogni quartiere di isole pedonali.
5. Una Conferenza Cittadina sul tema della Casa con l’obiettivo di un “Patto di solidarietà” che definisca un piano di interventi e una legge comunale sull’utilizzo sociale del patrimonio residenziale sfitto, abbandonato o sottoutilizzato, anche attraverso la leva fiscale per incentivare la proprietà, da riconvertire ad ERP, ad alloggi a canone concordato solidale, all’housing sociale. Nell’immediato va affrontata la questione degli sfratti e degli sgomberi delle occupazioni e va attivata l’Agenzia Comunale per l’affitto con uffici decentrati nei Municipi.
6. Ridare dignità e bellezza al centro storico abbandonando la pratica della cartolarizzazione e la privatizzazione del patrimonio edilizio pubblico; sospendendo il rilascio di nuove licenze per la ristorazione; limitando sensibilmente l’occupazione di suolo pubblico da parte degli esercizi commerciali; riducendo drasticamente il traffico privato automobilistico.
7. Serve, come in Toscana, una legge regionale sulla partecipazione che preveda istituti e forme di democrazia partecipata, estenda i diritti delle persone che vivono sul territorio così da tutelare identità territoriali, beni storico-culturali, l’ambiente e il paesaggio.
Non ci rassegniamo ad un modello urbano sempre più americano in cui la città si spappola nella campagna e la macchina è la padrona incontrastata, ad una città vetrina per il turismo in cui la speculazione immobiliare impone le sue regole e troppi sono costretti ad abbandonarla.
Roma non merita questo futuro.
Ci battiamo per una città capace di promuovere e garantire i diritti delle persone, i beni comuni, la partecipazione e di salvaguardare la sua straordinaria bellezza per trasmetterla alle generazioni future, perché la bellezza è un fattore di coesione sociale.
Diritti e bellezza hanno bisogno della politica, di un governo della cosa pubblica in pubblico.
Per questo serve la sinistra. Una sinistra unita.
Movimento romano per la Sinistra Arcobaleno