Avevamo anticipato che avremmo dedicato un post a spiegare cosa è un Programma Integrato di Intervento e quali sono i suoi scopi.
Per far questo ci siamo rivolti ad un soggetto particolarmente qualificato, un funzionario pubblico di alto rango, che da molti anni opera nell'urbanistica.
Il nostro interlocutore lavora presso la Regione. Quando gli abbiamo spiegato le ragioni della nostra intervista ha accettato di collaborare, ma solo dopo aver avuto assicurazione del fatto che non avremmo pubblicato il suo nome.
Ciò che segue è l'esatta trascrizione dell'intervista, abilmente stenografata da una mia collaboratrice, Ivana, che ringrazio a nome di tutta la squadra di Salviamopiazzatorre.
Le domande le ho poste io, Paolo.
D. Grazie per avere accettato l'incontro. Ci dice cosa sono i programmi integrati di intervento (PII) e a cosa servono?
R. Cercherò di essere il più chiaro possibile, voi non vi rivolgete ad un pubblico specializzato, giusto?
P. Esatto.
R. Essenzialmente sono strumenti urbanistici, un po' particolari, ma comunque volti a decidere cosa fare in una determinata porzione del territorio di un comune: quali funzioni insediare, in che tipo di strutture, quali opere (strade, piazze, impianti) sono necessarie, quali servizi devono accompagnare la realizzazione delle opere.
D. Si usano spesso?
R. Molto, sì, molto spesso. Sono diventati il mezzo principale per pianificare il territorio, piani regolatori a parte.
D. Piani di Governo del Territorio?
R. Siete preparati vedo. I Piani di Governo del Territorio sono gli strumenti di pianificazione urbanistica generale più recenti. Pochi comuni li hanno già approvati, tutti gli altri dovranno farlo entro l'anno prossimo, ma per ora si devono avvalere dei vecchi prg, ed i programmi integrati vengono utilizzati per apportare varianti ai prg.
D. Quindi i PII vengono utilizzati per apportare varianti urbanistiche.
R. Certo, nella maggior pare dei casi i PII sono varianti ai piani generali, e poi i comuni li utilizzano per "portare a casa" più denaro e più opere.
D. Legalmente?
R. Sì. I PII sono strumenti che prevedono la possibilità, per il comune, di pretendere quelli che sono stati definiti "standard qualitativi" ovvero maggiori oneri a carico degli operatori, in termini di opere o aree cedute, o denaro che viene versato nelle casse del comune.
D. Chi approva un PII?
R. Il comune. Solo in pochi casi, ovvero sia per quei PII che rientrino nella definizione di strumento di interesse regionale, per esempio se c'è di mezzo un centro commerciale o infrastrutture di interesse regionale o statale, allora interviene la Regione attraverso una procedura detta accordo di programma. Altrimenti è il comune a promuovere il programma, ad adottarlo ed infine ad approvarlo.
D. Senza che nessun altro interferisca?
R. Per i PII in variante è obbligatorio chiedere il parere della provincia.
D. Quindi un comune non può approvare un PII se la provincia dice di no.
R. In teoria è così..
D. Ma?
R. Ma i casi in cui una provincia è davvero in grado di incidere su un PII si contano sulle dita di una mano. In realtà le province devono fare sì i piani territoriali di coordinamento, ma la verità è che sono piani quasi totalmente privi di efficacia.
D. Ah! E perché?
R. (esita un po', ndr) La legge regionale non lascia molto spazio alle province, la politica della Regione, in tema di territorio, è di lasciar fare ai comuni quasi tutto quello che vogliono.
D. Per quale ragione?
R. Il peso politico dei comuni è nettamente superiore a quello delle province.
D. E il territorio ne fa le spese.
R. Diciamo che, tecnicamente, la scelta della Regione non è giustificata appieno.
D. Torniamo ai PII. Lei ritiene vengano utilizzati bene?
R. A volte sì, a volte no. Spesso lo spirito originario della legge sui PII, che in Lombardia esistono dal 1999, viene tradito. I PII erano stati pensati per superare le rigidità dei prg, ma anche per innalzare la qualità delle trasformazioni del territorio operate in variante ai prg.
D. E invece?
R. Invece, troppo spesso si sono tramutati in banali piani di lottizzazione, oltretutto utilizzati per "fare le varianti" laddove una variante ordinaria non si sarebbe potuta fare attraverso altri strumenti urbanistici.
D. Chi controlla se un PII risponde alla legge?
R. Nessuno.
D. Prego?
R. Nessuno, i controlli di legittimità sono stati abrogati da anni, in tutta Italia, la norma era nazionale, una delle leggi Bassanini.
D. Quindi uno strumento così delicato, se non è d'interesse regionale e quindi se non ci siete di mezzo voi, il comune se lo approva senza che nessuno dica nulla neppure in caso di violazioni di legge?
R. In teoria è possibile, le province non possono valutare la legittimità degli atti adottati dai comuni. Certo per i sindaci la responsabilità sarebbe gravissima, anche penale.
D. Mi scusi, ma non crede che sarebbe necessario controllare di più l'utilizzo di strumenti come questi?
R. Vede, oggi l'autonomia dei comuni è fortissima, la Costituzione è cambiata, di fatto sono loro i primi artefici del loro destino. Lo Stato non ha pressoché più competenze in materia urbanistica, le regioni dettano la disciplina e quindi è la politica di ciascuna regione a decidere sino a che punto si vuole essere incisivi rispetto all'autonomia dei comuni. La Lombardia ha scelto la strada di una sussidiarietà molto spinta, può piacere o no ma è così.
D. Detto molto brutalmente, lo sapete che ci sono comuni che con i PII ci giocano in modo un po' disinvolto, vero?
R. E' una delle voci che girano.
D. Lasciamo stare. Prima di chiederle l'intervista le ho accennato al caso concreto che ci sta a cuore, senza fornirle dati più precisi, glieli sottopongo ora (gli passo una copia del documento di sintesi del PII ed altri documenti in mio possesso). Li legga al volo e mi dica il suo pensiero. (sfoglia rapidamente la documentazione, per un paio di minuti, soffermandosi sui dati principali)
R. Eh, un bel programmino!
P. Si, eh?
D. Cosa la colpisce?
R. Se quel che si dice qui risponde al vero, con un solo PII realizzano abitazioni sufficienti a raddoppiare la popolazione, certo, è tutto relativo, in un paese di cinquanta anime basta costruire quattro case e la popolazione rischia di aumentare del trenta per cento, qui poi si dice che ci sono seconde case per oltre settemila persone, una bella botta. Certo non mi sembra un programma ispirato alla lungimiranza, però, che vuole che li dica, in sé l'operazione non sembra illecita.
D. Inopportuna?
R. Non saprei.
D. Urbanisticamente inopportuna?
R. Questo è possibile, forse probabile. Urbanisticamente inutile direi.
D. Cioè?
R. Inutile, inadeguata rispetto agli obiettivi del comune. Operazioni di questo genere non sono una novità. Alla fine, ovvero trascorsi tot anni dall'attuazione tutti scoprono che chi ci guadagna davvero sono gli operatori, ai comuni restano le briciole, a volte neppure quelle perché gli tocca mettere i soldi per rimediare ai danni o alle manchevolezze degli operatori privati.
D. Ma i PII non sono strumenti negoziali? Non prevedono una convenzione?
R. Certo, ovvio. Ma lei crede che un comune di questa dimensione (Piazzatorre, ndr) abbia la forza e la capacità di negoziare con gente che negozia tutti i santi giorni da anni, con decine di amministrazioni diverse, anche ben più strutturate e organizzate di questa? E poi chi pensa che scriva le convezioni?
D. I privati?
R. E certo! I Comuni se va bene le modificano un po'. Se no si limitano a firmarle.
D. Un'altra domanda. La valutazione ambientale, può avere un ruolo per limitare i danni?
R. Se ben fatta sì, tuttavia tenga conto che nella maggior parte dei casi la si affronta semplicemente come procedura, non come disciplina scientifica. Una volta redatti documenti come questo (il documento di sintesi, ndr) ci si toglie il pensiero affermando che non ci sono problemi per l'ambiente, ma il più delle volte è vero il contrario.
D. Insomma, sperare in una pianificazione urbanistica più accorta è utopico.
R. (allarga le braccia)
P. Grazie dottore, arrivederci.
R. Arrivederci.
MORALE: i disastri sono dietro l'angolo, ma stavolta, i loro padri, anche se sono più d'uno (la politica ha leggi diverse da quelle della biologia), non sono ignoti.
Nota: il blog da cui è tratta questa intervista si trova a http://salviamopiazzatorre.blogspot.com ; sul caso del piccolo comune letteralmente devastato dalle seconde case vedi anche Piazzatorre Fantozziland (f.b.)
Dal sito UrbanisticaToscana.it riportiamo una sentenza costituzionale di indubbio interesse, perchè riafferma un principio fondamentale che la pratica legislativa di molte regioni, travolte dall’ondata devoluscionistica, aveva smarrito. Nella sintesi di UrbanisticaToscana, la sentenza afferma che è costituzionalmente “illegittima la legge urbanistica della regione Marche, perchè non prevede specificamente l'invio alla Regione - o alla Provincia - dei piani attuativi comunali”. La pianificazione attuativa, sostiene la Corte, “rientra nel governo del territorio, come prima rientrava nell'urbanistica, ed è quindi oggetto di legislazione concorrente, per la quale le regioni debbono osservare, ora come allora, i principî fondamentali ricavabili dalla legislazione statale” (UrbanisticaToscana.it cit.).
L’argomentazione della Corte (allegato il testo integrale) è strettamente limitata agli aspetti letterali della legge. Essa afferma che la Regione non può rifiutarsi di venire a conoscenza di quanto i Comuni, con i piani attuativi (l’argomento da cui è partito il procedimento era un piano di lottizzazione a Civitanova Marche), per poter formulare eventuali osservazioni. poichè questo obbligo è sancito da una legge statale (la 47 del 1985). Ma la sentenza riflette un principio più generale, sul quale vale la pena di aprire una riflessione.
Molte regioni, e soprattutto quelle di sinistra, nell’empito di innovare e semplificare le procedure, hanno delegato ai comuni competenze sempre più ampie in materia di governo del territorio. In materia di pianificazione più d’una regione (la Toscana, l’Emilia-Romagna, ...) ha trasferito ai comuni l’approvazione dei piani urbanistici comunali (generali, oltre che attuativi), senza riservarsi nessun momento di verifica della conformità agli strumenti di pianificazione regionale o provinciale, i quali, peraltro, sono generalmente del tutto evanescenti e interpretabili nel modo più ampio.
E’ noto che il nuovo testo del Titolo V della Costituzione ha modificato i rapporti tra Stato, regione, provincia e città metropolitana, comune. Ma quale che sia la modifica apportata dalla maggioranza di centro-sinistra al testo costituzionale, essa non ha certo potuto significare che ciascuno degli istituti nei quali la democrazia si articola ha gli stessi poteri. E se la regione e la provincia hanno competenza in materia di governo del territorio, di ambiente, di mobilità e accessibilità, di tutela dei beni comuni, sembra evidente che nè l’una nè l’altra possono, nel concreto, spogliarsi delle loro responsabilità. Oggi siamo invece arrivati al paradosso che, se un piano comunale disattende un piano territoriale provinciale (consentendo, per esempio, di lottizzare ambiti di territorio nei quali la pianificazione sovraordinata lo escludeva) l’unica strada percorribile da chi voglia far intendere la propria ragione è quella del ricorso al giudice amministrativo.
Tutto ciò con un duplice risultato: aumentare la trasformazione del territorio da aperto e naturale a chiuso e costruito (poiché è noto che le tendenze all’edificazione e alla privatizzazione sono massime al livello comunale), e affidare la composizione dei diversi interessi alla magistratura anziché al corretto rapporto procedimentale.
Si può affermare che, nell’ultimo decennio del secolo scorso (dalla legge 142/1990 alle successive leggi urbanistiche regionali) era maturato un equilibrio costituito da un sapiente contemperamento dei diversi “punti di vista” (nazionale, regionale, provinciale, comunale) mediante procedure chiare, definizione di distinti campi d’interesse (gli oggetti e aspetti rilevanti a livello regionale non sono certo uguali a quelli rilevanti a livello comunale), sperimentazione di modalità di collaborazione diverse da quelle burocratiche del passato (conferenze di pianificazione, intese interistituzionali, tecniche di co-pianificazione). Ora invece, grazie alla ventata “federalista”, si sta rapidamente giungendo a una prassi, codificata legislativamente, per cui la demagogia della devoluzione verso il livello più basso (e più debole, e più esposto al prevalere degli interessi forti) diventa l’unica regola. Salvo correggerla surrettiziamente mediante l’intervento discrezionale e autoritario del Governatore regionale.
Indurrà a riflettere la sentenza della Corte costituzionale? Altrimenti bisognerà attendere che, fra qualche lustro, i danni provocati dalle miopi imprudenze e dalle demagogie a buon mercato abbiano provocato una tal messe di proteste, denunce e disastri tali da imporre un brusco cambiamento di rotta. Ma i cocci saranno delle generazioni future.
A chiunque è consentito utilizzare questo articolo alla condizione di citarne l'autore e la fonte
1. La Regione Emilia Romagna, in attuazione dei principi della Costituzione e dello Statuto regionale e in conformità alle leggi della Repubblica ed ai principi della L.R. 21 aprile 1999, n. 3, disciplina con la presente legge la tutela e l’uso del territorio al fine di
a) realizzare un efficace ed efficiente sistema di programmazione e pianificazione territoriale al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile della popolazione regionale ed idoneo ad assicurare il miglioramento della qualità della vita
b) promuovere un uso appropriato delle risorse ambientali, naturali, territoriali e culturali
c) riorganizzare le competenze esercitate ai diversi livelli istituzionali e promuovere modalità di raccordo funzionale tra gli strumenti di pianificazione, in attuazione del principio di sussidiarietà;
d) favorire la cooperazione tra Regione, Province e Comuni e valorizzare la concertazione con le forze economiche e sociali nella definizione delle scelte di programmazione e pianificazione
e) semplificare i procedimenti amministrativi, garantendone la trasparenza e il contraddittorio.
1. La pianificazione territoriale e urbanistica costituisce funzione fondamentale di governo della Regione, delle Province e dei Comuni.
2. La pianificazione territoriale e urbanistica si informa ai seguenti obiettivi generali
a) promuovere un ordinato sviluppo del territorio, dei tessuti urbani e del sistema produttivo
b) assicurare che i processi di trasformazione siano compatibili con la sicurezza e la tutela dell’integrità fisica e con l’identità culturale del territorio
c) migliorare la qualità della vita e la salubrità degli insediamenti urbani
d) ridurre la pressione degli insediamenti sui sistemi naturali e ambientali anche attraverso opportuni interventi di riduzione e mitigazione degli impatti
e) promuovere il miglioramento della qualità ambientale, architettonica e sociale del territorio urbano, attraverso interventi di riqualificazione del tessuto esistente
f) prevedere il consumo di nuovo territorio solo quando non sussistano alternative derivanti dalla sostituzione dei tessuti insediativi esistenti ovvero dalla loro riorganizzazione e riqualificazione.
3. Ai fini della presente legge per strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica si intende l'insieme degli atti di pianificazione, disciplinati dalla legislazione regionale, che siano volti a tutelare il territorio ovvero a regolarne l'uso ed i processi di trasformazione.
1. La pianificazione territoriale e urbanistica garantisce la coerenza tra le caratteristiche e lo stato del territorio e le destinazioni e gli interventi di trasformazione previsti, verificando nel tempo l'adeguatezza e l'efficacia delle scelte operate.
2. A tal fine la pianificazione si sviluppa attraverso le seguenti azioni, avendo riguardo alla natura ed ai contenuti dei diversi strumenti
a) l’individuazione degli obiettivi generali di sviluppo economico e sociale, di tutela e riequilibrio del territorio che si intendono perseguire
b) la formazione di un quadro conoscitivo
c) la determinazione delle azioni idonee alla realizzazione degli obiettivi individuati
d) la regolamentazione degli interventi e la programmazione della loro attuazione
e) il monitoraggio e il bilancio degli effetti sul territorio conseguenti all'attuazione dei piani.
3. Gli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica esplicitano le motivazioni poste a fondamento delle scelte strategiche operate.
1. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. Esso provvede alla organica rappresentazione e valutazione dello stato del territorio e dei processi evolutivi che lo caratterizzano e costituisce riferimento necessario per la definizione degli obiettivi e dei contenuti del piano e per la valutazione di sostenibilità di cui all'art. 5.
2. Il quadro conoscitivo dei piani generali, in coerenza con i compiti di ciascun livello di pianificazione, ha riguardo
a) alle dinamiche dei processi di sviluppo economico e sociale
b) agli aspetti fisici e morfologici
c) ai valori paesaggistici, culturali e naturalistici
d) ai sistemi ambientale, insediativo e infrastrutturale
e) all’utilizzazione dei suoli ed allo stato della pianificazione
f) alle prescrizioni e ai vincoli territoriali derivanti dalla normativa, dagli strumenti di pianificazione vigenti, da quelli in salvaguardia e dai provvedimenti amministrativi.
3. I piani settoriali provvedono ad integrare e approfondire il quadro conoscitivo del piano generale del medesimo livello di governo con gli approfondimenti relativi al loro specifico campo di interesse.
4. Al fine di elaborare il quadro conoscitivo, le amministrazioni operano ai sensi dell'art. 17, provvedendo alle integrazioni, agli approfondimenti ed agli aggiornamenti ritenuti indispensabili.
1. La Regione, le Province e i Comuni provvedono, nell’ambito del procedimento di elaborazione ed approvazione dei propri piani, alla valutazione preventiva della sostenibilità ambientale e territoriale degli effetti derivanti dalla loro attuazione, anche con riguardo alla normativa nazionale e comunitaria.
2. A tal fine, nel documento preliminare sono evidenziati i potenziali impatti negativi delle scelte operate e le misure idonee per impedirli, ridurli o compensarli. Gli esiti della valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale costituiscono parte integrante del piano approvato e sono illustrati da un apposito documento.
3. In coerenza con le valutazioni di cui al comma 2 la pianificazione territoriale e urbanistica persegue l’obiettivo della contestuale realizzazione delle previsioni in essa contenute e degli interventi necessari ad assicurarne la sostenibilità ambientale e territoriale.
4. La Regione, le Province e i Comuni provvedono inoltre al monitoraggio dell’attuazione dei propri piani e degli effetti sui sistemi ambientali e territoriali, anche al fine della revisione o aggiornamento degli stessi.
1. La pianificazione territoriale e urbanistica, oltre a disciplinare l'uso e le trasformazioni del suolo, accerta i limiti e i vincoli agli stessi che derivano
a) da uno specifico interesse pubblico insito nelle caratteristiche del territorio, stabilito da leggi statali o regionali relative alla tutela dei beni ambientali, paesaggistici e culturali, alla protezione della natura ed alla difesa del suolo
b) dalle caratteristiche morfologiche o geologiche dei terreni che rendono incompatibile il processo di trasformazione
c) dalla presenza di fattori di rischio ambientale, per la vulnerabilità delle risorse naturali.
2. Al fine di assicurare la sostenibilità ambientale e territoriale, la pianificazione territoriale e urbanistica può subordinare l’attuazione degli interventi di trasformazione
a) alla contestuale realizzazione di interventi di mitigazione degli impatti negativi o di infrastrutture per l'urbanizzazione degli insediamenti, di attrezzature e spazi collettivi, di dotazioni ecologiche e ambientali, di infrastrutture per la mobilità; ovvero
b) al fatto che si realizzino le condizioni specificamente individuate dal piano, che garantiscono la sostenibilità del nuovo intervento.
3. I vincoli e le condizioni di cui ai commi 1 e 2 sono inerenti alle qualità intrinseche del bene e operano senza alcun limite temporale. Essi sono stabiliti dal Piano Strutturale Comunale (PSC) ovvero dagli strumenti di pianificazione territoriale generale e settoriale sovraordinati e sono recepiti dal Piano Operativo Comunale (POC).
4. Il POC può inoltre apporre vincoli urbanistici, finalizzati all'acquisizione coattiva di immobili.
1. La perequazione urbanistica persegue l’equa distribuzione, tra i proprietari degli immobili interessati dagli interventi, dei diritti edificatori riconosciuti dalla pianificazione urbanistica e degli oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazioni territoriali.
2. A tal fine, il PSC può riconoscere la medesima possibilità edificatoria ai diversi ambiti che presentino caratteristiche omogenee.
3. Il POC e i Piani Urbanistici Attuativi (PUA), nel disciplinare gli interventi di trasformazione da attuare in forma unitaria, assicurano la ripartizione dei diritti edificatori e dei relativi oneri tra tutti i proprietari degli immobili interessati, indipendentemente dalle destinazioni specifiche assegnate alle singole aree.
4. Il Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE) stabilisce i criteri e i metodi per la determinazione del diritto edificatorio spettante a ciascun proprietario, in ragione del diverso stato di fatto e di diritto in cui si trovano gli immobili al momento della formazione del PSC.
1. Nei procedimenti di formazione ed approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica sono assicurate
a) la concertazione con le associazioni economiche e sociali, in merito agli obiettivi strategici e di sviluppo da perseguire
b) specifiche forme di pubblicità e di consultazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi, in ordine ai contenuti degli strumenti stessi.
2. Nei medesimi procedimenti, gli enti locali con lo Statuto o con appositi regolamenti possono prevedere, ai sensi delle Leggi 8 giugno 1990, n. 142 e 7 agosto 1990, n. 241, ulteriori forme di pubblicità e di consultazione dei cittadini oltre a quelle previste dalla presente legge.
3. Nell'ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e documenti comunque concernenti la pianificazione e assicurando il tempestivo ed adeguato esame delle deduzioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o meno delle stesse. Nell’attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio deve essere garantito il diritto al contraddittorio degli interessati con l’amministrazione procedente.
4. Il responsabile del procedimento, di cui all'art. 4 della Legge n. 241 del 1990, cura tutte le attività relative alla pubblicità, all'accesso agli atti e documenti ed alla partecipazione al procedimento di approvazione. Il responsabile è individuato nell'atto di avvio del procedimento di approvazione del piano.
1. La pianificazione territoriale e urbanistica si articola nei tre livelli regionale, provinciale e comunale.
2. Nell'osservanza dei principi di sussidiarietà, di adeguatezza e differenziazione, definiti dal comma 3 dell'art. 4 della Legge 15 marzo 1997, n. 59
a) sono conferite ai Comuni tutte le funzioni di governo del territorio non esplicitamente attribuite agli altri livelli di pianificazione sovraordinati
b) nei casi stabiliti dalla presente legge i Comuni di minore dimensione demografica possono esercitare le funzioni pianificatorie in forma associata
c) sono attribuite alla Regione e alla Provincia soltanto le funzioni di pianificazione riconosciute loro dalla legislazione nazionale e regionale, che attengono alla cura di interessi di livello sovracomunale o che non possono essere efficacemente svolte a livello comunale. In tali casi sono previste forme di partecipazione dei Comuni all'esercizio delle funzioni attribuite agli altri livelli di pianificazione sovraordinati.
3. Compete ai Comuni, in riferimento alle specifiche situazioni locali, specificare, approfondire e attuare i contenuti propri degli strumenti di pianificazione territoriale sovraordinati.
1. Le funzioni di pianificazione territoriale e urbanistica sono esercitate attraverso la predisposizione e approvazione di piani generali e settoriali.
2. Ai fini della presente legge
a) per piani generali si intendono gli strumenti con i quali ciascun ente pubblico territoriale detta, per l'intero ambito di propria competenza, la disciplina di tutela e uso del territorio
b) per piani settoriali si intendono gli strumenti con i quali, nei casi espressamente previsti dalla legge, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici preposti alla tutela di specifici interessi dettano la disciplina di tutela e uso del territorio relativamente ai profili che ineriscono alle proprie funzioni.
3. I piani generali coordinano e portano a sistema l'insieme delle previsioni dei piani sovraordinati vigenti e definiscono prescrizioni, direttive ed indirizzi che dovranno essere osservati dalla pianificazione sottordinata. Con riferimento alla pianificazione settoriale del medesimo livello di pianificazione, il piano generale fissa il quadro di riferimento, in termini conoscitivi e normativi, e stabilisce gli obiettivi prestazionali che dovranno essere perseguiti dagli strumenti settoriali.
4. I piani settoriali sono predisposti ed approvati nel rispetto delle previsioni dei piani sovraordinati e degli obiettivi strategici e delle scelte del piano generale del medesimo livello di pianificazione, sviluppando e specificando gli obiettivi prestazionali di settore ivi stabiliti.
1. Ai fini della presente legge, le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica si distinguono in indirizzi, direttive e prescrizioni. In particolare
a) per indirizzi si intendono le disposizioni volte a fissare obiettivi per la predisposizione dei piani sottordinati e dei piani settoriali del medesimo livello di pianificazione, riconoscendo ambiti di discrezionalità nella specificazione e integrazione delle proprie previsioni e nell'applicazione dei propri contenuti alle specifiche realtà locali
b) per direttive si intendono le disposizioni che devono essere osservate nella elaborazione dei contenuti dei piani sottordinati e dei piani settoriali del medesimo livello di pianificazione
c) per prescrizioni si intendono le disposizioni dei piani, predisposte nel rispetto dei principi di cui all'art. 9 e nell'osservanza degli ambiti delle materie di pertinenza dei piani stessi, che incidono direttamente sul regime giuridico dei beni disciplinati, regolando gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite.
2. Le prescrizioni devono trovare piena e immediata osservanza ed attuazione da parte di tutti i soggetti pubblici e privati, secondo le modalità previste dal piano, e prevalgono sulle disposizioni incompatibili contenute nei vigenti strumenti di pianificazione e negli atti amministrativi attuativi. Gli enti pubblici provvedono tempestivamente all'adeguamento delle previsioni degli strumenti di pianificazione e degli atti amministrativi non più attuabili per contrasto con le prescrizioni sopravvenute.
3. Gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica esplicitano l'efficacia delle proprie disposizioni, attenendosi a quanto previsto dal comma 1.
Art. 12 - Salvaguardia
1. A decorrere dalla data di adozione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, le amministrazioni pubbliche sospendono ogni determinazione in merito
a) all'autorizzazione di interventi di trasformazione del territorio che siano in contrasto con le previsioni dei piani adottati o tali da comprometterne o renderne più gravosa l'attuazione
b) all'approvazione di strumenti sottordinati di pianificazione territoriale e urbanistica che siano in contrasto con le prescrizioni del piano adottato.
2. La sospensione di cui al comma 1 opera fino alla data di entrata in vigore del piano e comunque per non oltre cinque anni dalla data di adozione, salvo diversa previsione di legge.
1. La Regione, le Province e i Comuni, nella formazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, conformano la propria attività al metodo della concertazione con gli altri enti pubblici territoriali e con le altre amministrazioni preposte alla cura degli interessi pubblici coinvolti.
2. Sono strumenti della concertazione istituzionale la conferenza e gli accordi di pianificazione e gli accordi territoriali.
3. Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) può prevedere particolari forme di cooperazione tra Comuni negli ambiti che presentano una elevata continuità insediativa, ovvero nei casi in cui le scelte pianificatorie comunali comportano significativi effetti di rilievo sovracomunale.
1. La conferenza di pianificazione ha la finalità di costruire un quadro conoscitivo condiviso del territorio e dei conseguenti limiti e condizioni per il suo sviluppo sostenibile, nonché di esprimere valutazioni preliminari in merito agli obiettivi e alle scelte di pianificazione prospettate dal documento preliminare.
2. Il documento preliminare presenta in particolare i seguenti contenuti
a) le indicazioni in merito agli obiettivi generali che si intendono perseguire con il piano ed alle scelte strategiche di assetto del territorio, in relazione alle previsioni degli strumenti di pianificazione di livello sovraordinato
b) l’individuazione di massima di limiti e condizioni per lo sviluppo sostenibile del territorio.
3. Alla conferenza partecipano necessariamente gli enti territoriali e le amministrazioni individuate per ciascun piano dagli artt. 25, 27 e 32. Alla conferenza intervengono inoltre tutte le amministrazioni competenti al rilascio dei pareri, delle intese e degli atti di assenso, comunque denominati, ai sensi del comma 3 dell’art. 34. L’amministrazione procedente può altresì convocare altre amministrazioni coinvolte o interessate dall’esercizio delle funzioni di pianificazione.
4. La conferenza realizza la concertazione con le associazioni economiche e sociali, chiamandole a concorrere alla definizione degli obiettivi e delle scelte strategiche individuati dal documento preliminare, acquisendone le valutazioni e le proposte.
5. L'amministrazione procedente assicura la pubblicità degli esiti della concertazione istituzionale e di quella con le associazioni economiche e sociali, di cui ai commi 3 e 4.
6. Ogni amministrazione partecipa alla conferenza con un unico rappresentante, legittimato dagli organi istituzionalmente competenti ad esprimere definitivamente ed in modo vincolante le valutazioni e la volontà dell'ente.
7. Per i PTCP e per i PSC le determinazioni concordate in sede di conferenza di pianificazione possono essere recepite in un accordo di pianificazione, rispettivamente tra Regione e Provincia e tra Provincia e Comune. L’accordo definisce l’insieme condiviso degli elementi che costituiscono parametro per le scelte pianificatorie.
8. Nella predisposizione e approvazione del PTCP o del PSC, la Provincia o il Comune tiene comunque conto dei contributi conoscitivi e delle valutazioni espressi in sede di conferenza di pianificazione e si conforma alle determinazioni eventualmente concordate con l’accordo di pianificazione, di cui al comma 7.
1. I Comuni e la Provincia possono promuovere accordi territoriali per concordare obiettivi e scelte strategiche comuni ovvero per coordinare l’attuazione delle previsioni dei piani urbanistici, in ragione della sostanziale omogeneità delle caratteristiche e del valore naturale, ambientale e paesaggistico dei territori comunali ovvero della stretta integrazione e interdipendenza degli assetti insediativi, economici e sociali. I Comuni possono altresì stipulare accordi territoriali per lo svolgimento in collaborazione di tutte o parte delle funzioni di pianificazione urbanistica, nonché per l’elaborazione in forma associata degli strumenti urbanistici e la costituzione di un apposito ufficio di piano o di altre strutture per la redazione e gestione degli stessi.
2. Per l’attuazione del PTCP la Provincia può promuovere accordi territoriali diretti a definire, anche con riguardo alle risorse finanziarie disponibili, gli interventi di livello sovracomunale da realizzare in un arco temporale definito e che attengono
a) alla realizzazione delle infrastrutture di interesse generale previste dal piano nonché delle infrastrutture, opere o servizi cui è subordinata l'attuazione dei piani urbanistici comunali, a norma del comma 4 dell'art. 26
b) a interventi di rinaturazione e di riequilibrio ecologico ovvero alla realizzazione di dotazioni ecologiche ed ambientali
c) a progetti di tutela, recupero e valorizzazione delle risorse paesaggistiche e ambientali del territorio.
3. Gli accordi territoriali di cui ai commi 1 e 2 possono prevedere forme di perequazione territoriale, anche attraverso la costituzione di un fondo finanziato dagli enti locali con risorse proprie o con quote dei proventi degli oneri di urbanizzazione e delle entrate fiscali conseguenti alla realizzazione degli interventi concordati.
4. Agli accordi territoriali si applica, per quanto non previsto dalla presente legge, la disciplina propria degli accordi tra amministrazioni di cui all'art. 15 della Legge n. 241 del 1990.
1. Per assicurare lo sviluppo coordinato ed omogeneo delle attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la Regione adotta: atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni pianificatorie delle Province e dei Comuni; atti di coordinamento tecnico; direttive relative all'esercizio delle funzioni delegate.
2. Con gli atti di coordinamento tecnico, in particolare, la Regione
a) detta indirizzi e direttive per l'attuazione della presente legge e per l'integrazione dei suoi contenuti con le disposizioni in materia di pianificazione territoriale e urbanistica previste dalle legislazioni settoriali
b) specifica i contenuti essenziali del documento preliminare, del quadro conoscitivo, della relazione illustrativa, delle norme tecniche e delle tavole di progetto del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, del Piano Strutturale Comunale, del Piano Operativo Comunale e del Piano Urbanistico Attuativo
c) stabilisce l'insieme organico delle nozioni, definizioni, modalità di calcolo e di verifica concernenti gli indici, i parametri e le modalità d'uso e di intervento, allo scopo di definire un lessico comune utilizzato nell'intero territorio regionale, che comunque garantisca l'autonomia nelle scelte di pianificazione.
3. Gli atti di cui al comma 1 sono assunti con delibera del Consiglio regionale, su proposta della Giunta previa intesa con la Conferenza Regione - Autonomie locali di cui all’art. 31 della L.R. n. 3 del 1999. Tali atti sono pubblicati sul Bollettino Ufficiale della Regione.
1. Tutte le amministrazioni pubbliche che svolgono tra i propri compiti istituzionali funzioni di raccolta, elaborazione e aggiornamento di dati conoscitivi e di informazioni relativi al territorio e all'ambiente concorrono all’integrazione e implementazione del quadro conoscitivo del territorio, in occasione della predisposizione dei piani territoriali e urbanistici.
2. La Regione, previa intesa con gli enti locali assunta nell'ambito della Conferenza Regione - Autonomie locali, di cui all'art. 31 della L.R. n. 3 del 1999, stabilisce le modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici operanti nel settore.
1. Gli enti locali possono concludere accordi con soggetti privati per assumere nella pianificazione proposte di progetti e iniziative di rilevante interesse per la comunità locale, al fine di determinare talune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale e urbanistica, nel rispetto della legislazione e pianificazione sovraordinata vigente e senza pregiudizio dei diritti dei terzi.
2. La scelta di pianificazione definita con l’accordo deve essere motivata, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 3.
3. L’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione. L’accordo è recepito con la delibera di adozione dello strumento ed è condizionato alla conferma delle sue previsioni nel piano approvato.
4. Per quanto non disciplinato dalla presente legge trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 2 e seguenti dell'art. 11 della Legge n. 241 del 1990.
1. La pianificazione territoriale e urbanistica recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici ed ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi ovvero da previsioni legislative.
2. Quando la pianificazione urbanistica comunale abbia recepito e coordinato integralmente le prescrizioni ed i vincoli di cui al comma 1, essa costituisce la carta unica del territorio ed è l'unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni ed i vincoli sopravvenuti, anche ai fini dell’autorizzazione per la realizzazione, ampliamento, ristrutturazione o riconversione degli impianti produttivi, ai sensi del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447.
3. La deliberazione di approvazione del piano comunale dà atto del completo recepimento di cui al comma 2 ovvero del recepimento parziale, indicandone le motivazioni. Dell’approvazione della carta unica del territorio è data informazione ai cittadini anche attraverso lo sportello unico per le attività produttive di cui al D.P.R. n. 447 del 1998.
1. La Regione, la Provincia o il Comune, all'atto della adozione, può conferire al proprio piano generale anche il valore e gli effetti di uno o più piani settoriali di propria competenza ovvero di variante agli stessi, qualora esso ne presenti i contenuti essenziali.
2. Al procedimento di approvazione del piano generale di cui al comma 1 si applica la disciplina prevista per essi dal Titolo II, con le seguenti integrazioni
a) negli atti deliberativi, negli avvisi pubblici e in ogni altro mezzo di pubblicità del piano deve essere esplicitamente indicata la sua particolare efficacia
b) nel corso della predisposizione del piano deve essere comunque acquisito ogni parere richiesto per l'approvazione del piano settoriale.
1. Il PTCP può assumere, su richiesta e d’intesa con i Comuni interessati, il valore e gli effetti del PSC.
2. Il PTCP può inoltre assumere, ai sensi dell’art. 57 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, il valore e gli effetti dei piani settoriali di tutela e uso del territorio di competenza di altre amministrazioni, qualora le sue previsioni siano predisposte d'intesa con le amministrazioni interessate.
3. In tali casi, il Presidente della Provincia provvede in via preliminare a stipulare un accordo con il Comune o con le amministrazioni interessate, in merito ai tempi e alle forme di partecipazione all’attività tecnica di predisposizione del piano e alla ripartizione delle relative spese.
4. Le amministrazioni interessate esprimono il proprio assenso all’intesa, ai fini della definizione delle previsioni del PTCP, nell'ambito delle procedure di concertazione stabilite dal comma 9 dell'art. 27.
1. Per assicurare la flessibilità del sistema della pianificazione territoriale e urbanistica, le deliberazioni di adozione dei piani possono contenere esplicite proposte di modificazione ai piani sovraordinati, nei seguenti casi
a) il PTCP e il PSC possono proporre modifiche ad uno o più piani, generali o settoriali, di livello sovraordinato
b) i PUA possono prevedere modifiche o integrazioni al POC
c) i piani settoriali possono proporre, limitatamente alle materie e ai profili di propria competenza, modifiche al piano generale del medesimo livello di pianificazione ovvero ai piani settoriali o generali di livello sovraordinato.
2. Le proposte comunali di modifica delle previsioni dei piani sovraordinati di tutela del territorio e dell'ambiente nei settori del paesaggio, della protezione della natura, delle acque e della difesa del suolo, possono attenere unicamente alla cartografia dei piani.
3. Per l'approvazione dei piani settoriali che contengono proposte di modifica al piano generale dello stesso livello di pianificazione trova applicazione il procedimento previsto per il piano generale.
4. Fuori dai casi di cui al comma 3, per l'approvazione dei piani che propongono modificazioni si applica la disciplina prevista per essi dal Titolo II o dalla legislazione di settore, con le seguenti modifiche o integrazioni
a) negli atti deliberativi di adozione e di approvazione, negli avvisi pubblici e in ogni altro mezzo di pubblicità del piano deve essere esplicitamente indicato lo strumento del quale si propongono modificazioni
b) vanno seguite le forme di deposito, pubblicità e intervento previste per il piano di cui si propone la variazione, qualora assicurino una maggiore conoscenza e partecipazione degli interessati al procedimento
c) le proposte di modifica devono essere evidenziate in appositi elaborati tecnici, nei quali devono essere indicati i presupposti conoscitivi e le motivazioni di ciascuna di esse.
5. L'atto di approvazione del piano che contiene le proposte di modificazioni comporta anche la variazione del piano sovraordinato, qualora sulle modifiche sia acquisita l'intesa dell'ente titolare dello strumento. L'intesa può essere raggiunta nell'ambito delle procedure di concertazione previste dalla presente legge.
6. La Regione, le Province e i Comuni hanno l’onere di aggiornare gli elaborati tecnici dei propri strumenti di pianificazione a seguito dell’atto di intesa di cui al comma 5 o dell’atto di approvazione.
1. Il Piano Territoriale Regionale (PTR) è lo strumento di programmazione con il quale la Regione definisce gli obiettivi per assicurare lo sviluppo e la coesione sociale, accrescere la competitività del sistema territoriale regionale, garantire la riproducibilità, la qualificazione e la valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali.
2. Il PTR è predisposto in coerenza con le strategie europee e nazionali di sviluppo del territorio.
3. Il PTR definisce indirizzi e direttive alla pianificazione di settore, ai PTCP e agli strumenti della programmazione negoziata, per assicurare la realizzazione degli obiettivi di cui ai commi 1 e 2.
4. Il PTR può contenere prescrizioni, espresse attraverso una rappresentazione grafica atta a individuare puntualmente gli ambiti interessati, che prevalgono sulle diverse previsioni contenute negli strumenti provinciali e comunali di pianificazione territoriale e urbanistica vigenti e adottati.
1. Il Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) costituisce parte tematica del PTR, avente specifica considerazione dei valori paesaggistici, ambientali e culturali del territorio regionale, anche ai fini dell'art. 149 del D. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490.
2. Il PTPR provvede all'individuazione delle risorse storiche, culturali, paesaggistiche e ambientali del territorio regionale ed alla definizione della disciplina per la loro tutela e valorizzazione.
3. Dall'entrata in vigore della presente legge, i PTCP che hanno dato o diano piena attuazione alle prescrizioni del PTPR, approvato con la deliberazione del Consiglio regionale 28 gennaio 1993, n. 1338, costituiscono, in materia di pianificazione paesaggistica, l’unico riferimento per gli strumenti comunali di pianificazione e per l’attività amministrativa attuativa.
1. Il procedimento disciplinato dal presente articolo trova applicazione per l'elaborazione e l'approvazione del PTR, della sua parte tematica costituita dal PTPR e delle loro varianti. La medesima disciplina si applica ai piani settoriali regionali con valenza territoriale per i quali la legge non detti una specifica disciplina in materia.
2. La Giunta regionale elabora un documento preliminare, che individua gli obiettivi strategici di sviluppo del sistema economico e sociale che si intendono perseguire, e lo trasmette al Consiglio regionale, alle Province e ai Comuni.
3. Per un esame congiunto del documento preliminare, ciascuna Provincia convoca, entro trenta giorni dal ricevimento del documento preliminare, una conferenza di pianificazione, ai sensi dell’art. 14, chiamando a parteciparvi, assieme alla Regione, i Comuni, le Comunità montane e gli altri enti locali del proprio territorio. Entro trenta giorni dalla conclusione della conferenza, la Provincia esprime le proprie osservazioni e proposte rispetto al documento preliminare e riferisce in merito a quelle formulate dagli enti partecipanti alla conferenza e dalle associazioni economiche e sociali.
4. Il Consiglio regionale adotta il piano su proposta della Giunta regionale, elaborata in considerazione delle valutazioni e proposte raccolte ai sensi del comma 3 e previo parere della Conferenza Regione - Autonomie locali e della Conferenza regionale per l’economia e il lavoro, di cui alla L.R. n. 3 del 1999. Copia del piano adottato è trasmessa alle Province, ai Comuni e alle Comunità montane.
5. Il piano adottato è depositato presso le sedi del Consiglio regionale e degli enti territoriali di cui al comma 4 per sessanta giorni dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell'avviso dell'avvenuta adozione. L'avviso contiene l'indicazione degli enti territoriali presso i quali il piano è depositato e dei termini entro i quali chiunque può prenderne visione. L'avviso è pubblicato altresì su almeno un quotidiano a diffusione regionale e la Regione può attuare ogni altra forma di divulgazione ritenuta opportuna.
6. Entro la scadenza del termine di deposito di cui al comma 5 possono formulare osservazioni e proposte i seguenti soggetti
a) gli enti e organismi pubblici
b) le associazioni economiche e sociali e quelle costituite per la tutela di interessi diffusi
c) i singoli cittadini nei confronti dei quali le previsioni del piano adottato sono destinate a produrre effetti diretti.
7. Il Consiglio regionale, entro i successivi novanta giorni, decide sulle osservazioni ed approva il piano.
8. Copia integrale del piano approvato è depositata per la libera consultazione presso la Regione ed è trasmessa alle amministrazioni di cui al comma 4. L’avviso dell’avvenuta approvazione è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione. Dell'approvazione è data altresì notizia con avviso su almeno un quotidiano a diffusione regionale.
9. Il piano entra in vigore dalla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell'avviso di approvazione, ai sensi del comma 8.
1. Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) considera la totalità del territorio provinciale ed è lo strumento di pianificazione che definisce l'assetto del territorio con riferimento agli interessi sovracomunali, articolando sul territorio le linee di azione della programmazione regionale.
2. Il PTCP è sede di raccordo e verifica delle politiche settoriali della Provincia e strumento di indirizzo e coordinamento per la pianificazione urbanistica comunale. A tal fine il piano
a) recepisce gli interventi definiti a livello nazionale e regionale, relativamente al sistema infrastrutturale primario e alle opere rilevanti per estensione e natura
b) individua, anche in attuazione degli obiettivi della pianificazione regionale, ipotesi di sviluppo dell’area provinciale, prospettando le conseguenti linee di assetto e di utilizzazione del territorio
c) definisce i criteri per la localizzazione e il dimensionamento di strutture e servizi di interesse provinciale e sovracomunale
d) definisce le caratteristiche di vulnerabilità, criticità e potenzialità delle singole parti e dei sistemi naturali ed antropici del territorio e le conseguenti tutele paesaggistico ambientali
e) definisce i bilanci delle risorse territoriali e ambientali, i criteri e le soglie del loro uso, stabilendo le condizioni e i limiti di sostenibilità territoriale e ambientale delle previsioni urbanistiche comunali che comportano rilevanti effetti che esulano dai confini amministrativi di ciascun ente.
3. Il PTCP specifica ed articola la disciplina delle dotazioni territoriali di cui al Capo A-V dell’Allegato, indicando a tal fine i diversi ruoli dei centri abitati nel sistema insediativo.
4. Per coordinare un’efficace attuazione delle proprie previsioni, il PTCP definisce con i Comuni modalità e termini per l’adeguamento dei piani comunali. Il PTCP coordina l’attuazione delle previsioni dei piani urbanistici vigenti con la realizzazione delle infrastrutture, opere e servizi di rilievo sovracomunale, da inserire prioritariamente nel programma triennale delle opere pubbliche della Provincia.
1. Il procedimento disciplinato dal presente articolo trova applicazione per l'elaborazione e l'approvazione del PTCP e delle sue varianti. La medesima disciplina si applica altresì al Piano Infraregionale delle Attività Estrattive (PIAE) e ai piani settoriali provinciali con valenza territoriale per i quali la legge non detti una specifica disciplina in materia.
2. La Giunta provinciale elabora un documento preliminare del piano. Per l’esame congiunto del documento preliminare il Presidente della Provincia convoca una conferenza di pianificazione ai sensi dell’art. 14, chiamando a parteciparvi la Regione, le Province contermini, nonché i Comuni, le Comunità montane e gli enti di gestione delle aree naturali protette interessati.
3. A conclusione della conferenza di pianificazione, la Regione e la Provincia possono stipulare un accordo di pianificazione ai sensi del comma 7 dell'art. 14. L'accordo attiene in particolare ai dati conoscitivi e valutativi dei sistemi territoriali e ambientali, ai limiti e condizioni per lo sviluppo sostenibile del territorio provinciale nonché alle indicazioni in merito alle scelte strategiche di assetto dello stesso. La stipula dell’accordo di pianificazione comporta la riduzione della metà dei termini di cui ai commi 7 e 10 e la semplificazione procedurale di cui al comma 11.
4. A seguito delle conclusioni della fase di concertazione di cui ai commi 2 e 3, il Consiglio provinciale adotta il PTCP. Copia del piano adottato è trasmesso alla Giunta regionale, alle Province contermini, ai Comuni, alle Comunità montane e agli enti di gestione delle aree naturali protette.
5. Il piano adottato è depositato presso le sedi del Consiglio provinciale e degli enti territoriali di cui al comma 2 per sessanta giorni dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell'avviso dell'avvenuta adozione. L'avviso contiene l'indicazione degli enti presso i quali il piano è depositato e dei termini entro i quali chiunque può prenderne visione. L'avviso è pubblicato altresì su almeno un quotidiano a diffusione regionale e la Provincia può attuare ogni altra forma di divulgazione ritenuta opportuna.
6. Entro la scadenza del termine di deposito di cui al comma 5 possono formulare osservazioni e proposte i seguenti soggetti
a) gli enti e organismi pubblici
b) le associazioni economiche e sociali e quelle costituite per la tutela di interessi diffusi
c) i singoli cittadini nei confronti dei quali le previsioni del piano adottato sono destinate a produrre effetti diretti.
7. Entro il termine perentorio di centoventi giorni dal ricevimento del piano, la Giunta regionale può sollevare riserve in merito alla conformità del PTCP al PTR ed agli altri strumenti della pianificazione regionale nonché alle eventuali determinazioni assunte in sede di accordo di pianificazione di cui al comma 3. Trascorso tale termine il PTCP si considera valutato positivamente dalla Giunta regionale. Le riserve non formulate nella presente fase non possono essere sollevate in sede di espressione dell’intesa di cui al comma 10.
8. La Provincia, in sede di approvazione del PTCP, è tenuta ad adeguarsi alle riserve ovvero ad esprimersi sulle stesse con motivazioni puntuali e circostanziate.
9. Il Consiglio provinciale decide sulle osservazioni ed approva il piano, previa acquisizione sulla proposta dell’atto deliberativo dell'intesa
a) della Regione in merito alla conformità del PTCP agli strumenti della pianificazione regionale
b) delle amministrazioni interessate nei casi di copianificazione di cui all'art. 21.
10. La Giunta regionale si esprime in merito all’intesa di cui alla lettera a) del comma 9 entro il termine perentorio di novanta giorni dalla richiesta. L’intesa può essere subordinata all'inserimento nel piano delle eventuali modifiche ritenute indispensabili a soddisfare le riserve di cui al comma 7, ove le stesse non risultino superate, ovvero delle modifiche necessarie a rendere il piano controdedotto conforme agli strumenti regionali di pianificazione territoriale ed alle determinazioni assunte in sede di accordo di pianificazione di cui al comma 3, ove stipulato. Trascorso inutilmente tale termine l’intesa si intende espressa nel senso dell’accertata conformità del PTCP alla pianificazione regionale.
11. Qualora sia intervenuto l’accordo di pianificazione, siano state accolte integralmente le eventuali riserve regionali e non siano state introdotte modifiche sostanziali al piano in accoglimento delle osservazioni presentate, il Consiglio provinciale dichiara la conformità agli strumenti della pianificazione di livello sovraordinato e approva il piano, prescindendo dall’intesa di cui alla lettera a) del comma 9.
12. Copia integrale del piano approvato è depositata per la libera consultazione presso la Provincia ed è trasmesso alle amministrazioni di cui al comma 2. L’avviso dell’avvenuta approvazione del piano è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione. Dell'approvazione è data altresì notizia con avviso su almeno un quotidiano a diffusione regionale.
13. Il piano entra in vigore dalla data di pubblicazione dell'avviso dell’approvazione sul Bollettino Ufficiale della Regione, ai sensi del comma 12.
1. Il Piano Strutturale Comunale (PSC) è lo strumento di pianificazione urbanistica generale che deve essere predisposto dal Comune, con riguardo a tutto il proprio territorio, per delineare le scelte strategiche di assetto e sviluppo e per tutelare l'integrità fisica ed ambientale e l'identità culturale dello stesso.
2. Il PSC in particolare
a) valuta la consistenza, la localizzazione e la vulnerabilità delle risorse naturali ed antropiche presenti nel territorio e ne indica le soglie di criticità
b) fissa i limiti e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni pianificabili
c) individua le infrastrutture e le attrezzature di maggiore rilevanza, per dimensione e funzione
d) classifica il territorio comunale in urbanizzato, urbanizzabile e rurale
e) individua gli ambiti del territorio comunale secondo quanto disposto dall’Allegato e definisce le caratteristiche urbanistiche e funzionali degli stessi, stabilendone gli obiettivi sociali, funzionali, ambientali e morfologici e i relativi requisiti prestazionali
f) definisce le trasformazioni che possono essere attuate attraverso intervento diretto, in conformità alla disciplina generale del RUE di cui al comma 2 dell’art. 29.
3. Nell’ambito delle previsioni di cui ai commi 1 e 2, il PSC si conforma alle prescrizioni e ai vincoli e dà attuazione agli indirizzi e alle direttive contenuti nei piani territoriali sovraordinati.
1. Il Regolamento Urbanistico ed Edilizio (RUE) contiene la disciplina generale delle tipologie e delle modalità attuative degli interventi di trasformazione nonché delle destinazioni d'uso. Il regolamento contiene altresì le norme attinenti alle attività di costruzione, di trasformazione fisica e funzionale e di conservazione delle opere edilizie, ivi comprese le norme igieniche di interesse edilizio, nonché la disciplina degli elementi architettonici e urbanistici, degli spazi verdi e degli altri elementi che caratterizzano l'ambiente urbano.
2. Il RUE, in conformità alle previsioni del PSC, disciplina
a) le trasformazioni negli ambiti consolidati e nel territorio rurale;
b) gli interventi diffusi sul patrimonio edilizio esistente sia nel centro storico sia negli ambiti da riqualificare;
c) gli interventi negli ambiti specializzati per attività produttive di cui al comma 6 dell'art. A-13 dell'Allegato.
3. Gli interventi di cui al comma 2 non sono soggetti al POC e sono attuati attraverso intervento diretto.
4. Il RUE contiene inoltre
a) la definizione dei parametri edilizi ed urbanistici e le metodologie per il loro calcolo
b) la disciplina degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione
c) le modalità di calcolo delle monetizzazioni delle dotazioni territoriali.
5. Il RUE è approvato in osservanza degli atti di coordinamento tecnico di cui all'art. 16 ed è valido a tempo indeterminato.
1. Il Piano Operativo Comunale (POC) è lo strumento urbanistico che individua e disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e trasformazione del territorio da realizzare nell'arco temporale di cinque anni. Il POC è predisposto in conformità alle previsioni del PSC e non può modificarne i contenuti.
2. Il POC contiene, per gli ambiti di riqualificazione e per i nuovi insediamenti
a) la delimitazione, l'assetto urbanistico, le destinazioni d'uso, gli indici edilizi;
b) le modalità di attuazione degli interventi di trasformazione, nonché di quelli di conservazione
c) i contenuti fisico morfologici, sociali ed economici e le modalità di intervento
d) l'indicazione delle trasformazioni da assoggettare a specifiche valutazioni di sostenibilità e fattibilità e ad interventi di mitigazione e compensazione degli effetti
e) la definizione delle dotazioni territoriali da realizzare o riqualificare e delle relative aree, nonché gli interventi di integrazione paesaggistica
f) la localizzazione delle opere e dei servizi pubblici e di interesse pubblico.
3. Nel definire le modalità di attuazione di ciascun nuovo insediamento o intervento di riqualificazione il POC applica criteri di perequazione ai sensi dell'art. 7.
4. Il POC programma la contestuale realizzazione e completamento degli interventi di trasformazione e delle connesse dotazioni territoriali e infrastrutture per la mobilità. A tale scopo il piano può assumere, anche in deroga ai limiti temporali definiti dal comma 1, il valore e gli effetti del PUA, ovvero individuare le previsioni da sottoporre a pianificazione attuativa, stabilendone indici, usi e parametri.
5. Il POC può stabilire che gli interventi di trasformazione previsti siano attuati attraverso società aventi come oggetto la trasformazione di aree urbane, di cui all'art. 6 della L.R. 3 luglio 1998, n. 19.
6. Il POC disciplina inoltre i progetti di tutela, recupero e valorizzazione del territorio rurale di cui all’art. 49 nonché la realizzazione di dotazioni ecologiche o di servizi ambientali negli ambiti agricoli periurbani ai sensi del comma 4 dell’art. A-20 dell’Allegato.
7. Il POC si coordina con il bilancio pluriennale comunale ed ha il valore e gli effetti del programma pluriennale di attuazione, di cui all’art. 13 della Legge 28 gennaio 1977, n. 10. Esso costituisce strumento di indirizzo e coordinamento per il programma triennale delle opere pubbliche e per gli altri strumenti comunali settoriali, previsti da leggi statali e regionali.
8. Il POC può inoltre assumere il valore e gli effetti
a) dei progetti di valorizzazione commerciale di aree urbane, di cui all’art. 8 della L.R. 5 luglio 1999, n. 14
b) dei piani pluriennali per la mobilità ciclistica, di cui alla L. 19 ottobre 1998, n. 366.
9. Le previsioni del POC relative alle infrastrutture per la mobilità possono essere modificate e integrate dal Piano Urbano del Traffico (PUT), approvato ai sensi del comma 4 dell’art. 22.
10. Per selezionare gli ambiti nei quali realizzare nell'arco temporale di cinque anni interventi di nuova urbanizzazione e di sostituzione o riqualificazione tra tutti quelli individuati dal PSC, il Comune può attivare un concorso pubblico, per valutare le proposte di intervento che risultano più idonee a soddisfare gli obiettivi e gli standard di qualità urbana ed ecologico ambientale definiti dal PSC. Al concorso possono prendere parte i proprietari degli immobili situati negli ambiti individuati dal PSC, nonché gli operatori interessati a partecipare alla realizzazione degli interventi. Alla conclusione delle procedure concorsuali il Comune stipula, ai sensi dell'art. 18, un accordo con gli aventi titolo alla realizzazione degli interventi.
11. Al fine di favorire l'attuazione degli interventi di trasformazione, il POC può assegnare quote di edificabilità quale equo ristoro del sacrificio imposto ai proprietari con l'apposizione del vincolo di destinazione per le dotazioni territoriali o per le infrastrutture per la mobilità. Per il medesimo scopo lo strumento urbanistico può prevedere, anche attraverso la stipula di accordi di cui all'art. 18, il recupero delle cubature afferenti alle aree da destinare a servizi, su diverse aree del territorio urbano.
12. Per le opere pubbliche e di interesse pubblico la deliberazione di approvazione del POC comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere e l'urgenza ed indifferibilità dei lavori ivi previsti. Gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità cessano se le opere non hanno inizio entro cinque anni dall'entrata in vigore del POC.
13. L'individuazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, di cui all'art. 2 del D.P.R. n. 447 del 1998, è attuata dal Comune nell'ambito della predisposizione del POC o delle sue varianti. I progetti relativi alla realizzazione, ampliamento, ristrutturazione o riconversione degli impianti produttivi possono comportare variazioni al POC, secondo le modalità e i limiti previsti dall'art. 5 del citato D.P.R. n. 447 del 1998.
14. Attraverso il POC sono individuate le aree per gli impianti di distribuzione dei carburanti, ai sensi del D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32.
1. I Piani Urbanistici Attuativi (PUA) sono gli strumenti urbanistici di dettaglio per dare attuazione agli interventi di nuova urbanizzazione e di riqualificazione, disposti dal POC qualora esso stesso non ne assuma i contenuti.
2. I PUA possono assumere, in considerazione degli interventi previsti, il valore e gli effetti dei seguenti piani o programmi
a) i piani particolareggiati e i piani di lottizzazione, di cui agli artt. 13 e 28 della Legge 17 agosto 1942, n. 1150
b) i piani per l'edilizia economica e popolare di cui alla Legge 18 aprile 1962, n. 167
c) i piani delle aree da destinare ad insediamenti produttivi di cui all'art. 27 della Legge 22 ottobre 1971, n. 865
d) i piani di recupero di cui alla Legge 5 agosto 1978, n. 457
e) i programmi integrati di intervento di cui all'art. 16 della Legge 17 febbraio 1992, n. 179
f) i programmi di recupero urbano di cui all'art. 11 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, convertito dalla Legge 4 dicembre 1993, n. 493.
3. Il Comune può stabilire il ricorso al PUA per dare attuazione ai progetti di valorizzazione commerciale di aree urbane previsti dal POC ai sensi della lettera a) del comma 8 dell’art. 30.
4. Il programma di riqualificazione urbana, di cui all'art. 4 della L.R. 3 luglio 1998, n. 19, assume il valore e produce gli effetti del PUA.
5. In sede di approvazione del PUA il Comune può attribuire all'atto deliberativo valore di concessione edilizia, per tutti o parte degli interventi previsti, a condizione che sussistano tutti i requisiti dell'opera e siano stati ottenuti i pareri, le autorizzazioni ed i nulla osta cui è subordinato il rilascio della concessione edilizia. Le eventuali varianti alle concessioni edilizie, relative a tali interventi, possono essere rilasciate, a norma delle disposizioni vigenti, senza la necessità di pronunce deliberative.
6. Al fine di disciplinare i rapporti derivanti dall'attuazione degli interventi previsti dal PUA, è stipulata una apposita convenzione.
1. Il procedimento disciplinato dal presente articolo trova applicazione per l'elaborazione e l'approvazione del PSC e delle sue varianti.
2. La Giunta comunale elabora un documento preliminare del piano. Per l’esame congiunto del documento preliminare il Sindaco convoca una conferenza di pianificazione ai sensi dell’art. 14, alla quale partecipano
a) la Provincia
b) i Comuni contermini ovvero quelli individuati dal PTCP ai sensi del comma 3 dell'art. 13
c) la Comunità montana e gli enti di gestione delle aree naturali protette territorialmente interessati.
3. Alla conclusione della conferenza di pianificazione la Provincia ed il Comune possono stipulare un accordo di pianificazione ai sensi del comma 7 dell’art. 14. L'accordo attiene in particolare ai dati conoscitivi e valutativi dei sistemi territoriali e ambientali, ai limiti e condizioni per lo sviluppo sostenibile del territorio comunale, nonché alle indicazioni in merito alle scelte strategiche di assetto dello stesso. La stipula dell’accordo di pianificazione comporta la riduzione della metà dei termini di cui ai commi 7 e 10 e la semplificazione procedurale di cui al comma 9.
4. A seguito della conclusione della fase di concertazione, il Consiglio comunale adotta il piano. Copia del piano è trasmessa alla Giunta provinciale e agli enti di cui al comma 2.
5. Il piano adottato è depositato presso la sede del Comune per sessanta giorni dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell'avviso dell'avvenuta adozione. L'avviso contiene l'indicazione della sede presso la quale il piano è depositato e dei termini entro i quali chiunque può prenderne visione. L'avviso è pubblicato altresì su almeno un quotidiano a diffusione locale e il Comune può attuare ogni altra forma di divulgazione ritenuta opportuna.
6. Entro la scadenza del termine di deposito di cui al comma 5 possono formulare osservazioni e proposte i seguenti soggetti
a) gli enti e organismi pubblici
b) le associazioni economiche e sociali e quelle costituite per la tutela di interessi diffusi
c) i singoli cittadini nei confronti dei quali le previsioni del piano adottato sono destinate a produrre effetti diretti.
7. Entro il termine perentorio di centoventi giorni dal ricevimento del piano, la Giunta provinciale può sollevare riserve in merito alla conformità del PSC al PTCP e agli altri strumenti della pianificazione provinciale e regionale, limitatamente agli ambiti delle materie di pertinenza dei piani stessi, nonché alle eventuali determinazioni assunte in sede di accordo di pianificazione di cui al comma 3. Le riserve non formulate nella presente fase non possono essere sollevate in sede di espressione dell’intesa di cui al comma 10.
8. Il Comune, in sede di approvazione del PSC, è tenuto ad adeguarsi alle riserve ovvero ad esprimersi sulle stesse con motivazioni puntuali e circostanziate.
9. Qualora sia intervenuto l'accordo di pianificazione, siano state accolte integralmente le eventuali riserve provinciali di cui al comma 7 e non siano introdotte modifiche sostanziali al piano in accoglimento delle osservazioni presentate, il Consiglio comunale decide sulle osservazioni e approva il piano, dichiarandone la conformità agli strumenti di pianificazione di livello sovraordinato.
10. Fuori dal caso di cui al comma 9, l'approvazione del PSC è subordinata all'acquisizione dell'intesa della Provincia in merito alla conformità del piano agli strumenti della pianificazione di livello sovraordinato. La Giunta provinciale esprime l’intesa entro il termine perentorio di novanta giorni dalla richiesta. Trascorso inutilmente tale termine l'intesa si intende espressa nel senso dell'accertata conformità del PSC agli strumenti di pianificazione provinciali e regionali. L’intesa può essere subordinata all'inserimento nel piano delle modifiche necessarie per soddisfare le riserve di cui al comma 7, ove le stesse non risultino superate, ovvero per rendere il piano controdedotto conforme agli strumenti della pianificazione di livello sovraordinato, nonché alle determinazioni assunte in sede di accordo di pianificazione di cui al comma 3, ove stipulato.
11. In assenza dell'intesa della Provincia per talune previsioni del PSC, il Consiglio comunale può approvare il piano per tutte le altre parti sulle quali abbia acquisito l'intesa stessa.
12. Copia integrale del piano approvato è trasmessa alla Provincia ed è depositata presso il Comune per la libera consultazione. L’avviso dell’avvenuta approvazione del piano è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione. Dell'approvazione è data altresì notizia con avviso su almeno un quotidiano a diffusione locale.
13. Il piano entra in vigore dalla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell’avviso dell’approvazione, ai sensi del comma 12.
1. Il Comune adotta il RUE e procede al suo deposito presso la propria sede per sessanta giorni, dandone avviso su almeno un quotidiano a diffusione locale. Entro la scadenza del termine di deposito chiunque può formulare osservazioni. Il Comune decide sulle osservazioni presentate ed approva il RUE. Il medesimo procedimento si applica anche per le modifiche al RUE.
2. Copia integrale del RUE approvato è trasmessa alla Provincia ed è depositata presso il Comune per la libera consultazione. L’avviso dell’avvenuta approvazione è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione. Dell'approvazione è data altresì notizia con avviso su almeno un quotidiano a diffusione locale.
3. Il RUE entra in vigore dalla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell'avviso di cui al comma 2.
4. Ogni modifica del RUE comporta l'obbligo della sua redazione in forma di testo coordinato.
1. Il procedimento disciplinato dal presente articolo trova applicazione per l'elaborazione e l'approvazione del POC e delle sue modifiche. La medesima disciplina si applica altresì al Piano comunale delle Attività Estrattive (PAE) e ai piani settoriali comunali con valenza territoriale per i quali la legge non detti una specifica disciplina in materia.
2. Nella predisposizione del POC, il Comune attua le forme di consultazione e partecipazione nonché di concertazione con le associazioni economiche e sociali previste dallo Statuto o da appositi regolamenti.
3. I pareri e gli atti di assenso comunque denominati previsti dalla legislazione vigente in ordine ai piani regolatori generali sono rilasciati dalle amministrazioni competenti in sede di formazione del POC, in coerenza con le valutazioni espresse ai sensi del comma 3 dell’art. 14.
4. Il POC è adottato dal Consiglio ed è depositato presso la sede del Comune per sessanta giorni dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell'avviso dell'avvenuta adozione. L'avviso contiene l'indicazione della sede presso la quale il piano è depositato e dei termini entro i quali chiunque può prenderne visione. L'avviso è pubblicato altresì su almeno un quotidiano a diffusione locale e il Comune può attuare ogni altra forma di divulgazione ritenuta opportuna.
5. Entro la scadenza del termine di deposito di cui al comma 4 chiunque può formulare osservazioni.
6. Contemporaneamente al deposito, il POC viene trasmesso alla Provincia la quale, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricevimento, può formulare riserve relativamente a previsioni di piano che contrastano con i contenuti del PSC o con le prescrizioni di piani sopravvenuti di livello territoriale superiore. Trascorso inutilmente tale termine si considera espressa una valutazione positiva.
7. Nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 4, il Consiglio comunale decide in merito alle osservazioni presentate, adegua il piano alle riserve formulate ovvero si esprime sulle stesse con motivazioni puntuali e circostanziate ed approva il piano.
8. Copia integrale del piano approvato è trasmessa alla Provincia ed è depositata presso il Comune per la libera consultazione. L’avviso dell’avvenuta approvazione del piano è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione. Dell'approvazione è data altresì notizia con avviso su almeno un quotidiano a diffusione locale.
9. Il piano entra in vigore dalla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell'avviso dell’approvazione, ai sensi del comma 8.
1. Per i PUA che non apportino variante al POC il Comune procede, dopo l’adozione, al loro deposito presso la propria sede per sessanta giorni, dandone avviso su almeno un quotidiano a diffusione locale. Per i PUA d’iniziativa privata non si procede ad adozione e gli stessi sono presentati per la pubblicazione nei modi definiti dal Comune.
2. Entro la scadenza del termine di deposito di cui al comma precedente chiunque può formulare osservazioni.
3. Il Comune decide in merito alle osservazioni presentate ed approva il PUA.
Continua e si espande sempre di più in Regione Lombardia, l’azione (politico-culturale) di sistematico smantellamento di ogni legge che contenga, assuma o proponga qualsiasi forma, concetto, metodo o strumento di effettiva e reale pianificazione e programmazione urbanistica e territoriale.
Dopo la vera e propria “controriforma” attuata nel 2005 con l’emanazione della nuova Legge per il governo del territorio n. 12 (ma il “legislatore”, evidentemente non ancora soddisfatto della sua opera, ne sta proponendo una terza modifica, decisamente peggiorativa) si arriva ora alla proposta di abrogazione e rifacimento completo della legge n. 86 “Piano generale delle aree protette. Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale” nata nel lontano 1983.
Si tratta di una delle più importanti e fondamentali leggi regionali che, oltre al suo corretto impianto metodologico e di piano ha consentito di produrre in tutti questi anni una vasta e significativa serie di risultati concreti in materia di formazione e di istituzione di parchi regionali e aree protette tali da rappresentare ben il 26% dell’intera superficie territoriale regionale.
Perché rifare la legge 86/1983 ?
Perché? Quali sono i motivi e le ragioni di fondo? Quali le necessità? Quale l’urgenza? Quali le insufficienze e i limiti della 86/1983 tali da richiederne una abrogazione e una riformulazione?
Sono questi i principali interrogativi ai quali la Regione dovrebbe saper rispondere prima di presentare un progetto di abrogazione e rifacimento di una delle più importanti e storiche - e positivamente praticate e attuate - leggi regionali.
Purtroppo non è così. La relazione che accompagna il disegno di legge non risponde pienamente e con la necessaria chiarezza a queste necessarie domande preliminari alle quali non risponde neppure una lettura attenta del testo del ddl.
Le ragioni richiamate dalla relazione (adeguamento a leggi nazionali e a direttive CEE) avrebbero potuto essere recepite benissimo anche attraverso una integrazione del testo vigente. (Cosa già avvenuta, a suo tempo, per quanto riguarda la legge nazionale 394/1991 “Legge quadro sulle aree protette”).
É vero che la relazione cita anche diversi lavori e studi, effettuati in anni recenti, in merito alla questione delle aree protette e della loro valorizzazione, svolti da Regione, IREF, IReR, e workout vari, dai quali avrebbero potuto emergere idee e proposte per una modifica o un rifacimento della legge vigente, ma è anche vero che da tutto questo materiale, semplicemente “citato”, la relazione non sa fare emergere nulla di preciso e di propositivo, capace di definire e motivare “esplicitamente” un pensiero ed un giudizio in merito alle eventuali modifiche, più o meno radicali, da apportare alla legge vigente ma, soprattutto, riconosciuto ufficialmente, condiviso e fatto “proprio” dalla Giunta proponente.
Tutti gli altri obiettivi richiamati dal testo della relazione non fanno che ricalcare i soliti obiettivi generici della Regione Lombardia attuale (innovazione, nuovi strumenti negoziali, sussidiarietà, sviluppo economico, semplificazione delle procedure di pianificazione, ecc., ecc,.) buoni per tutti gli usi e per tutte le leggi). Obiettivi che contengono in parte anche qualche elemento capace di creare qualche preoccupazione, come, ad esempio, dove si auspica “la transizione da un regime di tutela e conservazione” (che sarebbe quello, detto falsamente, della 86/83) “ad un regime che confermi sempre più la volontà di considerare le aree protette quali fattori essenziali di promozione e sviluppo del territorio lombardo”. Sapendo bene cosa normalmente si intende per “sviluppo”!!
Assolutamente condivisibile l’obiettivo di creare una “rete ecologica” a migliore integrazione delle aree protette, (questa è una vera, e importante, novità) anche se, come si dirà più avanti, sussistono perplessità riguardo le modalità proposte dal ddl per la loro definizione. Anche se, occorre ricordare, l’obiettivo di introdurre una rete ecologica di connessione delle aree protette, non comporta di per sé, assolutamente, la necessità di adottare una nuova legge sulle aree protette.
Che fine fa il piano generale delle aree protette avviato dalla 86/83?
La legge 86/83, è bene ricordare, aveva un duplice obiettivo : quello di costituire la prima legge generale regionale organica sulle aree protette, ma anche quello di definire un piano generale della aree protette per la Regione Lombardia. ( Finalità principale, richiamata in tutta evidenza sin dall’inizio dallo stesso titolo della legge) Questa era, infatti, la funzione del noto Allegato 1 che accompagnava la legge e che definiva, anche mediante una planimetria allegata, un vero e proprio piano strategico regionale. Allegato con valore di piano-programma che, come noto, ha costituito il quadro di riferimento costante che ha guidato, a partire dal 1983, tutta l’azione regionale di promozione e istituzione dei parchi e delle aree protette. Piano strategico di conseguenza che, in tutti gli anni della vigenza della 86/83 ha saputo operare e produrre, nonostante le numerose manipolazioni e modifiche subite negli anni dalla legge, quegli importanti e positivi risultati ed effetti dei quali la Regione spesso, a ragione, si vanta.
Ora con la abrogazione della legge ogni riferimento a questo piano, e a questa fase storica di pianificazione e di risultati conseguiti, esistenti ed operanti, scompare del tutto o si dissolve in una fitta nebbia. Mentre dal nuovo testo proposto si potrebbe intendere che si voglia iniziare una nuova stagione di pianificazione, come se in Regione Lombardia si partisse da un anno zero e come se non si fosse mai avviato un programma e un processo concreto di piano.
É del tutto evidente che la Regione non può far finta, soprattutto in materia di parchi e di aree protette, che si parta da un anno zero, sia per quanto riguarda la pianificazione delle aree che l’istituzione e l’esistenza operante dei parchi e dei loro enti gestori. (E’ questo un vizio molto diffuso in Lombardia, dove spesso, specialmente per ogni legge che si occupi di territorio, si finge sempre di partire da un anno zero, dimenticando tutto delle azioni, dei fatti, delle esperienze e dei processi che l’hanno preceduta).
Si può supporre che il legislatore,ipotizzando l’introduzione di un nuovo piano regionale (PRAP) pensi di poter dare per sottinteso, senza doverne dare alcuna motivazione, l’abbandono del piano generale della 86/83. Ma ciò non sembra né corretto né accettabile, soprattutto perché si tratta di affrontare e normare il passaggio da un regime di piano – che ha dato risultati concreti e operanti - ad un altro regime di piano sia pur differito.( Si noti che il termine e il concetto di piano viene eliminato –per furore del tutto ideologico - dallo stesso titolo della nuova legge, della quale non si riesce a capire se voglia avere, o non voglia avere, significato anche di legge di piano e non solo per la istituzione e la gestione).
Con l’abrogazione della 83/1986 ci si viene a trovare di fronte a una transizione e a un passaggio complesso di non poco conto dei quali, sia la legge proposta che anche la relazione avrebbero dovuto affrontare almeno sotto il profilo normativo o, quanto meno, fornendo una spiegazione dell’organizzazione e della complessità del passaggio. La nuova legge dovrebbe spiegare con grande chiarezza la portata pratica e operativa di questa transizione - che potrebbe, tra l’altro, anche protrarsi per lungo tempo – rispondendo alle domande di fondo : cosa succede alle aree protette già istituite? Verranno recepite dal PRAP? I piani dei parchi esistenti sono congelati sino alla approvazione del PRAP? Come li dovrà rispettare e recepire il PRAP? Con quali criteri e modalità? Si considera ancora valida la strategia delineata dal piano generale delineato dalla 86/1983? Anche se modificato dalla Legge regionale n. 4 del 14 febbraio 1994? Questa strategia deve essere rispettata o continuata dal PRAP?
È evidentemente insufficiente cavarsela semplicemente, come fa il ddl, affermando che gli enti gestori esistenti dovranno adeguarsi alla nuova legge e ai risultati del PRAP.
Si consideri inoltre che a complicare ulteriormente il quadro futuro delle aree protette il ddl, all’art. 35, prevede di poter emanare, con delibera di Giunta, un piano di riordino degli enti gestori delle aree protette esistenti, “accorpandole per singoli gruppi omogenei in altrettanti enti gestori”.
Ambiguità relativa alla natura e alla finalità della legge proposta
La concezione e la formulazione di questo testo apre e solleva non pochi dubbi circa la natura e la finalità propria della legge e sulla sua collocazione nel quadro delle funzioni regionali e della loro organizzazione delle competenze interne, in particolare per quanto riguarda funzioni e competenze della pianificazione territoriale. Mentre per la 86/83 non poteva sussistere alcun dubbio sulla sua finalità principale perché era, come appariva chiaramente dal suo titolo, “Piano generale delle aree protette.Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali nonché delle di particolare rilevanza naturale e ambientale” e costituiva pertanto una legge che rappresentava anche un vero e proprio piano, della nuova legge proposta non si può dire altrettanto. Essa infatti, già dal titolo, non accenna ad alcuna funzione di piano, ma afferma di essere una legge di “ Norme per l’istituzione e la gestione delle aree protette e la tutela della biodiversità regionale”. La pianificazione viene rimandata, differita al futuro PRAP che però viene definito (art.3) come “atto fondamentale di indirizzo per la gestione e la pianificazione tecnico-finanziaria” nonché “atto di orientamento della pianificazione e gestione degli enti gestori delle aree protette”.
Cosa significa tutto questo? Che il PRAP è solo un atto di orientamento per altri futuri piani a venire, in tempi successivi? Che non ci sarà più un vero e proprio piano generale delle aree protette con valore di piano territoriale?
É lecito allora dire che questa legge rappresenta un rifacimento o un aggiornamento della 86/83? O non si sta invece andando in ben altra direzione?
Il Piano regionale delle aree protette (PRAP) (art. 3)
I dubbi di fondo qui sopra sollevati, si ripropongono e si approfondiscono ulteriormente anche ad una lettura approfondita dell’art. 3 del ddl.
Data la natura indefinita di questo PRAP è innanzitutto difficile capire quale rapporto e relazione “territoriale” possa avere con il il Piano Territoriale Regionale (PTR). A questo proposito il comma 8 dell’art. 3 afferma che il PRAP è elaborato in coerenza con gli obiettivi individuati nel Piano Territoriale Regionale” ma afferma anche, contemporaneamente, che “il PRAP è recepito nel PTR”. Come la si mette? Il PRAP precede o segue al PTR? E se il PTR recedesse il PRAP come potrebbe recepirlo?
Forse sarebbe bene che la Regione Lombardia incominciasse a pensare alla assurdità di tenere divise e separate la pianificazione delle aree protette dalla pianificazione territoriale!
Riconfermato che dalla definizione dei contenuti del PRAP non è facile capire quale sia l’efficacia e la portata “territoriale” di questo piano (è un piano di indirizzi e obiettivi o ha anche valore di piano territoriale?) conviene segnalare anche altri due punti: perché mai il PRAP dovrebbe occuparsi di censire le risorse energetiche ? (comma 3, sub d) ? e perché mai il Piano dovrebbe essere aggiornato annualmente?
Preoccupante è poi anche l’intrusione della Giunta definita dal comma 7.
Non si perde l’occasione per dare un altro schiaffo alla pianificazione provinciale e sminuirne la portata , affermando che le Province partecipano alla formazione del PRAP mediante un semplice “rapporto” da inviare alla Giunta regionale (comma 5) e non mediante l’unico e corretto metodo pianificatorio – peraltro già contenuto nell’impianto della l.r. 12/2005 - che sarebbe quello di una partecipazione diretta e paritetica tramite un confronto a partire dai contenuti e dalle proposte contenuti nei PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) elaborato da ogni Provincia.
Il Documento strategico e il Piano territoriale di Coordinamento del Parco regionale (art. 7)
La soluzione avanzata per la pianificazione dei parchi regionali appare abbastanza chiara ma anche complicata dalla sua non necessaria articolazione in due documenti : il documento strategico e il PTC (piano territoriale in senso vero e proprio). Questa divisione – o raddoppio – appare del tutto ingiustificato sia metodologicamente, che proceduralmente. Si pensi alla faticosa e lunga procedura che si verrebbe a introdurre secondo quanto proposto dall’art.7 : il documento strategico, elaborato distintamente e anticipatamente rispetto al PTC (come si possono separare le strategie dal piano?), dovrebbe essere coerente con un altro documento strategico ovvero il PRAP, ed essere sottoposto a un parere obbligatorio da parte dell Giunta prima di poter essere adottato dall’ente gestore!
La Rete ecologica regionale (RER) (art. 27)
É assolutamente condivisibile, come già detto, l’obiettivo di creare una “rete ecologica” a migliore integrazione ecologico-territoriale delle aree protette. Questo costituirebbe un vero e sostanziale passo in avanti relativamente ai contenuti e alla metodologia della pianificazione territoriale-ambientale del quale si sente la necessità, soprattutto in una Regione configurata territorialmente come la Lombardia.
Si ritiene però che da un punto di vista della pianificazione territoriale sarebbe più corretto affidare il compito di individuare e definire questa rete al Piano Territoriale Regionale, in quanto strumento proprio e specifico per una visione completa e una organizzazione complessiva del territorio regionale, anziché affidarla, come propone l’art. 27, ad un generico (ed astratto) elaborato cartografico.
Anche la pianificazione provinciale (PTCP) partecipa, se non esplicitamente, di fatto, alla definizione di questa rete ecologica e, per tanto dovrebbe e potrebbe partecipare direttamente alla individuazione di questa rete.
I parchi locali di interesse sovracomunale ( PLIS)
Perché il ddl si dimentica di definire o ridefinire nuovamente il PLIS (divenuto nel frattempo il più importante e diffuso strumento per la pianificazione dei parchi sovracomunali ed anche la tipologia di area protetta più caldeggiata e sostenuta dalla stessa Regione) alla luce dei nuovi criteri della legge, limitandosi semplicemente a richiamarne i generici contenuti e la generica definizione all’art. 2, sub e)?
Sembrerebbe del tutto insufficiente rinviare un tema così importante e delicato alle deliberazioni della Giunta Regionale del 1992, 1999 e 2001. Deliberazioni tra l’altro emanate a legge 86/1983 vigente. Ma anche la stessa definizione del PLIS si trova nella abrogata 86/1983.
Preoccupante quanto affermato dall’art. 35 del ddl, dove si afferma che “nelle more di approvazione del PRAP, le linee guida per il riconoscimento dei PLIS sono approvate dalla Giunta regionale. Norma che apre un conflitto diretto con le Province.Va ricordato infatti che la pianificazione provinciale “può inoltre individuare gli ambiti territoriali in cui risulti opportuna l’istituzione di parchi locali di interesse sovracomunale” ( l.r. 12/2005 , art. 15, comma 6).
La trasformazione degli Enti gestori (art. 36)
Il tema al quale la proposta dà più importanza e che viene presentato come quello più innovativo è quello della trasformazione obbligatoria degli attuali enti di gestione nella nuova forma di “enti di diritto pubblico”.Sembra che la Giunta veda nella attuale forma di gestione dei parchi (consortile) la principale causa delle difficoltà, delle disfunzioni e degli scarsi risultati sin qui raggiunti.
Questa proposta, certamente di non facile e rapida realizzazione ma che, molto probabilmente potrebbe essere anche opportuna, andrebbe però spiegata e giustificata in modo ben più ampio di quanto non faccia la relazione.
La nuova figura del Direttore
Il ddl propone la creazione di una nuova figura di Direttore del Parco (figura non ignota e ampiamente già praticata dai Parchi esistenti) con la dichiarata intenzione (si veda la relazione) di ammodernare e rendere più funzionale, con la creazione di una figura che dovrebbe essere anche “manageriale” e non solo tecnica, il funzionamento degli enti gestori dei Parchi. Tant’è vero che a questa nuova figura viene anche attribuita la possibilità di svolgere direttamente le funzioni del consiglio di amministrazione, sostituendosi ad esso.(Opzione che non piacerà, molto probabilmente, ai politici)
L’idea potrebbe essere anche buona se si potessero dare risposte sensate e accettabili a tutti i seguenti interrogativi.
Dato che il mercato non offre facilmente figure professionali ( se non nel caso di rare figure di lunga e provata esperienza) capaci di svolgere questo compito tecnico-amministrativo, sarà possibile selezionarli attraverso un concorso ed una selezione regionale e il loro inserimento in un apposito albo regionale? (Finiranno tutti, come è facile prevedere, per appartenere a Comunione e Liberazione??).
Cosa significa che “saranno designati” dalla Giunta al momento della formazione degli enti gestori e che la Giunta ne definisce “ i requisiti per l’iscrizione”? Cosa potranno decidere autonomamente gli enti gestori? E’ questa la sussidiarietà?
Che fine fa il Parco Agricolo Sud Milano?
É questo forse il maggior aspetto misterioso dell’orientamento del disegno della Giunta al quale, né la relazione né il ddl, consentono di rispondere.
Una sola cosa è chiara: il Parco Agricolo sud Milano dovrà ridefinirsi come ente gestore, al pari di altri Parchi regionali, secondo le disposizioni di cui alla Sezione I del Capo I del Titolo II della legge(art. 36). Per tutto il resto mistero.
Si rifletta anche sul fatto che dalla “tipologia” dei parchi regionali (art.2) è anche scomparsa la tipologia del Parco agricolo. Non è questo un problema insuperabile: il Parco potrebbe essere ricollocato accettabilmente tra i “parchi regionali” ( in modo invece non accettabile tra i parchi locali di interesse sovracomunale) purché se ne rispettino la complessità e la specificità metropolitana e la caratteristica irrinunciabile di parco agricolo.
Ma allora, altro mistero, perché la legge non abroga la l.r. 24 del 1990? Lo farà a suo tempo? E nel frattempo cosa accade?
Conclusioni
Dalle numerose lacune e incongruenze rilevate e denunciate, dagli innumerevoli interrogativi cui la legge non sa rispondere, appare del tutto evidente che ci si trova di fronte ad un progetto di legge da respingere risolutamente e non emendabile.
Anche il processo di pianificazione delineato – ammesso che si parli realmente di pianificazione e non di altro – appare molto più complicato e molto più faticoso di quello sperimentato sino ad oggi.
Tutto il teso è finalizzato, più che ad affrontare e migliorare i temi della individuazione, della protezione e della pianificazione delle aree protette, a individuare e definire spazi, momenti e procedure nei quali la Regione, tramite la sua Giunta, possa intervenire direttamente, e anche pesantemente, in momenti chiave nella gestione dei parchi e delle aree protette. Traspare quasi ad ogni articolo un’ansia, una volontà di “mettere le mani” sui parchi e sulle aree protette. Una sospetta e preoccupante azione di “invadenza” e di ritaglio di spazi di intervento riservati alla Giunta non necessaria e non richiesta, che contraddice ogni corretto rapporto tra Regione ed autonomie locali e rende ridicola ogni retorica dichiarazione di rispetto del principio della sussidiarietà.
P.S. Dal livello e dal clima politico-culturale che emerge e si evidenzia dalla analisi di questo progetto di legge nato dalla Giunta della Regione Lombardia, è facile anche capire da quale “mefitica palude” sia emerso il “mostro” del famoso art. 13 bis “ Disposizioni di raccordo tra PGT e PTC di parchi regionali” – soprannominato subito legge ammazza parchi - presentato per integrare la legge 12/2005.
Milano, 13 gennaio 2008
Nei giorni scorsi ho partecipato a un convegno di Italia nostra a Pescara sulla proposta di legge urbanistica dell’Abruzzo. Un disegno di legge inverosimile per sciatteria e pressappochismo non disgiunti da velleitari aneliti alla modernità. “La sistematica espositiva generale (e delle singole parti) raggiunge presumibilmente i massimi livelli sinora visti, nelle leggi e nelle proposte di legge statali e regionali degli ultimi lustri, nei quali peraltro pare essersi scatenata quasi una gara al fare peggio, di disordine inutilmente complicato (non di complessità, che può essere una necessità, e financo un pregio)”: comincia così uno degli ultimi scritti di Gigi Scano, Noterelle sul disegno di legge urbanistica della Regione Abruzzo. Per cominciare, la proposta abruzzese elenca gli enti parco fra i soggetti che concorrono “alla formazione delle scelte di pianificazione territoriale e urbanistica” (art. 3, c. 2): enti parco, i cui piani, ricorda Gigi, “sostituiscono” – come prescrive la legge 394/1991 – ogni altro strumento di pianificazione. E allora, come fanno i piani dei parchi a concorrere alle scelte di altri piani che non esistono più in quanto sostituiti proprio dai piani dei parchi?
Nelle Noterelle, Gigi rinviene “miriadi” di figure pianificatorie scompaginate e stravaganti. Ci sono i piani di contenuto generale, i piani di settore, i piani attuativi e i programmi integrati di intervento; il quadro regionale di riferimento, il piano paesaggistico regionale, i piani e i programmi di settore; il documento preliminare, il piano territoriale di coordinamento, il piano dell’armatura territoriale. Compare anche il regolamento urbanistico ed edilizio, mai ben definito. Non mancano la pianificazione strategica né la pianificazione urbanistica consensuale e il confronto concorrenziale. Un ruolo assolutamente preminente il disegno di legge lo affida alla carta dei luoghi e dei paesaggi, suggestiva definizione per un atto anch’esso d’incerta identità, basti dire che è approvato dalla giunta regionale (art. 7, c. 8) ma non è neppure elencato fra gli strumenti attraverso i quali “la Regione svolge attività di programmazione e di pianificazione” (art. 4, c. 2), spetta invece alla Regione un’inedita “definizione” della carta (art. 4, c. 3).
Eppure, alla carta dei luoghi e dei paesaggi sembra che sia affidata una funzione basilare nella costruzione delle scelte di piano. È un meccanismo perverso affidato, in primo luogo, all’articolazione del territorio regionale in sistemi: naturali, seminaturali, agricoli, insediativi (urbani, periurbani, eccetera) (art. 6, c. 4); poi la carta classifica i suoli regionali in: urbanizzati, urbani programmati, riservati all’armatura urbana, non urbanizzati (art. 7, c. 1). Attraverso “specifiche analisi ricognitive” ai suoli prima classificati vengono quindi individuati diversi “areali” distinti per caratteri qualitativi (di valore, di rischio, di vincolo, di conflittualità, di abbandono e di degrado, di frattura, di continuità ecologica) (art. 7, c. 2). Per quanto posso capire, sulla mappa derivante dalle categorie e dai parametri valutativi elencati sopra si sovrappongono infine i due fondamentali regimi d’intervento della “conservazione” e della “trasformazione” (art. 9, c. 1), “in relazione alla loro compatibilità con i luoghi ed i paesaggi” (art. 9, c. 3).
Mi fermo qui nell’esplorazione di un testo “la cui logica – riprendo Gigi Scano – è di ardua, se non impossibile percepibilità”. Ma siamo troppo esperti per non capire che dietro a tanta confusione si annidano terribili tranelli che apparentano il disegno di legge abruzzese alle peggiori esperienze della Lombardia, e non solo. Con l’aggravante che almeno nell’urbanistica di destra, gli obiettivi di cementificazione a oltranza sono espliciti, senza sotterfugi. Qui invece comandano l’ipocrisia e la dissimulazione, a cominciare dal “contenimento del consumo del suolo” enunciato per primo fra i principi fondamentali sella legge (art. 1, c.1), ma senza alcun impegno concreto che lo renda credibile. Manca qualsivoglia norma di tutela effettiva dello spazio agricolo, di controllo dell’edilizia rurale abitativa e degli annessi. Si propone l’estensione universale della perequazione, “prevedendo il trasferimento tra i diversi distretti dei diritti immobiliari derivanti dai regimi urbanistici” (art.19, c. 4), dispositivo che non può non tradursi in una dissennata estensione del suolo edificabile. All’identico risultato mirano, evidentemente, i regimi generali d’intervento che ammettono la “trasformazione dei caratteri naturalistici, ambientali-paesaggistici […] al fine di adeguare gli stessi alle finalità della presente legge, anche per la previsione di insediamenti di nuovo impianto” (art. 9, c. 1, citato).
C’è dell’altro. Articolo 7, comma 7: “La Regione può proporre in sede di conferenza di pianificazione l’integrazione e/o la derubricazione [corsivo mio] di vincoli in applicazione di leggi nazionali e/o regionali”. È una norma di evidente, inaudita gravità, sicuramente illegittima, ma comunque rivelatrice che la cultura del legislatore abruzzese non è diversa da quella degli energumeni del cemento armato, per dirla con Antonio Cederna. Infine, ecco l’accordo di programma in variante agli strumenti urbanistici (art. 35, cc. 10, 11,12). Com’è noto, l’accordo di programma così inteso ha determinato, con il ricorso a nuovi istituti d’intervento (programmi di riqualificazione e di recupero, prusst, eccetera) e grazie anche a cospicui finanziamenti pubblici, la rovina dell’urbanistica italiana e il discredito della pianificazione urbanistica. Al centro sinistra della Regione Abruzzo va bene così?
Il convegno di Italia nostra di Pescara si è concluso con un giudizio seccamente negativo, riconoscendo che il disegno di legge urbanistica abruzzese non è emendabile. Mi auguro che l’assessore regionale all’urbanistica Franco Caramanico, appartenente alla sinistra democratica, che lo ha firmato, sappia fare marcia indietro.
TITOLO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1 - Finalità della legge
Art. 2 - Soggetti e livelli di pianificazione
Art. 3 - Strumenti di pianificazione
TITOLO II - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE REGIONALE
CAPO I - PIANO TERRITORIALE REGIONALE GENERALE (PTRG)
Art. 4 - Finalità
Art. 5 - Contenuti
Art. 6 - Elementi
Art. 7 - Formazione, adozione ed approvazione
Art. 8 - Durata e varianti
CAPO II - PIANI REGIONALI DI SETTORE
Art. 9 - Funzioni
Art. 10 - Contenuto
Art. 11 - Formazione ed approvazione
CAPO III - PIANI TERRITORIALI REGIONALI PARTICOLAREGGIATI(PTRP)
Art. 12 - Funzioni
Art. 13 - Programmazione
Art. 14 - Contenuti
Art. 15 - Elementi
Art. 16 - Formazione, adozione ed approvazione
Art. 17 - Durata e varianti
CAPO IV - DISPOSIZIONI SPECIALI PER LE PARTI DEL TERRITORIO REGIONALE DI PARTICOLARE PREGIO PAESISTICO ED AMBIENTALE O DESTINATE A PARCHI O RISERVE NATURALI
Art. 18 - PTRP con contenuti paesistici ed ambientali
Art. 19 - Piani di conservazione e sviluppo dei parchi e delle riserve naturali - Rinvio a legge speciale
CAPO V - EFFICACIA DELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE REGIONALE
Art. 20 - Efficacia del PTRG
Art. 21 - Efficacia del PTRP
Art. 22 - Norme transitorie di salvaguardia delle aree destinate a parco o riserva naturale e delle zone di particolare pregio paesistico ed ambientale
TITOLO III - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE PROVINCIALE
CAPO I - PIANI TERRITORIALI PROVINCIALI DI COORDINAMENTO (PTPC)
Art. 23 - Finalità
Art. 24 - Contenuti
Art. 25 - Elementi
Art. 26 - Formazione, adozione ed approvazione
Art. 27 - Durata e varianti
Art. 28 - Efficacia
TITOLO IV - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE COMUNALE
CAPO I - PIANO REGOLATORE GENERALE COMUNALE (PRGC)
Art. 29 - Finalità
Art. 30 - Contenuti ed elementi
Art. 31 - Direttive per la formazione
Art. 32 - Adozione ed approvazione
Art. 32 bis - Adozione ed approvazione di varianti
Art. 33 - Validità temporale e varianti
Art. 34 - Piani comunali di settore
Art. 35 - Salvaguardia
Art. 36 - Decadenza dei vincoli
Art. 37 - Norme transitorie in pendenza della decadenza dei vincoli
Art. 38 - Decadenza dei vincoli urbanistici e competenze urbanistiche comunali
Art. 39 - Decadenza dei vincoli procedurali di inedificabilità e competenze urbanistiche
Art. 40 - Sostituzione dei programmi di fabbricazione
Art. 41 - Deroghe
Art. 41 bis - Disposizioni particolari per la disciplina delle attività estrattive
CAPO II - PIANI REGOLATORI PARTICOLAREGGIATI COMUNALI (PRPC)
SEZIONE I - Disposizioni generali
Art. 42 - Finalità
Art. 43 - Contenuti
Art. 44 - Elementi
Art. 45 - Adozione, pubblicazione ed approvazione
Art. 46 - Durata e varianti
Art. 47 - Salvaguardia
Art. 47 bis - Strumenti attuativi dei programmi di fabbricazione
SEZIONE II - Disposizioni particolari
Art. 48 - Disposizioni particolari per i PRPC di iniziativa pubblica
Art. 49 - Disposizioni particolari per i PRPC di iniziativa privata
Art. 50 - Disposizioni particolari per i piani per l’edilizia economica e popolare, per i piani per insediamenti produttivi e per i piani di recupero
Art. 51 - Disposizione per gli strumenti di pianificazione infraregionali
Art. 52 - Accordi di programma per l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento di interesse pubblico
CAPO III - REGOLAMENTO EDILIZIO
Art. 53 - Funzioni
Art. 54 - Contenuti
Art. 55 - Regolamento edilizio tipo
Art. 56 - Formazione ed approvazione
TITOLO V - VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE
CAPO I - DISPOSIZIONI PROCEDURALI
Art. 57 - Finalità
Art. 58 - Strumenti di pianificazione soggetti a VIA
Art. 59 - Procedure
Art. 60 - Contenuti dello studio di impatto ambientale
TITOLO VI - DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ URBANISTICA ED EDILIZIA
CAPO I - INTERVENTI AVENTI RILEVANZA URBANISTICA
Art. 61 - Definizione
Art. 62 - Interventi di nuova realizzazione
Art. 63 - Interventi di ampliamento
Art. 64 - Interventi di ristrutturazione urbanistica
Art. 65 - Interventi di ristrutturazione edilizia
Art. 66 - Interventi di rilevanza urbanistico – ambientale
CAPO II - INTERVENTI AVENTI RILEVANZA EDILIZIA
Art. 67 - Definizione
Art. 68 - Interventi di manutenzione edilizia
Art. 69 - Interventi di restauro
Art. 70 - Interventi di conservazione tipologica
Art. 71 - Interventi di risanamento conservativo
Art. 72 - Nuovi interventi non aventi rilevanza urbanistica
CAPO III - DISCIPLINA DELLE DESTINAZIONI D'USO
Art. 73 - Definizioni delle destinazioni d’uso
Art. 74 - Determinazione della destinazione d’uso degli immobili
Art. 75 - Mutamento di destinazione d’uso degli immobili
CAPO IV - REGIME AUTORIZZATIVO
Art. 76 - Norme generali
Art. 77 - Concessione edilizia
Art. 78 - Autorizzazione edilizia
Art. 78 bis - Opere comunali
Art. 78 ter - Strutture ricettive all'aria aperta
Art. 79 - Rilascio della concessione e dell’autorizzazione
Art. 80 - Presentazione della denuncia
Art. 81 - Autorizzazione edilizia in precario
Art. 82 - Modalità per il rilascio e per il diniego della concessione edilizia
Art. 83 - Pubblicità della concessione edilizia
Art. 84 - Silenzio-assenso
Art. 85 - Validità della concessione e dell'autorizzazione edilizia
Art. 86 - Certificato di abitabilità ed agibilità
Art. 87 - Certificato di destinazione urbanistica
Art. 88 - Area di pertinenza urbanistica
Art. 89 - Conformità urbanistica degli interventi da eseguirsi dalle amministrazioni statali, da enti istituzionalmente competenti, dall'Amministrazione regionale e da quelle provinciali, nonché dai loro formali concessionari
CAPO V - ONEROSITÀ DELLA CONCESSIONE EDILIZIA
Art. 90 - Norme generali
Art. 91 - Opere di urbanizzazione primaria e secondaria
Art. 92 - Determinazione del contributo commisurato alle spese di urbanizzazione
Art. 93 - Determinazione del contributo commisurato al costo di costruzione
Art. 94 - Concessione gratuita
Art. 95 - Concessione convenzionata
Art. 96 - Convenzione – tipo
TITOLO VII - DISCIPLINA DELLE SANZIONI URBANISTICHE
Art. 97 - Ritardato od omesso pagamento del contributo afferente alla concessione
Art. 98 - Vigilanza sull’attività urbanistico – edilizia
Art. 99 - Opere di Amministrazioni statali e degli altri enti soggette all’accertamento di compatibilità urbanistica
Art. 100 - Responsabilità del titolare della concessione, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori
Art. 101 - Interventi eseguiti in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali
Art. 102 - Determinazione delle variazioni essenziali
Art. 103 - Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di concessione o in totale difformità
Art. 104 - Interventi eseguiti senza autorizzazione
Art. 105 - Interventi eseguiti senza denuncia o invio al Comune delle planimetrie catastali
Art. 106 - Annullamento della concessione
Art. 107 - Interventi eseguiti in parziale difformità della concessione
Art. 108 - Accertamento di conformità
Art. 109 - Interventi eseguiti su suoli di proprietà dello Stato e di enti pubblici
Art. 110 - Varianti in corso d'opera
Art. 111 - Riscossione
Art. 112 - Controlli periodici mediante rilevamenti aerofotogrammetrici
Art. 113 - Demolizione di opere
Art. 114 - Valore venale dell’immobile
Art. 115 - Intervento regionale nella repressione degli abusi edilizi
Art. 116 - Disposizioni applicative
TITOLO VIII - SISTEMA INFORMATIVO TERRITORIALE (SITER)
Art. 117 - Supporti informativi e cartografici
Art. 118 - Sistema informativo
Art. 119 - Relazione sullo stato di attuazione del PTRG
TITOLO IX - DISPOSIZIONI COMPLEMENTARI E TRANSITORIE
Art. 120 - Procedimento sostitutivo
Art. 121 - Norme regolamentari di esecuzione
Art. 122 - Ispezioni e rilevamenti
Art. 123 – Incarichi
Art. 123 bis - Incarichi professionali
Art. 124 - Revisione degli indirizzi e criteri metodologici del Piano urbanistico regionale generale
Art. 125 - Facoltà di adeguamento degli strumenti urbanistici generali
Art. 126 - Competenze della Direzione regionale della pianificazione territoriale
Art. 127 - Accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere e di impianti pubblici
Art. 128 - Piani regolatori generali intercomunali
Art. 129 - Piani di lottizzazione in corso di esecuzione
Art. 130 - Norme transitorie di salvaguardia per i Comuni non adeguati al Piano urbanistico regionale generale
Art. 130 bis - Piani di riordino fondiario
TITOLO X - DISPOSIZIONI IN MATERIA DI PROTEZIONE DELLE BELLEZZE NATURALI
Art. 130 ter - Finalità
Art. 130 quater - Individuazione degli organi competenti in materia paesaggistica
Art. 130 quinquies - Funzioni paesaggistiche della sezione prima del Comitato tecnico regionale
Art. 130 sexies - Elenchi dei beni e delle località soggetti a tutela
Art. 131 - Competenze regionali e comunali
Art. 132 - Opere da eseguirsi da parte di amministrazioni ed enti pubblici
Art. 132 bis - Attività colturali comportanti riduzione di superficie boscata
Art. 133 - Integrazione delle Commissioni edilizie comunali
Art. 134 - Ricognizione ed aggiornamento dei vincoli esistenti
Art. 135 - Disposizioni transitorie concernenti gli strumenti urbanistici riguardanti beni e località sottoposti a vincolo paesaggistico
Art. 136 - Decorrenza dell’efficacia dei commi 7, 8 e 9 dell’articolo 131
Art. 137 - Interventi negli ambiti di tutela ambientale e nei parchi naturali
Art. 138 - Annullamento delle autorizzazioni
Art. 138 bis - Applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 164, comma 1, del decreto legislativo 490/1999
Art. 139 - Disposizioni transitorie di salvaguardia e di esclusione dal vincolo dei beni e località sottoposti a vincolo paesaggistico
Art. 140 - Rinvio legislativo
TITOLO XI - DISPOSIZIONI FINALI
Art. 141 - Abrogazione di norme
Art. 142 - Entrata in vigore
Il giudizio sulla proposta di legge Ronchi sul governo del territorio è ampiamente positivo. L’impostazione della relazione è molto chiara e convincente: i nodi della crisi del governo del territorio sono affrontati con rigore e efficacia. Lo stesso impianto della legge è molto positivo, poiché è snello e comprensibile. E’ insomma un ottimo testo di legge che renderà più facile l’eventuale percorso all’interno della commissione parlamentare.
Le considerazioni che seguono sono pertanto redatte nell’intento di contribuire alla precisazione di alcune formulazioni che non sembrano pienamente convincenti, sono dunque osservazioni di merito specifico nel quadro di una generale condivisione del testo. Le considerazioni riguardano:
a) la questione dell’efficacia e gli effetti degli strumenti di pianificazione sul regime conformativo degli immobili (articolo 9, comma 1, lettera a);
b) la questione della durata delle previsioni urbanistiche (artt. 9 e 17);
c) la questione dei diritti edificatori e delle dotazioni territoriali (artt. 15 e 10);
d) alcune questioni relative agli strumenti di piano (artt. 9 e 15).
Aggiungerei infine due ulteriori questioni relative alla concorrenzialità, trattata nell’articolo 14 e alla mancanza di riferimenti alla necessità dell’abrogazione delle deroghe legate al modello ”programma complesso-accordo di programma” oggi vincente. Ma in questi due casi mi fermerei a brevi accenni, visto che sono temi che andrebbero discussi in forma di contraddittorio con gli stessi estensori della legge.
a) Questione dell’efficacia e gli effetti degli strumenti di pianificazione sul regime conformativo degli immobili
Nell’articolo 9 dedicato agli strumenti di pianificazione, il primo comma dell’articolo 1 afferma che “la legge regionale disciplina il contenuto, la durata temporale, le modalità di attuazione, l’efficacia e gli effetti degli strumenti di pianificazione sul regime conformativo degli immobili”. Credo che questa formulazione non sia corretta perché la definizione della durata dei regimi conformativi deve essere mantenuta in capo all’amministrazione centrale.
b) Questione della durata delle previsioni urbanistiche
Sempre nell’articolo 9 si afferma che gli interventi di trasformazione definiti dal piano operativo hanno durata non superiore a cinque anni “decorsi i quali ne decade la validità” (comma 5). Senza entrare nel merito se questa formulazione sia soddisfacente dal punto di vista della gestione del piano o se non sia portatrice di problemi ulteriori, c’è però da rilevare che al comma 7 dell’articolo 17 (articolo dedicato alla materia espropriativa) si afferma che “il vincolo preordinato all’esproprio, come il diritto edificatorio, può essere motivatamente reiterato”. Vedremo nel punto successivo la critica al concetto di “diritto edificatorio”, per ora va sottolineata che la legge contiene una formulazione incerta. E’ preferibile quanto invece, e contraddittoriamente, recita il comma 7 dello stesso articolo 9, e cioè “le previsioni urbanistiche inattuale……decadono di diritto al momento dell’adozione delle nuove previsioni”.
c) Questione del diritto edificatorio e delle dotazioni territoriali
Una formulazione da rivedere riguarda il concetto di “ diritto edificatorio” che compare nella rubrica dell’articolo 15 e nei commi che compongono quello ed altri articoli. E’ un tema troppo noto ai lettori di eddyburg per motivare la critica. Basterebbe sostituire la formulazione con “ previsioni urbanistiche”, o “edificatorie”.
Altra perplessità riguarda il punto g) del comma 2 dell’articolo 10 ( livelli minimi delle dotazioni territoriali) dove si afferma che rientra tra le dotazioni territoriali essenziali anche il “ sostegno alla iniziativa economica, in coerenza con l’utilità sociale e la sicurezza del territorio e dei lavoratori”
Ha senso inserire le attività economiche, già protette da leggi, comportamenti e meccanismi reali, tra quegli “standard urbanistici” nati per soddisfare esigenze sociali che iul sistema economico di per sé non è in grado di garantire? all’interno di un articolo redatto molto bene: credo che sarebbe meglio cancellarlo.
d) Alcune questioni relative alle strumenti di piano
Negli articoli che definiscono la strumentazione urbanistica ci sono tre problemi:
- il primo è relativo all’estensione a tutte le regioni del modello “tripartito” (livello strutturale, livello operativo e regolamento urbanistico-edilizio). Sarebbe opportuno di specificare soltanto la necessità della divisione ai fini conformativi e lasciare a ciascuna regione il modello preferito, rispettando tradizioni e storie ormai ventennali;
- il secondo è relativo ad una infelice formulazione contenuta nel terzo punto del comma 1 dell’articolo 9 in cui si afferma che le leggi regionali disciplinano “ i casi in cui gli strumenti di pianificazione sono sottoposti a verifica di coerenza con gli strumenti di programmazione economica, con la pianificazione di settore e con ogni altra disposizione o piano”. E’ invece opportuno che la verifica di coerenza sia mantenuta in ogni caso;
- il terzo è relativo alla comparsa all’interno del comma 2 e definito nel comma 5 dell’articolo 15 (Perequazione urbanistica e disciplina dei diritti edificatori) della dizione “piano del governo del territorio”. Non è ben chiaro il rapporto con il modello di pianificazione definito nell’articolo 9.
Ultime due questioni. Il concetto di concorrenzialità urbanistica cui si dedica l’articolo 14 non convince per la questione dell’esclusività della proprietà dei suoli. C’è certamente da discutere su eventuali modalità procedurali che permettano di migliorare la qualità dei progetti di trasformazione, ma credo che sia indispensabile legarla al ruolo degli uffici pubblici di pianificazione, lasciando ai privati esclusivamente la parte conclusiva del percorso progettuale.
Questa e la mancanza di riferimenti alla chiusura della stagione della deroga sono però questioni complesse che sarebbe opportuno discutere con gli estensori della legge.
La proposta commentata nell'articolo è inserita qui, con le altre proposte presentate al Parlamento.
Con l’approvazione della legge provinciale 2 luglio 2007, n. 3, pubblicata sul bollettino ufficiale il 17 luglio scorso, è stata profondamente innovata la normativa urbanistica della provincia di Bolzano. Anche se, formalmente, si tratta di una legge che modifica e non sostituisce la legge previgente, la sua corposità (ben 134 nuovi articoli) e la portata dei suoi contenuti fanno pensare all’apertura di una nuova stagione urbanistica.
Fra i tanti aspetti toccati dalla nuova legge, due sembrano di particolare rilevanza. Il primo riguarda la politica per la casa, mentre il secondo attiene all’introduzione, per la prima volta in Sudtirolo, di una forma di contrattualità nel rapporto fra pubblico e privato.
Da sempre, uno dei pilastri della politica per la casa in Sudtirolo è costituito dall’obbligo di destinare il 60% della cubatura nelle zone residenziali private alla costruzione di alloggi “non aventi le caratteristiche di lusso”; almeno la metà di questi non deve avere una superficie utile inferiore a 65 mq (art. 27). L’effettiva realizzazione di tale obbligo è garantito dal convenzionamento in sede di concessione edilizia (così continua a chiamarsi in Sudtirolo il “permesso a costruire”) e dall’obbligo di trascrizione del vincolo sul libro fondiario (art. 79). Le abitazioni convenzionate servono dichiaratamente a coprire il fabbisogno abitativo della popolazione residente; possono essere vendute o affittate esclusivamente in regime di prima casa e devono essere messe a disposizione dell’istituto per l’edilizia sociale se non occupate per un periodo superiore ai sei mesi.
La novità introdotta dalla nuova legge riguarda l’estensione temporale di tale vincolo, da vent’anni prima a tempo indeterminato ora; l’obbligo dell’affitto a canone calmierato rimane, invece, limitato comunque a vent’anni. È una novità non di poco conto che, infatti, ha incontrato una strenua opposizione da parte degli operatori immobiliari. La parola d’ordine della politica è però il rischio di “Ausverkauf der Heimat”, vale a dire di “svendita della patria” – e di fronte a un argomento di tale emotività nessuno si può tirare indietro.
Certo, già dieci anni fa, in tempo di stesura della legge urbanistica previgente, questo argomento tenne banco. La sua efficacia è stata però piuttosto ridotta se si considera la dinamica della produzione edilizia degli ultimi anni. Secondo i dati Istat, dal 2000 in poi, la crescita della produzione edilizia residenziale è stata nettamente superiore in Sudtirolo rispetto alla media italiana. Nella provincia di Bolzano, infatti, fra il 2000 e il 2005 il numero di alloggi costruiti all’anno è quasi raddoppiato, mentre nel resto d’Italia è cresciuto del 50%. L’enorme produzione di nuovi alloggi che, negli ultimi anni, ha superato quota 4.000 unità all’anno, risulta circa il doppio rispetto alle nuove famiglie. È dunque probabile che almeno la metà degli alloggi prodotti siano stati destinati al mercato delle seconde case.
In questo quadro, l’enfasi posta sull’originalità dello strumento di convenzionamento è forse un po’ esagerata. Per quanto utile nella costituzione di uno stock di case in affitto, esso, da solo, certamente non basta per frenare un’attività edilizia, oggi non più compatibile con l’identità preziosa del territorio sudtirolese. Soprattutto se si considera l’assenza quasi totale di limitazioni agli interventi sul patrimonio edilizio esistente è facile prevedere lo spostamento degli interessi immobiliari dalle zone di espansione a quelle della trasformazione. Qui, infatti, la legge non prevede l’obbligo al convenzionamento per l’edilizia residenziale, ammette cospicue possibilità per aumentare la densità edilizia, e dispone di una griglia di tutela dei beni culturali molto larga, facente capo, peraltro, al presidente della Giunta provinciale.
Se in tema di politiche per la casa il Sudtirolo continua comunque a tenere una delle posizioni più avanzate e originali nel panorama italiano, per quanto riguarda l’introduzione di forme contrattualistiche nelle procedure urbanistiche non si può dire altrettanto. Ciò che dall’assessore provinciale all’urbanistica viene salutato come vero cuore, come omaggio alla modernità, della nuova legge, sembra invece essere un retaggio di altri luoghi e altre stagioni.
La possibilità di contrattazione urbanistica viene introdotta dall’articolo 40bis della nuova legge. Questo prevede (comma 1), che “nel pubblico interesse” può essere stipulata una convenzione tra comune e operatori privati che deve riguardare “l’attuazione di interventi previsti nel piano urbanistico comunale oppure in un piano attuativo oppure in un altro documento di contenuto programmatico”.
Le convenzioni possono riguardare interventi volti a coprire il fabbisogno abitativo primario, il reperimento di aree per insediamenti produttivi oppure la realizzazione e la gestione di opere e impianti pubblici (comma 2).
Le risorse messe in campo da parte del privato possono essere immobili, opere di compensazione, assunzione di costi di gestione oppure semplicemente indennizzi in denaro; il pubblico, invece, può rinunciare agli oneri di concessione ma è soprattutto chiamato a mettere in campo risorse normative: “creazione di diritti edificatori tramite modifica del piano urbanistico comunale” (comma 3).
Ma il comma 1 non afferma che le convenzioni devono essere stipulate in attuazione del piano urbanistico? Venuto a mancare questo principio, a nulla vale allora che “la controprestazione deve essere congrua”, valutata dall’ufficio estimo provinciale oppure da un professionista abilitato (comma 6). Altrettanto sembra essere debole l’obbligo di contrassegnare le aree soggette a convenzione urbanistica sul piano regolatore e di seguire, per la loro approvazione, le procedure delle varianti dei piani generali o attuativi (comma 7): è evidente che in una posizione di debolezza, il consiglio comunale non potrà fare molto di più che registrare le scelte fatte altrove.
Insomma, in urbanistica tutte le forme di collaborazione tra il comune e gli operatori privati possono essere lecite fintantoché siano volte all’attuazione del piano regolatore. La procedura introdotta dall’articolo 40bis prefigura invece lo scardinamento della disciplina urbanistica. Essa prelude al “rito ambrosiano”! altro che novità! altro che modernità! Ma non finisce qui. La possibilità di stipulare tali convenzioni, riservata anche alla Giunta provinciale per gli interventi di sua competenza (comma 8), rafforza i dubbi sulla trasparenza e democraticità della norma. Guarda caso, fra gli interventi di competenza della Giunta figurano i centri commerciali e gli impianti di produzione energetica, ambedue di enorme potenziale conflittuale tra provincia, comuni e cittadini.
Potrà dispiacere, ma nel dibattito sulla nuova legge la posizione più lucida è quella del partito Union für Südtirol che sostiene che le nuove norme favoriscono insieme la dispersione urbana e la speculazione edilizia – cioè proprio la “svendita della patria”.
Il “progetto di città” come si è definito a partire dagli anni ’60 nella sua concezione più innovativa, ossia con l’obiettivo di integrare efficienza e funzionalità complessiva; equità sociale; compatibilità morfologica e ambientale, è praticato con difficoltà crescente.
Malgrado sia stato al centro della ricerca e della formazione universitaria, del dibattito disciplinare, dell’attività professionale più qualificata, degli orientamenti espressi dalla comunità europea[1], si è sempre scontrato con una pratica fondata su interventi puntuali sganciati da strategie di insieme e fortemente influenzati da interessi fondiari. Oggi in questo contrasto ogni progetto d’insieme guidato da obietttivi pubblici sembra perdente ed emarginato.
E’ vero che le ricerche o le riviste disciplinari dove verificare bilanci della situazione sono diventate assai rare, ma l’immagine che ci viene trasmessa è comunque una conferma della crisi.
Può essere interessante allora andare a vedere come il “progetto di città” e in generale il sistema degli insediamenti siano trattati nelle recenti leggi sul “governo del territorio” di due regioni governate dalla sinistra (Emilia Romagna e Toscana), ossia nelle regioni considerate all’avanguardia e dove tradizionalmente si sperimentano, per la programmazione urbanistica, le soluzioni riformiste che poi vengono estese al resto del paese.
Queste leggi peraltro sono state ampiamente analizzate negli aspetti innovativi di introduzione dei concetti e delle nozioni ambientaliste e territorialiste, o procedurali; lo sono state meno negli aspetti più tradizionali della disciplina dei processi di trasformazione urbana.
La verifica è stata fatta come comparazione fra le due leggi, in rapporto a 14 parametri scelti come rappresentativi dei contenuti e riepilogati nella tabella allegata, e tenendo conto delle caratteristiche principali del “progetto di città” come ispirato non solo dal dibattito culturale e dalle esperienze praticate nelle città europee, ma anche dalle politiche comunitarie.
Alcuni importanti principi sono comuni alle due leggi: in primo luogo, i concetti, i temi e le nozioni ambientaliste rispetto alle quali si tenta di orientare la disciplina anche delle aree urbane. Ad esempio il fatto che nuovo consumo di suolo è consentito solo in “assenza di alternative alla sostituzione o riorganizzazione degli insediamenti esistenti” è giustificato dalla tutela dell’ambiente naturale.[2] Ciò dovrebbe limitare lo spreco di suolo non urbano, ottemperando anche ad un recente orientamento del Parlamento europeo.[3] Purtroppo non esistono ancora verifiche per mostrare i risultati di questo importante principio, né strumenti e dispositivi che consentano di scoprire e correggere scelte in contrasto, le quali, peraltro, non devono essere poche, a giudicare dalle polemiche crescenti suscitate nella cronaca da lottizzazioni in ambienti extraurbani. Comunque, anche se applicato correttamente, l’obiettivo di ridurre le pressioni sull’ambiente naturale non è più sufficiente e occorrerebbe affermare esplicitamente che la crescita edilizia, qualsiasi tipo di crescita edilizia, compresa quella ricavabile in aree già urbanizzate, richiede giustificazioni precise nella domanda sociale e verifiche di compatibilità.[4]
In generale c’è una certa differenza fra le due leggi: quella emiliana conserva un’impostazione più pragmatica e in continuità con la linea politica perseguita nei confronti degli insediamenti, nonostante i limiti che anche recenti ricerche segnalano. [5] Inoltre la Regione Emilia conserva un atteggiamento più autonomo e propositivo rispetto agli altri enti locali. La Toscana invece ha sposato decisamente una linea più “federalista” (abdicando quindi al ruolo propositivo, a vantaggio dei comuni) e teorico ambientalista, con distacco deciso dal progetto di città e manifestamente dall’urbanistica (in una prima fase, corrispondente alla precedente versione della legge, addirittura considerata una disciplina “superata”).
A riprova di questa differenza possono essere ricordati almeno due argomenti: la riqualificazione urbana e gli spazi per standards e servizi. [6]
1. Il tema della riqualificazione urbana si inscrive in una linea strategica coltivata da tempo dal governo regionale emiliano e si connette con altri provvedimenti applicati diffusamente (le leggi n. 18/1998, la n. 16/2002). In particolare, per ogni livello di piano comunale sono distinti i compiti spettanti: al Piano strutturale l’individuazione degli ambiti e dei problemi; allo strumento operativo l’individuazione dei programmi specifici di intervento. Un aspetto positivo di interazione fra i vari livelli che la legge Toscana non persegue. La legge emiliana poi specifica diverse linee di intervento: in primo luogo nella conservazione dei centri storici e del patrimonio edilizio storico sparso. L’allegato della legge emiliana dedica un intero capo al sistema insediativo storico e prescrive indirizzi utili che confermano il cs come cardine della politica di riqualificazione degli insediamenti: che l’analisi e la classificazione dei tessuti storici sia effettuata nel Piano strategico; che la strategia di tutela sia stabilita dallo stesso PS; il “divieto di rilevanti modificazioni delle destinazioni d’uso in atto in particolare di quelle residenziali, artigianali e di commercio di vicinato” (anche se un successivo articolo ammette deroghe); l’inedificabilità degli spazi aperti; previsioni di dettaglio per gli edifici di maggior valore. Sono principi e prescrizioni operative che nella regione Toscana mancano. Ciò appare inspiegabile, se è vero che questa Regione disponeva di una legge al riguardo (59/80) collaudata e dalla quale è derivato un ciclo di esperienze complessivamente positive (legge che è stata abrogata senza sostituirla con un dispositivo altrettanto efficace, malgrado le correzioni e le integrazioni introdotte dai regolamenti di attuazione recentemente approvati).[7]
In secondo luogo, la riqualificazione interessa tutto il sistema degli insediamenti, distinguendo, al di fuori del centro storico, azioni di consolidamento (interventi di miglioramento di parti della città già strutturate) e di vera e propria riqualificazione sostanziale (con trasformazioni urbanistiche più consistenti).
Malgrado questi indirizzi positivi, quindi senza responsabilità diretta della legge, le prime applicazioni all’esterno dei centri storici hanno comunque suscitato critiche perché “prevale la sostituzione edilizia della sola area degradata, con cambio di destinazione funzionale e aumento del carico urbanistico e senza incremento delle dotazioni territoriali né miglioramento della qualità complessiva del contesto” [8], mancando così uno dei più importanti obiettivi del “progetto di città” (ossia diffondere la qualità oltre l’area direttamente interessata dalla trasformazione e senza gerachie di valore fra aree centrali e aree periferiche).
Infine, non va sottovalutata l’azione di ricerca e promozione della Regione Emilia in varie forme: sperimentali, come quelle per l’edilizia a basso costo o autocostruita; di sostegno ai comuni; pubblicistica. Una rivista gestita in collaborazione con la facoltà di architettura di Ferrara è dedicata specificamente al tema della riqualificazione urbana.
La Regione Toscana per quanto non priva di iniziative del genere vi dedica certamente una minore attenzione. Anche i regolamenti di attuazione recentemente approvati sul tema del recupero degli insediamenti esistenti non sfuggono all’obiettivo politico di non porre vincoli all’azione dei comuni e quindi si presentano, salvo problematiche particolari, generalmente poco incisivi.
2. La qualità è difficilmente regolabile nei piani[9], ma il tema dello spazio pubblico, dei servizi, degli standard è uno strumento importante per avvicinarla, e perciò costituisce un altro riferimento fondante del “progetto di città” nella fase del rinnovo urbano (come dimostrano le più note e acclamate esperienze europee, in particolare spagnole e francesi). Il tema è importante anche per il rilancio di una politica di welfare urbano se si allarga la nozione di standard oltre la misura tradizionale a comprendere anche l’edilizia residenziale sociale. Ad oggi, la legge emiliana introduce alcuni importanti approfondimenti (ampliamento dell’aliquota minima di spazi per standard a 30 mq/abitante, anziché 18; dotazioni ecologiche e ambientali, in conformità con alcuni degli assi tematici dei programmi comunitari[10]). Spiace che non sia stata ripresa l’idea del piano dei servizi come piano strategico della qualità urbana a cui dovrebbero riferirsi (come suggerito dalla ricerca dell’Archivio Piacentini) le politiche insediative e le strategie degli accordi con i privati.
Per il prossimo futuro, una nuova legge in discussione (Governo e riqualificazione solidale del territorio) propone di prescrivere agli interventi di trasformazione la cessione di una quota di aree per edilizia residenziale sociale (pari al 20% dell’area di trasformazione) aggiuntiva agli standard tradizionali.
La Regione Toscana si limita ad un riferimento alla dotazione minima (18 mq/abitante) per gli standard, mentre il regolamento di attuazione dell’art. 75 consente ai Ps di superare tale limite.
Per evitare un’eccessiva enfasi su questo tema, occorre distinguere due punti: il primo è l’idea di estendere i servizi e di connetterli dentro un disegno come una struttura di supporto dell’insieme delle trasformazioni; il secondo è quello di utilizzare questo disegno come strumento per contrastare la rendita, associandolo a dispositivi di perequazione (ossia di coinvolgimento di diversi proprietari e di ripartizione dei benefici derivanti dall’edificazione e degli oneri corrispondenti ai vincoli di aree pubbliche da cedere). E’ questo secondo punto che è da verificare. Da tempo infatti si sostiene che l’unico modo per realizzare le previsioni di spazio pubblico, nelle attuali condizioni di crisi finaziaria degli enti locali, è di rendere edificabili altre aree private. Se non approfonditamente disciplinato, questo modo di gestire le trasformazioni, oltre che con la logica del piano, contrasta col principio fondamentale del risparmio di suolo, e inoltre non riesce a ridurre la rendita che si scarica inevitabilmente sugli acquirenti del prodotto finale (alloggi o servizi).[11] Questa discussione ha dimostrato che l’estensione dei servizi e il loro disegno, per quanto auspicabili, non sono sufficienti a contrastare la rendita, neppure associandoli alla perequazione.
Peraltro quattro argomenti si presentano discutibili in ambedue i provvedimenti (sia pure con sfumature diverse): i rapporti pubblico/privato e la partecipazione; il rapporto strutture ambientali/strutture urbane; il dimensionamento; il controllo del passaggio dai vecchi ai nuovi piani.
Il rapporto dell’ente locale con i privati è quindi un aspetto fortemente discusso nelle due leggi. Le differenze non sono rilevanti; in ambedue i casi, anziché fornire ai comuni idee e strumenti per contrastare la pressione dei privati alla valorizzazione delle diverse forme di rendita contemporanee, si prende atto del ruolo importante e nuovo che i privati possono svolgere nell’ambito di “accordi”; quella emiliana anticipa l’argomento del “pubblico avviso” con il quale “l’amministrazione sollecita gli operatori privati a presentare proposte e progetti finalizzati alla realizzazione degli obiettivi strategici del Piano strutturale...il successivo Regolamento urbanistico (o Piano comunale operativo) viene redatto sulla base di queste proposte formulate dai privati e selezionate dal comune sulla base di una generica...convenienza per l’ente locale” (una specie di “asta” dei diritti edificatori). La regione Toscana, dopo sporadiche esperienze,[12] ha accolto questo principio nel Regolamento di attuazione dell’art. 75 e lo sta sperimentando in accordo col comune di Firenze, tra molte polemiche.[13]
Le critiche su questo punto riguardano il rischio che il piano si configuri come semplice sommatoria di interventi e proposte private, anziché sulla scelta pubblica di un disegno generale rispondente a interessi collettivi.
La negoziazione sistematica deriva dalla famigerata proposta di legge Lupi che pretendeva di sostituirla ai cosiddetti “atti autoritativi” e imponeva la “partecipazione” dei “soggetti interessati“ alla pianificazione. Anche l’assenza di adeguate forme di partecipazione (su cui per la verità la Toscana sta elaborando una proposta di legge di carattere fortemente innovativo, trattata in altra parte di questa rivista) può essere vista come una scelta di privilegiare interessi organizzati rispetto a quelli di tipo generale. L’impressione è raffozata dall’uso della perequazione cui si è accennato, intesa più come strumento per compensare i privati e ridurre i deficit comunali che come strumento per consentire disegni organici indipendenti dalla proprietà dei suoli.
Le valutazioni sembrano lo strumento più idoneo a superare la storica contraddizione fra urbanistica e ambiente nel “governo del territorio”. In particolare, rendere il progetto urbanistico “integrato” ossia capace di intervenire anche su problemi di natura sociale e ambientale oltrechè urbanistica e di morfologia urbana sarebbe coerente con i risultati del dibattito sulla città e l’architettura (la nozione di contesto, ad es.) e il principale requisito richiesto per i programmi europei sulla città. Molte difficoltà tecniche e teoriche sono tuttavia ancora da superare (i contenuti non sono ancora chiari e soddisfacenti; l’applicazione dovrebbe distinguere fra dimensione dei problemi e dei comuni, ecc.). Nella legge emiliana sembra quasi di leggere la distinzione fra piano urbanistico e politiche ambientali, confermata dalla ricerca dell’Archivio Piacentini, mentre in quella Toscana l’enfasi sulle nozioni ambientaliste e territorialiste fa trascurare esplicitamente l’ambiente urbano. In ambedue i casi quindi le due nozioni (ambiente naturale e ambiente urbano) restano separate se non contrapposte, e non si colgono pertanto gli spunti derivanti dalle migliori esperienze europee di progetto urbano o di recupero alla grande scala nelle quali la tutela dei grandi spazi naturali è associata all’istituzione di parchi pubblici, di attrezzature e di servizi in un rapporto di integrazione con la vita urbana; o ai progetti di paesaggio che riqualificano la città non con nuovi interventi edilizi ma con la valorizzazione degli spazi aperti e naturali. Queste esperienze da un lato confermano la necessità di introdurre un blocco alla crescita edilizia non adeguatamente giustificata. Dall’altro fanno pensare che per costruire il metodo del “governo del territorio” più che un’utopica integrazione interdisciplinare sia preferibile lavorare all’interazione efficace fra ricerche disciplinari diverse.
Il dimensionamento degli insediamenti (abitazioni, edifici produttivi, attrezzature, alberghi, centri commerciali) è un argomento centrale di ogni livello di piano (per quello provinciale, che dovrebbe indicare le soglie di crescita o di trasformazione dei comuni, come per quelli comunali che dovrebbero localizzare le aliquote e verificare i modi e i tempi di realizzazione), ma le due leggi sostanzialmente evitano di trattarlo direttamente, abolendo in pratica la regolamentazione quantitativa di tipo tradizionale. Indirettamente viene trattato dalle valutazioni (che hanno il compito di stimare l’impatto anche dal punto di vista quantitativo) o, nel caso delle legge emiliana, dai “bilanci delle risorse territoriali”; il rischio è che al di là delle dichiarazioni di principio i piani ripropongano una crescita sproporzionata (magari attraverso il “recupero” di aree degradate) e che questo processo non sia comprensibile se non alla fine, quando cioè diventa visibile. Inoltre, è da segnalare la difformità di calcolo per cui certi comuni non calcolano nella capacità insediativa operazioni di recupero di aree degradate; in altri casi le verifiche di dimensionamento sono limitate alla residenza e non considerano gli altri settori urbani quali la produzione, il commercio, ecc. La Regione Toscana col regolamento di attuazione dell’art. 75, approvato nel 2007, quindi con un consistente ritardo rispetto alla legge originaria del ’95, ha per la verità corretto sostanzialmente questa lacuna, introducendo una serie di prescrizioni almeno per il Piano strutturale. Il piano provinciale continua ad essere sottovalutato. Comunque, sono in particolare importanti le “disposizioni” sui criteri del dimensionamento, in riferimento al vecchio piano (del quale è prescritto un rendiconto) e la sua articolazione nelle diverse funzioni (residenziale; produttiva; commerciale, relativamente alle medie strutture di vendita; turistico ricettiva; direzionale; agricola e agrituristica).
Infine, last but not least un argomento apparentemente marginale che ha suscitato molta confusione e contrasti: come raccordare i vecchi strumenti di piano con i nuovi? I vecchi piani col loro bagaglio di previsioni non attuate, di varianti in crescita approvate nel periodo della cosiddetta “bolla immobiliare” che negli anni ’90 ha eccitato il mercato edilizio, come devono essere trattati? Possono essere abrogati? E se possono essere attuati in regime di salvaguardia, come incidono sui nuovi piani (sul dimensionamento, sulle scelte strategiche, ecc.)?
La mancanza di decisioni chiare delle regioni (quali ad esempio una precisa norma di salvaguardia o indicazioni precise su quali scelte considerare e come) ha originato una corsa all’attuazione con ripercussioni pesanti sulla nuova generazione di piani, che nascono fortemente condizionati. In Toscana, la vicenda di Montichiello ad esempio rientra in questo limite.
Tra l’altro, se i Ps accolgono acriticamente le previsioni dei vecchi piani, si riduce anche la possibilità di stabilire condizioni più vantaggiose per l’ente locale (derivanti dall’aggiornamento degli standard e degli oneri). [14]
La Regione Toscana ha tentato di correggere questa lacuna con il regolamento di attuazione dell’art. 75, cui si è già accennato, e nel Piano di indirizzo territoriale; in quest’ultimo si prescrive che gli interventi non attuati siano verificati da procedure specifiche. Norme del genere per quanto utile sono tardive (si chiudono le porte della stalla quando i buoi sono scappati).
In definitiva se il modello delle regioni rosse appare un po’ “ingiallito” (come ha scritto Carlo Trigilia sul Sole 24 Ore di qualche mese fa), pur restando forti le differenze rispetto ad altre regioni italiane (nella erogazione dei servizi, nello stile di vita, nelle relazioni sociali), la crisi del “progetto di città” probabilmente ne costituisce una delle cause e il “governo del territorio” pertanto appare un obiettivo ancora da raggiungere.
[1] La comunità europea come è noto ha potere in campo ambientale e non in campo urbanistico; tuttavia, attraverso le politiche, le azioni ed i programmi è possibile individuare una linea culturale di sviluppo urbano ecoompatbile ed i requisiti del “progetto di città” rispondente a standard comunitari (si veda P. Ugolini, La riqualificazione della città negli attuali sviluppi culturali ed operativi delle politiche nazionali e comunitarie, Territorio n. 14,2000 )
[2] Nella legge toscana l’art. 3 aggiunge un importante corollario: che i nuovi insediamenti devono concorrere alla riqualificazione complessiva degli insediamenti.
[3] Proposta di Direttiva del parlamento europeo e del consiglio che istituisce un quadro per la protezione del suolo e modifica la direttiva 2004/35/CE, presentata dalla commissione il 22.9.06.
[4] Molti paesi europei hanno emanato leggi più precise e cogenti al riguardo (Francia, Gran Bretagna, Svizzera), come mostra l’articolo di R. Camagni e C. Gibelli su questa rivista.
[5] Ad esempio “Cinque anni di vita della nuova legge urbanistica della regione Emilia-Romagna” Rapporto a cura dell’Archivio Piacentini, giugno 2006; G. Angelillo, G. Rinaldi, “Riflessioni sul processo di adeguamento della pianificazione urbanistica alla lr 20/2000”, In forum n. 27 dicembre 2006
[6] Si dovrebbe aggiungere l’intercomunalità, che la legge emiliana più o meno direttamente stimola in varie forme, particolarmente per quanto riguarda le aree produttive e i poli terziari, la redazione dei piani strategici, l’applicazione della perequazione anche fiscale (ossia la ripartizione dei benefici fiscali indipendentemente dalla localizzazione degli impianti produttivi). Alla fine del 2006, il 62% dei comuni che stanno adeguando il piano alla legge 20 lo fa in forma associata (cfr. G. Angelillo, G. Rinaldi, op. cit.).
[7] Al riguardo un gruppo di docenti e ricercatori dell’università di Firenze, assieme ad alcuni amministratori locali e soprintendenti provinciali, ha inviato il 14.10.2005 alla Regione Toscana un appello a rilanciare la tutela, la pianificazione e il recupero dei centri storici.
[8] L. Ravanello, M. Maria Sani, le politiche urbanistiche per la città esistente in Emilia Romagna, Urbanistica Informazioni n. 203, 2005
[9] Il tentativo della legge toscana di definire la qualità urbana all’art. 37 è perlomeno inadeguato.
[10] In particolare miglioramento ambientale, tramite la creazione di spazi verdi e servizi (si veda P. Ugolini, op.cit.).
[11] Le alternative alla negoziazione, anche senza rievocare il fantasma dell’esproprio generalizzato a prezzi agricoli, sono diverse: in primo luogo c’è la soluzione dell’intervento pubblico diretto (esproprio a prezzi di mercato, urbanizzazione, ricessione a prezzi di costo), in modo da mettere in competizione l’offerta di aree pubbliche con quella privata (soluzione sostenuta ad esempio da Benevolo); in secondo luogo ci possono essere le soluzioni legislative che incidono, senza eliminarla sull’entità della rendita (ad esempio una limitazione dell’”equa rendita” sul modello dell’equo canone o una riduzione del valore dei terreni da sottoporre ad esproprio).
[12] Il comune di Rosignano per primo in Toscana ha emesso un bando dopo il Piano strutturale e ha raccolto circa 800 proposte per il Regolamento urbanistico, con una capacità superiore a quella stabilita e un potenziale contenzioso di ampie proporzioni.
[13] Comitati dei cittadini di Firenze, Firenze: la città all’incanto, documento del 25 gennaio 2007
[14] G. Campos Venuti, Una valutazione positiva per le modifiche alla legge 20/2000 della Regione Emilia Romagna, In forum n. 27, dicembre 2006
TITOLO I - FINALITÀ
Art. 1 – Finalità
TITOLO II - STRUMENTI URBANISTICI
CAPO I - STRUMENTI URBANISTICI GENERALI
Art. 2 - Criteri di formazione dei piani regolatori generali
Art. 3 - Pubblicazione, osservazioni e opposizioni
Art. 4 - Approvazione del piano regolatore generale
Art. 5 - Approvazione del programma di fabbricazione
Art. 6 - Termine per l’adozione dei piani regolatori generali e dei programmi di fabbricazione
Art. 7 - Commissione comunale edilizia
Art. 8 - Varianti ai piani comprensoriali. Scioglimento delle assemblee consortili
CAPO II - STRUMENTI URBANISTICI DI ATTUAZIONE
Art. 9 - Contenuto dei piani particolareggiati e dei piani di lottizzazione
Art. 10 - Definizione di isolato
Art. 11 - Formazione dei comparti
Art. 12 - Approvazione dei piani particolareggiati
Art. 13 - Piani particolareggiati di risanamento. Obblighi dei comuni
Art. 14 - Piani di lottizzazione – Convenzione
Art. 15 - Piani di lottizzazione per complessi insediativi chiusi ad uso collettivo
Art. 16 - Obblighi dei comuni di dotarsi di piani di edilizia economica e popolare
Art. 17 - Riserva di aree
Art. 18 - Obblighi dei comuni in ordine ai piani per insediamenti produttivi
CAPO III - NORME COMUNI AGLI STRUMENTI URBANISTICI
Art. 19 - Efficacia degli strumenti urbanistici. Salvaguardia
Art. 20 - Definizione degli interventi
Art. 21 - Attuazione degli strumenti urbanistici nelle zone A e B
Art. 22 - Interventi produttivi nel verde agricolo
Art. 23 – Agroturismo
Art. 24 - Spese per la formazione degli strumenti urbanistici. Disciplinare–tipo
Art. 25 - Contributi per la rielaborazione degli strumenti urbanistici
Art. 26 - Controllo sulle deliberazioni comunali
Art. 27 - Interventi sostitutivi
TITOLO III - PROGRAMMI PLURIENNALI
Art. 28 - Programmi pluriennali di attuazione. Comuni obbligati - Durata
Art. 29 - Contenuto del programma pluriennale di attuazione
Art. 30 - Dimensionamento - Elaborati del programma
Art. 31 - Formazione ed approvazione
Art. 32 - Attuazione dei programmi pluriennali
Art. 33 - Opere ammesse al di fuori delle aree incluse nei programmi pluriennali
Art. 34 - Anticipazione di spesa per l’attuazione dei programmi pluriennali
Art. 35 - Procedure per la concessione delle anticipazioni
TITOLO IV - NORME REGOLATRICI DELL’ATTIVITÀ EDILIZIA
CAPO I - CONCESSIONI EDILIZIE
Art. 36 – Concessione
Art. 37 - Controllo partecipativo
Art. 38 - Intervento sostitutivo per mancato rilascio di concessione
Art. 39 – Cave
Art. 40 - Convenzione tipo o atto d’obbligo unilaterale
Art. 41 - Oneri di urbanizzazione
Art. 42 - Esenzioni dagli oneri
Art. 43 - Riduzione degli oneri
Art. 44 - Ratizzazione del contributo per opere di urbanizzazione
Art. 45 - Contributo per opere di urbanizzazione per insediamenti turistici, industriali ed artigianali
CAPO II - VIGILANZA E SANZIONI
Art. 46 – Vigilanza
Art. 47 - Sospensione dei lavori
Art. 48 – Sigilli
Art. 49 - Sanzioni principali
Art. 50 - Sanzioni amministrative per mancato o ritardato pagamento del contributo per la concessione
Art. 51 - Altre sanzioni
Art. 52 - Poteri sostitutivi della Regione
Art. 53 - Annullamento di provvedimenti comunali
Art. 54 - Obbligo del sindaco
TITOLO V - CENTRI STORICI E TUTELA DELL’AMBIENTE
Art. 55 - Centri storici
Art. 56
Art. 57 - Disposizioni di tutela particolare
TITOLO VI - CONSIGLIO REGIONALE DELL’URBANISTICA
Art. 58 - Istituzione del consiglio regionale dell’urbanistica
Art. 59 - Composizione del consiglio regionale dell’urbanistica
TITOLO VII
Artt. 60 – 67
TITOLO VIII - NORME VARIE, FINALI, TRANSITORIE E FINANZIARIE
Art. 68 - Destinazione dei proventi
Art. 69 - Norme per la pianificazione regionale
Art. 70 - Comitato tecnico–scientifico
Art. 71 - Consulenti dell’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente
Art. 72 - Utilizzazione di dipendenti statali
Art. 73 - Piani comprensoriali. Interpretazione autentica della legge regionale 3 febbraio 1968, n. 1
Art. 74 - Frazione Marina di Melilli
Art. 75 - Norma transitoria
Art. 76 - Disposizioni transitorie
Art. 77 - Copertura finanziaria
Art. 78
TITOLO I - URBANISTICA E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
Art. 1 (Finalità)
1. La presente legge, in attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, dell'articolo 3 della legge 8 giugno 1990, n. 142 “Ordinamento delle autonomie locali” , nonché della legge 15 marzo 1997, n. 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativo e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni e agli enti locali” , provvede a disciplinare l'articolazione e l'organizzazione delle funzioni attribuite in materia di urbanistica e pianificazione territoriale ed edilizia residenziale pubblica alla Regione, ovvero da questa conferite alle Province, ai Comuni o loro consorzi e alle Comunità montane.
Art. 2 (Oggetto)
1. Il presente titolo individua le funzioni trasferite o delegate agli enti locali e alle autonomie funzionali e quelle mantenute in capo alla Regione in materia di territorio, ambiente e infrastrutture e comprende tutte le funzioni e i compiti in tema di urbanistica, pianificazione territoriale ed edilizia residenziale pubblica, riguardanti la disciplina dell'uso del territorio nonché tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali afferenti alle operazioni di salvaguardia e di trasformazione dei suolo e alla protezione dell'ambiente.
Art. 3 (Funzioni della Regione)
1.La Regione mantiene le funzioni e i compiti conferiti dall'articolo 56 del d. lgs. 112/1998 e non attribuiti agli enti locali ai sensi dei successivi articoli 4, 6 e 7. In particolare la Regione esercita le seguenti funzioni:
a) concorso alla elaborazione delle politiche nazionali di settore mediante l'intesa con lo Stato e le altre Regioni;
b) attuazione, nelle materie di propria competenza, delle norme comunitarie direttamente applicabili;
c) definizione delle linee generali di assetto del territorio regionale;
d) formazione dei piani territoriali regionali e relativi stralci e varianti e controllo di conformità ai piani territoriali regionali dei piani regolatori comunali;
e) formazione del piano territoriale paesistico regionale e relative varianti;
f) verifica della compatibilità dei piani territoriali di coordinamento provinciali e loro varianti con le linee generali di assetto del territorio regionale di cui alla lettera b), nonché con gli strumenti di pianificazione e programmazione regionali;
g) apposizione di nuovi vincoli paesistici e revisione di quelli esistenti secondo le procedure del d.lgs 490/1999;
h) coordinamento dei sisterni informativi territoriali;
i) nulla-osta per il rilascio di concessioni edilizie in deroga agli strumenti urbanistici generali comunali;
j) repressione di opere abusive;
k) poteri sostitutivi in caso di inerzia degli enti locali nell'esercizio delle funzioni e compiti loro devoluti dalla presente legge ovvero dalla legislazione vigente in materia di pianificazione territoriale;
l) individuazione delle zone sismiche in armonia con le competenze statali;
m) redazione, attraverso i Consorzi per le aree e i nuclei di sviluppo industriale, dei piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale;
n) approvazione della convenzione-tipo per gli interventi di edilizia abitativa convenzionata;
o) produzione e gestione delle cartografie regionali nonché definizione di criteri, sulla base degli indirizzi statali, per la produzione cartografica degli enti locali, anche mediante utilizzazione dei supporti informatici di cui alla lettera h);
p) annullamento delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali che autorizzano opere non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici generali o a norme del regolamento edilizio, ovvero costituiscono violazione delle prescrizioni o delle norme stesse;
q) designazione dei rappresentanti regionali, nominati dalla Giunta regionale, in seno alle Commissioni provinciali per la determinazione del valore agricolo medio;
r) definizione degli importi massimi e minimi degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e del costo di costruzione dei nuovi edifici;
s) elaborazione degli indirizzi regionali per il recupero edilizio, urbanistico e ambientale delle zone interessate dall'abusivismo e predisposizione dei programmi di intervento e opere finalizzati al recupero ambientale, paesistico e urbanistico delle zone maggiormente interessate dall'abusivismo;
t) determinazione del fabbisogno contributivo per la rimozione delle barriere architettoniche, sulla base delle determinazioni dei Comuni e ripartizione dei contributi fra i Comuni interessati;
u) individuazione dei Comuni tenuti alla realizzazione del programma urbano dei parcheggi;
v) individuazione delle bellezze naturali, di concerto con i Comuni interessati, nel rispetto delle linee fondamentali di cui all'articolo 52 del d.lgs. 112/1998 e secondo le procedure del d.lgs. 490/99;
w) rilascio degli atti di assenso relativi agli interventi sui beni soggetti a vincolo paesaggistico, nonché alle concessioni o autorizzazioni in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte allo stesso vincolo. Restano in vigore le deleghe già concesse.
2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, su proposta degli Assessori competenti, approva regolamenti di disciplina dei procedimenti amministrativi per le funzioni mantenute alla Regione, nonché atti di indirizzo nei confronti degli enti locali sulle modalità di esercizio delle funzioni delegate.
3. La Giunta esercita la potestà regolamentare, nonché quella di approvare i piani urbanistici, anche di settore, e/o i programmi di competenza regionale, ivi inclusi quelli i cui procedimenti non sono ancora definiti alla data di entrata in vigore della presente legge.
4. All'articolo 1, comma 1, della legge regionale 24 marzo 1995, n. 8, sono soppresse le parole “fino all'entrata in vigore del piano urbanistico territoriale tematico (PUTT) per il paesaggio e beni ambientali” .
Art. 4 (Funzioni delle Province)
1. Sono trasferite alle Province le seguenti funzioni amministrative:
a) formazione e approvazione del piano territoriale di coordinamento provinciale secondo le procedure individuate con successiva legge regionale;
b) nomina delle commissioni provinciali per la determinazione del valore agricolo medio.
Art. 5 (Piano territoriale di coordinamento provinciale)
1. In attuazione degli articoli 14 e 15 della L. 142/1990, nonché ai sensi dell'articolo 57 del d. lgs. 112/1998, il piano territoriale di coordinamento provvede, in base alle proposte dei Comuni e degli altri enti locali, nonché in coerenza con le linee generali di assetto del territorio regionale di cui all'articolo 2, comma 1, lettera. b) e con gli strumenti di pianificazione e programmazione regionali, a coordinare l'individuazione degli obiettivi generali relativi all'assetto e alla tutela territoriale e ambientale, definendo, inoltre, le conseguenti politiche, misure e interventi da attuare di competenza provinciale.
2. Il piano territoriale di coordinamento ha il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, a condizione che la definizione delle relative disposizioni avvenga nelle forme di intesa fra la Provincia e le amministrazioni regionali e statali competenti.
3. Il piano territoriale di coordinamento provinciale è atto di programmazione generale che definisce gli indirizzi strategici di assetto del territorio a livello sovracomunale, con riferimento al quadro delle infrastrutture, agli aspetti di salvaguardia paesistico-ambientale, all'assetto idrico, idrogeologico e idraulico-forestale, previa intesa con le autorità competenti in tali materie, nei casi di cui all'articolo 57 del d.lgs. 112/1998 e in particolare individua:
a) le diverse destinazioni del territorio in considerazione della prevalente vocazione delle sue parti;
b) la localizzazione di massima sul territorio delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;
c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica e idraulico-forestale e in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;
d) le aree destinate all'istituzione di parchi o riserve naturali.
4. Il piano territoriale di coordinamento provinciale, per quanto attiene ai contenuti e all'efficacia di piano paesistico-ambientale, oltre a quanto previsto dalla legislazione regionale (legge regionale 11 maggio 1990, n. 30), provvede a:
a) individuare le zone di particolare interesse paesistico-ambientale sulla base delle proposte dei Comuni ovvero, in mancanza di tali proposte, degli indirizzi regionali, i quali definiscono i criteri per l'individuazione delle zone stesse, cui devono attenersi anche i Comuni nella formulazione delle relative proposte;
b) indicare gli ambiti territoriali in cui risulti opportuna l'istituzione di parchi locali di interesse sovracomunale.
5. Nella fase di predisposizione del piano territoriale di coordinamento provinciale, la Provincia assicura la partecipazione attiva dei Comuni, delle Comunità montane, degli altri enti locali e delle autonomie funzionali e persegue la coerenza degli obiettivi di piano con le esigenze e le proposte manifestate da tali enti, acquisite in via preventiva.
6. Il piano territoriale di coordinamento provinciale è adottato dalla Provincia secondo la procedura prevista con successiva legge regionale urbanistica, da emanarsi ai sensi dell'articolo 15, comma 4, della L. 142/1990 e può essere adottato solo dopo l'approvazione dei piani territoriali regionali.
Art. 6 (Funzioni dei Comuni in materia di pianificazione territoriale)
1. Sono conferite ai Comuni le funzioni relative agli strumenti urbanistici comunali generali e attuativi e relative varianti; tali funzioni vengono esercitate sotto il controllo della Regione e secondo le procedure individuate con successiva legge regionale di settore.
2. Il Comune, nell'esercizio delle funzioni trasferite, deve assicurare un'adeguata informazione ai cittadini in merito alla definizione delle scelte urbanistiche e la trasparenza dell'azione amministrativa, disponendo in particolare la tempestiva comunicazione, anche mediante l'utilizzo di reti telematiche, dell'avvio del procedimento di formazione dello strumento urbanistico generale e delle varianti nonché dell'adozione e dell'efficacia, stabilendo il termine entro il quale chiunque ne abbia interesse può presentare istanze ai fini della determinazione delle scelte urbanistiche.
3. Il Comune promuove la consultazione con la Regione, la Provincia e le altre amministrazioni interessate, al fine di assicurare la contestuale ponderazione dei vari interessi pubblici nonché la partecipazione dei cittadini e il concorso delle organizzazioni sociali ed economiche alla formazione del piano regolatore generale e delle sue varianti mediante idonee forme di consultazione pubblica.
4. La Giunta regionale, mediante la nomina di un commissario ad acta, interviene in via sostitutiva, nei termini e con le modalità fissate con successiva legge regionale di settore, nel caso in cui sia stata denunciata la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 10, comma 2, lettere a), b), c) e d), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, riguardanti:
a) la compatibilità del piano regolatore generale o delle sue varianti con gli strumenti pianificatori e programmatori di livello sovracomunale, a tal fine valutando, eventualmente, il parere espresso dalla Provincia;
b) il rispetto dei vincoli e delle norme di carattere paesistico-ambientale e idrogeologico;
c) il rispetto delle norme di tutela del patrimonio storico-artistico, acquisendo, in presenza di vincoli previsti dalla legge 1 giugno 1939, n. 1089 "Tutela delle cose di interesse artistico e storico", il parere della competente Soprintendenza.
Art. 7 (Funzioni dei Comuni in materia urbanistica)
1. Restano conferite ai Comuni le funzioni in materia urbanistica ed edilizia e in particolare:
a) l'adozione del regolamento edilizio;
b) la formazione dei comparti edificatori;
c) le autorizzazioni alle lottizzazioni;
d) l'espropriazione delle aree entro le zone di espansione dell'aggregato urbano per l'attuazione dello strumento urbanistico generale nonché delle aree incluse nei programmi pluriennali di attuazione;
e) la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nonché l'adozione dei provvedimenti repressivi;
f) il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni edilizie;
g) la determinazione dell'incidenza delle opere di urbanizzazione nonché l'aggiornamento degli oneri di urbanizzazione;
h) la determinazione del fabbisogno contributivo complessivo per l'eliminazione delle barriere architettoniche da trasmettere alla Regione;
i) la conservazione, l'utilizzazione, l'aggiornamento degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio, nonché la revisione degli estimi e del classamento, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 65, comma 1, lettera h), del d. lgs. 112/1998;
i) la delimitazione di zone agrarie interessate da eventi calamitosi;
k) la rilevazione dei Consorzi di bonifica e degli oneri consortili gravanti sugli immobili;
l) il rilascio dell'autorizzazione per la realizzazione di aviosuperfici e campi di volo per aeromobili;
m) l'individuazione delle aree destinate alla circolazione fuoristrada, in sede di formazione dello strumento urbanistico generale o di sue varianti.
TITOLO II - EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA
Art. 8 (Oggetto)
1. Le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia “edilizia residenziale pubblica” attengono alla programmazione, alla localizzazione e alla vigilanza sull'attuazione degli interventi di edilizia residenziale e abitativa e ai relativi finanziamenti.
Art. 9 (Funzioni riservate alla competenza della Regione)
La Regione mantiene le funzioni e i compiti conferiti dall'articolo 60 del dlgs. 112/1998 e non attribuiti agli enti locali ai sensi degli articoli 10, 11 e 12 della presente legge. In particolare la Regione esercita le seguenti funzioni:
a) la determinazione delle linee di intervento e degli obiettivi nel settore dell'edilizia residenziale pubblica, di seguito denominata ERP, l'adozione dei piani annuali e pluriennali di intervento edilizio e il concorso, con la competente Amministrazione dello Stato nonché con gli enti locali interessati, nell'elaborazione di programmi di edilizia residenziale pubblica di interesse nazionale o regionale;
b) la ripartizione degli interventi per ambiti territoriali e la determinazione della quota dei fondi da ripartire per gli interventi di nuova edilizia e di recupero del patrimonio edilizio esistente nonchè la determinazione delle tipologie di intervento, compresi i programmi integrati, di recupero urbano e di riqualificazione urbana di iniziativa comunale e la definizione delle modalità di incentivazione, oltre alla destinazione dei fondi ai soggetti attuatori;
c) la determinazione delle procedure di rilevazione del fabbisogno abitativo;
d) la definizione dei costi massimi ammissibili per la realizzazione degli interventi;
e) l'individuazione dei soggetti incaricati della realizzazione dei programmi edilizi ammessi a finanziamento;
f) la vigilanza sull'esecuzione dei piani regionali;
g) l'emanazione dei bandi di concorso in relazione all'erogazione dei fondi per realizzazione degli interventi;
h) la concessione e l'erogazione i contributi pubblici anche attraverso il fondo regionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, nonché la regolamentazione dei flussi finanziari;
i) la determinazione dei criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di ERP, nonché la fissazione dei relativi canoni e del sistema di valutazione della situazione reddituale dei nuclei familiari;
j) la vigilanza sugli Istituti autonomi case popolari (IACP) e, in particolare, l'indirizzo e il coordinamento dell'attività, nonché la nomina degli organi di propria competenza;
k) la promozione della costituzione di consorzi regionali tra gli IACP aventi sede nella Regione;
l) la gestione, attraverso gli IACP, degli alloggi di ERP di propria competenza, ivi compresa la proposta dei relativi piani di cessione, nonché l'istituzione delle Commissioni per l'assegnazione degli alloggi;
m) l'adozione dei piani relativi alla cessione alloggi di ERP sovvenzionata;
n) la fissazione della percentuale spettante agli IACP e agli altri enti esecutori, quale rimborso delle spese sostenute per le funzioni da essi esercitate;
o) la promozione e il coordinamento della gestione delle anagrafi degli assegnatari di alloggi di ERP e degli inventari del patrimonio di ERP tenuti dagli enti gestori;
p) la fissazione dei limiti di reddito per l'accesso ai benefici di ERP;
q) la promozione di iniziative di studio e di ricerca nel settore;
r) la formazione e gestione dell'anagrafe dei soggetti fruitori di contributi pubblici; s) l'individuazione delle modalità di gestione del sostegno finanziario al reddito per favorire l'accesso al mercato della locazione dei nuclei familiari meno abbienti;
t) la determinazione dei tassi di interesse per i finanziamenti in conto interessi e delle quote di contributo in conto capitale;
u) la determinazione dei requisiti soggettivi dei beneficiari finali;
v) la determinazione dei requisiti oggettivi degli interventi;
w) l'esercizio della vigilanza sulle cooperative edilizie comunque fruenti di contributi pubblici, nonché l'autorizzazione alla cessione in proprietà del patrimonio edilizio delle cooperative a proprietà indivisa.
Art. 10 (Costituzione della Commissione mista per vigilanza sulle cooperative edilizie)
1. Con decreto del Presidente della Giunta regionale è istituita la Commissione mista per la vigilanza sulle cooperative edilizie comunque fruenti di contributi pubblici.
2. La Commissione è composta da cinque componenti, di cui tre designati dalla Giunta regionale, uno dall'UPI e uno dall'ANCI.
Art. 11 (Funzioni trasferite ai Comuni)
1. Sono trasferite ai Comuni le seguenti funzioni:
a) il rilevamento del fabbisogno abitativo nel territorio comunale, secondo le procedure determinate dalla Regione ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c);
b) l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ivi comprese le relative procedure concorsuali, gli atti di annullamento e decadenza dell'assegnazione, sulla base dei criteri determinati dalla Regione ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera i);
c) la formazione e approvazione delle graduatorie per l'assegnazione degli alloggi;
d) la promozione della mobilità degli assegnatari;
e) le determinazioni inerenti la decadenza e la revoca nonché la comminatoria di sanzioni amministrative in tema di occupazione e detenzione senza titolo;
f) la gestione degli alloggi di ERP di competenza comunale ivi compresi la proposta alla Regione dei relativi piani di cessione e il parere agli IACP sulle proposte di piano di loro competenza;
g) la proposizione alla Regione delle autorizzazioni a variare il costo massimo ammissibile a vano o metro quadro utile abitabile;
h) la formulazione alla Regione di proposte per l'individuazione dei soggetti incaricati della realizzazione dei programmi edilizi ammessi a finanziamento.
Art. 12 (Funzioni delegate ai Comuni)
1. Nel rispetto dei criteri e delle modalità stabilite dalla Regione, ai Comuni sono delegate le funzioni riguardanti l'accertamento dei requisiti soggettivi per l'accesso ai benefici di ERP agevolata nonché l'autorizzazione alla cessione anticipata o locazione degli alloggi di edilizia agevolata.
La presente legge è dichiarata urgente ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 127 della Costituzione e 60 dello Statuto ed entrerà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione.
La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge della Regione Puglia.
TITOLO I - PRINCIPI
Art. 1 (Finalità)
1. La Regione Puglia, in attuazione dei principi generali dell’ordinamento italiano e comunitario, nel rispetto delle leggi dello Stato, regola e controlla gli assetti, le trasformazioni e gli usi del territorio.
2. La Regione Puglia persegue gli obiettivi della tutela dei valori ambientali, storici e culturali espressi dal territorio, nonché della sua riqualificazione, finalizzati allo sviluppo sostenibile della comunità regionale.
Art. 2 (Principi)
1. La presente legge assicura il rispetto dei principi di:
- sussidiarietà, mediante la concertazione tra i diversi soggetti coinvolti, in modo da attuare il metodo della copianificazione;
- efficienza e celerità dell’azione amministrativa attraverso la semplificazione dei procedimenti;
- trasparenza delle scelte, con la più ampia partecipazione;
- perequazione.
TITOLO II - SOGGETTI DELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E URBANISTICA
Art. 3 (Pianificazione del territorio pugliese)
1. La pianificazione del territorio si articola nei livelli regionale, provinciale e comunale.
2. Soggetti della pianificazione sono la Regione, le Province e i Comuni.
3. Partecipano, altresì, alla pianificazione gli enti pubblici cui leggi statali o regionali assegnano la cura di un interesse pubblico connesso al governo e uso del territorio.
TITOLO III - PROCESSO DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE REGIONALE
Art. 4 (Documento regionale di assetto generale)
1. La Giunta regionale, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, approva il Documento regionale di assetto generale (DRAG) in coerenza con i programmi, gli obiettivi e le suscettività socio-economiche del territorio.
2. Il DRAG definisce le linee generali dell'assetto del territorio, nonché gli obiettivi da perseguire mediante i livelli di pianificazione provinciale e comunale.
3. In particolare, il DRAG determina:
- il quadro degli ambiti territoriali rilevanti al fine della tutela e conservazione dei valori ambientali e dell'identità sociale e culturale della Regione;
- gli indirizzi, i criteri e gli orientamenti per la formazione, il dimensionamento e il contenuto degli strumenti di pianificazione provinciale e comunale, nonché i criteri per la formazione e la localizzazione dei Piani urbanistici esecutivi (PUE) di cui all’articolo 15;
- lo schema dei servizi infrastrutturali di interesse regionale.
Art. 5 (Procedimento di formazione e variazione del DRAG)
1. Per garantire il più ampio coinvolgimento della intera comunità regionale nella definizione dei programmi, obiettivi e suscettività socio-economiche del territorio, il Presidente della Giunta regionale convoca la Conferenza programmatica regionale, alla quale partecipano i rappresentanti dell’ANCI, dell’UPI e dell’UNCEM, le associazioni, le forze sociali, economiche e professionali.
2. Il Presidente della Giunta regionale, al fine della elaborazione dello schema di Documento, indice con proprio decreto una Conferenza di servizi, alla quale partecipano rappresentanti delle Amministrazioni statali, per acquisirne previamente le manifestazioni di interesse.
3. La Giunta regionale, tenendo conto delle risultanze della Conferenza di cui al comma 2 e sentito il Consiglio regionale, adotta lo schema di Documento.
4. Lo schema di Documento è pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia e dell'avvenuta pubblicazione è dato avviso sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana nonché su un quotidiano diffuso in ciascuna provincia.
5. I Comuni e le Province possono far pervenire alla Regione le loro proposte integrative sullo schema di Documento entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione dello stesso sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.
6. I soggetti pubblici di cui all’articolo 3, comma 3, nell’ambito delle rispettive competenze, possono far pervenire indicazioni sullo schema di Documento entro il termine previsto dal comma 5.
7. Le organizzazioni ambientaliste, socio-culturali, sindacali ed economico-professionali attive nel territorio regionale possono proporre osservazioni entro lo stesso termine di cui al comma 5.
8. La Giunta regionale, decorsi i termini di cui ai commi precedenti, approva il DRAG del territorio, con specifica considerazione delle proposte di cui al comma 5.
9. Il DRAG è pubblicato con le modalità di cui al comma 4.
10. Il Documento acquista efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.
11. Il periodico aggiornamento e le variazioni del Documento sono adottate con il procedimento di cui ai commi precedenti. I termini sono ridotti della metà.
TITOLO IV - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE PROVINCIALE
Art. 6 (Piano territoriale di coordinamento provinciale)
1. Ai sensi dell'articolo 20, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il Consiglio provinciale adotta il Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) in conformità e in attuazione del DRAG del territorio.
2. Ai sensi dell'articolo 57 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, il PTCP assume l’efficacia di piano di settore nell'ambito delle materie inerenti la protezione della natura, la tutela dell’ambiente, delle acque, della difesa del suolo, delle bellezze naturali, a condizione che la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la Provincia e le Amministrazioni, anche statali, competenti.
3. In mancanza dell'intesa di cui al comma 2, i piani di tutela di settore conservano il valore e gli effetti a essi assegnati dalla rispettiva normativa nazionale e regionale.
Art. 7 (Procedimento di formazione e variazione del PTCP)
1. Il Presidente della Provincia, al fine della elaborazione dello schema di PTCP, indice una Conferenza di servizi, alla quale partecipano i rappresentanti delle Amministrazioni statali, delle Amministrazioni comunali, delle Comunità montane, delle Autorità di bacino, dei Consorzi di bonifica, per acquisirne previamente le manifestazioni di interesse.
2. Il Consiglio provinciale, su proposta della Giunta provinciale, adotta lo schema di PTCP.
3. Lo schema di PTCP è depositato presso la segreteria della Provincia. Dell'avvenuto deposito è dato avviso sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia nonché su almeno due quotidiani a diffusione provinciale.
4. I Comuni possono presentare le loro proposte sullo schema di Piano entro sessanta giorni dalla data di avviso sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.
5. Le organizzazioni ambientaliste, socio-culturali, sindacali ed economico-professionali attive nel territorio provinciale possono proporre osservazioni allo schema di PTCP entro i termini di cui al comma 4.
6. Il Consiglio provinciale, entro i successivi sessanta giorni, si determina in ordine alle osservazioni pervenute nei termini e, con specifica considerazione delle proposte di cui al comma 4, adotta il PTCP e lo trasmette alla Giunta regionale per il controllo di compatibilità con il DRAG di cui all'articolo 4.
7. La Giunta regionale si pronuncia entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla data di ricezione del PTCP, decorso inutilmente il quale lo stesso si intende controllato con esito positivo.
8. Il termine di cui al comma 7 può essere interrotto una sola volta qualora la Giunta regionale richieda alla Provincia chiarimenti o ulteriori documenti, nel qual caso il nuovo termine decorre dalla ricezione degli stessi.
9. Qualora la Giunta regionale deliberi la non compatibilità del PTCP con il DRAG, la Provincia ha facoltà di indire una Conferenza di servizi, alla quale partecipano il Presidente della Giunta regionale o suo Assessore delegato e il Presidente della Provincia o suo Assessore delegato. In sede di Conferenza di servizi le Amministrazioni partecipanti, nel rispetto del principio di copianificazione, devono indicare le modifiche necessarie ai fini del controllo positivo.
10. La Conferenza assume la determinazione di adeguamento del PTCP alle modifiche di cui al comma 9 entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data della prima convocazione, l’inutile decorso del quale comporta la definitività della delibera regionale di cui al comma 9.
11. La determinazione di adeguamento della Conferenza di servizi deve essere recepita dalla Giunta regionale entro trenta giorni dalla data della comunicazione della determinazione medesima. L’inutile decorso del termine comporta il controllo positivo da parte della Giunta regionale.
12. Il Consiglio provinciale approva il PTCP in via definitiva in conformità della deliberazione della Giunta regionale di compatibilità o di adeguamento di cui al comma 11, ovvero all’esito dell’inutile decorso del termine di cui ai commi 7 e 11.
13. Il PTCP definito ai sensi dei commi precedenti è pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia . Dell'avvenuta pubblicazione è data notizia su almeno due quotidiani diffusi nella provincia.
14. Il PTCP acquista efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.
15. Le variazioni del PTCP sono adottate con il procedimento di cui ai commi precedenti.
TITOLO VPIANIFICAZIONE URBANISTICA COMUNALE
Art. 8 (Strumenti della pianificazione urbanistica comunale)
1. La pianificazione urbanistica comunale si effettua mediante il Piano urbanistico generale (PUG) e i PUE.
Art. 9 (Contenuti del PUG)
1. Il PUG si articola in previsioni strutturali e previsioni programmatiche.
2. Le previsioni strutturali:
- identificano le linee fondamentali dell’assetto dell’intero territorio comunale, derivanti dalla ricognizione della realtà socio-economica, dell’identità ambientale, storica e culturale dell’insediamento, anche con riguardo alle aree da valorizzare e da tutelare per i loro particolari aspetti ecologici, paesaggistici e produttivi;
- determinano le direttrici di sviluppo dell’insediamento nel territorio comunale, del sistema delle reti infrastrutturali e delle connessioni con i sistemi urbani contermini.
3. Le previsioni programmatiche:
definiscono, in coerenza con il dimensionamento dei fabbisogni nei settori residenziale, produttivo e infrastrutturale, le localizzazioni delle aree da ricomprendere in PUE, stabilendo quali siano le trasformazioni fisiche e funzionali ammissibili;
- disciplinano le trasformazioni fisiche e funzionali consentite nelle aree non sottoposte alla previa redazione di PUE.
4. La redazione di PUE è obbligatoria per le aree di nuova urbanizzazione, ovvero per le aree da sottoporre a recupero.
Art. 10 (PUG intercomunale)
1. E’ facoltà dei Comuni procedere alla formazione di un PUG intercomunale.
2. Con delibere del Consiglio comunale, i Comuni di cui al comma 1 approvano e presentano alla Giunta regionale un documento congiunto, contenente uno studio di fattibilità dell’iniziativa e un quadro economico dei relativi oneri.
3. La Giunta regionale individua le modalità di sostegno ai Comuni che intendono procedere alla formazione di un PUG intercomunale.
Art. 11 (Formazione del PUG)
1. Il Consiglio comunale adotta, su proposta della Giunta, un Documento programmatico preliminare (DPP) contenente gli obiettivi e i criteri di impostazione del PUG. Nei Comuni ricadenti all’interno del comprensorio di una Comunità montana, il DPP deve prendere in considerazione le previsioni contenute nel piano pluriennale di sviluppo socio-economico in relazione al singolo Comune.
2. Il DPP è depositato presso la segreteria del Comune e dell’avvenuto deposito è data notizia mediante pubblicazione di avviso su almeno tre quotidiani a diffusione provinciale.
3. Chiunque può presentare proprie osservazioni al DPP, anche ai sensi dell’articolo 9 della l. 241/1990, entro venti giorni dalla data del deposito.
4. La Giunta comunale, sulla base del DPP di cui al comma 1 e delle eventuali osservazioni, propone al Consiglio comunale l’adozione del PUG. Il Consiglio comunale adotta il PUG e lo stesso è depositato presso la segreteria comunale; dell'avvenuto deposito è data notizia mediante pubblicazione di avviso su tre quotidiani a diffusione provinciale nonché mediante manifesti affissi nei luoghi pubblici.
5. Chiunque abbia interesse può presentare proprie osservazioni al PUG, anche ai sensi dell'articolo 9 della l. 241/1990, entro sessanta giorni dalla data del deposito.
6. Il Consiglio comunale, entro i successivi sessanta giorni, esamina le osservazioni proposte nei termini di cui al comma 5 e si determina in ordine alle stesse, adeguando il PUG alle osservazioni accolte.
7. Il PUG così adottato viene inviato alla Giunta regionale e alla Giunta provinciale ai fini del controllo di compatibilità rispettivamente con il DRAG e con il PTCP, ove approvati. Qualora il DRAG e/o il PTCP non siano stati ancora approvati, la Regione effettua il controllo di compatibilità rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente, ivi inclusi i piani già approvati ai sensi degli articoli da 4 a 8 della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, ovvero agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale di cui all'articolo 5 del d. lgs. 267/2000.
8. La Giunta regionale e la Giunta provinciale si pronunciano entro il termine perentorio di centocinquanta giorni dalla ricezione del PUG, decorso inutilmente il quale il PUG si intende controllato con esito positivo.
9. Qualora la Giunta regionale o la Giunta provinciale deliberino la non compatibilità del PUG rispettivamente con il DRAG o con il PTCP, il Comune promuove, a pena di decadenza delle misure di salvaguardia di cui all’articolo 13, entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data di invio del PUG, una Conferenza di servizi alla quale partecipano il Presidente della Giunta regionale o suo Assessore delegato, il Presidente della Provincia o suo Assessore delegato e il Sindaco del Comune interessato o suo Assessore delegato. In sede di Conferenza di servizi le Amministrazioni partecipanti, nel rispetto del principio di copianificazione, devono indicare specificamente le modifiche necessarie ai fini del controllo positivo.
10. La Conferenza di servizi assume la determinazione di adeguamento del PUG alle modifiche di cui al comma 9 entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data della sua prima convocazione, l’inutile decorso del quale comporta la definitività delle delibere regionale e/o provinciale di cui al comma 9, con contestuale decadenza delle misure di salvaguardia.
11. La determinazione di adeguamento della Conferenza di servizi deve essere recepita dalla Giunta regionale e/o dalla Giunta provinciale entro trenta giorni dalla data di comunicazione della determinazione medesima. L'inutile decorso del termine comporta il controllo positivo da parte della Giunta regionale e/o della Giunta provinciale.
12. Il Consiglio comunale approva il PUG in via definitiva in conformità delle deliberazioni della Giunta regionale e/o della Giunta provinciale di compatibilità o di adeguamento di cui al comma 11, ovvero all’esito dell’inutile decorso del termine di cui ai commi 8 e 11.
13. Il PUG, formato ai sensi dei comma precedenti, acquista efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia della deliberazione del Consiglio comunale di cui al comma 12.
14. Il Comune dà avviso dell'avvenuta formazione del PUG mediante manifesti affissi nei luoghi pubblici e mediante la pubblicazione su almeno due quotidiani a diffusione provinciale.
Art. 12 (Variazione del PUG)
1. Il Comune procede alla variazione delle previsioni strutturali del PUG mediante lo stesso procedimento previsto dall'articolo 11.
2. La deliberazione motivata del Consiglio comunale che apporta variazioni alle previsioni programmatiche del PUG non è soggetta a verifica di compatibilità regionale e provinciale.
3. La deliberazione motivata del Consiglio comunale che apporta variazioni alle previsioni strutturali del PUG non è soggetta a verifica di compatibilità regionale e provinciale quando la variazione deriva da:
- verifica di perimetrazioni conseguenti alla diversa scala di rappresentazione grafica del piano;
- precisazione dei tracciati viari derivanti dalla loro esecuzione;
- modifiche di perimetrazioni motivate da documentate sopravvenute esigenze quali imposizioni di nuovi vincoli;
- adeguamento e/o rettifica di limitata entità delle perimetrazioni dei PUE di cui all’articolo 15, derivanti dalle verifiche, precisazioni e modifiche di cui alle lettere a), b) e c);
- modifiche alle modalità di intervento sul patrimonio edilizio esistente di cui all’articolo 31, comma 1, lettere a), b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n. 457.
Art. 13 (Misure di salvaguardia)
1. Per il periodo di due anni a decorrere dalla data di adozione del PUG, il Comune sospende ogni determinazione sulle domande di concessione edilizia in contrasto con il PUG stesso.
Art. 14 (Perequazione urbanistica)
1. Al fine di distribuire equamente, tra i proprietari interessati dagli interventi, i diritti edificatori attribuiti dalla pianificazione urbanistica e gli oneri conseguenti alla realizzazione degli interventi di urbanizzazione del territorio, il PUG può riconoscere la stessa suscettività edificatoria alle aree comprese in un PUE.
Art. 15 (Piani urbanistici esecutivi)
1. Al PUG viene data esecuzione mediante PUE di iniziativa pubblica o di iniziativa privata o di iniziativa mista.
2. In relazione agli interventi in esso previsti, il PUE può assumere le finalità e gli effetti di uno o più piani o programmi, anche settoriali o tematici, attuativi dello strumento urbanistico generale, oppure previsti dalla vigente normativa statale o regionale, ivi compresi i programmi integrati di cui all’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, i programmi di recupero urbano, di cui all’articolo 11 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e i programmi di riqualificazione urbana ex articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici del 21 dicembre 1994, che per la loro realizzazione necessitano di piano esecutivo.
3. Nella formazione dei programmi integrati di intervento di cui all’articolo 16 della l. 179/1992 i Comuni perseguono obiettivi di riqualificazione, con particolare riferimento ai centri storici, alle zone periferiche, alle aree e costruzioni produttive obsolete, dismesse o da sottoporre a processi di dismissione. Tali programmi definiscono la distribuzione delle funzioni, dei servizi e le loro interrelazioni, le caratteristiche planivolumetriche degli interventi, gli standards e l’arredo urbano. Il programma integrato si attua su aree, anche non contigue tra loro, in tutto o in parte edificate. I programmi possono essere presentati da soggetti pubblici e/o privati, singoli e associati e sono corredati di uno schema di convenzione e di una relazione che definisce l’inquadramento dell’intervento nell’ambito della riqualificazione urbana, di un programma finanziario e della indicazione dei tempi di realizzazione delle opere.
4. I programmi integrati, i programmi di recupero urbano e i programmi di riqualificazione urbana sono approvati dal Consiglio comunale con le modalità previste per i PUE ai sensi degli articoli 21 e seguenti della l.r. 56/1980. Qualora tali programmi non siano conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti e/o adottati, il Sindaco promuove la conclusione di un accordo di programma, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 34 del d. lgs. 267/2000, al quale partecipa il soggetto proponente. L’accordo sostituisce lo strumento urbanistico attuativo, ove prescritto dallo strumento urbanistico generale.
5. Fino alla formazione del DRAG la realizzazione di interventi riservati dalla pianificazione comunale all’iniziativa pubblica può essere affidata ai proprietari legittimati previo convenzionamento finalizzato a disciplinare e garantire il perseguimento del pubblico interesse.
Art. 16 (Formazione dei PUE)
1. I PUE possono essere redatti e proposti:
- dal Comune;
- dai proprietari che rappresentino, in base alla superficie catastale, almeno il 51 per cento degli immobili compresi entro il perimetro dell'area interessata. Il loro concorso è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della presentazione al Comune della proposta di piano esecutivo e del relativo schema di convenzione;
- dalle società di trasformazione urbana previste dalla normativa vigente.
2. Decorso il termine eventualmente previsto dal PUG per la redazione del PUE su iniziativa del Comune, il PUE può essere rispettivamente proposto dai soggetti di cui alle lettere b) e c) del comma 1.
3. Qualora sia proposto dai soggetti di cui al comma 1, lettere b) e c ), il PUE è adottato dal Consiglio comunale entro novanta giorni dalla data di ricezione della proposta.
4. Entro trenta giorni dalla data di adozione, il PUE e i relativi elaborati sono depositati, per quindici giorni consecutivi, presso la segreteria del Comune, in libera visione al pubblico. Del deposito è dato avviso sull'albo comunale e su almeno due quotidiani a diffusione nella provincia.
5. Qualora il PUE riguardi aree sulle quali insistono vincoli specifici, contestualmente al deposito di cui al comma 4 il Sindaco, o l'Assessore da lui delegato, indice una Conferenza di servizi alla quale partecipano rappresentanti delle Amministrazioni competenti per l'emanazione dei necessari atti di consenso, comunque denominati.
6. Entro il termine di quindici giorni dalla data di scadenza del periodo di deposito di cui al comma 4, chiunque abbia interesse può presentare proprie osservazioni, anche ai sensi dell'articolo 9 della l. 241/1990.
7. Entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di acquisizione degli atti di consenso di cui al comma 5, il Consiglio comunale approva in via definitiva il PUE, pronunciandosi altresì sulle osservazioni presentate nei termini.
8. La deliberazione di approvazione è pubblicata, anche per estratto, sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia
9. Il PUE acquista efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione di cui al comma 8.
10. La variante al PUE segue lo stesso procedimento di formazione di cui ai commi precedenti. Qualora le variazioni non incidano sul dimensionamento globale del PUE e non comportino modifiche al perimetro, agli indici di fabbricabilità e alle dotazioni di spazi pubblici o di uso pubblico, la variante al PUE è approvata con deliberazione del Consiglio comunale, previa acquisizione di eventuali atti di consenso ove necessari.
11. In caso di inerzia e/o inadempienza nelle procedure di cui ai commi precedenti, si applicano le disposizioni dell'articolo 21.
Art. 17 (Efficacia del PUE)
1. La deliberazione di approvazione del PUE ha efficacia di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza degli interventi ivi previsti, ai fini della acquisizione pubblica degli immobili mediante espropriazione.
2. I PUE sono attuati in un tempo non maggiore di dieci anni, salvo specifiche disposizioni di leggi statali. Decorsi i termini stabiliti per l’attuazione rimane efficace, per la parte di PUE non attuata, l’obbligo di osservarne le previsioni mentre, ai fini espropriativi, decadono gli effetti della pubblica utilità delle opere previste.
Art. 18 (Rapporti fra PUG e PUE)
1. Il PUE può apportare variazioni al PUG qualora non incida nelle previsioni strutturali del PUG, ferma l'applicazione del procedimento di cui all'articolo 16.
2. Ai fini della formazione del PUE, non costituiscono in ogni caso variazione del PUG:
- la modificazione delle perimetrazioni contenute nel PUG conseguente alla trasposizione del PUE sul terreno;
- la modificazione delle localizzazioni degli insediamenti e dei relativi servizi che non comporti aumento delle quantità e del carico urbanistico superiore al 5 per cento.
TITOLO VI - DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Art. 19 (Sospensione e revoca dei Programmi pluriennali di attuazione)
1. L'obbligo di formazione del programma pluriennale di attuazione dello strumento urbanistico generale è comunque sospeso sino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui all'articolo 20 della legge 30 aprile 1999, n. 136.
2. I Comuni che alla data di entrata in vigore della presente legge sono dotati di un programma pluriennale di attuazione hanno facoltà di revocarlo o di mantenerlo fino alla scadenza.
Art. 20 (Norme di prima attuazione)
1. Gli strumenti comunali di pianificazione urbanistica già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge sono approvati secondo le disposizioni stabilite dalla l.r. 56/1980.
2. Le varianti agli strumenti comunali di pianificazione urbanistica già adottate alla data di entrata in vigore della presente legge, fino all’approvazione delle stesse, seguono le disposizioni stabilite dalla l.r. 56/1980.
3. Le varianti agli strumenti comunali di pianificazione urbanistica non adeguate alla l.r. 56/1980 e/o non conformi alle prescrizioni della presente legge possono essere formate soltanto per la realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167 e di piani per gli insediamenti produttivi ai sensi della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e per la realizzazione di progetti di opere pubbliche e/o progetti di adeguamento agli standards urbanistici, così come definiti dalla vigente normativa, ai sensi della legge 3 gennaio 1978, n. 1 e successive modificazioni, nonché per la realizzazione di opere e interventi previsti dalla vigente legislazione statale e/o regionale.
4. Le varianti agli strumenti comunali di pianificazione urbanistica adeguati alla l.r. 56/1980 e non conformi alle prescrizioni della presente legge possono essere formate e seguono le disposizioni stabilite dalla vigente legislazione regionale e statale. Esse devono conformarsi al DRAG, ove esistente.
5. I PUE di cui al comma 1 dell’articolo 15, nelle more della definizione del DRAG di cui all’articolo 4, sono formati secondo le disposizioni stabilite dalla l.r. 56/1980.
Art. 21 (Poteri sostitutivi)
1. Al fine di assicurare celerità ed efficacia all’azione amministrativa, i poteri sostitutivi di cui all’articolo 22, comma 5, della legge 30 aprile 1999, n. 136 e di cui all’articolo 4, comma 6, del d. lgs. 398/1993, come modificato dalla l. 493/1993 e successive modifiche e integrazioni, possono essere delegati dal Presidente della Giunta regionale a un Garante della pianificazione nominato per ciascun ambito territoriale provinciale con decreto pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia. I criteri di nomina sono individuati con apposito regolamento dalla Giunta regionale.
2. I Garanti durano in carica per un periodo non superiore a un anno ed esercitano direttamente il potere sostitutivo, dandone notizia al Presidente della Giunta regionale entro quindici giorni dalla data di adozione dei relativi provvedimenti.
3. A tal fine, i Garanti si possono avvalere degli uffici di tutte le Amministrazioni locali interessate e gli oneri derivanti sono posti a carico dell'Amministrazione inadempiente.
4. Il decreto di cui al comma 1 è pubblicato per estratto sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.
5. In caso di inerzia degli Uffici comunali nell'adozione dei provvedimenti e delle misure repressive o sanzionatorie previste dalla normativa vigente, il Presidente della Giunta regionale assegna un termine non superiore a trenta giorni per provvedere, decorso infruttuosamente il quale si avvale del Garante competente per territorio.
Art. 22 (Poteri di annullamento)
1. Entro dieci anni dalla data della loro emanazione e/o adozione, il Presidente della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale all’urbanistica, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 7 della l. 241/1990, assegna un termine di trenta giorni al Comune per l’annullamento dei provvedimenti o delle delibere non conformi alla disciplina urbanistica e/o edilizia vigente.
2. In caso di inadempienza nel termine, il Presidente della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale all’urbanistica, annulla, con decreto motivato, i provvedimenti e le deliberazioni comunali non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente.
3. Il Presidente della Giunta regionale può delegare i poteri di cui ai commi precedenti al Garante di cui all'articolo 21 competente per territorio.
Art. 23 (Norme per il rilascio delle autorizzazioni in zone soggette a tutela paesaggistica)
1. L’articolo1 della legge regionale 24 marzo 1995, n. 8, come modificato dalla legge regionale 15 dicembre 2000, n. 25 è abrogato e così sostituito: "L’autorizzazione delegata alla Regione per la trasformazione degli immobili soggetti a tutela paesaggistica di cui all’articolo 151 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 è sub-delegata ai Comuni. L’autorizzazione paesaggistica di cui all’articolo 5.01 delle Norme tecniche di attuazione del Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio approvato con delibera della Giunta regionale n. 1748 del 15 dicembre 2000 è delegata ai Comuni.
Art. 24 (Sistema informativo territoriale)
1. La Giunta regionale istituisce, presso l’Assessorato all’urbanistica, il Sistema informativo territoriale (SIT) al fine di elaborare un quadro conoscitivo comune e accessibile, funzionale alla formazione e gestione degli strumenti di tutela del territorio e della pianificazione regionale, provinciale e comunale.
Art. 25 (Abrogazioni e disposizioni finali)
1. Sono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con la presente legge.
2. Per quanto non disciplinato dalla presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni statali e regionali vigenti.
Data a Bari, addi’ 27 Luglio 2001
Raffaele Fitto
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Il Consiglio regionale ha approvato la legge Illy-Sonego per il governo del territorio. Una brutta legge, criticata non solo da eddyburg.it e dal WWF, da Italia nostra e da Lega ambiente, ma anche da osservatori più “moderati”, come la sezione friulano-giuliana dell’INU. Una legge scollacciata e ricca di elementi di incostituzionalità, che è stata ulteriormente impasticciata dagli emendamenti accolti a destra e a manca.
I partiti di destra hanno votato contro, pur esprimendo in varie occasioni valutazioni favorevoli. Forza Italia è arrivata a concedere libertà di voto ai suoi consiglieri motivando questa scelta con il “recupero di due punti importanti come la specialità e il piano strutturale, che andrà però verificato assieme a tutti gli altri contenuti della legge”. Il consigliere di FI Daniele Galasso “ha preannunciato la sua astensione perché, pur permanendo il giudizio severo, quello uscito dall'Aula è un provvedimento profondamente cambiato, di molto migliorato rispetto al testo uscito dalla Commissione anche grazie all'accoglimento di diversi suoi suggerimenti come relatore di minoranza”.
Analogo, e simmetrico, il giudizio dei consiglieri di Rifondazione comunista. Secondo il comunicato stampa emesso dal PRC sono stati accolti emendamenti che hanno introdotto “concetti che ne modificano profondamente l’impianto”. Precisamente. “le risorse essenziali del territorio sono riconosciute come bene comune della collettività e si introducono in più parti il riuso e la riqualificazione dell’esistente, prima di arrivare a pensare a nuovi insediamenti”, non c’è più “la parola ‘equiordinate’, che metteva sullo stesso piano sviluppo e paesaggio”, si sono reintrodotte “forme democratiche di consultazione nei comuni” e “norme per rendere più facili i controlli sulla regolarità dei contratti di lavoro delle imprese edili”.
Ha votato contro il rappresentante dei Verdi e si è astenuta la rappresentante del Partito dei comunisti italiani, dichiarando che “convintamente voterei contro il provvedimento”, e che quindi il suo voto di astensione”viene determinato dalla valenza politica che ha il voto su una legge come questa per la tenuta della maggioranza”.
Tenuta della maggioranza: chi ha seguito da vicino la vicenda parla di fortissime pressioni del “governatore” Illy, che avrebbe assicurato la rottura della maggioranza (e la prospettiva dello scioglimento del Consiglio) in caso di voto contrario di parti di essa. A chi ha votato a favore occorrerebbe ricordare il rischio espresso dall’adagio latino, “propter vitam vivendi perdere causa”: per sopravvivere, perdere la ragione della propria vita.
In risposta alla richiesta di commenti sul ddl di riforma urbanistica, un documento dell'INU incentrato su tre punti essenziali:
- il carattere del PTR, debole come progetto di territorio ma autoritativo nelle scelte che interessano la Regione, privo di strumenti di condivisione, e caratterizzato dalla previsione delle soglie, che non è accettabile nè in linea teorica nè per gli aspetti pratici;
- l'assenza di una vera pianificazione sovracomunale;
- la mancata indicazione di una validità temporale limitata per il POC, che vanifica il carattere innovativo della pianificazione comunale.
Il recente disegno di legge sulla “Riforma dell’urbanistica e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio” si sta avviando all’esame del Consiglio regionale nella formulazione sostanzialmente approvata dalla Giunta regionale nello scorso mese di novembre; in contemporaneo gli uffici regionali stanno lavorando alla formazione del PTR.
La proposta legislativa si caratterizza in modo particolare per alcuni aspetti sostanzialmente dissonanti rispetto alla “koinè normativa” delle altre regioni, che possono essere così del tutto sinteticamente enunciati:
- la Regione si riserva alcuni ambiti di esclusiva competenza sui temi territoriali, prefigurando delle soglie quali-quantitative, al disopra delle quali pianifica e decide senza coinvolgere il sistema delle istituzioni locali;
- al di sotto di tali soglie la competenza della pianificazione, sia comunale che sovracomunale è dei Comuni, senza “interferenze” regionali;
- non è previsto il livello della pianificazione provinciale;
- per il livello comunale viene correttamente previsto lo sdoppiamento dello strumento di piano, attribuendo però durata illimitata anche al Piano Operativo.
L’articolato proposto induce nel Consiglio Direttivo dell’INU e nei soci non poche perplessità e preoccupazioni, sia per gli aspetti sopra enunciati che per l’eccessiva schematicità e imprecisione di molti dei contenuti legislativi, e non da ultimo per il rinvio di molte delle disposizioni normative (in molti casi di indiscutibile rango legislativo) a successivi provvedimenti regolamentari. Un approccio questo che rischia di riproporre il confuso intreccio di norme di matrice statale e regionale, nonché di disposizioni legislative e regolamentari, che caratterizzava anche il Friuli Venezia Giulia negli anni Ottanta, prima appunto del “testo unico” di cui alla legge regionale n. 52.
Per quanto riguarda le attribuzioni riservate alla Regione e i contenuti del Piano Territoriale Regionale, la Sezione regionale dell’INU ha già espresso varie osservazioni critiche in sede di approvazione della legge n. 30/2005 che ha dato avvio alla formazione del PTR.
Esse riguardano in particolare il fondato dubbio sulla capacità del PTR, come è stato pensato e come in concreto si va configurando nel suo ormai avanzato processo di formazione, di costituire un effettivo momento di definizione di politiche generali e di adeguato respiro temporale sia per le tutele che per le trasformazioni territoriali, definendo regole e modelli di assetto riconosciuti e condivisi. Da questo punto di vista la separazione di competenze sulla base di soglie (per le quali peraltro resta evidente la difficoltà di una definizione) tra Regione e Comuni costituisce una scelta non condivisibile né sul piano concettuale né su quello operativo. Manca inoltre la possibilità di una interazione dei vari livelli istituzionali, titolari di competenze e conoscenze diversificate, già nella fase di formazione del PTR. Va rimarcato infine come la natura del PTR ne faccia uno strumento, almeno teoricamente, assai autoritativo nei confronti dei Comuni i quali, al di là dell’istituto dell’“intesa”, dovranno comunque conformarsi ad esso diventando, per i temi di competenza regionale, meri terminali. Nella sostanza, pertanto, non sembrano veramente superati i meccanismi della pianificazione gerarchica Regione-Comuni, secondo le consuete logiche caratterizzanti anche il “vecchio” PURG del 1978.
Il livello della Pianificazione sovracomunale, inteso con riferimento all’area vasta, resta sostanzialmente non risolto nell’articolato proposto.
Al di là della questione su quale debba essere il soggetto titolare di tale livello (argomento su cui la Regione ha espresso una decisa scelta di campo in controtendenza con le altre realtà regionali, escludendo di fatto le Province), il presidio dei temi di area vasta dovrebbe venir assicurato da strumenti di respiro e scala adeguati. Quella che è prevista nell’articolato pare invece sia meglio definibile come “pianificazione intercomunale”, e in tal senso va considerata positivamente, anche se devono essere messi a punto strumenti concretamente operativi e ben finalizzati agli obiettivi indicati.
La speranza nei meccanismi di concertazione e di copianificazione di area vasta rimane invece sostanzialmente delusa. Una vera concertazione sulle strategie territoriali locali non è mai prevista in quanto gli istituti previsti dalla norma (conferenza di pianificazione, l’intesa Comune-Regione ecc.) sono affidati a meccanismi burocratico-istruttori che rischiano di ingenerare non solo incertezze giuridiche o eccessi di rigidità nell’autorizzare preventivamente scelte territoriali ma anche separazione tra sviluppo d’area vasta e pianificazioni comunali. Tutto ciò lascia la scala territoriale intermedia sostanzialmente priva di veri strumenti di dialogo, di partecipazione e di progettazione del territorio.
Rispetto a queste scelte, ma anche a queste forti incertezze, la Sezione regionale dell’INU invece ha ribadito che il piano sovracomunale è l’anello fondamentale di raccordo tra previsioni regionali e comunali e che la sua dimensione non va definita solo in base alle intese tra amministrazioni locali, ma deve essere anche individuata nel PTR, partendo dalla identificazione di ambiti territoriali significativi. In altri termini la scala sovracomunale va intesa come la dimensione alla quale si opera una concertazione delle strategie territoriali locali cui poi farà riferimento il livello decisionale comunale.
Lo sdoppiamento della Pianificazione comunale nelle due componenti strutturale (con contenuti esclusivamente programmatici e quindi con valenza non conformativa) e operativa (con previsioni prescrittive e conformative) è da tempo auspicato dall’INU nazionale ed è stato esplicitamente sollecitato dalla nostra Sezione nel corso del convegno di Villa Manin svoltosi nello scorso mese di giugno. In tal senso si muove anche l’articolato approvato dalla Giunta Regionale, sebbene in più parti non persegua le medesime finalità, in particolare non indicando una durata limitata nel tempo per il piano operativo.
Un’ulteriore sollecitazione che si è ritenuto di sottolineare riguarda la necessaria equiparazione dei diritti pubblici (vincoli espropriativi) e dei diritti privati (edificabilità), il tutto connesso alla assoluta opportunità di stabilire una scadenza quinquennale della componente operativa, con l’obiettivo di attribuire al piano l’effettivo valore di guida nell’evoluzione (e non di congelamento) di un determinato territorio, con previsioni tempestive e ancorate coerentemente alle dinamiche sociali, economiche, infrastrutturali in atto o ragionevolmente ipotizzabili.
Gli strumenti e i contenuti della Pianificazione comunale, così come sono definiti nell’articolato (e tenendo in debito conto che molti aspetti procedurali dovranno essere completati e chiariti dal regolamento di attuazione della legge), configurano un percorso di formazione del piano non sempre ben conseguente e organizzato.
L’attivazione - ad esempio – dei momenti di partecipazione previsti secondo le metodologia di Agenda 21 o il monitoraggio per la Valutazione Ambientale Strategica non è rapportata a corrispondenti fasi di elaborazione progettuale.
Come pure il buon funzionamento delle Conferenze e delle Intese di Pianificazione presuppone un carattere del previsto “Documento Preliminare di Piano”, cui queste faranno riferimento, dai maturi ed espliciti contenuti progettuali. In sostanza sembra necessaria una seria verifica, anche in termini di tempi e di costi, di come i vari pezzi da cui è costituito il nuovo piano comunale possano concretamente funzionare e relazionarsi tra di loro per raggiungere gli obiettivi della legge e soprattutto della pianificazione comunale. Va rilevato infine che la nuova impostazione di progettazione e gestione del Piano potrebbe trovare una significativa semplificazione nei comuni di piccola dimensione (numericamente e territorialmente rilevanti nella realtà della regione) liberando così le amministrazioni da incombenze gravose e non sempre efficaci.
Si mette mano ad una nuova legge urbanistica per molte ragioni che possono spingere verso una riconfigurazione della precedente piuttosto che verso una semplice integrazione. Ed è stato il caso della L. 20/2000.
Si parla di un naturale logoramento dell’apparato giuridico di fronte all’evoluzione dell’ordinamento, conseguenza del mutamento istituzionale: si pensi alle sollecitazioni che negli ultimi anni sono venute dal processo di integrazione europea o da protocolli di ancora più vasta scala, come quelli sul clima o sul commercio.
Un’altra sollecitazione ciclicamente invocata è quella che viene dai nodi irrisolti della struttura normativa e dalle lacune aperte dalle decisioni giurisprudenziali: uno per tutti il tema degli espropri e dell’indennizzabilità dei vincoli.
Ma la sollecitazione più forte che vorrei portare alla attenzione del dibattito politico e disciplinare (nella occasione che si presenta ora di “correggere il tiro” dopo la fase di rodaggio) è quella che viene dal profondo mutamento sociale che è in corso nel Paese, eco sensibile di quanto avviene nel Mondo.
Sollecitazione che pone innanzitutto problemi di efficienza del sistema istituzionale, delle sue regole, delle sue performances amministrative, in un clima di crescente austerità per la finanza locale.
Da questa sfida a riportare il Paese in efficienza l’urbanistica non può chiamarsi fuori e deve innovare le proprie tecniche e le proprie pratiche.
La ricerca di forme praticabili di cooperazione intercomunale - leggibile nel testo regionale di revisione - è una risposta che va nella direzione giusta.
Così come l’utilizzo di modalità perequative che consentano di mobilizzare le inerzie di una “attuazione senza esproprio”.
Così come gli accordi - espliciti e trasparenti - con gli interessi privati in campo, specie nelle operazioni di riqualificazione.
Così come la promozione di accorte forme di integrazione verticale tra le istituzioni che mettano in valore le risorse in mano ai sistemi regionali e alle comunità locali.
Così come dovrebbe esserla (una risposta) la costruzione di percorsi decisionali tempestivi che sappiano coniugare la velocità della decisione con l’assunzione di responsabilità politica e amministrativa nei confronti dei suoi esiti.
La tesi che voglio sostenere è in prima istanza quella che senza un deciso recupero di efficienza non c’è spazio (non si generano risorse reali) per nessuna prospettiva seria di coesione sociale e di sostenibilità ambientale.
Il Paese, il suo paesaggio, si mostra ormai profondamente segnato da una trama sempre meno riconoscibile (nella sua matrice costitutiva) e sempre meno funzionale, anche quando - e sono i casi più numerosi - pienamente legittimata nei suoi presupposti normativi.
Siamo proprio, come dice Marco Revelli, una società a fine corsa? Questo mi pare un quesito cui anche noi urbanisti dobbiamo dare una risposta, cercando le ragioni disciplinari per la rigenerazione di un impegno civile in cui si riconoscano ampi strati della società.
Torniamo, per servire alla domanda, alle sollecitazioni del mutamento sociale di questo inizio secolo.
Innanzitutto registriamo una inaspettata ripresa della crescita della popolazione nelle regioni del centro nord e anche nei loro cuori urbani, dopo vent’anni e più di diffusione suburbana.
Una popolazione invecchiata ormai più per l’aumento della speranza di vita che per la pur drastica riduzione della natalità, ora peraltro in ripresa.
Una popolazione organizzata in nuclei famigliari sempre più ristretti e più atipici (più distanti, per intenderci, dal modello di famiglia del Mulino Bianco ...).
Una popolazione che anche per questo registra una modificazione strutturale dei propri consumi dove pesano sempre più le quote destinate ai consumi indivisibili (le spese per la casa e per i mezzi di trasporto, ripartite su un numero sempre più esiguo di componenti) rispetto a quelli più fortemente individualizzati, sacrificati dalle minori risorse rese disponibili nei bilanci famigliari dalla bassa crescita e dal permanere di un elevato livello di pressione fiscale.
Una popolazione con un forte ricambio anagrafico che tende a modificare il rapporto di identità con i luoghi e pone interrogativi pressanti alle politiche di coesione.
Una popolazione segnata ormai irreversibilmente dalla presenza di una componente straniera che ha coperto i vuoti nel mercato del lavoro ma soprattutto ha risposto alla domanda di servizi di cura che né le risorse fisiche delle famiglie né le risorse finanziarie del sistema di welfare erano ormai in grado di garantire: le badanti dell’est europeo sono state il fattore più rilevante per evitare una crisi verticale del modello di vita della nostra società “affluente”.
Già nel titolo la proposta di legge di iniziativa della Giunta Regionale per la modifica e l’integrazione della legge urbanistica e di quella sulla riqualificazione urbana si mostra sensibile a queste sollecitazioni e ha il merito di riportare il tema della casa e della sua domanda sociale al centro della attenzione.
Mi pare che questa vada senz’altro registrata come la novità più interessante del nuovo disegno di legge.
Ovviamente questa innovazione di prospettiva si deve misurare con la diversa capacità di adeguamento che la struttura degli articolati della 20 e della 19 mostrano.
La 19 registra il nuovo standard del 20% di edilizia sociale come prestazione immediatamente eseguibile dai suoi PRU, una volta che sia costruita la condivisione sociale necessaria e varata la nuova disciplina.
Più complesso appare l’adattamento della 20 nella quale l’assorbimento del 20% di edilizia sociale è demandato ai PSC di futura formazione ed è reso più complesso dal suo allineamento allo standard di servizi piuttosto che ad una opportuna misura perequativa.
In ballo è la tempestività e l’efficacia di una manovra fondiaria per troppo tempo sottovalutata (e sotto-praticata) che deve rispondere alla domanda abitativa di una quota ormai non più marginale di famiglie che non sono in grado di sostenere l’onere del costo di mercato (affitti o mutui) dell’accesso ad una abitazione decorosa.
Ma è proprio della nuova figura del PSC che si dovrà tornare a parlare per l’importanza che ad esso si attribuisce, a ragione quando si vuole mettere in risalto l’importanza delle questioni strategiche e strutturali che deve governare, in modo meno convincente quando lo si chiama a risolvere l’annosa vicenda della sentenza della Corte Costituzionale sulla onerosità della reiterazione dei vincoli, questione risolta di fatto dalla perequazione.
Una nuova figura che è chiamata finalmente a misurarsi esplicitamente con i temi della sostenibilità (e della sua valutazione), dovendo rendicontare il “rendimento ambientale” del piano, in particolare dimostrare la sua consapevolezza sulle questioni fondamentali della sostenibilità sociale ( welfare/casa/piano dei servizi), dei nuovi modelli di mobilità, della minimizzazione del consumo delle risorse primarie irriproducibili e del prelievo sostenibile di quelle rinnovalbili.
Pochi anni prima della nuova legge ci è capitato di costruire una esperienza di pianificazione intercomunale per la Città del Rubicone, quando di reti locali – tema oggi all’ordine del giorno - non parlava quasi nessuno e di approccio strutturale (e strategico) al piano comunale parlavano solo i modenesi.
Più tardi, a Bologna, l’aggettivazione “strategico” accanto a strutturale ci sembrò un modo per suggerire un modello di piano – oggi pare quasi assodato - che risultasse trasparente, selettivo, negoziale, sostenibile, integrato e che consentisse al capoluogo regionale di recuperare senza danni un ritardo di molti anni nello sviluppo delle strategie del governo urbano (e metropolitano).
La costruzione (l’impianto) di un piano strategico e strutturale siffatto, dovrebbe durare un anno o poco più, per consentire il mantenimento di quella “mobilitazione straordinaria” di energie morali, intellettuali professionali e politiche che devono centrare diagnosi convincenti e condivise e avviarle a soluzione con strumenti e strategie non solo urbanistiche.
Senza l’alibi di quadri conoscitivi ipertrofici e con una VAS/VALSAT che funzioni.
I PSC della 20 - non v’è dubbio - stanno durando assai di più. Tra i compiti di una riforma della 20 che voglia anche rispondere alle esigenze di riportare a una efficienza “solidale” il Sistema Regionale, quello di disegnare procedure e di attribuire compiti, coerenti con questa esigenza di tempestività efficace, non è sicuramente il minore.
In buona sostanza c’è da riflettere su una forma piano che non butti via – con l’acqua sporca - anni di esperienza nella gestione del piano nella sua dimensione regolativa e conformativa dei diritti (RUE+POC = piano dei suoli) ma introduca nel modo giusto quella dimensione strategica di cui avvertiamo la carenza.
C’è bisogno quindi di mettere in campo uno strumento (PSC = masterplan?) che tratti efficacemente di sostenibilità, che risolva positivamente la complessità dei rapporti interistituzionali, che agisca immediatamente sullo strumento vigente, in quanto questo sia in contrasto con quello, uno strumento che individui gli ambiti di intervento e le azioni di riqualificazione da avviare su corsie preferenziali, e che impegni gli attori politici e le discipline tecniche a rendere evidenti, e perciò stabili e condivisi, i contenuti strategici e strutturali da trasferire poi al “disegno” del piano dei suoli.
Una nuova dimensione del Piano e del suo processo, che richiede particolari investimenti in cultura, tecnologia e organizzazione per realizzarsi compiutamente, ma che non può costringere i comuni a raddoppiare tempi e costi senza che questo corrisponda ad un effettivo, proporzionale, miglioramento dei risultati.
Qui i materiali sul progetto di legge in discussione
È all’esame della giunta regionale il PdL "Governo e riqualificazione solidale del Territorio". Presentato dall’assessore Gilli, prevede la modifica di quattro leggi, tra le quali anche la LR20/2000, "Disciplina generale sulla tutela e l´uso del territorio".
Qui sotto i link ai documenti illustranti il PdL (relazione, articolato, testo coordinato delle leggi vigenti con le modifiche proposte), in formato .doc e .pdf (d.v.)
Per inquadrare il disegno di legge sulla riforma della pianificazione territoriale in Friuli Venezia Giulia, in un contesto che ne spieghi le motivazioni e le finalità, è opportuno partire dal suo retroterra “storico”.
Fase 1: Il PRGC
Cominciamo quindi col dire che “c'era una volta un sindaco”, il quale governava una città di mare all'estremo nord est d'Italia, appoggiato da una maggioranza di partiti “progressisti”. Questo sindaco decise che una delle priorità della città, economicamente un po' assopita (al pari di molte altre in Italia) e politicamente – fino ad allora – tutt'altro che progressista, era il rilancio dell'edilizia. I costruttori, ovviamente, avevano parte rilevante in questa decisione.
Detto fatto, il sindaco prese un piano regolatore – in elaborazione da alcuni anni e affidato dai suoi predecessori all'architetto (1) di fiducia di un politico nazionale appena caduto in disgrazia per ignominiose vicende di tangenti (2) - e dopo aver sostituito di volata un assessore recalcitrante (3) ne affidò il “perfezionamento” ad un nuovo assessore assai competente (4), in quanto organico al Collegio costruttori. Costui riuscì a portarlo molto vicino all'approvazione, ma qualcuno dei consiglieri “progressisti”, malgrado tutto, recalcitrava, osando addirittura proporre modifiche al piano ispirate alle critiche che gli ambientalisti propugnavano da tempo. Critiche che prendevano di mira il dimensionamento eccessivo del piano (progettato per una città di 270 mila abitanti, che invece ne contava 220 mila, in diminuzione ulteriore), le massicce edificazioni previste nelle aree più belle e preziose sotto il profilo paesaggistico e naturalistico come sull'altopiano carsico e sulla costa (14 nuove zone di espansione residenziale – cioè villettizzazione massiccia – soltanto nella fascia costiera!), la pressochè nulla tutela per vaste aree urbane caratterizzate da edifici di pregio storico-architettonico, ecc.
Alla fine però il sindaco impose la propria volontà ed anche i consiglieri critici finirono per votare il piano. Il sindaco però rimase assai scontento di tutta la vicenda e si dimise in anticipo dalla carica, costringendo il Comune ad elezioni anticipate, alle quali stavolta si presentò con una lista di “fedelissimi” che portava il suo nome e fu rieletto.
C'era però in quel tempo anche una Regione, governata dalla stessa maggioranza progressista del sindaco, che tuttavia conservava ancora un po' di orgoglio per un'urbanistica di cui un tempo – ormai lontano - era stata faro in tutta la nazione. Ai tecnici regionali e all'assessore di allora (5) il piano regolatore del sindaco triestino non piaceva proprio e fecero quindi quel che la legge regionale consentiva ed era stato fatto in altri casi (ma non in tutti, purtroppo): imposero alcune modifiche, laddove il piano confliggeva platealmente con il paesaggio da tutelare: alcuni gruppi di ville sulla costiera, alcune sciagurate previsioni edificatorie in Carso, ecc.
Mal gliene incolse! Il sindaco si adombrò alquanto e innescò una violenta polemica con la Regione “matrigna e prevaricatrice”, irrispettosa della sacra autonomia comunale (e della sua persona), castrante di fronte alle prospettive di “sviluppo” della città, ecc. Giunse addirittura a chiede le dimissioni degli assessori originari della sua città, che sedevano nella Giunta regionale, per costringere quest'ultima a sciogliersi.
Ne sortì una battaglia legale, durata un paio d'anni e conclusa da una decisione del Consiglio di Stato (6), il quale diede torto alla Regione, perchè ribadì quanto gli ambientalisti andavano predicando – inascoltati - da oltre un decennio: occorre un piano paesaggistico (previsto da una legge dello Stato (7) fin dal 1985), che quella Regione – pur un tempo all'avanguardia - non aveva però mai voluto fare. Soltanto dotandosi di tale strumento, le modifiche ai piani regolatori comunali motivate da esigenze di tutela del paesaggio possono considerarsi legittime.
Il sindaco però la raccontò diversa – e tanti continuano a farlo tuttora – vale a dire spacciando quella decisione del CdS come una vittoria fondamentale dell'autonomia comunale contro il “centralismo” della Regione.
Intanto, l'effetto pratico fu però la reviviscenza delle previsioni devastanti che la Regione aveva modificato, come chiunque dia uno sguardo, ad esempio, alla fascia costiera triestina (perchè è ovviamente di Trieste che narra la storia) può facilmente constatare de visu. Dettaglio non privo di importanza: quasi tutti gli interventi edilizi previsti dal piano regolatore sono firmati dall'ex assessore all'urbanistica che il sindaco volle fortissimamente a gestire la fase cruciale del piano.
Assessore nel frattempo sostituito nella carica da un'attivissima ingegnere (8), poi assurta a ben maggiori incarichi anche politici (attuale assessore all'ambiente e pianificazione nella Provincia triestina, nonché consulente della Regione per la stesura del PTR), diligente nel gestire l'attuazione del piano fino alla scadenza del mandato del sindaco.
Fine della storia? No, soltanto l'antefatto, perchè la storia che più ci interessa comincia ora.
Dopo un paio d'anni alla Camera come deputato del gruppo misto, ancorchè eletto grazie all'appoggio del centro-sinistra (il che non impedì al nostro di apprezzare e votare la “legge obiettivo” di Berlusconi e Lunardi), ecco infatti l'ormai ex sindaco di Trieste diventare presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. Correva l'anno 2003.
Fase 2: Infrastrutture, territorio e paesaggio in FVG
Nel programma della nuova Giunta sui temi della pianificazione territoriale e del paesaggio non c’è nulla, e assai poco anche su quelli ambientali. C’è parecchio invece per quanto concerne le politiche industriali, l’innovazione e la competitività del sistema produttivo regionale, ecc.
Un sintomo abbastanza chiaro, per chi l’avesse voluto cogliere, dell’indirizzo che il nostro intendeva dare all’attività dell’amministrazione regionale.
Gli atti successivi non facevano che confermare l’impressione di una Giunta intenta a rispondere soprattutto alle “esigenze” – spesso soltanto presunte - del sistema produttivo, così come rappresentate dalle istanze organizzate dello stesso (Confindustria in primis, ovviamente).
Ecco quindi, similmente a quanto fatto a Trieste per compiacere la lobby dei costruttori, l’enfasi estrema sulle infrastrutture di trasporto (ferrovie ad alta velocità, ma anche – e soprattutto – strade ed autostrade) e su quelle energetiche (elettrodotti, rigassificatori).
Il tutto, ben inteso, anche quando aveva ed ha ovvie e pesanti ricadute territoriali, paesaggistiche ed ambientali, al di fuori di qualsiasi quadro programmatico e pianificatorio: l’infrastruttura come postulato, come a priori. Non quindi un approccio problematico, che cerchi di capire – il più possibile oggettivamente, sulla base di studi, analisi costi-benefici, valutazioni strategiche e di impatto ambientale – quali e quante infrastrutture servano davvero al Friuli Venezia Giulia e siano compatibili con i valori irrinunciabili del suo territorio, bensì il progetto dell’opera come punto di arrivo che non si può discutere, al quale vanno subordinati piani e strumenti di tutela.
Con questa impostazione, si giunge però anche a situazioni ridicole, come quella in cui il nostro diventa addirittura “certificatore di qualità paesaggistiche”. Accade a Sistiana, febbraio 2005, quando il presidente della Regione incontra il sindaco di Duino-Aurisina (un ex collega, in fondo…) e l’imprenditore privato (un altro collega…) che in quella baia vorrebbe realizzare un ignobile mega-progetto turistico-immobiliare e “attesta” l’alto valore paesaggistico dell’intervento, proponendo addirittura. delle “migliorie” (peraltro ridicole o impossibili a realizzarsi). Di fronte ad un progetto, si badi bene, tenuto segreto a tutti (ma non a lui) allora e tuttora segreto oggi. Ma bisogna pur aiutare le iniziative imprenditoriali. Inutile dire che gli uffici regionali competenti in materia, di fronte a tanto autorevole certificazione, si sono prontamente adeguati….
Poco importa, naturalmente, che la pianificazione paesaggistica regionale sia, come detto, inesistente e che l’unico timido tentativo di costruirne una, proprio per la fascia costiera triestina, sia stato seppellito già nel 2003 dal nostro con la perentoria affermazione (recepita in delibera di Giunta) secondo cui nel PTRP con valenza di piano paesaggistico per la costa triestina “…non saranno inserite previsioni che contrastino o contraddicano gli strumenti urbanistici dei comuni interessati” (9). Non sia mai che a qualcuno venga in mente di rivedere la villettizzazione prevista dal PRGC di Trieste proprio in quell’area!
Del resto, ancor prima a Lignano, la pineta di proprietà dell’EFA, assoggettata a vincolo paesaggistico nei primi anni ’90 proprio per decisione della Regione, è stata sventrata per far posto ad alcuni edifici sportivi privati (che avrebbero potuto benissimo trovar posto altrove). In questo caso, non si è esitato ad applicare la normativa sui lavori pubblici (10), trattandosi sì di un intervento privato, ma sostenuto da un contributo regionale (11) e quindi parificato ad un’opera di pubblica utilità. Una normativa, ça va sans dire, che permette di scavalcare agevolmente piani e vincoli ed è assai sbrigativa sotto il profilo delle valutazioni ambientali e paesaggistiche.
Non che il nostro sia del tutto allergico alla pianificazione, beninteso. Basta che i piani siano costruiti a sua immagine e somiglianza e cioè contengano tutto ciò che lui vuole (infrastrutture, ecc.) e non contengano ciò che non vuole (vincoli paesaggistici o ambientali insuperabili, ad esempio). Ecco quindi che, di fronte ad alcune – grosse - difficoltà insorte nell’iter di un progetto che gli sta particolarmente caro, cioè la linea ferroviaria ad alta velocità Venezia – Trieste, spunta improvvisamente l’urgenza (neppure accennata, come detto, nel programma di Giunta) di un Piano Territoriale Regionale. O meglio, di una legge che ne indichi finalità e procedure. L’obiettivo vero è però un altro, come vedremo.
Ecco, quindi, il solerte assessore Sonego approntare di gran carriera quella che sarebbe diventata poi la legge regionale 30 del 2005. La quale legge all’art. 5 espone sinteticamente tutte le proprie “coordinate culturali”: l’economicismo di fondo, la confusione dei piani e degli obiettivi, la demagogia e l’indeterminatezza delle enunciazioni. E’ infatti questo, probabilmente, il primo caso in cui ad un Piano territoriale si impongono “equi-ordinate” finalità strategiche quali “la conservazione e la valorizzazione del territorio regionale, anche valorizzando le relazioni a rete tra i profili naturalistico, ambientale, paesaggistico, culturale e storico” insieme alle “migliori condizioni per la crescita economica del Friuli Venezia Giulia e lo sviluppo sostenibile della competitivita’ del sistema regionale” (12).
Che cosa significhi poi, anche dal mero punto di vista semantico, “lo sviluppo sostenibile della competitivita’ del sistema regionale”, è questione troppo ardua per essere risolta dalle modeste capacità del sottoscritto e richiederebbe ben altre doti esegetiche. Ma tant’è, così si scrivono le leggi oggi in Friuli Venezia Giulia.
Naturalmente, il vero obiettivo della legge 30 era ben altro. Vale a dire le infrastrutture. Il Capo II della legge è infatti costruito con l’obiettivo dichiarato di “preservare la possibilità di realizzare infrastrutture strategiche ovvero di dotare la Regione di strumenti che ne facilitino la realizzazione”(13). Ecco quindi, sempre rigorosamente al di fuori di qualsiasi previsione pianificatoria (comprese le previsioni del futuro PTR!), strumenti come la sospensione provvisoria dell’edificabilità “sulle domande di concessione o di autorizzazione edilizia in contrasto con progetti che siano stati dichiarati di interesse regionale”. La dichiarazione spetta, ovviamente, alla Giunta regionale. Il testo originario del disegno di legge indicava esplicitamente alcuni di questi progetti strategici: le “opere ferroviarie di attuazione del Corridoio V e quelle ad esso complementari” e le “opere del nuovo collegamento stradale Cervignano-Manzano e quelle ad esso complementari” . Indicazioni poi espunte, per pudore, nel testo definitivo.
Con tali premesse, appariva abbastanza chiaro cosa ci si potesse aspettare dal PTR. Il PTR, beninteso, non c’è ancora. Esiste, per il momento, soltanto un – corposissimo – “Documento preliminare al PTR”(14), sul quale è stato anche avviato un pretenzioso “processo partecipativo” ispirato (si vorrebbe far credere) ai principi di Agenda 21.
Anche il commento di dettaglio del WWF su tale elaborato è compreso nella cartellina. Qui basti dire che dalle 550 (!) pagine del documento non emerge alcun indirizzo chiaro, per quanto concerne elementi imprescindibili di ogni serio strumento di pianificazione territoriale, come le questioni ambientali e del paesaggio: imprescindibili specie per un PTR che si vorrebbe abbia anche valenza di piano paesaggistico!
Invece, anche qui, emerge con assoluta evidenza l’approccio essenzialmente economicistico alle questioni territoriali e l’enfasi sulle infrastrutture strategiche, accanto a “perle” di assoluto valore umoristico – ancorché involontario – quali l’impagabile finalità del Piano consistente nell’“offrire sostegno alla zootecnia ed al pascolo (con reintroduzione di cavalli, mucche, ovini che a livello di coscienza collettiva contribuiscono a ‘fare paesaggio’)”.
Men che meno, si rinvengono nel documento preliminare, indicazioni forti in merito ad una concezione moderna del paesaggio e dell’ambiente naturale, concezione che pur era presente – almeno in nuce – nel PURG del 1978,. Una concezione cioè che si incentri sulla tutela degli ecosistemi, più che di singole “isole” di pregio naturalistico, che di conseguenza punti alla tutela e al recupero delle connessioni funzionali tra gli ecosistemi stessi attraverso un sistema di reti ecologiche e di corridoi naturalistici (tenuto conto, ovviamente, della straordinaria concentrazione di biodiversità presente – malgrado tutto - nel pur limitato territorio regionale). Una concezione, va riconosciuto, ardua da accettare per chi concepisce il futuro del Friuli Venezia Giulia essenzialmente come “piattaforma logistica” e le “reti” le vede rappresentate soltanto da strade, ferrovie ed elettrodotti…
Date le premesse, si attende ovviamente con ansia la stesura effettiva del PTR, per vedere come simili “finalità” si possano poi tradurre in contenuti pianificatori.
Naturalmente, però, le infrastrutture non possono attendere i tempi, inevitabilmente lunghi, di un PTR. Ecco quindi che, a latere di tutto ciò, si percorrono anche altre strade.
Una di questa è quella che punta ad estorcere al Governo impegni – politici ed economici – per le cose che interessano. Ecco allora il Protocollo d’intesa tra la Regione Friuli Venezia Giulia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, predisposto la scorsa estate dal presidente della Regione raccogliendo anche i contributi di vari esponenti politici di maggioranza ed opposizione e – ahinoi – sottoscritto dal Presidente del Consiglio il 4 ottobre scorso.
Il commento del WWF sul Protocollo è disponibile nella cartellina. Qui basti rimarcare che, in perfetta continuità con quanto detto prima a proposito di infrastrutture, il Protocollo contiene una nutrita “lista della spesa” relativa alle opere – viarie – che la Regione chiede di finanziarie, ovvero di sostenere nelle successive fasi progettuali, ovvero di agevolare (è il caso della Sequals-Gemona) mettendo in riga i funzionari recalcitranti che in qualche Soprintendenza si ostinano a non volersi sottomettere ai desiderata dei sindaci e delle categorie economiche. Il tutto, al solito, prescindendo da qualsiasi pianificazione o programma, come dimostra il caso eclatante del collegamento tra la A 23 e la A 27 attraverso il traforo della Mauria, opera – voluta da alcuni ambienti economici soprattutto veneti - inserita a forza nel Protocollo soltanto perché “prevista” da un’intesa estemporanea stipulata nell’aprile 2004 tra il presidente del Friuli Venezia Giulia, quello del Veneto ed il ministro delle Infrastrutture. Sono questi gli unici atti programmatici che contano e che devono prevalere, secondo il nostro, su qualsiasi piano e programma.
Il guaio è che finiscono per prevalere anche su elementari considerazioni di sostenibilità tecnico-economica delle opere (per non parlare della sostenibilità ambientale), sulle doverose esigenze di coinvolgimento ed informazione dei cittadini, scavalcando di fatto perfino procedure di valutazione pur prescritte da Direttive europee come la V.A.S. (15).
Proprio come accade con la linea ferroviaria ad alta velocità Venezia –Trieste.
Pur tuttavia, uno straccio di piano bisognerà pur produrlo, non foss’altro perché ormai l’iter del PTR è avviato e dei soldi – non pochi, si può immaginare – sono stati spesi, per consulenze e altro, ma anche perché lo prescrivono le normative nazionali, almeno per quanto concerne il paesaggio (D. Lgs. 42/2004 e s.m.i.). Che fare? Ovviamente, bisogna che il piano corrisponda, almeno nella forma, a quanto previsto dalle norme statali. Ecco allora intervenire l’Intesa interistituzionale tra la Regione, il Ministro per i beni e le attività culturali ed il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare “per l’elaborazione congiunta del piano territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici”, predisposta dal solerte Sonego (16) e inviata per la sottoscrizione a Roma.
Un sintomo di rinsavimento? Mica tanto, perché il testo dell’Intesa proposto dalla Regione prevede (art. 3) che gli “indirizzi preliminari e generali di cui tener conto nell’elaborazione del PTR” sono costituiti, ovviamente, dal “Documento preliminare al PTR”, quello delle 550 pagine di cui sopra, con mucche, cavalli e ovini che contribuiscono a fare paesaggio.
C’è quindi di che temere, a meno che… A meno che nei Ministeri competenti qualcuno non trovi il buon senso per ridiscutere il tutto e soprattutto per riappropriarsi del proprio ruolo, mettendo un freno alla deriva “sviluppista” ed infrastrutturale del Friuli Venezia Giulia. In fondo, a tutt’oggi, la competenza prevalente in merito alla tutela del paesaggio appartiene allo Stato e la Regione Friuli Venezia Giulia non ha certo ben meritato finora, in questo campo.
Fase 3: ?
Il disegno di legge “Sonego” (vale a dire il n. 212, presentato l’8 novembre 2006), dal quale siamo partiti, appartiene al futuro, nel senso che il suo iter deve appena cominciare.
Per quanto detto sopra, tuttavia, motivazioni e finalità appaiono facilmente identificabili.
Da un lato, infatti, viene abrogata pressoché interamente la L.R. 30/2005, fatta eccezione – ovviamente - per i soli articoli “importanti”, vale a dire quelli finali sulle infrastrutture strategiche e sui progetti delle opere di interesse regionale. L’abrogazione è però solo apparente (17), perché i contenuti e la stessa dizione degli articoli abrogati, salvo marginali modifiche di forma, sono riprodotti invariati nel nuovo testo. Così è anche, quindi, per l’ ”equiordinazione delle finalità strategiche”, delle continuano a far parte anche le già citate “migliori condizioni per la crescita economica del Friuli Venezia Giulia e lo sviluppo sostenibile della competitivita’ del sistema regionale”.
Si aggiunge però una completa rivisitazione degli strumenti urbanistici anche a livello comunale, solo accennata nella L.R. 30/2005 (18). Viene quindi in sostanza abrogata la L.R. 52/1991, sostituita da una disciplina che introduce una congerie di strumenti del tutto nuovi. Oltre al citato PTR, infatti, sono previsti il PSC (Piano Strutturale Comunale), il POC (Piano Operativo Comunale) ed il PAC (Piano Attuativo Comunale), ma anche il DPP (Documento Preliminare di Piano), la “Conferenza di pianificazione”, l’”Intesa di pianificazione”, senza dimenticare l’Unione Speciale di Pianificazione e conservando anche i piani regionali di settore ed i piani territoriali infraregionali, previsti dall’attuale L.R. 52/1991.
In sintesi, secondo il WWF il disegno di legge 212 è inaccettabile perché:
- non si pone esplicitamente l’obiettivo prioritario di tutelare il territorio ed il suolo (in particolare quello agricolo) arrestandone il consumo;
- favorisce anzi, anche ricorrendo agli strumenti della perequazione e della compensazione urbanistica e territoriale, pratiche perniciose di “urbanistica contrattata” funzionali esclusivamente agli interessi della speculazione immobiliare;
- non chiarisce in alcun modo la definizione del confine tra le competenze di Regione e quelle dei Comuni per quanto concerne la “pianificazione della tutela e dell’impiego delle risorse essenziali di interesse regionale”;
- complica irrazionalmente le procedure di formazione degli strumenti urbanistici di livello comunale (PSC, POC, PAC, Intese, ecc.);
- limita fortemente le possibilità di partecipazione del pubblico alla formazione degli strumenti urbanistici (19), senza precisare in alcun modo modalità e strumenti per l’implementazione delle metodologie di Agenda 21 e le procedure di VAS (richiamate solo formalmente nel ddlr) nella formazione e nella valutazione degli strumenti urbanistici;
- incentiva forme di pianificazione sovracomunale funzionali principalmente all’ulteriore cementificazione del territorio (cfr. art. 26, c. 2, lett. a).
In più, per quanto concerne la gestione delle competenze relative alla tutela del paesaggio, viene confermata – peggiorandola – l’attuale situazione, che vede la delega ai Comuni di competenze delicatissime, senza alcun indirizzo neppure per quanto concerne il funzionamento delle Commissioni consultive locali (art. 45), dalle quali scompare anche l’obbligo (previsti dalla L.R. 52/1991 per le Commissioni Edilizie Integrate) di ricorrere ad alcuni esperti designati dalle associazioni ambientaliste.
Chi ha approfondito il funzionamento delle attuali Commissioni Edilizie Integrate, ha potuto verificare agevolmente la totale arbitrarietà di quanto vi accade in molti Comuni (convocazioni ai componenti oggi per domani, ordini del giorno comunicati il giorno stesso della seduta, assenza di verbali, ecc.). Il che avrebbe dovuto indurre la Regione ad assumere per lo meno qualche funzione di indirizzo e controllo, mentre invece si va nella direzione opposta.
Da un certo punto di vista, comunque, il ddlr 212 potrebbe essere letto anche come un tentativo di recupero di competenze – almeno rispetto alla prassi attuale - da parte della Regione, per quanto concerne la pianificazione delle “risorse essenziali di interesse regionale”.
In teoria, infatti, il PTR potrebbe dare origine ad un vero piano paesaggistico “valorizzando le relazioni a rete tra i profili naturalistico, ambientale, paesaggistico, culturale e storico”(20), e potrebbero essere puntualmente definite le competenze regionali nel settore fornendo nel contempo precisi indirizzi vincolanti alla pianificazione sub-regionale per la tutela di queste risorse, assumendo come fondamento la già citata tutela e ricostruzione delle reti ecologiche.
Sarà così? Viste le premesse ricordate sopra, mi permetto di dubitarne, specie di fronte a reiterate dichiarazioni dell’ottimo assessore Sonego, secondo le quali “il territorio è dei Comuni”, mentre obiettivo della politica urbanistica regionale è “una Regione più ricca e più felice”.
C’è quindi da temere che anche in futuro il panorama, ad esempio, della pianura friulana sarà sempre più caratterizzato dalla triade “capannoni-pioppeti-antenne per cellulari”.
Il WWF, naturalmente, non intende rassegnarci a ciò auspica che, anche grazie ad occasioni di dibattito come quella odierna, chi può (e deve) si faccia sentire, affinchè nelle menti dei legislatori si facciano strada idee coerenti con la tutela del patrimonio ambientale e storico-culturale del Friuli Venezia Giulia, il quale non merita di essere abbandonato nelle mani della perversa commistione di gretti interessi economici e politici oggi prevalente a livello locale come a quello regionale.
(1) L'arch. Paolo Portoghesi
(2) Si tratta ovviamente di Bettino Craxi
(3) L'ing. Cargnello, dimessosi per non aver voluto accettare i mercanteggiamenti sulla base dei quali veniva costruendosi il PRGC
(4) L'ing. Giovanni Cervesi
(5) Mario Puiatti
(6) Decis. n. 1763/99 dell’8 giugno 1999
(7) La L. 431/1985, c.d. “Galasso”
(8) L'ing. Ondina Barduzzi
(9) Cfr. DGR 3148 del 17 ottobre 2003
(10) La L.R. 14 del 2002, fortemente voluta dalla Giunta di centro-destra
(11) Si tratta di 4 milioni di Euro!
(12) L.R. 30/2005, art. 5, c. 1
(13) L.R. 30/2005, art. 9, c. 1
(14) Nella stesura del quale ha avuto parte rilevante l’ex assessore all’urbanistica del Comune di Trieste, ing. Ondina Barduzzi
(15) Cfr. Direttiva 2001/42/CE
(16) Cfr. DGR n. 1873 del 28 luglio 2006
(17) L’abrogazione risponde essenzialmente all’esigenza di “togliere di mezzo” quella parte della L.R. 30/2005 che aveva suscitato un ricorso (fondato) alla Corte Costituzionale da parte dell’UPI.
(18) Che infatti rinviava (art. 1, c. 2) ad una futura legge il ”riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica”.
(19) “Chiunque” può formulare osservazioni soltanto sul POC (art. 21, c. 2),ma non sul PTR (art. 9, c. 5), né sul PSC (art. 16, c. 5), né sui PAC (art. 23). Su questi ultimi le osservazioni non sono proprio ammesse, mentre sugli altri strumenti di cui sopra il diritto di formularle è riservato a soggetti “selezionati” (enti ed organismi pubblici, soggetti portatori di interessi diffusi “riconosciuti in ambito regionale”, soggetti nei confronti dei quali le previsioni del piano sono destinate a produrre effetti diretti)
(20) Art. 7, c. 1, lett. a) del ddlr 212
Abbondante materiale sugli argomenti trattati nel testo è disponibile nel sito del WWF Friuli - Venezia Giulia (sezione “documenti”)
Riforma urbanistica: dal fallimento della L.R. 30/2005 un nuovo disegno di legge anacronistico e disorganico
Sta per essere sottoposto all’esame dell’Assemblea delle Autonomie e, successivamente, del Consiglio regionale il disegno di legge regionale “Riforma dell’urbanistica e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio” (DDLR n. 2114/2006), che il WWF Friuli Venezia Giulia ha preso in esame nel dettaglio.
Salta immediatamente all’occhio come il DDLR 2114/2006 abroghi i primi 8 articoli della legge regionale n. 30 del 13 dicembre 2005, cosiddetta “Legge Sonego”, sulla quale il WWF aveva espresso forti critiche. Tale legge, presentata come base della riforma urbanistica regionale e del nuovo Piano Territoriale Regionale, è stata anche impugnata dall’Unione delle Province Italiane e dal Governo. Il DDLR di riforma ora presentato, a distanza di soli 9 mesi, è un segno evidente che le critiche mosse allora dal WWF erano ampiamente motivate, mentre per contro la politica regionale in materia urbanistica appare confusa e priva di chiare linee di intervento.
L’attuale disegno di legge, tuttavia, non appare migliorativo rispetto alla precedente legge regionale 30. Esso non si pone esplicitamente l’obiettivo prioritario di tutelare il territorio e il suolo (in particolare quello agricolo) arrestandone il consumo, come prevedono invece molte normative di altre Regioni italiane. Al contrario introduce pratiche perniciose di “urbanistica contrattata”, quali la perequazione e la compensazione urbanistica e territoriale, che appaiono funzionali esclusivamente agli interessi della speculazione immobiliare.
Il disegno di legge non affronta poi il problema fondamentale della ripartizione delle competenze urbanistiche tra Regione e Comuni, che rinvia a non meglio precisati futuri strumenti normativi. In riferimento alla riforma dei Piani regolatori comunali, il DDLR complica irrazionalmente le procedure di formazione e moltiplica gli strumenti urbanistici di livello comunale (PSC, POC, PAC, Intese, ecc.). Inoltre fa ricadere quasi completamente sui Comuni – attraverso l’incentivazione di forme di pianificazione sovracomunale – le competenze sulla pianificazione d’area vasta, che perdono così la loro funzione di coordinamento e rischiano di favorire un’ulteriore cementificazione del territorio.
Da ultimo, il disegno di legge limita fortemente le possibilità di partecipazione del pubblico alla formazione e valutazione degli strumenti urbanistici, senza precisare in alcun modo l’implementazione delle metodologie di Agenda 21 e le procedure di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), richiamate solo formalmente nel testo. Così come non prevede un utilizzo delle possibilità offerte dagli strumenti informatici, per favorire la condivisione delle conoscenze e incentivare la partecipazione del pubblico all’attività di pianificazione.
Postilla
Se qualche speranza si poteva riporre nel Consiglio delle Autonomie, alla prova del voto, nella riunione del 19 ottobre, essa è rimasta delusa: il Consiglio si è espresso all’unanimità a favore dell’approvazione “con raccomandazioni” del disegno di legge.
Nel comunicato stampa, apparso sul sito della Regione, si legge che l’assessore Sonego, al termine della riunione, ha espresso la propria soddisfazione dichiarando che “Il voto unanime del Consiglio delle Autonomie è un viatico positivo per una rilevante riforma”.
Da quanto per ora si sa “Il disegno di legge che la Giunta invierà al Consiglio manterrà la bipartizione della pianificazione territoriale tra Regione e Comune, la Provincia avrà la funzione di predisporre quadri conoscitivi e strategici di area vasta”.
Per conoscere gli effettivi contenuti, e soprattutto in cosa realmente consista la reintroduzione di competenze per le Province e quali siano ruolo e elementi distintivi di tali “quadri conoscitivi e strategici di area vasta” bisogna aspettare il testo modificato; appena sarà disponibile, si ritornerà sull’argomento (d.v.).
Riportiamo di seguito la relazione illustrativa. In calce il link al testo in formato .pdf, assieme all’articolato e alle note di accompagnamento
La legge regionale 30/2005, che porta norme in materia di Piano Territoriale Regionale, ha recentemente stabilito che la Regione abbandoni molte delle attribuzioni storiche per dare corso ad una nuova politica urbanistica caratterizzata da una forte devoluzione di competenze in direzione dell’ente locale più vicino al cittadino, il Comune, ma allo stesso tempo dichiara che la devoluzione non è il punto di arrivo o l’obiettivo, ma il mezzo per corrispondere meglio alle esigenze dei cittadini e delle imprese.
L’urbanistica del Friuli Venezia Giulia è stata tradizionalmente caratterizzata da un ruolo molto forte della Regione che si è manifestato con molti aspetti positivi e taluno anche negativo. Nel corso del tempo quel ruolo è purtroppo scivolato sempre di più verso un profilo caratterizzato da una invadenza negli aspetti procedimentali più minuti e da una riduzione dell’autorevolezza nel programmare e governare le grandi questioni strategiche di scala regionale. La recente legge regionale 30/2005 statuisce il ribaltamento di tale situazione, assegnando la gestione del territorio al Comune e ridisegna la mission della Regione alle sole azioni di interesse regionale e a queste conferisce una forte cogenza. Sono azioni di governo che trovano riferimento nelle risorse essenziali, anch’esse definite in legge, qualora superino una determinata soglia. La legge regionale stabilisce che il territorio sia governato secondo i principi di pari dignità ed adeguatezza e non più secondo il principio gerarchico, in cui i contenuti del piano sovra ordinato si ripercuotono su quello sotto ordinato, con effetto “a cascata”. La nuova legge impone che la Regione presidi in modo molto efficace i cardini portanti della pianificazione comunale intervenendo sulla struttura del piano, sulle scelte essenziali, divenute patrimonio dell’intera collettività regionale e come tali non più assoggettabili a rivalutazioni sul “se”. La struttura del Piano urbanistico comunale (Piano strutturale comunale – PSC) deve pertanto proporre senza riserve le scelte dello strumento regionale di pianificazione. Tutto il resto rimane nelle determinazioni autonome del Comune, che potrà decidere come organizzare e regolare il proprio territorio, sempre garantendo che gli strumenti attuativi non stravolgano, ma si armonizzino, con il Piano Territoriale Regionale.
La legge regionale 13 dicembre 2005, n 30, oltre a regolamentare le procedure di formazione, adozione ed approvazione del PTR, delinea in modo netto ed innovativo il quadro istituzionale dei soggetti partecipi della pianificazione territoriale. Ne esce il seguente quadro: la legge ripartisce le attribuzioni della pianificazione territoriale tra la Regione e i Comuni e stabilisce che la funzione della pianificazione intermedia è svolta dai Comuni.
In questo quadro è forte la scelta del legislatore regionale, peraltro meditata, di affidare la pianificazione di livello intermedio, di area vasta, al Comune e non più alla Provincia, come previsto dalla vigente legge urbanistica regionale. Le ragioni di tale scelta sono molteplici e sono state ampiamente esposte nel dibattito, talora anche aspro, che su questa tematica si è svolto in Consiglio regionale.
In quale modo la legge regionale ha ripartito le competenze, con quali criteri? La legge regionale è precisa nella sua sinteticità.
La funzione della pianificazione territoriale è del Comune che la esercita nel rispetto dei principi di adeguatezza, interesse regionale e sussidiarietà, nonché nel rispetto delle attribuzioni riservate in via esclusiva alla Regione in materia di risorse essenziali di interesse regionale e in coerenza con le indicazioni del PTR.
Il Comune, in forza del principio di sussidiarietà e di adeguatezza, esercita anche con enti pubblici diversi dal Comune, la funzione della pianificazione territoriale a livello sovraccomunale quando gli obiettivi della medesima, in relazione alla portata o agli effetti dell’azione prevista, non possano essere adeguatamente raggiunti a livello comunale.
La legge regionale stabilisce i casi nei quali il Comune svolge la funzione della pianificazione territoriale a livello sovraccomunale e le forme di cooperazione istituzionale con cui la esercita, quali le associazioni intercomunali previste dall’ordinamento in materia di Autonomie locali.
La funzione della pianificazione della tutela e dell’impiego delle risorse essenziali di interesse regionale è della Regione.
I criteri per individuare le soglie oltre le quali la Regione svolge le proprie funzioni per mezzo del PTR sono stabiliti con norma di rango legislativo.
Con norma di pari livello sono stabilite, altresì, le procedure attraverso le quali la Regione assicura che la tutela e l’impiego delle risorse essenziali siano garantiti dagli strumenti urbanistici di livello subordinato.
Dunque la Regione abbandona una rilevante quantità di funzioni e prerogative, venendo limitata per legge la propria competenza alla pianificazione della tutela e l’impiego delle risorse essenziali di interesse regionale. Vengono in questo modo introdotti i criteri cardine, i pilastri, su cui poggia la nuova disciplina. La competenza regionale può esercitarsi esclusivamente al superamento di una data soglia con riferimento alle risorse essenziali di interesse regionale. I criteri di individuazione delle soglie sono coperti da riserva di legge. La traduzione in atto regolativo dell’interesse regionale avviene per mezzo delle previsioni del PTR.
Il ddlr prevede, in armonia con la tecnica legislativa più evoluta, disposizioni di regolamentazione generale della materia e di principio, mentre la disciplina di dettaglio ed attuativa viene affidata al regolamento di attuazione delle legge, da emanarsi entro termini ristretti (massimo 120 giorni), in modo da assicurare la sostanziale contemporaneità dell’entrata in vigore. Con l’entrata in vigore della nuova disciplina urbanistica saranno abrogate le previgenti leggi regionali di settore, in primis la L.R. 52/1991 e la L.R. 30/2005.
Il ddlr si articola in Parti, Titoli e Capi. Le Parti sono cinque e trattano l’urbanistica (I), l’attività edilizia (II), il paesaggio (III), l’attività regolamentare (IV) e le norme transitorie e finali (V).
La Parte I Titolo I si occupa delle disposizioni generali; precisa le finalità della legge, contiene definizioni utili alla comprensione delle norme, precisa le attribuzioni dei Comuni e della Regione, prevede che la Regione, nello svolgimento delle funzioni attribuite dalla legge, promuove il raggiungimento delle intese obbligatorie con gli organi statali competenti, quanto agli eventuali mutamenti di destinazione dei beni immobili, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato, e contiene l’autorizzazione a stipulare, in attuazione a quanto previsto dal decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 e s.m.i. (Codice dei beni culturali e del paesaggio), con i Ministeri competenti l’intesa per la valenza paesaggistica del PTR.
La Parte I Titolo II contiene la disciplina della pianificazione territoriale.
Il Capo I delinea quella regionale, precisando le finalità strategiche del PTR ( già definite dalla L.R. 30/2005), gli elementi costitutivi, la procedura di formazione, i contenuti prescrittivi e l’efficacia. In particolare si stabilisce che le risorse essenziali di interesse regionale, i livelli di qualità, le prestazioni minime e le regole d’uso individuati nel PTR, costituiscono elementi strutturali della pianificazione territoriale regionale e sono recepiti negli strumenti urbanistici comunali. Sono altresì definiti i criteri per l’individuazione delle soglie, oltre le quali si configurano le risorse essenziali di interesse regionale, che si informano ai criteri funzionale, fisico-dimensionale, prestazionale, regolativo e, per il paesaggio e gli edifici, monumenti e siti di interesse storico e culturale, vocazionale.
Quanto all’efficacia, il Comune è tenuto ad adeguare i propri strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica comunale dalla data di entrata in vigore del PTR e delle sue varianti. L’adeguamento è assolto con l’adozione del PSC entro il termine di due anni, ovvero di tre anni nell’ipotesi in cui Comuni contermini vi provvedano in forma associata. Il decorso infruttuoso di detto termine provoca la sospensione di ogni determinazione comunale sulle domande di rilascio dei titoli abilitativi edilizi, che siano in contrasto con le previsioni del PTR.
Il Capo II tratta dei Piani di settore approvati dalla Regione in applicazione di leggi statali e regionali, imponendo l’obbligo di conformarsi alle prescrizioni del PTR, attraverso una relazione di coerenza con il PTR medesimo. I Piani di settore possono peraltro costituire variante al PTR qualora formati nel rispetto delle finalità, dei contenuti e delle procedure di formazione del PTR medesimo. In questa parte vi è la disciplina dei piani territoriali infraregionali, intesi quali strumenti di pianificazione di enti pubblici, ai quali è attribuita per legge una speciale funzione di pianificazione territoriale per il perseguimento dei propri fini istituzionali. Il piano territoriale infraregionale si conforma alle prescrizioni del PTR e contiene una relazione di coerenza alle previsioni del PTR. I Piani territoriali infraregionali si armonizzano con gli strumenti urbanistici comunali secondo le procedure indicate nel regolamento di attuazione della legge e sono approvati dal Presidente della Regione.
Il Capo III tratta degli strumenti e contenuti della pianificazione comunale, definisce le finalità strategiche del PSC, rapportandole a quelle del PTR, ne stabilisce la durata illimitata e i contenuti (costituisce il quadro conoscitivo idoneo a individuare, conservare e valorizzare le risorse essenziali, recepisce le prescrizioni di PTR, fissa gli indicatori di monitoraggio per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS), stabilisce i criteri per l’utilizzazione delle risorse essenziali di livello comunale, individua gli ambiti territoriali urbanizzati e non urbanizzati e la rete delle infrastrutture, definisce le metodologie e gli ambiti di perequazione urbanistica, compensazione urbanistica e compensazione territoriale), individua la Procedura di formazione del PSC, stabilendo in particolare il suo assoggettamento alle metodologie di Agenda 21 e alla procedura di VAS.
Nell’ambito della procedura di formazione del PSC rivestono particolare importanza i nuovi istituti della Conferenza di pianificazione e dell’Intesa di pianificazione.
La Conferenza esprime valutazioni preliminari di natura istruttoria sul DPP, verifica la completezza e l’aggiornamento del quadro conoscitivo del territorio, raccoglie e integra le valutazioni dei soggetti partecipanti e ne condivide i risultati nel provvedimento finale. Alla conferenza di pianificazione partecipano di diritto la Regione, la Provincia territorialmente competente, i soggetti pubblici che svolgono funzioni pianificatorie, le Amministrazioni statali competenti, nonché i Comuni contermini partecipano Il Comune ha facoltà di convocare altri soggetti pubblici. Nella Conferenza di pianificazione sono prioritariamente promosse le intese necessarie a definire le previsioni urbanistiche di beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato o della Regione, nonché di quelli ricadenti in ambito territoriale di competenza di soggetti di diritto pubblico ai quali leggi statali o regionali attribuiscono specifiche funzioni di pianificazione.
L’Intesa di pianificazione tra Regione e Comune recepisce nel PSC le prescrizioni di PTR e considera i progetti dichiarati di interesse regionale ai sensi dell’art. 10 L.R. 13 dicembre 2005, n. 30 e s.m.i. Il Comune può proporre che nell’Intesa siano previsti interventi di trasformazione del territorio e scelte urbanistiche relative a risorse essenziali di livello comunale. Il Consiglio comunale adotta il PSC nel rispetto dell’Intesa con la Regione; qualora il PSC approvato non rispetti i contenuti dell’Intesa, la Regione restituisce gli atti al Comune per il necessario adeguamento e il PSC non trova applicazione.
La legge disciplina in questo Capo anche l’istituto della Salvaguardia e dispone che il Comune, a decorrere dalla data della delibera di adozione del PSC o delle varianti al piano in vigore e sino alla data di entrata in vigore del Piano medesimo, sospende per un termine massimo di due anni per il PSC comunale e per un termine massimo di 3 anni per il PSC sovracomunale ogni determinazione sulle domande di rilascio di titoli abilitativi edilizi che siano in contrasto con le previsioni del PSC adottato. Si fanno salvi peraltro interventi edilizi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché per gli interventi di pubblica utilità ed interesse pubblico.
In questo Capo trova collocazione la disciplina del POC, predisposto dal Comune in conformità delle previsioni del PSC, e se ne stabilisce l’efficacia conformativa della proprietà e la durata indeterminata.. La legge ne definisce i contenuti (il POC ripartisce il territorio comunale in zone omogenee con relative destinazioni d’uso ed indici edilizi, stabilisce norme tecniche di attuazione degli interventi di trasformazione e di conservazione, stabilisce gli standard, individua e disciplina le aree destinate alla realizzazione del sistema delle infrastrutture e dei servizi pubblici e di interesse pubblico, nonché le attrezzature di interesse collettivo e sociale, individua gli ambiti da assoggettare obbligatoriamente a pianificazione di settore ed attuativa, stabilendone le regole e le modalità d’intervento, disciplina gli interventi di trasformazione da attuare in forma unitaria con la tecnica della perequazione urbanistica, della compensazione urbanistica e della compensazione territoriale ed individua le aree destinate al trasferimento dei crediti edilizi, nonché i relativi limiti di incremento edificatorio). La nuova disciplina tende a favorire gli interventi tra Comuni aggregati, mentre mira ad ostacolare interventi singoli, dissipatori del territorio. In questo senso si stabilisce che nuove zone industriali, artigianali, commerciali, turistiche e residenziali di espansione ovvero l’ampliamento di quelle esistenti non sono ammessi, se non in sede di pianificazione sovracomunale, salvo diversa prescrizione di PTR. Il POC non necessita di alcuna approvazione regionale, in quanto non incide sull’intesa di pianificazione conseguita sul PSC. In coerenza con le determinazioni della Costituzione e della Suprema Corte viene precisato che le previsioni del POC che assoggettano singoli beni a vincoli preordinati all’esproprio decadono qualora non siano state attuate o non sia iniziata la procedura per l’espropriazione degli immobili entro cinque anni dall’entrata in vigore del POC medesimo. La decadenza non opera ovviamente qualora i vincoli abbiano validità permanente in quanto imposti da disposizioni di legge. Il Comune in sede di reiterazione dei vincoli di cui al comma 1, provvede all’equo ristoro a favore dei proprietari degli immobili interessati, mediante previsione di indennizzo o con tecniche di perequazione e compensazione urbanistica. Nelle more della reiterazione dei vincoli di cui al comma 1, sono ammesse varianti che non assoggettino a vincolo preordinato all’esproprio aree destinate a servizi. Sono comunque ammesse varianti per la realizzazione di lavori pubblici e quelle conseguenti a una conferenza di servizi, un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura territoriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante al piano urbanistico.
In questo Capo infine vengono disciplinati i PAC. I PAC sono adottati ed approvati dalla Giunta comunale in seduta pubblica. Il Comune, su richiesta del proponente un PAC di iniziativa privata, può attribuire all’atto deliberativo valore di titolo abilitativo per tutti o parte degli interventi previsti a condizione che siano stati ottenuti i pareri, le autorizzazioni ed i nulla osta cui è subordinato il rilascio del titolo abilitativo medesimo. I rapporti derivanti dall’attuazione degli interventi previsti dal PAC sono regolati da convenzione tra Comune e proponente.
Il Capo IV porta la disciplina della cosiddetta area vasta e definisce in modo originario soggetti e contenuti di Pianificazione sovracomunale. Si stabilisce che la funzione della pianificazione sovracomunale è svolta direttamente dai Comuni capoluogo e dalle Città metropolitane. I Comuni possono delegare o affidare il coordinamento dell’attività di predisposizione degli strumenti urbanistici a:
a) Province;
b) Comuni e Unioni di Comuni, organizzati in ASTER;
c) Comuni capoluogo;
d) Comunità montane;
e) Città metropolitane;
f) Consorzi tra Enti locali ed Enti pubblici.
I Comuni posso delegare la funzione della pianificazione ai soggetti di cui alle lettere da a) ad e) e loro consorzi. La delega o l’affidamento possono essere esercitate previa stipula di apposita convenzione che disciplini oggetto, durata e modalità delle attività.
Il ddlr disciplina ancora la possibilità per i Comuni di trasferire la propria funzione pianificatoria ad altro soggetto pubblico, dotato di personalità giuridica e che sia costituito da Enti locali. Si stabilisce infatti che Comuni contermini possono altresì istituire l’Unione Speciale di Pianificazione (USP) per l’esercizio della funzione della pianificazione sovracomunale, per il periodo necessario all’elaborazione, adozione ed approvazione dello strumento di pianificazione. La costituzione e il funzionamento dell’USP sono disciplinati dall’art. 23, commi 3 e ss., della L.R. 1/2006 e s.m.i.
La funzione della pianificazione sovracomunale si esercita mediante gli strumenti urbanistici e le procedure di cui al Capo III, nel rispetto delle prescrizioni di PTR.
Per quanto attiene ai contenuti si precisa l’ambito di competenza (la pianificazione sovracomunale consente la previsione di nuove zone residenziali di espansione, industriali, artigianali, commerciali, turistiche ovvero l’ampliamento di quelle esistenti, la previsione di infrastrutture ed attrezzature collettive di scala sovracomunale).
Per contro i Comuni che non svolgono la funzione della pianificazione sovracomunale possono approvare strumenti urbanistici o loro varianti esclusivamente per adeguare le attività già insediate nelle zone industriali, artigianali, commerciali turistiche e residenziali esistenti ad obblighi derivanti da normative regionali, statali e comunitarie.
Il Capo V tratta infine della perequazione urbanistica e della compensazione urbanistica e territoriale, quali tecniche facoltative di pianificazione.
Si dispone che il Comune può utilizzare la tecnica della perequazione urbanistica in sede di pianificazione operativa ed attuativa relativamente ad immobili destinati a trasformazione urbanistica. La disciplina della perequazione urbanistica per gli interventi di trasformazione da attuare in forma unitaria è stabilita nel POC e nei PAC, in modo tale da assicurare la ripartizione dei diritti edificatori e dei relativi oneri tra tutti i proprietari degli immobili interessati, indipendentemente dalle destinazioni specifiche assegnate alle singole aree.
Il Comune può concordare con i proprietiari delle aree da destinare a servizi la cessione a proprio favore delle medesime, a fronte di una compensazione, attuata mediante il trasferimento dei diritti edificatori in altre aree del territorio comunale, a ciò preventivamente destinate.
La compensazione può aver luogo mediante convenzione fra il Comune e i proprietari delle aree interessate dagli interventi, che stabilisca le modalità di calcolo dei crediti edificatori, la localizzazione delle aree sulle quali trasferire i diritti edificatori, il tempo massimo di utilizzazione dei crediti edificatori, la corresponsione di un importo pari all’indennità di esproprio per il caso di impossibilità di utilizzazione del credito edificatorio nel periodo convenuto.
I Comuni contermini che provvedono alla pianificazione in forma associata possono utilizzare la tecnica della compensazione territoriale per realizzare lo scambio di diritti edificatori, contro equivalenti valori di natura urbanistica o economica.
La Parte I titolo III disciplina l’informatizzazione e il monitoraggio degli strumenti urbanistici. Stabilisce chela Regione e il Comune formano i propri strumenti di pianificazione territoriale e le loro varianti con metodologie informatiche standardizzate. Gli strumenti di pianificazione territoriale adottati ed approvati, formati con le metodologie informatiche sono inseriti nel Sistema territoriale regionale (SITER). L’inserimento nel SITER dei piani costituisce certificazione di conformità all’originale. Il ddlr stabilisce inoltre che le modalità tecniche da assumere nella redazione degli strumenti di pianificazione e negli atti di convalida saranno definite con regolamento, secondo modelli standardizzati.
E’ prevista a cura della Regione l’organizzazione di una banca dati informatica, nella quale sono raccolti, elaborati ed interpretati i dati numerici e di documentazione cartografica, riguardanti le dinamiche del territorio, ed é fatto obbligo agli Uffici regionali, alle Province, ai Comuni e agli altri enti pubblici di inviare periodicamente alla struttura regionale competente le informazioni territoriali a disposizione per l’implementazione della banca dati informatica. La medesima struttura fornisce i supporti tecnici, informatici e cartografici per la formazione e gestione degli strumenti di pianificazione territoriale nonché i supporti tecnici e cartografici di base per la predisposizione di cartografie tematiche da curare in collaborazione con le altre Direzioni dell’ Amministrazione regionale.
Viene infine prevista un’importante attività di monitoraggio sugli strumenti urbanistici comunali.
La Parte II del ddlr reca norme per la disciplina dell’attività edilizia.
Il principio su cui si fonda la norma è quello del recepimento della normativa statale e della regolamentazione mediante regolamento della parte di dettaglio.
Il recepimento delle disposizioni contenute nel Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), e successive modifiche ed integrazioni viene operatto con riferimento a:
- sportello unico per l’edilizia;
- definizione degli interventi edilizi;
- destinazione d’uso degli immobili;
- regime edificatorio e titoli abilitativi edilizi;
- contributo del costo di costruzione;
- attività edilizia delle pubbliche amministrazioni e su aree demaniali;
- attività edilizia libera;
- controllo e vigilanza sull’attività edilizia e relative sanzioni.
Viene ribadita l’obbligatorietà per i Comuni di dotarsi del Regolamento edilizio per la disciplina delle attività di costruzione e di trasformazione fisica e funzionale delle opere edilizie, mentre si dà la facoltà ai Comuni di istituire la Commissione edilizia, quale organo tecnico-consultivo del Comune in materia urbanistica ed edilizia.
Di particolare importanza ai fini della semplificazione del procedimento la previsione dello Sportello unico per l’edilizia, da costituire anche in forma associata. I Comuni, attraverso lo Sportello unico per l’edilizia, forniscono altresì una adeguata e continua informazione ai cittadini sui contenuti degli strumenti urbanistici ed edilizi.
Tra i contenuti del ddlr va rilevata la declaratoria delle Categorie delle destinazioni d’uso e la previsione del Certificato urbanistico e valutazione preventiva che consente al proprietario dell’immobile o chi abbia interesse di chiedere al competente ufficio comunale il certificato contenente l’indicazione della disciplina urbanistica ed edilizia prevista nella strumentazione urbanistico-territoriale, vigente o adottata.
Il regolamento edilizio può prevedere che il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo richieda una valutazione preliminare sull’ammissibilità dell’intervento.
Il certificato urbanistico e la valutazione preventiva conservano validità per un anno dalla data del rilascio a meno che non intervengano modificazioni degli strumenti urbanistici vigenti. In tal caso, il Comune notifica agli interessati l’adozione di varianti agli strumenti urbanistici generali e di attuazione.
Sono state infine adeguate le disposizioni vigenti in tema di Autorizzazione edilizia in precario.
La Parte III disciplina il paesaggio operando il sostanziale recepimento della disciplina introdotta dal decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 e s.m.i. (Codice dei beni culturali e del paesaggio).Il Capo I tratta le disposizioni generali e sancisce che la legge costituisce attuazione della normativa statale per la valorizzazione del paesaggio e si conforma agli obblighi e ai principi derivanti dalla legge dello Stato.
Vengono definiti beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’art. 134 del D. Lgs. 42/04 e s.m.i.
Il Capo II si sofferma sulla pianificazione paesaggistica e nello specifico sulla valenza paesaggistica del PTR. La disciplina si sostanzia nella seguente sintesi:
- la valenza paesaggistica è attribuita al PTR, ai sensi e per gli effetti dell’art. 143 del D. Lgs 42/04, qualora il medesimo sia predisposto nel rispetto di procedure, tempi e metodologie indicate dall’Intesa interistituzionale tra Stato e Regione;
- il PTR qualifica i tipi di paesaggio e individua le Unità di Paesaggio che si presentano omogenee in base alle caratteristiche naturali e storiche ed in relazione alla tipologia, rilevanza e integrità dei valori paesaggistici;
- il PTR definisce per ciascuna Unità di Paesaggio la specifica destinazione d’uso mediante prescrizioni da recepirsi direttamente negli strumenti urbanistici comunali, nonché criteri e metodologie per la definizione in ambito comunale degli aspetti paesaggistici di dettaglio;
- la Regione ai fini di cui all’art. 135, comma 3, D.Lgs. 42/04 e s.m.i garantisce con l’Intesa di pianificazione che il PSC e il POC dei Comuni interessati dall’Unità di paesaggio abbiano i contenuti previsti dal PTR.
Il Capo III disciplina le attività di controllo e gestione dei beni soggetti a tutela, prevedendo coerentemente con le disposizioni nazionali l’obbligatorietà della preventiva autorizzazione per i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree tutelati con il PTR ai sensi dell’articolo 143 del D. Lgs 42/04 l’obbligo di sottoporre i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, affinché ne sia accertata la compatibilità paesaggistica e sia rilasciata l’autorizzazione a realizzarli. Si stabilisce in via generale la delega regionale al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche ai soggetti pubblici, che esercitano la funzione pianificatoria in forma associata, nonché ai Comuni, che abbiano provveduto all’adeguamento dei propri strumenti urbanistici al PTR. In caso di delega ai Comuni, il parere della Soprintendenza di cui al comma 8 dell’ articolo 146 del D. Lgs 42/04 resta vincolante.
Si dà risposta ai principi generali stabiliti a livello nazionale con l’istituzione delle commissioni locali per il paesaggio, di cui la Regione si fa promotrice per assicurare supporto ai soggetti delegati al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. Le Commissioni sono costituite per ambiti sovracomunali e sono composte da soggetti con particolare, pluriennale e qualificata esperienza nella tutela del paesaggio.
Il Capo IV regolamenta la prima applicazione e porta le opportune norme transitorie. Stabilisce l’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in via transitoria, fino alla operatività in ambito comunale del piano paesaggistico, con una regolamentazione che riconferma l’ attuale delega ai Comuni, parzialmente ampliata.
La Parte IV disciplina la potestà regolamentare della Regione sia in materia urbanistica, che per l’attività edilizia e per il paesaggio.
Il ddlr fissa i principi generali in base ai quali opererà il regolamento, stabilisce criteri, tempi e materie. Nello specifico dovrà definire in dettaglio le seguenti materie:
a) soglie di interesse regionale;
b) contenuti del DPP;
c) procedura e funzionamento della Conferenza di pianificazione;
d) contenuti e procedura dell’Intesa di pianificazione;
e) contenuti ed elaborati di PSC, POC e PAC;
f) procedure di armonizzazione dei piani territoriali infraregionali;
g) metodologie informatiche di rappresentazione degli strumenti di pianificazione;
h) banca dati del SITER;
i) tecniche di pianificazione sovracomunale;
j) termini e procedure di adozione ed approvazione degli strumenti di pianificazione;
k) intese interistituzionali;
l) Osservatorio;
m) certificato di conformità urbanistica dei lavori pubblici da eseguirsi dalle amministrazioni statali, da enti istituzionalmente competenti, dall’Amministrazione regionale e da quelle provinciali, nonché dai loro formali concessionari;
n) parametri urbanistici ed edilizi;
o) commissione edilizia;
p) regolamento edilizio;
q) sportello unico;
r) certificato urbanistico;
s) elaborati progettuali a corredo dei titoli abilitativi;
t) controllo e vigilanza sull’attività edilizia e relative sanzioni;
u) autorizzazione edilizia in precario;
v) convenzione tipo per l’edilizia abitativa convenzionata.
w) composizione e funzionamento delle Commissioni locali per il paesaggio;
x) procedura e termini di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche.
Il regolamento è emanato entro centoventi giorni dalla pubblicazione della legge, previo parere delle competente Commissione consiliare. La Commissione consiliare esprime il parere entro sessanta giorni dalla data di ricezione della relativa richiesta. Decorso tale termine si prescinde dal parere.
Sono abrogate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento le disposizioni vigenti, anche di legge, con esso incompatibili, espressamente indicate nel regolamento medesimo.
La Parte V si occupa infine delle numerose norme di legge oggetto di modifica ed abrogazione e detta le disposizioni finali.
La legislazione urbanistica regionale e i suoi esiti.
La nuova legislazione urbanistica: obiettivi, attese, difficoltà
Abbazia di Morimondo, 4 ottobre 2003.
Relazione introduttiva del prof. Gianni Beltrame
Partiamo da un punto che sicuramente tutti condividiamo.
Nessuno, penso, può dubitare oggi della necessità - condivisa per il momento "in via generale" - di rivedere ed aggiornare le leggi organiche regionali di "prima generazione", sia in Lombardia come in tutte le altre Regioni.
Non solo perché sono passati mediamente venticinque anni di tempo e di esperienze applicative dalla loro prima formulazione e impostazione ma soprattutto perché in questo periodo si sono verificati avvenimenti e svolte istituzionali, legislative, sociali e culturali di grande e, a volte, grandissima portata che hanno mutato profondamente i termini, il clima e i contenuti del dibattito, sia entro che a lato della cultura urbanistica, rispetto all'immediato periodo post legge-ponte nel quale sono maturate le leggi di "prima generazione".
Non sono tuttavia l'invecchiamento, i limiti o le "colpe" e le "rigidità" della legislazione vigente (nazionale e regionale) o il "vincolismo" del "piano", accusati, come un po' ovunque - nella rozza interpretazione dominante - di essere i responsabili principali ed unici di tutte le colpe di quanto avvenuto, o non avvenuto, nelle città e sul territorio (come in Lombardia, dove si è tentato artatamente di addossare tutte queste colpe alla legge 51/75) - quanto il complesso delle svolte e delle trasformazioni culturali, istituzionali, legislative, economiche, disciplinari avvenute in questi ultimi venti-venticinque anni.
Resta evidente che se decidessimo di passare dal riconoscimento di queste ragioni, riconosciute per ora solo "in via generale", alla valutazione delle ragioni più specifiche e particolari di cosa poter/dover mantenere e cosa innovare di tutto l'apparato legislativo e operativo costruito e accumulato in questo periodo, per spingerci successivamente sino alla proposizione e alla formulazione di nuovi contenuti, linee e strategie di riforma, questa unanimità generale verrebbe rapidamente a spezzarsi.
Conviene notare, a questo proposito, come la riflessione e il dibattito relativo alla valutazione complessiva di quanto accaduto ed elaborato del periodo che ci separa del varo delle leggi di "prima generazione", che avrebbe dovuto riconoscere e analizzare come la cultura, la legislazione urbanistico-ambientale ( sia nazionale che regionale) le innovazioni strumentali, metodologiche e la prassi operativa si siano evolute e trasformate in quest'arco di tempo, quale ne possa essere l'eredità, cosa abbiano prodotto sia in termini positivi (da conservare e da sviluppare) che negativi, si sia svolto in una forma assai confusa e squilibrata. Dove in pratica ha prevalso decisamente una linea "negativa" e "ideologico-politica" - oggi anche politicamente vincente - di chi ha inteso e intende liquidare, attraverso un giudizio complessivamente e totalmente negativo, tutta questa venticinquennale esperienza, come se fosse completamente da respingere e da buttare, mentre dal versante opposto assai deboli e incerte si sono rivelate le risposte provenienti dalla cultura così detta "riformista" che pur avrebbe dovuto, in certa misura, difenderla.
Vediamo di richiamare velocemente e sinteticamente le ragioni e le tematiche più importanti, le più decisive e quelle di più alto profilo culturale che dovrebbero motivare, stare alla base, guidare e informare l'impostazione della nuova legislazione regionale di "seconda generazione.
- l'affacciarsi e l'affermarsi di una nuova cultura e attenzione centrata sulle tematiche ambientali ( del tutto ignorate all'epoca della legislazione di "prima generazione");
- l'esplodere e l'affermarsi della “questione ambientale”, intesa come il crescere dell'attenzione e della riflessione sui nodi e sulle contraddizioni e sui conflitti del rapporto sviluppo-ambiente;
- lo svilupparsi della riflessione critica relativa al concetto di sviluppo, ai limiti dello sviluppo e alle illusioni di una possibile infinita crescita quantitativa, soprattutto in relazione agli usi della risorsa suolo;
- la nascita del tema e del perseguimento della ricerca di uno "sviluppo sostenibile" sia inteso in senso globale che in relazione, nello specifico, alla ricerca del contributo proprio che dovrebbe/potrebbe offrire la pianificazione o "governo" locale del territorio e delle organizzazioni urbane;
- la trasformazione e l'evoluzione della disciplina urbanistica da disciplina della città e della crescita urbana a disciplina dell'organizzazione del territorio strettamente connessa all'ambiente;
- la conseguente e connessa maturazione della necessità della unificazione e della non separabilità, concettuale e operativa, della pianificazione urbanistico-territoriale, da quella della pianificazione ambientale e della pianificazione paesistica;
- la necessità pertanto di aiutare e sostenere l'evolversi in senso ambientale della pianificazione territoriale-ambientale mediante un rinnovamento sostanziale delle sue tecniche, degli strumenti, delle sue metodologie e delle sue pratiche. Come affermato al Congresso dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, (Relazione generale del Gruppo Ambiente, Palermo 1993) la questione ambientale è diventata per l'urbanistica - disciplina e pratica - questione "centrale" e "rifondativa" ;
- la necessità della introduzione di indicatori e di parametri per misurare e valutare la sostenibilità delle scelte, dei piani e delle trasformazioni urbanistico- territoriali;
- la necessità di incentivare e promuovere il tema della pianificazione contestuale del rapporto acqua-suolo (così come impostato dalla L. 183/89 Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) assumendo il "bacino idrografico" come unità ecologico-ambientale e di pianificazione territoriale-ambientale;
- la necessità della introduzione di nuove forme di contabilità e bilancio ambientale, a tutti i livelli di pianificazione;
- la necessità di introdurre uno strumento specifico per la "Valutazione della sostenibilità ambientale dei Piani" del tipo della VAS (che prende origine dalla Direttiva comunitaria 2001/42/CE del 27 giugno 2001).
Sul piano dell'evoluzione delle metodologie di pianificazione:
- assumere e introdurre, a tutti i livelli, metodologie di pianificazione basate sul riconoscimento della necessaria processualità della costruzione e della definizione del piano come anche della sua gestione ed attuazione. Reimpostare la logica della pianificazione secondo un metodo di processo continuo, ovvero di "piano processo", tra i diversi livelli che agiscono secondo logiche di co-pianificazione;
- ripensare e reimpostare il processo di pianificazione e di decisione come continuo e costante processo di co-decisione e di collaborazione, non gerarchizzata, tra i diversi livelli e soggetti pubblici;
- introdurre metodologie, a tutti i livelli, di pianificazione strategica, separando, come nel modello INU, il momento della formazione e della definizione (configurazione territoriale) del piano da quello della conformazione della proprietà;
- ridefinire i diversi strumenti generali ed attuativi ai diversi livelli con una più precisa definizione dei loro rapporti, anche alla luce del mutato quadro legislativo nazionale (ad esempio L. 142/90);
ridefinire lo strumento del Piano Territoriale Regionale mediante una sua sempre maggiore integrazione e fusione con gli strumenti della programmazione;
- migliorare la definizione dei contenuti specifici del Piano territoriale provinciale e dei suoi rapporti con la pianificazione comunale;
- ripensare e ridefinire lo strumento del Piano Regolatore (o piano comunale) e dei suoi strumenti di attuazione e normativi;
- definire regole e procedure per migliorare la riqualificazione del piano in senso processuale, dal momento della definizione degli obiettivi, alle analisi, alla partecipazione, alla valutazione delle scelte, alla formazione;
- riorganizzare e ridefinire gli standard urbanistici;
- introdurre nei piani standard, indicatori e bilanci ambientali;
- introdurre e diffondere strumenti e metodologie di valutazione e di fattibilità (anche economico finanziaria) delle scelte territoriali-ambientali;
- introdurre più evolute metodologie di valutazione di impatto ambientale, sia per le trasformazioni puntuali e gli strumenti attuativi che per gli strumenti generali di piano;
- abbandonare, nella concezione e nella gestione delle aree protette, le vecchie logiche naturalistico-conservazioniste a favore di logiche di eco-sostenibilità;
- rinnovare e riqualificare tutte le strutture tecniche pubbliche, a tutti i livelli, alla luce dei nuovi impegni e delle nuove metodologie operative.
operare sulle valenze aperte da:
- la recente modifica del titolo V della Costituzione che ridefinisce i rapporti Stato Regioni (legge n. 3/2001);
- la legge 142 del 1990 sull'Ordinamento delle Autonomie Locali che definisce la Provincia come unico ente intermedio di pianificazione, attribuendole competenze di pianificazione territoriale;
- le leggi Bassanini, che riformano e ridefiniscono il funzionamento delle strutture amministrative;
- la sempre più estesa emanazione di norme e direttive europee in materia soprattutto ambientale e paesistica dalle quali risulta oggi impossibile prescindere;
- l'estensione e l'arricchimento di tutta la normativa nazionale in materia ambientale che impone sempre più stretti legami e rapporti con l'organizzazione e la gestione del territorio;
- il maturato e rinnovato interesse per la pianificazione paesistica (per troppo tempo sottovalutata), rilanciato e sostenuto oggi anche a livello europeo.
Certamente tutto ciò va ripensato e ridefinito anche alla luce dei profondi mutamenti economici e sociali maturati, sia alla scala internazionale (globalizzazione) e mondiale che alla scala nazionale e locale, in questi ultimi venticinque anni, che rendono oggi necessario modificare profondamente, rispetto al passato, l'approccio ai concetti e ai metodi, più vasti, di piano, di programmazione, di azione e di ruolo pubblico, di rapporto pubblico-privato, globale-locale, di capacità di conoscenza e di previsione e di guida delle dinamiche economiche e sociali. Purché, naturalmente, si sappia passare dalla mera enunciazione di questi eventi e dall'uso bassamente strumentale ed ideologico e astratto di questi temi e di queste trasformazioni, alla individuazione delle reali ed operabili conseguenze sul campo della pianificazione territoriale-ambientale.
Non bisogna naturalmente, infine, dimenticare il profondo mutamento del clima e degli indirizzi politico-amministrativi oggi prevalenti e dominanti, che stanno sullo sfondo e che condizionano pesantemente il modo di affrontare e di interpretare tutte queste trasformazioni e le conseguenti linee di riforma.
Prima di proseguire oltre converrà svolgere qualche breve considerazione sull'aspetto paradossale determinato dal fatto che le leggi urbanistiche regionali di "seconda generazione" si trovano nella condizione di dover essere elaborate ed emanate in assenza di una riforma della legge urbanistica nazionale. Legge che dovrebbe presentarsi anche, secondo i principi costituzionali, in forma di legge "quadro" o legge "di principi. Ma anche legge assolutamente necessaria per poter risolvere e dare risposte positive alle diverse "cannonate" sparate contro la legge del '42 (e successive) dalla Corte Costituzionale e anche stabilire quali sono i "principi generali", implicitamente contenuti nella legge nazionale, che debbono rimanere o non rimanere più in vita.
Ma questa necessaria riforma non è mai andata in porto (sono passati circa cinquant'anni) e solo di recente sono apparsi diversi disegni di legge che si propongono di colmare questo clamoroso vuoto.
Così l'assurdità e la drammaticità della situazione nasce dallo scontro irrisolto di tre necessità insoddisfatte:
- la necessità di una radicale riforma a livello nazionale (che si poneva con urgenza, è bene ricordare, già a partire dalla Sentenza C.C. del 1968) che non può essere supplita o risolta dal livello legislativo regionale, ma che è ancora tutta da venire (è più facile che arrivi prima un bel condono);
- la necessità per il livello regionale di dare comunque necessarie risposte legislative proprie, non potendo più mantenere in vita ed operare - a fronte di tutti i grandi sommovimenti legislativi sopravvenuti dal 1968 in poi (si pensi, tanto per fare un esempio, alla sopravvenienza di sempre più incisive norme ambientali europee) - con le loro obsolete leggi di "prima generazione" che risalgono per la maggior parte al periodo 1975-80;
- la necessità delle Regioni di emanare comunque - con la consapevolezza di tutti gli evidenti rischi e incognite - proprie leggi, non potendo più aspettare e sopportare l'assenza dell'iniziativa legislativa nazionale.
Delle molteplici necessità che spingono le Regioni ad affrontare questa strada piena di rischi e di incognite si potrebbero elencare tantissime ragioni, tutte più che fondate e pressanti. E sarebbe altrettanto improponibile, d'altro canto, e altrettanto rischioso, consigliare alle Regioni di seguire la più tranquilla strada di una ulteriore attesa della riforma nazionale.
Se queste condizioni valgono per tutte le Regioni, i modi di rispondere al problema di questo "vuoto legislativo" variano da Regione a Regione.
Molte di esse, come noto, hanno compiuto la scelta di fare riferimento, anche in questo caso con evidenti rischi, al nuovo modello di legge presentato nel quadro di un più generale disegno di riforma urbanistica nazionale dall'INU al XXI Congresso di Bologna nel novembre del 1995 "La nuova legge urbanistica. I principi e le regole". Quasi tutte le leggi regionali di "seconda generazione", sorte a partire dal 1995, lo stanno ormai assumendo come un punto fermo e qualificante, soprattutto per quanto riguarda la ridefinizione dello strumento del Piano Comunale "sdoppiato", nonostante la "Riforma" non sia andata in porto e nonostante nessuna particolare modifica o innovazione a proposito del Piano Regolatore sia stata apportata alla legge urbanistica nazionale. Segno evidente che il "modello" INU convince, trova ampi consensi e se ne riconosce la validità ed anche l'urgenza.
Altre Regioni hanno seguito vie diverse, tanto più azzardate quanto più sperimentali e meno verificate da un ampio dibattito a scala nazionale paragonabile a quello avvenuto per il disegno dell'INU.
D'altra parte è da respingersi l'ipotesi di una assoluta, esistente o avvenuta, e nemmeno auspicabile totale "regionalizzazione" delle competenze di legislazione urbanistica: sia perché l'ambiente e l'ecosistema sono attribuiti alla competenza esclusiva dello Stato, unitamente alla materia "tutela della concorrenza", sia perché rimangono sempre allo Stato il regime civilistico della proprietà oltre che il regime sanzionatorio.
Non si capisce però come molte Regioni - compresa la Lombardia - si comportino come se la legge nazionale non esistesse più, già da ora, del tutto, e come se da questa non dovesse derivare nessuna norma generale e di principio (certamente impossibile da estrarre con interpretazioni autonome) e come se le Regioni fossero autorizzate già da ora, a risolvere da sole tutti quei nodi ancora riservati alla legislazione e alla competenza statale.
Conviene notare anche, en passant, l'esistenza di non poche gravi "dimenticanze" o anomalie (di natura e di origine chiaramente politica) che caratterizzano l'attuale dibattito sulla riforma urbanistica nazionale. Dare, ad esempio, per definitivamente chiusa e liquidata ogni possibilità di riflessione e di ripensamento critico sulla arretrata concezione dello jus aedificandi assunta dalla Sentenza C.C. del 1968 (invero molto condivisa dalla "destra" politica); evitare un serio dibattito critico sugli "squarci" aperti nel diritto urbanistico dalle varie sentenze della C.C. e su modi di porvi definitivamente rimedio; non aprire alcun serio dibattito sui modi e sulle tecniche migliori, anche fiscali, per restituire al pubblico le rendite differenziali indotte dai piani; sorvolare sul fatto che la durata quinquennale dei vincoli ablativi non è un principio costituzionale fermo e indiscutibile ma un derivato della anomala sopravvivenza (35 anni!) della legge-tappo del 1968; non aprire un dibattito sulle difficoltà create dalla separazione ancora esistente, di fatto, tra diritto urbanistico e diritto ambientale e sul mantenimento della riserva statale in materia di ambienti ed ecosistemi.
Contrariamente alle altre Regioni - invero non molte - che hanno saputo impostare la transizione dalle loro leggi di "prima generazione" a quelle di "seconda", cercando di introdurvi i risultati positivi di quel ricco dibattito di ripensamento e di revisione critica relativa a tutta la strumentazione e a tutta la prassi urbanistica ai vari livelli e di radicale ripensamento sui fondamenti stessi del pianificare, apertosi in Italia attorno agli '90 - e del quale il progetto di riforma avanzato dall'INU continua a rappresentare il più maturo e compiuto modello di riferimento - la Regione Lombardia ha seguito un'altra strada. Anziché tentare la via di un ripensamento complessivo e di una riprogettazione organica di ampio respiro dell'intero proprio corpo legislativo di base, ed affrontare così i grandi nodi che costituiscono le ragioni di fondo e le spinte che premono verso una legislazione profondamente rinnovata di "seconda generazione", la Regione Lombardia ha preferito scegliere una via di basso profilo consistente in uno smantellamento strisciante "a spizzichi e bocconi" della sua legge urbanistica portante, attraverso uno stillicidio di piccoli ritocchi, aggiustamenti, abrogazioni, modifiche, apportate all'impianto fondante della legge del '75.(Modo di procedere del tutto analogo a quello utilizzato per modificare e smantellare il testo portante della propria legge sulle aree protette n. 86 del 1983). Tra le costanti di questo processo di revisione, tutto improntato a favorire e assecondare, in buona sostanza, le spinte e le richieste antipianificatorie del più rozzo "libero fare" privato e del più esasperato "localismo" comunale, emergono due linee complementari: quella dell'operare in direzione di un forte decentramento (si potrebbe forse meglio dire di "scaricamento") di compiti, procedure, operazioni burocratiche e poteri di decisione, dal livello regionale verso il livello comunale - etichettata retoricamente come applicazione del principio della sussidiarietà - (si vedano, in particolare, la l.r. n. 23 del 1997 " Accelerazione del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici comunali e disciplina del regolamento edilizio" e la l.r. n. 18 del 1997 "Riordino delle competenze e semplificazione delle procedure in materia di tutela dei beni ambientali e dei piani paesistici. Subdeleghe agli Enti Locali") e quella della esasperata operazione di smantellamento e di delegittimazione dello strumento del Piano Regolatore, accusato di tutte le colpe e di tutti i "vincolismi" e di tutte le "rigidità" possibili. In questa ultima direzione la Regione assesta un primo grave colpo al Piano Regolatore con la l.r. n. 9 del 1999 "Disciplina dei programmi integrati di intervento" mediante l'introduzione del "Documento di inquadramento", strumento falsamente "strategico", posto sopra e a lato del Piano, non vincolante ma variabile continuamente, deputato alla approvazione dei Programmi Integrati, ma avente in sostanza la facoltà di interpretare il Piano come una variante continua fuori dal Piano .
L'ultimo colpo dello smantellamento viene inferto dalla legge"Disciplina dei mutamenti di destinazione d'uso di immobili e norme per la dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico " n.1 del 15 gennaio 2001 che introduce pesanti e pericolose modifiche centrate sui seguenti punti:
E' evidente una volontà di drastica semplificazione delle procedure amministrative relative ma soprattutto una spiccata volontà liberalizzatrice dei mutamenti di destinazione d'uso che riguardano - bisogna stare molto attenti - non solo gli edifici ma anche le aree ovvero le destinazioni azzonative relative ad ampie zone. Obiettivo non tanto occulto della legge è quello di prefigurare un abbandono delle destinazioni d'uso e dell'azzonamento.
Questa norma appare particolarmente preoccupante in quanto mira a "liberalizzare" gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento degli edifici agricoli, eliminando i requisiti soggettivi per il rilascio della concessione edilizia nelle zone agricole che la legge regionale 93/80 aveva prudentemente introdotto onde evitare che i non agricoltori potessero intervenire ad operare del tutto illogicamente all'interno delle aree agricole.
La legge rivede, semplifica e alleggerisce la norma della l.r. 51/1975 sui centri storici (art. 17) che, essendo stata formulata qualche anno prima della L. 457/1978 soffriva ancora di un eccessivo ed esteso ricorso e rinvio allo strumento del piano particolareggiato. La modifica proposta tende però a smantellare quelle sane norme di tutela e di salvaguardia introdotte dalla legge-ponte relative alla conservazione degli assetti e delle volumetrie esistenti nei tessuti storici.
La legge regionale risolve brutalmente, anziché attraverso una innovativa riformulazione metodologica, il problema: per le aree edificate assume come capacità insediativa la popolazione esistente mentre come indice volumetrico capitario eleva la misura a 150 mc/ab. Non si tratta di un grande avanzamento della metodologia di calcolo, anche perché l'indice di 150 mc/ab, essendo un valore medio assunto uguale per tutti i comuni (come nel caso dei 100 mc/ab), potrebbe risultare ancora, a seconda dei casi e delle tipologie, o troppo alto o troppo basso. E' anche facile prevedere che nella prassi comunale il ricalcolo finirà con l'essere impostato solo su questi due elementari parametri. L'avanzamento auspicato avrebbe dovuto consistere nel trasformare o integrare il calcolo della capacità insediativa con la misurazione del calcolo del "peso insediativo" (che non è solo volumetrico ma anche ambientale).
Non si può negare l'utilità della introduzione operata dalla nuova legge regionale (art.7) dello strumento del Piano dei servizi. In realtà non si tratta di una grande innovazione nè della invenzione di un nuovo strumento integrativo del piano regolatore. I Comuni potevano ( e avrebbero dovuto) dotarsene anche senza l'obbligo della legge e molti Piani Regolatori correttamente formati, che hanno saputo affrontare il tema dei servizi con la necessaria serietà e con una metodologia di piano rigorosa, si sono già mossi con i lori elaborati studi e capitoli di piano secondo i concetti e i criteri suggeriti dalla legge (accessibilità, fruibilità e fattibilità).
Riguardo questo tema, uno dei più sollecitati e attesi dalla "riforma", la legge non introduce nessun sostanziale avanzamento o miglioramento metodologico e definitorio rispetto al vecchio impianto della l.r. del '75 e del D.I. del '68. Il vero obiettivo cui mira questa nuova legge è però palesemente quello della effettiva diminuzione degli standard minimi obbligatori, raggiungibili anche attraverso il ricorso ad ambigue e facilmente mistificabili forme di conteggio.
Un po' ipocritamente la legge esordisce col ribadire la conferma dello standard minimo complessivo per "attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale" precedentemente definito nella misura di 26,5 mq/abitante ma subito si può constatare che ampie riduzioni possono essere raggiunte e consentite mediante nuove ed equivoche modalità di conteggio.. La più grave di queste consiste nella alterazione della unità di misura di riferimento: mentre gli standard, a partire dalla legge ponte e dal D.I. del '68 sono sempre stati correttamente intesi, quantificati e misurati in termini di aree ovvero di superfici fondiarie (in quanto sostanzialmente aventi la natura e la funzione di aree di riserva per la produzione di servizi ed attrezzature, concetto ripreso dalla stessa l.r. 1/2001 nel titolo del suo art. 7, dove parla giustamente di " Dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale") il nuovo testo introduce la equivalente e fungibile (?) possibilità di misurare tali aree in "misura corrispondente alla effettiva consistenza delle rispettive superfici lorde" di pavimento ovvero in termini di s.l.p. (Una scuola di tre piani equivale dunque ad uno standard per tre scuole?).
La l. r. 51/75 si era preoccupata, giustamente, della tendenza evidentissima nei piani comunali - specialmente se relativi a comuni piccoli ed agricoli - di consentire indici di edificabilità molto bassi, con conseguenti effetti di spreco e consumo eccessivo di suolo.
A questo fine aveva imposto l'obbligo, con l'art. 23 "Densità territoriali medie e densità fondiarie massime", di non scendere, nelle zone residenziali di espansione, sotto la media ponderale dei 10.000 mc. per ha. Questa corretta ed elementare norma di cautela urbanistico-ambientale è stata brutalmente abrogata con grande gioia dei "lottizzatori di campagna" senza preoccuparsi minimamente di integrarla o sostituirla con norme migliori o altrettanto efficaci.
Le prime "Linee guida per la riforma urbanistica regionale" vengono presentate dalla Direzione Territorio e Urbanistica nel settembre del 2001 con l'ambizione di delineare le linee, gli indirizzi e i contenuti di quella che dovrebbe essere finalmente la "riforma".
Ma si tratta di un abbozzo ancora immaturo e deludente che cerca di coprire la povertà di contenuti e di idee e la scarsa volontà di definire scelte precise rifugiandosi dietro l'enunciazione di facilmente condivisibili "principi generali".
Risulta subito evidente che non basta elencare, definire (c'è anche un glossarietto) ed allineare una serie di "Principi generali", i più ovvi, condivisi, condivisibili e di moda:
Sostenibilità (ambientale, sociale, economica);
Sussidiarietà (verticale e orizzontale)
Perequazione/compensazione/sostituzione;
Cooperazione;
Flessibilità;
Partecipazione;
Monitoraggio;
Interesse generale e interesse pubblico per ottenere e delineare un quadro strategico di riforma.
Non è che questa elencazione o accostamento di "principi" sia sufficiente per dare contenuto, configurare o delineare una linea di riforma, anche perché:
1) si tratta per lo più di principi generali che riguardano concetti e obiettivi che potremmo definire "Costituzionali" o di "buona amministrazione" e che comunque riguardano più il modo di amministrare che non il modo di fare pianificazione territoriale o urbanistica;
2) si tratta di principi generali tra loro anche molto "disomogenei" per finalità, dimensione e natura del problema, non sommabili e non automaticamente accostabili;
3) non si tratta di principi generali di natura e ordine propriamente o specificamente urbanistico-territoriale;
4) perché dal loro semplice accostamento potrebbero discendere infinite linee di proposta e di riforma, con esiti e contenuti anche molto differenti.
Tra i "Principi generali" si veda, in particolare, la debolezza della definizione di "Interesse generale e interesse pubblico" per la valutazione del quale "si deve contemplare pariteticamente le opportunità e le iniziative dell'operatore privato come di quello pubblico"!! (p. 8)
Le proposte sulla natura dei piani e sul rapporto tra i diversi livelli di piano sembrano ricalcare invece gli indirizzi proposti dal disegno di legge nazionale dell'INU, anche se nel testo regionale i contenuti di questi appaiono poco definiti e chiariti.
Per quanto riguarda la pianificazione alla scala comunale si opta per una distinzione e una diversificazione - molto logica e concettualmente ormai acquisita - tra il momento strategico del piano e il momento operativo e attuativo.
Si prevede una articolazione in tre documenti:
1) Documento di inquadramento (con valore di livello strategico e strutturale)
2) Documento di piano urbanistico (con valore di livello operativo e attuativo)
3) Norme tecniche
Più che delineare contenuti e strategie di riforma le "Linee guida" si limitano a descrivere una "Urbanistica anno zero" sia per il passato (che pare non ci sia più, nemmeno per le sue forme residue) che per il presente ( che non si vuole giudicare, che non si vuole descrivere e valutare nelle sue criticità) che per il futuro (che non si sa ancora prospettare).
Ma forse è proprio questo che si voleva.
Su queste "Linee guida" l'INU Lombardia organizza, con la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, diversi dibattiti e convegni dai quali emergono perplessità e insoddisfazione.
Dopo la delusione generale creata dalle "Linee guida" del 2001 la nuova bozza di legge del luglio 2002 viene accolta con molte aspettative e attese.
Molti si attendono che dopo le vaghezze delle "Linee guida" venga finalmente prospettato un testo organico e completo, capace di riformulare e di sostituirsi alla ormai invecchiata e ormai semidistrutta legge di "prima generazione" n. 51/75.
E' infatti a tutti evidente la necessità e l'urgenza di ricostruire un quadro organico regionale dopo il massacro e lo smantellamento della legislazione urbanistica lombarda (a partire dalla l.r. 23/97 per arrivare sino alla l.r. 1/2001) avvenuto in totale assenza dell'idea e del perseguimento di un preciso nuovo modello alternativo, ma solo con la evidente volontà di cavalcare l'onda neoliberista della privatizzazione (anche dell'urbanistica) e della "deregulation" e con la evidente intenzione (questa sì, chiarissima) di soddisfare e assecondare le spinte e le richiese antipianificatorie del più rozzo "libero fare" privato e del più esasperato "localismo" comunale.
Ci si aspettava da questa nuova "bozza" di articolato qualche serio passo in avanti di chiarimento dei nuovi indirizzi e alle nuove idee "riformatrici".
In realtà ci si trova di fronte ad un testo incompleto e lacunoso che, subito ad una prima lettura, non può nemmeno essere definito e riconosciuto come un nuovo progetto di legge organica e completa. Non è facile capire il perchè di un progetto così "volutamente" mal fatto, oscuro e incompleto. Il testo suscita infatti molte più domande e dubbi di quelle cui l'articolato è in grado di rispondere.
Ad alcune domande di fondo il nuovo testo non risponde.
- Che fine fanno le leggi urbanistiche regionali già emanate e vigenti (dalla l.r. 51/75 in poi)? Rimangono in vita? Scompaiono? Come si correlano alla nuova proposta di legge? A tutte queste domande il testo non risponde.
- La nuova formulazione dei contenuti del PTCP (art.22) - che indebolisce ulteriormente il carattere programmatorio del Piano Territoriale, compresa la parte inerente la tutela paesistica e ambientale - sostituisce o abroga quanto stabilito dalla legge 1/2000? In quale rapporto si mette con questa, considerando anche che l'art.6 definisce nuovamente le competenze della Provincia?
- Che tipo di strumento è il nuovo Piano comunale definito dagli artt. 14,15,16,17,18 e 19?
E' questo il tema che suscita più perplessità.
I quattro strumenti che definiscono la Pianificazione comunale (art. 14) ora denominati "il Piano di governo del territorio (P.G.T.)", "il Piano dei servizi", "il Piano di assetto morfologico", "i Piani complessi comunali e gli strumenti della programmazione negoziata", definiscono o convergono in un unico Piano organico e coerente o definiscono quattro strumenti che possono essere autonomamente e separatamente elaborati e variati? Oltretutto non si capiscono nemmeno le specificità e i contenuti di questi quattro strumenti né si capiscono le loro relazioni reciproche e nemmeno si capisce chiaramente se il PGT abbia una funzione più organica e di assieme rispetto agli altri tre strumenti.
Con la definizione del Piano del Governo del Territorio (PGT) si tenta addirittura di abolire con la legge ogni forma di azzonamento (il tanto ideologicamente odiato azzonamento !) attraverso il comma d) : "la individuazione delle modalità di intervento sul territorio comunale, articolato in ambiti multifunzionali, e non distinto in zone, anche in relazione ai programmi di sviluppo, al piano dei servizi, ed al piano di assetto morfologico".
Perché scompaiono le NTA, ancora presenti nelle "Linee guida"?
(Ho avuto modo di dichiarare all'Assessore regionale, in una riunione svoltasi presso l'INU Lombardia che se un Sindaco volesse incaricarmi di elaborare un piano sulla base dei nuovi indirizzi proposti dalla Regione, dovrei onestamente rifiutare l'incarico, riconoscendo semplicemente di non saperlo fare, non essendo ancora riuscito a comprendere quale sia mai la forma o il modello di piano che la Regione intende proporre e capire anche, soprattutto, quali relazioni vengano a stabilirsi tra i quattro - oltretutto mal definiti - strumenti che lo compongono).
L'ultimo testo adottato dalla Giunta Regionale del 18 luglio 2003, anche se formalmente si presenta più completo del precedente, nella sostanza, nella "filosofia" e negli obiettivi non si discosta molto dal disegno del luglio 2002, così che la gran parte delle critiche svolte per quel disegno possono valere anche per quello odierno.
Due però sono le novità sostanziali: la prima è costituita dal fatto che il testo si propone nella forma di un testo unico comprensivo e sostitutivo di tutta la legislazione urbanistica regionale vigente (compresa l'attività edilizia e i suoi strumenti, le norme in materia di edificazione, i parcheggi, i sottotetti, ecc.); la seconda, complementare, che finalmente la legge elenca necessariamente quali sono tutte le abrogazioni delle disposizioni regionali vigenti.
La sorpresa riguarda il fatto che nella mole delle abrogazioni, ben 24 in tutto, figurano anche tutte le leggi prodotte nella fase di "smantellamento" (dalla 23/97, 41/97, 9/99, 1/2000, 1/2001).
Il risultato è che abrogando quel poco di buono e di chiaro che era sopravvissuto nelle leggi recenti, la deregulation viene ad essere ulteriormente e celatamente deregolata,.sia attraverso la pesantezza delle cancellazioni delle leggi che attraverso la grossolana ricomposizione operata col testo unico (vero specchietto per attirare un facile consenso da parte dei più sprovveduti). Aggrava tutto questo anche un linguaggio sempre impreciso e sempre meno tecnico.
La nuova proposta non può che essere giudicata anch'essa, al pari del disegno del 2002, come pesantemente negativa e pericolosa per il futuro del territorio e dell'ambiente regionale.
Siamo di fronte ad un testo che pur nelle sue oscurità di formulazione e di forma appare molto chiaro e trasparente nei suoi veri obiettivi di fondo:
- non si cura minimamente di rispondere a tutti quegli obiettivi "alti" e "dovuti", già ampiamente descritti all'inizio, che dovrebbero qualificare una legge regionale di "seconda generazione";
- trascura nella sostanza tutti i temi ambientali e la questione ambientale ed i rapporti che dovrebbero legare ambiente e attività di trasformazione-infrastutturazione-urbanizzazione e di governo del territorio. La preoccupazione che guida il legislatore lombardo non è tanto quella di dettare norme, strumenti e modalità per poter affrontare con successo il governo del territorio di una regione concretamente e fisicamente fatta di suoli, di territori e ambienti, composta di acque, di laghi, di montagne e pianure, di ecosistemi che ne qualificano il paesaggio-ambiente ma al contempo sempre più alterata e degradata da aggressioni ambientali e urbanizzative di ogni tipo, crescenti e diffuse, quanto lo preoccupa l'ossessione di estendere, su un territorio astratto che finisce con l'essere ridotto solo all'assieme di tutte le particelle catastali proprietarie, la possibilità di trasformazione e edificazione sempre più estesa e sottratta a regole, limiti qualitativi e quantitativi e piani;
- maschera, sotto una apparente veste "innovativa" e mediante l'ipocrisia del dichiarato perseguimento di uno "sviluppo sostenibile", il suo vero volto esasperatamente ed ideologicamente "liberista", rivolto a consentire e sostenere ogni iniziativa privata di uso e di trasformazione del territorio in assenza, o quasi, di qualsiasi riferimento alle "qualità" o alla "scarsità" dei suoli o a oggettivi vincoli "ricognitivi" territoriali-ambientali;
- mentre il vero sostanziale disinteresse per il modo di definire e di avviare un serio discorso sulla sostenibilità traspare palesemente dall'art. 4 del disegno, nel quale non solo si fa confusione tra "valutazione ambientale" e "valutazione della sostenibilità" dei piani, ma si consente anche ai comuni, in attesa della emanazione di criteri regionali, di approvarsi i piani "secondo criteri evidenziati nel piano stesso" mentre vengono, candidamente, esentati da ogni valutazione ambientale i piani "già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge"!!
- nega qualsiasi sostanziale forma di piano o di programmazione degli usi e delle trasformazioni fisico-ambientali del territorio, vanificando o rendendo continuamente variabile e modificabile lo strumento del piano comunale;
- consente e spinge il piano comunale a non essere più un sufficientemente stabile "strumento strategico" dell'assetto futuro e dello sviluppo urbano nel territorio - strumento di tempo sufficientemente lungo - ma strumento del tutto inefficace, aperto ad una continua variabilità nel tempo, indotta da una continua ed estesa "gestione urbanistica contrattata" (così denominata ai tempi di Mottini e Ligresti, oggi ribattezzata, con maggiore ipocrisia, "concertata") affidata alle Giunte comunali. Modello di gestione che potrebbe essere esteso a tutto il territorio, indipendentemente da ogni predefinito vincolo ambientale;
- fa intravvedere la volontà di rendere edificabile (e/o contrattabile) tutto il territorio o quanto meno di poter estendere una certa edificabilità (da contrattare di volta in volta) a quasi tutto il territorio. Per perequare, così si vuole, i privati proprietari, ma così sperequando, nella sostanza, le qualità del territorio. Anche se l'ultima versione del disegno di legge non contiene più l'esplicito divieto di praticare l'azzonamento (come era nella versione del luglio 2002) il complesso delle norme e delle definizioni urbanistico-territoriali mirano e consentono, attraverso la loro vaghezza e imprecisione, di estendere l'edificabilità, volendolo, quasi ovunque;
- scompare ogni forma di uso e di ricorso a metodi di misurazione o di parametrazione quantitativa: scompaiono indici, limiti, scompare lo standard minimo, scompare il calcolo della capacità insediativa, scompaiono indici minimi e massimi di edificabilità, limiti di altezza, ecc. , mentre viene rinviata ancora una volta la fissazione di indicatori della sostenibilità o di misuratori per i bilanci e per le valutazioni ambientali. D'altra parte se tutto diventerà contrattabile, perché non farlo anche con gli indici e con le quantità, che verranno stabiliti di volta in volta al momento del "contratto?? Valutazioni, ovviamente, comprese, essendo ogni "contratto" andato in porto, per definizione, "sostenibile"!
Risulta ancora uno dei temi meno chiariti dal disegno di legge e pertanto rimangono in vita tutte le perplessità suscitate dal testo del 2002.
Il piano viene definito ora Piano di governo del territorio (art. 7) ed è articolato in tre atti : documento di piano (art. 8), piano dei servizi (art. 9), piano delle regole (art. 10). Scompare dal nuovo testo, senza che la relazione ne motivi la scelta, il "Piano di assetto morfologico" presente nel disegno del 2002.
Nonostante la relazione, che finalmente accompagna il nuovo testo, dica che si tratta di tre atti che: "si richiamano tra loro" e "dialogano tra loro", si tratta pur sempre di tre "cose" mal definite e tra loro separate o, volendolo, da poter rendere facilmente separabili, delle quali non si capiscono bene ruoli, rapporti reciproci e funzioni, ma tuttavia, come precisa la legge, sempre e in qualsiasi momento modificabili.
In realtà sembra di trovarsi di fronte più che a un piano "innovato" e ripensato, ad un piano volutamente "smembrato" e "disarticolato", onde renderlo sempre meno "piano" (in senso proprio) sempre più innocuo, sempre più vago, sempre più facilmente variabile a piacimento, sempre più "contrattabile".
Ma consideriamolo ancor più da vicino.
Il Documento di Piano (art. 8)
Sembrerebbe dover rappresentare, ma non se ne è certi, la parte strategica del piano. Nel testo si precisa che non produce "effetti diretti sul regime giuridico dei suoli" (comma 3).
Perché allora conferire una validità di soli 5 anni a questo strumento? Si ritiene che si possano definire serie "strategie territoriali" su un limitatissimo arco temporali di 5 anni?? Per di più mediante uno strumento "sempre modificabile"??
Parrebbe poter restare in vita la tecnica dell'azzonamento (art.8, comma 2, sub c ed e) e la possibilità di definire "obiettivi quantitativi di sviluppo" (comma 2, sub b).
Rimane comunque misterioso il fatto che si tratti di uno strumento privo di "norme". Come si potrà, ad esempio, verificare la compatibilità tra un Piano di governo del territorio e un Piano provinciale dotato di norme?
Piano dei servizi (art. 9)
Mentre il Piano dei servizi definito dall'art. 7 della l.r. 1/2001 non era altro che un "allegato" alla Relazione del piano regolatore, il Piano dei servizi diventa ora un atto, del tutto autonomo, senza termini di validità e "sempre modificabile", del Piano di governo del territorio.
Come già detto non è chiara la relazione tra Piano dei servizi e Documento di piano: come si potrà infatti elaborare un Piano dei servizi in assenza di un Documento di piano precedentemente elaborato? Senza cioè conoscere le previsioni relative alla popolazione da insediare che deve essere prevista, logicamente, dal Documento di piano (comma 2, sub b)?
Se i due strumenti sono dunque, nella sostanza, indissolubilmente legati, perché tenere separati i due atti? Perché uno dura 5 anni e l'altro non ha termini di validità?
E' facile prevedere che il Piano dei servizi tenderà a configurarsi nella pratica come uno strumento di "alta mistificazione urbanistica" e di "pretesto" per una ulteriore espansione di aree urbanizzabili: i Comuni, sempre alla disperata ricerca di "oneri di urbanizzazione" e di interventi privati, saranno indotti, dal nuovo permissivismo urbanistico, a proporre sempre più facilmente aree edificabili (a spese di aree libere o agricole) nella speranza di ottenere, in cambio, servizi.
Pericolosissimo poi quanto previsto al comma 13 che afferma che "La realizzazione di attrezzature pubbliche o di interesse pubblico o generale, diverse da quelle specificamente previste dal piano dei servizi, comporta l'applicazione della procedura di variante del piano stesso". Può essere considerato credibile, a questo punto, un Piano dei servizi?
Il Piano delle regole (art. 10)
Le sue indicazioni hanno carattere vincolante ed effetti diretti sul regime giuridico dei suoli, ma non ha termini di validità mentre, anch'esso "è sempre modificabile".
Rimane sempre una sovrapposizione o confusione di contenuti con il Documento di piano.
Norme
Esistono ancora, a livello comunale, le Norme tecniche di attuazione o una qualsiasi altra forma di "norme" attuative?
Non ne esiste più traccia e neppure sembrano più esistere per il Piano Territoriale Provinciale (art. 15).
Ma è possibile concepire uno strumento urbanistico privo di un testo normativo?
Strumenti attuativi
A questo proposito la scelta si presenta stranamente conservatrice, conservando in vita la possibilità di utilizzare "tutti gli strumenti attuativi previsti dalla legislazione statale e regionale" (art. 12). Perché mai? Difficile capirne la ragione.
Standard
Con l'abrogazione totale della legge 1/2001 (proposta dall'art. 105) gli standard urbanistici scompaiono definitivamente, sia come definizione e articolazione che come quantità minima obbligatoria. Non sopravvivono dunque nemmeno nella forma del "pasticciaccio" dell'art. 7 della 1/2001.
La furia distruttiva del legislatore lombardo ha finalmente raggiunto tutti i suoi obiettivi!
Verde agricolo
Appare del tutto sconcertante il disinteresse che traspare per la individuazione, la tutela, la protezione e la normazione delle aree agricole. Sembra, dal vuoto che traspare dal testo, di essere ritornati agli anni '50-'60, quando il tema della regolamentazione e della pianificazione dei suoli e delle attività agricole non era ancora stato scoperto e affrontato.
L'articolato non è nemmeno chiaro nel definire con chiarezza a chi competa la individuazione delle aree agricole. Mentre secondo l'articolo 10 è compito del Comune individuare , col "piano delle regole", la "disciplina d'uso" di dette aree, contemporaneamente l'articolo 15, comma 4, stabilisce che lo stesso compito è attribuito ai Piani Territoriali Provinciali, ove si stabilisce che "Il PTP individua inoltre, con efficacia prevalente ai sensi del successivo art. 18, le aree destinate destinate all'attività agricola". Come si concilia il fatto che il PTP acquista con questa scelta valore prescrittivo (art. 18, comma 2, sub b) sugli atti del PGT, mentre il "piano delle regole" comunale viene definito come "sempre modificabile", in piena autonomia comunale?? Chi pianifica allora le aree agricole?
Ci consoli il fatto che, sempre secondo l'art. 18, "Le previsioni del PTP concernenti la realizzazione, il potenziamento e l'adeguamento delle infrastrutture riguardanti il sistema della mobilità, prevalgono sulle disposizioni dei piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali di cui alla legge regionale 30 novembre 1983, n. 86!
ANSA) -TRIESTE, 14 FEB- Il Governo ha impugnato la legge regionale del Friuli-Venezia Giulia che fissa le norme per la definizione del Piano territoriale regionale. Il provvedimento e' stato preso per presunta illegittimita' costituzionale, in quanto - si legge nel ricorso, approvato dal Consiglio dei ministri il 10 febbraio e illustrato oggi dal presidente della Provincia di Trieste, Scoccimarro - 'ignora sistematicamente l'esistenza dell'Ente provincia'. Il provvedimento e' 'condiviso da tutte le province italiane'
Pierre Vilar, storico francese della scuola delle Annales, era solito ammonire che “nel mercato delle idee, come in quello dei detersivi, spesso la novità del marchio è fatta passare per innovazione per sostenere in un mercato stagnante prodotti altrimenti destinati ad essere declinanti nella capacità di penetrazione”.
E’ una considerazione che spesso mi torna alla mente quando vedo proporre come modalità di intervento che pretendono di accreditarsi per innovazioni risolutive ed inedite rispetto ad una condizione precedente di cui spesso ci scordiamo il quadro delle esperienze passate e il percorso attraverso cui si è arrivati alla condizione attuale.
Con un lessico volutamente dimesso, ma allusivo di un atteggiamento di concretezza pragmatica, Mazza ha intitolato il suo più recente libro, in cui sistematizza l’esperienza svolta attorno al Documento di Inquadramento urbanistico del Comune di Milano, “prove parziali di riforma urbanistica”. Io credo, invece, riprendendo il titolo di un intervento di Mario Viviani su un numero di Urbanistica Informazioni del 2003, che quelle prove parziali siano già in atto da oltre un trentennio e siano prove parziali di controriforma, ormai accumulatesi in modo implementare e cui le riflessioni più recenti tentano solo di dare una etichetta di innovazione, dando loro una sistemazione organica.
In questo quadro vanno iscritte tutte le modificazioni legislative introdotte dopo il 1977, dal DPR 616/77, alla 1/78, all’art 16 della 179/92, ai vari provvedimenti su PRU, PRUSST, STU e quant’altro.
Nel 1966 la frana di duecentomila metri cubi di edifici malamente accumulati sul fianco di una collina di Agrigento da una serie di episodiche contrattazioni fra Amministrazione comunale e proprietà fondiarie, colpì talmente l’opinione pubblica da indurre le forze politiche, sino ad allora in maggioranza renitenti a porre regole ai criteri di utilizzo della città e del territorio da parte di proprietari fondiari ed imprenditori edili, ad approvare l’anno successivo in Parlamento la cosiddetta Legge Ponte, che riportava le “convenzioni” con i privati ad un orizzonte di un minimo di coerenza di disegno urbanistico, obbligando i Comuni a dotarsi di un Piano regolatore in cui fossero indicate quantità e localizzazioni delle aree edificabili e dotazioni minime di attrezzature pubbliche.
Dal 1967 al 1992, pur con una serie di difficoltà e contraddizioni (durata quinquennale dell’attuabilità dei vincoli pubblici, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 1968), la subordinazione delle scelte private ad una programmazione pubblica di quantità, localizzazioni e dotazioni di attrezzature attraverso il Piano regolatore, divenne senso comune. Tanto che quando, nel 1992, due oscuri deputati, Botta e Ferrarini, un democristiano e un socialista, quasi come i Rosenkranz e Guildestern dell’Amleto shakespeariano, introdussero avventurosamente in un provvedimento di rifinanziamento dell’edilizia pubblica un emendamento che consentiva ai privati di proporre edificazioni in quantità e localizzazioni diverse da quanto prescritto dai Piani regolatori, la cosa apparve così lontana dal senso comune che si era consolidato, che per diverso tempo i privati non si attivarono a farne proposta né i Comuni a promuoverne attraverso i cosiddetti Programmi Integrati di Intervento (PII).
Solo a partire dal 1995 l’Emilia e nel 1999 la Lombardia iniziarono ad introdurre legislazioni regionali che stabilivano criteri molto larghi cui quelle proposte dovevano ispirarsi (pluralità di funzioni, una certa maggiorazione delle dotazioni pubbliche rispetto ai criteri del PRG); nel contempo lo Stato, con una serie di provvedimenti congiunturali, ha esteso la possibilità di quelle proposte “in deroga” alle previsioni di Piano regolatore, motivandole con estemporanee finalità di incentivo alle trasformazioni urbane (Piani di riqualificazione urbana PRU, Piani di riqualificazione urbana socialmente e territorialmente sostenibili PRUSST, Società di trasformazione urbana STU, eccetera).
Si è così andato consolidando un nuovo senso comune che, a fianco dei vecchi Piani regolatori, ma anche di nuove e più articolate forme di programmazione pubblica dell’assetto complessivo della città e del territorio (piani strutturali/operativi; piani di governo del territorio, ecc.), vede passare le operazioni più consistenti dal punto di vista dimensionale, strategico e di lucrosità economica attraverso trattative caso per caso, nobilitate talvolta dalla denominazione di “programmazione negoziata”.
In queste trattative tra Amministrazioni comunali (spesso ristrette alla figura del Sindaco e della Giunta, anche se poi i consigli comunali debbono “ratificare” le decisioni prese, sotto il ricatto di non poter praticare una smentita del loro operato, tale da provocarne le dimissioni e il conseguente scioglimento del Consiglio) e privati proponenti, ogni criterio di oggettività è travolto: se cambio la destinazione di un’area da industriale ad area residenziale e terziaria, debbo attribuirle un’edificabilità paragonabile a quella delle aree previste a destinazione simile in PRG ? No - sostengono i fautori della flessibile modernità della programmazione negoziata - anche doppia o tripla delle altre aree: basta che il progetto - meglio se infiocchettato dai lustrini di qualche gran nome dello star-system global-mediatico dell’architettura nazionale e internazionale ci paia convincente ! Ma questi progetti debbono almeno garantire la dotazione di aree pubbliche proporzionate secondo i criteri di un piano generale alle grandi quantità volumetriche che propongono ? No, che volgare banalità, che mentalità arretrata: standard qualitativi (in pratica meno aree pubbliche, ma opere pubbliche più fantasmagoricamente rutilanti e costose: palazzi della moda, musei del design, centri congressi e chi più ne ha più ne metta) e monetizzazioni (che non sono più garantite debbano tornare ad impiegarsi in aree od opere pubbliche), consentono di approvare qualunque progetto che a Sindaco, Giunta e maggioranza consiliare del momento paia convincente, indipendentemente dalle dotazioni di aree pubbliche previste. Anzi, sempre più spesso, l’effetto di “scoop” dell’immagine di queste opere pubbliche affidate all’indiscutibilità della fama mediatica dei grandi nomi dello stilismo architettonico viene usata da amministratori in vena di cavalcare una sempre più pervasiva politica-spettacolo per giustificare con la necessità di volumetrie adeguate a sostenere il loro costo, tanto da indurre a riflettere se non sia giunto il momento di chiedere un’estensione delle rivendicazioni no logo anche al campo delle manifestazioni della creatività architettonica !
E se qualcuno osa chiedere dove ci sta portando la sommatoria di queste trattative caso per caso, e se ha un senso complessivo tutto ciò, che progetto di città e di territorio stiamo perseguendo, si risponde che sono domande oziose, che ci stiamo muovendo verso un futuro radioso di cambiamento e modernità, e non importa dove arriveremo !
Tutta quest’inedita e flessibile modernità a me pare assomigli tanto a quella stagione di “convenzioni” senza progetto generale che condussero nel 1966 all’episodio simbolico della frana di Agrigento e indusse, infine, persino i partiti moderati del centro-sinistra a voltare pagina. Abbiamo bisogno di aspettare una nuova frana di Agrigento (che magari questa volta non sarà una frana edilizia, ma ecologico-ambientale: Sarno e i suoi 200 morti nel 1998, la quotidiana emergenza di smog e traffico sono segnali altrettanto gravi e preoccupanti, ma forse molti sono diventati più insensibili) perché si debba essere indotti a riflettere ?
Eppure, oggi, la linea di un arretramento della decisionalità pubblica subordinata alla sussidiaria consensualità con le proposte degli interessi privati retti dalle aspettative del libero mercato, passa nella proposta di legge sul governo del territorio in discussione in Parlamento attraverso uno schieramento trasversale tra maggioranza ed opposizione che va dal ciellino Maurizio Lupi, già assessore comunale a Milano, al deputato milanese della Margherita Pierluigi Mantini, sino a raccogliere il consenso di un urbanista già di sinistra come Campos Venuti, che giudica il loro disegno di legge più interloquibile che neanche quello proposto dai DS !
Questo orizzonte non è stato contraddetto neppure dalla direzione indicata dalla L. 12/2005 della Regione Lombardia che con il Piano di Governo del Territorio (PGT), articolato nei tre strumenti del Documento di Piano, Piano delle regole e Piano dei servizi ha scelto un indirizzo solo apparentemente collocato nel solco della proposta INU del 1995 di un’articolazione del PRG in una fase strategica complessiva a tempo indeterminato e Piani operativi quinquennali che le dessero corpo attuativo, ponendosi piuttosto nella prospettiva di una gestione per sommatoria di Piani quinquennali operativi (o peggio, secondo alcune interpretazioni più lassiste, per sommatoria di Documenti di Inquadramento Urbanistico, ancor più vaghi ed evanescenti nei loro effetti applicativi) il cui risultato finale è del tutto imprevedibile. Alcuni esempi di contraddizioni in questa delega alla conformazione urbana affidata alla progettualità privata sono già individuabili: possibilità che il 51% delle proprietà presenti un attuazione degli obiettivi quantitativi di edificazione e spazi ed attrezzature sulle proprie aree escludendo le altre; impossibilità di discutere impostazioni progettuali radicalmente alternative a quelle concordate tra proprietà fondiaria e attuatori immobiliari (cfr. PII ex Fiera), permanenza delle proposte contingenti di PII in programmazione negoziata, ecc.
A Milano questa stagione di allegre contrattazioni sull’orlo del baratro, si è data il nome di Nuovo Rinascimento Urbano. Se si intende sottolinearne il carattere di decisioni élitarie ed antidemocratiche, garantite unicamente dal placet del “principe”, la denominazione mi pare quanto mai appropriata (anche se é lecito dubitare che si tratti di prìncipi ed artisti altrettanto “illuminati” di quelli rinascimentali, quando comunque si poteva essere “grandi” nelle ambizioni e anche negli errori, senza con ciò provocare catastrofi irreversibili).
A me piacerebbe che le forze politiche ed intellettuali che non condividono la fiducia in queste concezioni succubi di un’abdicazione al ruolo di indirizzo e propositività pubblica, vi contrapponessero una denominazione ispirata dal titolo di un libro che Giuseppe De Finetti iniziò a scrivere nel 1943, sotto i bombardamenti, in vista del programma della futura Italia liberata e democratica: Milano Risorge.
Ecco: forse Risorgimento urbano sarebbe una denominazione più appropriata per un’idea di governo della città orientato da proposte pubblicamente partecipate e condivise.
Occorre tornare all’essenza della proposta INU del 1995: un Piano strategico che definisca quantità di edificazione, di aree ed attrezzature pubbliche e beni comuni non disponibili, senza porre vincoli legati alla proprietà, ma che definisca gli obiettivi del “progetto di città” che la collettività intende perseguire e che, in quanto carta costituzionale del territorio, sarebbe auspicabile venisse approvato o modificato a maggioranza qualificata e con procedure più che garantiste della partecipazione allargata. Un piano quinquennale che articoli quelle scelte strategiche in fasi operative che le legano alle proprietà, fissandovi anche i vincoli espropriativi da attuare in quel periodo. In quell’orizzonte temporale non si potrà certo sostenere che gli obiettivi indicati dalla programmazione pubblica svolgano un ruolo troppo statico od obsoleto, come spesso si é detto di quelli di PRG lasciati troppo a lungo invecchiare, e, quindi, si può proporre di abrogare tutti gli strumenti derogatorio/negoziali di vario genere venuti in auge da un quindicennio a questa parte.
Ritengo indispensabile porre come discriminante l’assunzione di un tale punto di vista, che faccia giustizia di oltre un decennio di “programmazione negoziata” risoltasi per lo più in una servile “negoziazione programmatica”.
Si potrebbero, a quel punto, introdurre alcuni miglioramenti procedimentali lasciati insoluti dalla grande stagione riformista degli anni Sessanta e Settanta: estensione ai permessi edificatori singoli della partecipazione agli oneri di esproprio delle aree pubbliche, obbligo di destinare le monetizzazioni di aree all’acquisizione di nuove aree, reintroduzione dell’obbligo di destinare gli oneri urbanizzativi alla realizzazione e manutenzione delle attrezzature urbane e non a spese correnti, rigida separazione dell’uso del contributo commisurato al costo di costruzione, da destinare anche a nuove finalità sociali (risparmio energetico, bioedilizia, ecc.), in aggiunta a quelle originarie di contenimento del costo abitativo. E con ciò anche gran parte delle fumisterie sulle politiche di “perequazione edificatoria”, motivate dalla carenza di risorse per le acquisizioni di aree - ma spesso, in realtà, veri e propri premi aggiuntivi alla rendita che stravolgono le previsioni insediative -, verrebbero ampiamente ridimensionate !
L’iniziativa del Parlamento per definire una legge quadro nazionale in sostituzione della Legge Urbanistica del 1942 coincide con Il nostro lavoro per rafforzare la riforma del governo del territorio
Nel dibattito politico italiano il territorio, inteso come luogo dove si esplicano e prendono forma le ragioni dell’ecologia e quelle del vivere, le forme del paesaggio e le molteplici espressioni delle strutture urbane, dove trovano posto e consistenza beni culturali e ambientali e la rete delle infrastrutture, quel territorio è assente.
Non c’è mai stato e, probabilmente, non ci sarà se non cominciamo a porci il problema politico di cos’è il territorio oggi e come dobbiamo attrezzarci per governarlo, cioè per fare, per l’appunto, governo del territorio. Come ci chiede la nuova formulazione dell’art. 117 della Carta Costituzionale.
Problema politico reso ancora più evidente dai circa 8.000 assessori comunali con delega sul territorio, dai 123 assessori provinciali e regionali attualmente in carica, e da qualche centinaia di posizioni politiche di rilievo negli enti territoriali sovracomunali di secondo livello.
oblema politico reso ancora evidente dalle migliaia di persone che, quotidianamente, hanno a che fare con gli uffici tecnici comunali per problemi di natura territoriale.
Cos’è il governo del territorio
In Toscana, fin dal 1995, con legge regionale e a Costituzione non modificata, lo abbiamo inteso come l’azione dei pubblici poteri che indirizza le attività pubbliche e private a favore dello sviluppo sostenibile, e che al contempo garantisce la trasparenza dei processi decisionali e la partecipazione dei cittadini alle scelte; considerando il territorio come risorsa e la collaborazione interistituzionale un obbligo per assicurare coerenza a tutti gli atti di governo del territorio.
Nella rivisitazione della legge regionale oggi cerchiamo di rafforzare il concetto affermando che il governo del territorio è inteso come l’insieme delle attività relative all’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti la tutela, la valorizzazione e le trasformazioni delle risorse che lo costituiscono. L’azione del governo del territorio assicura, inoltre, il coordinamento delle politiche e la sinergia delle azioni di tutti i settori capaci di incidere sulle risorse stesse al duplice fine dello sviluppo sostenibile e della massima efficacia delle azioni dei settori. [1]
Ragionare sul territorio, senza ridurlo alla sola componente ambientale, oppure ai soli temi dei beni culturali, del paesaggio, o peggio ancora identificarlo solo con l’urbanistica intesa come disciplina dell’edificare, cioè con i soli regolamenti di uso del suolo, contribuirà a migliorare notevolmente il significato del termine e soprattutto a posizionare possibili politiche di governo a tutti i livelli istituzionali.
Una delle cause non secondarie della dissipazione del patrimonio culturale e della devastazione dell’ambiente e dell’alterazione del paesaggio sta proprio nella cattiva gestione del territorio, della frammentazione del suo governo, cioè della separatezza nella quale è ridotto il suo controllo.
Il territorio è oggi l’elemento chiave per governare i tempi contraddittori dell’economia contemporanea, ma anche quello più sensibile, perché le istituzioni e le amministrazioni del territorio sono oggi, rispetto al passato, più sole in confronto alla forza del capitale finanziario.
Le nuove dimensioni globali del mercato innescano competizioni sempre più estese e sganciate da regolazioni nazionali o regionali forti, per forza di cosa fanno emergere i territori locali e le forme locali di sviluppo e di organizzazione che, per funzionare o meglio per competere nella grigia omologazione del mercato globale, hanno bisogno di valorizzare le proprie specificità socio-economiche, ma soprattutto territoriali.
Qui entra in gioco prepotentemente il governo del territorio e le strategie politiche che su di esso e con esso è possibile attivare. È chiaro che non si può affidare il governo di questa strategia alla sola strumentazione urbanistica, ma appunto al governo del territorio.
Governare non per dirigere quanto per rendere coesa e coerente l’intenzionalità dei programmi politici con le politiche del territorio e con quelle della programmazione e questa con i programmi di sviluppo e i soggetti locali. Un’azione collaborativa e interistituzionale che coinvolge, stabilmente, le Regioni, le Province e i Comuni e che si apra alla democrazia partecipativa e sostantiva dal basso dei cittadini, rimettendo al centro del governo ordinario delle città e dei territori il metodo della pianificazione e della programmazione, come attività connotanti il ruolo stesso delle pubbliche amministrazioni.
Con una sottolineatura, che forse a molti non è ancora del tutto nitida: da un lato non possiamo più confondere il ruolo della programmazione e quello della pianificazione (intesa come strumento del governo del territorio oltre la dimensione dell’urbanistica), dall’altro non possiamo più considerarela pianificazione come il braccio esecutivo della programmazione come purtroppo è accaduto nell’esperienza italiana di questo secondo dopoguerra né viceversa, come avrebbe voluto qualche teorico di un’urbanistica onnipotente.
L’idea politica, in breve, è quella di mantenere vivo un legame fecondo tra politiche del territorio e politiche di sviluppo, in un tessuto che è tradizionalmente alla base del riformismo e di molta parte del regionalismo italiano più recente.
Pensiamo ad un modello di governo del territorio che coniughi sostenibilità ed efficienza, nel quale al piano è affidata la prospettiva temporale lunga, sia verso il passato che verso il futuro, con la quale definire le certezze, gli elementi saldi e le connessioni profonde che condizionano inevitabilmente qualsiasi comportamento umano sul territorio, ed al programma il compiti di sviluppare in una prospettiva temporale breve e flessibile le potenzialità che il territorio stesso esprime.
In questo senso intendiamo accentuare la distinzione che la legge regionale n. 5 ha fatto tra i contenuti strutturali e gli aspetti gestionali ed operativi degli strumenti per il governo del territorio.
Riteniamo che la legislazione nazionale debba solo affermare il principio sostantivo della materia governo del territorio e nulla più:
1) ricostruire il quadro completo dei principi del governo del territorio in raccordo esplicito con le altre materie trasversali che in base al dettato costituzionale attengono alla competenza statale esclusiva, quali l’ordinamento civile e penale, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, o concorrente, quali la tutela della salute, i porti e aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, la finanza pubblica ed il sistema tributario, la valorizzazione dei beni culturali.
Occorre tuttavia tener presente che il concetto di competenza esclusiva dovrebbe avere un confine dinamico: una cosa è la competenza legislativa, che la costituzione affida inequivocabilmente allo Stato , una cosa è la competenza amministrativa che la legge ordinaria affida secondo il principio vincolante della sussidiarietà, dell’adeguatezza e della differenziazione [2].
La contrapposizione tra territorio e ambiente dovrebbe, quindi, essere stemperata, anche se attualmente, nella legislazione, esistono diverse contrapposizioni duali. Il termine Territorio, normalmente, ha un significato prevalentemente spaziale e come tale è il punto di riferimento delle logiche e delle pratiche della pianificazione fisica.
Il termine “ambiente” nei due significati: biologico (che fa riferimento alle condizioni di vita fisiche) e storico-culturale (che si riferisce alle attività umane) è il punto di riferimento dell’ecologia . Va abbandonato il sistema della pluralità di discipline, regole e piani che caratterizza l’attuale sistema normativo. Il territorio con le sue funzioni e potenzialità è infatti un valore unitario e come tale va pensato, disciplinato e gestito.
2) stabilire i riferimenti etici del governo del territorio, in rapporto con gli orientamenti europei e con l’evoluzione delle consapevolezze culturali che dal concetto di urbanistica affermato dalla legge 1150 attraverso il DPR 616, fino alle leggi regionali non solo recenti hanno portato a quello di governo del territorio nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.
Tra i vari temi degni di interesse sul piano normativo, ma anche culturale e amministrativo, vanno indicati alla riflessione del legislatore nazionale:
a) il processo di riforma relativo alla strumentazione urbanistica e territoriale che è andato di pari passo con l’attenzione per i temi ambientali all’interno della pianificazione degli usi del suolo
b) il progressivo spostamento di interesse dall’espansione edilizia ai temi del recupero e della riqualificazione urbana;
c) il territorio: da riferimento fisico indipendente a luogo di autopromozione
d) La partecipazione dal basso come elemento portante dell’aiuto alle decisioni pubbliche.
3) In conseguenza, stabilire in modo chiaro il ruolo ordinatore della pubblica amministrazione a tutela degli interessi della collettività ed a promozione e sostegno dello sviluppo, appunto, durevole, chiarendo quindi le ambiguità del rapporto pubblico–privato. Il che significa estendere la pianificazione e della programmazione a metodo ordinario nella gestione della pubblica amministrazione e nell’organizzazione dell’iniziativa privata.
Le modalità di funzionamento della pubblica amministrazione e il suo intervento e le forme organizzative e l’iniziativa privata non sono due fini in sé contrapposti; ma due modi a disposizione della società di conseguire, caso per caso, circostanza per circostanza, gli obiettivi e i risultati che si sono espressi e programmati.
Questo significa lavorare in cooperazione, ma con distinzione di ruoli racchiudibili nello slogan “ piani pubblici, progetti pubblico-privati o privati”, ma significa anche reinventare totalmente il governo e le sue modalità introducendo nei comportamenti, nella organizzazione e nelle scelte tecniche la pianificazione e la valutazione strategica, dando attuazione innovativa alla Direttiva 2001/42/CEE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.
Il principio nodale che deve essere esplicitamente richiamato è che la pianificazione e la programmazione costituiscono il metodo ordinario per l’organizzazione della pubblica e per le modalità del governo del territorio.
Si deve richiamare a questo proposito l’esperienza Toscana, dove, sin dagli anni ’70, lo strumento principale del governo del territorio, il Piano, da strumento regolatore, di vincolo passivo – che talora era considerato ostacolo alle esigenze dell’economia – ha sempre teso a diventare progetto, rappresentazione di un possibile sviluppo sostenibile, capace di sollecitare in modo ordinato le azioni dei soggetti pubblici e privati, capace di proporre.
Prendendo atto della necessità di superare la inaccettabile rigidezza che caratterizza la precedente generazione dei Piani regolatori, tanto da renderli estranei alle dinamiche economiche e incapaci di concorrere alla definizione ed all’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile, si è scelta la via di recuperare il metodo della programmazione – pianificazione territoriale come attività permanente della pubblica amministrazione, con decisi correttivi per riallineare i tempi ed i contenuti della pianificazione alle reali esigenza delle politiche di sviluppo.
La conclusione logica è evidente: l’affermazione di principi fondamentali verso la collettività quali il diritto di tutti a partecipare alle scelte ed il non delegabile dovere della pubblica amministrazione di governare le trasformazioni territoriali nel rispetto delle risorse territoriali.
A questo riformismo si contrappone un liberismo anarcoide che sostanzia purtroppo alcune convergenze a livello parlamentare che tendono a sostituire i piani con labili documenti, che mostrano di ignorare il principio della sostenibilità e che tendono invece a tutelare la posizione dei poteri forti privati in una contrattazione in assenza di qualsiasi regola salda e condivisa a tutela dei diritti collettivi e del patrimonio comune.
Siamo consapevoli che la riforma che si sta realizzando in base alla legge regionale n. 5 del 1995 ha sortito esiti positivi:
- tempi procedurali enormemente ridotti rispetto al vecchi regime [3];
- c’è stata un’adesione massiccia dei Comuni e delle Province al processo di rinnovamento del sistema della pianificazione [4];
- si è accresciuta la consapevolezza dei valori del territorio e si sta acquisendo il senso della necessità del principio della sostenibilità;
- si è avviato un dialogo tra i settori e tra le istituzioni;
- nonostante l’affermazione del principio della sussidiarietà (in anticipo rispetto alla riforma del titolo V della Costituzione) i conflitti tra livelli istituzionali sono stati quasi sempre risolti senza ricorsi in sede giurisdizionale, assumendo dimensioni patologiche in pochissimi casi che hanno richiesto tale rimedio.
Siamo anche consapevoli dei limiti dell’esperienza di questi anni:
- sono ancora scarse le sinergie nell’attività di definizione delle scelte di governo del territorio, dato il permanere di molti procedimenti paralleli (le pianificazioni separate) i cui tempi ed effetti non risultano coordinati;
- I costi della pianificazione per il governo del territorio sono gravosi per i soggetti più deboli;
- non è ancora soddisfacente il controllo che la legge opera sulle scelte di singoli soggetti pianificatori che producono effetti su altri soggetti istituzionali;
- spesso è risultato incompleto il controllo sugli strumenti della gestione da parte degli strumenti strategici e tendenza a riproporre i vecchi modelli della pianificazione urbanistica rendendo incoerente il rapporto tra quadri conoscitivi di buon valore e scelte pianificatorie talvolta non giustificate.
La nuova legge, come già anticipato dal PRS 2003-2005, intende riaffermare ed evolvere i principi affermati dalla 5/95 ed in particolare:
1. renderli del tutto coerenti con i nuovi principi costituzionali, comunque già in buona misura presenti nella legge attuale;
2. rafforzare le sinergie tra i soggetti e tra i settori, attraverso un procedimento unificato [5] che aumenti l’efficienza dei percorsi decisionali ed il riallineamento delle norme di riferimento in un Codice regionale per il governo del territorio;
3. di conseguenza, assumere i contenuti delle nuove disposizioni comunitarie [6] in ordine alla valutazione integrata degli atti strategici [7].
4. migliorare l’efficacia nel perseguimento degli obiettivi della riforma.
Quali in questa prospettiva gli obiettivi fondamentali del lavoro sulla nuova legge:
1. Pensare e realizzare gli strumenti per attuare davvero la sussidiarietà.
2. Disciplinare un procedimento unificato per la formazione degli atti di pianificazione.
3. Costruire riferimenti unificati per coniugare sviluppo e tutela, per garantire lo " sviluppo sostenibile"
4. Apportare i correttivi - chiarimenti che risultano opportuni in base all’esperienza di questi anni di gestione della 5/95
5. Fornire stabilità al quadro normativo nel lungo periodo.
Uno dei motivi principali che spingono a rivedere le norme per il governo del territori è rappresentato dalla riforma del titolo V della Costituzione.
I punti consolidati, alcuni già presenti nella legge attuale e gli altri costruiti assieme al sistema delle autonomie, sono di grande rilievo politico istituzionale: andiamo verso un’attuazione piena della riforma costituzionale
Si afferma la pari dignità dei soggetti istituzionali all'interno del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Principio di pari dignità
· Nella proposta ogni soggetto assume le sue decisioni senza sottostare ai condizionamenti di altri soggetti
· Ogni soggetto ha a disposizione gli strumenti per tutelare le proprie competenze dalle ingerenze altrui
Principio di sussidiarietà
· Il cittadino ha rapporti con l’ente che assicura l’adeguatezza e che gli è più vicino: per la gran parte della disciplina delle trasformazioni del territorio questo ente è il Comune, storicamente titolare della competenza in urbanistica.
L’attribuzione delle funzioni amministrative è riservata alla fonte legislativa competente ai sensi dell'articolo 117 (stato, per le sole funzioni di esclusiva competenza statale, o regione), secondo i criteri:
· di adeguatezza
· di differenziazione
Criterio di adeguatezza:
· Solo la legge può definire qual è il livello adeguato per svolgere una determinata funzione: l’articolato propone i ruoli di Regione (strategie territoriali e regolamentazione generale), Provincia (definizione dei limiti di utilizzabilità delle risorse) e Comune (disciplina dell’uso del territorio, urbanistica)
Criterio di differenziazione
·Nessun soggetto fa le stesse cose degli altri per consentire la non sovrapposizione e, dunque, la non gerarchia
PENSARE E REALIZZARE GLI STRUMENTI PER ATTUARE DAVVERO LA SUSSIDIARIETÀ E LA DIFFERENZIAZIONE
Cosa serve dunque ai Comuni in questa prospettiva che impone di partire dal soggetto più vicino al cittadino? Servono riferimenti certi entro cui gestire una completa autonomia. Gli stessi Comuni chiedono un controllo degli effetti sovracomunali delle scelte (C’è una grande domanda di AREA VASTA).
Questi riferimenti sono:
· gli indirizzi di programmazione del territorio.
· condizioni di ammissibilità certe ed esplicite per sviluppare ognuno il proprio autonomo potere di governo del territorio.
Ciò deve corrispondere alle competenze che si vanno a proporre per ogni livello di pianificazione:
La Regione
La Regione deve essere il soggetto che definisce le strategie generali: il Piano di indirizzo territoriale in raccordo con il piano regionale di sviluppo (sono quindi da precisare le relazioni tra i due strumenti secondo la logica affermata con l’ultimo PRS)
Si stabilisce comunque un forte rapporto fra programmazione generale dello sviluppo e pianificazione territoriale. Il Piano regionale di sviluppo ed il Piano di indirizzo territoriale operano in forte sinergia.
Il PIT è nello stesso tempo lo strumento territoriale del PRS e momento di proposta per le politiche di sviluppo.
La Regione deve definire le regole invarianti in riferimento ai livelli prestazionali irrinunciabili (la Regione esercita il potere regolamentare generale)
La Provincia
Alla Provincia è affidato il compito di definire le condizioni di sostenibilità ("tutti livelli di piano inquadrano prioritariamente invarianti strutturali da sottoporre a tutela, al fine di garantire lo sviluppo sostenibile". Articolo 5 della legge vigente – dove per invarianti s’intende i livelli prestazionali non negoziabili delle risorse del territorio per garantirne la riproducibilità nella qualità)
Al livello intermedio si definiscono i contenuti programmatici dello sviluppo sostenibile (obiettivi, azioni, progetti di sviluppo locale come cerniera tra top - down e bottom - up): al PTC è affidato il compito di raccordare con propri indirizzi le strategie regionali al governo del territorio comunale.
- Secondo il criterio della differenziazione il piano territoriale di coordinamento della Provincia (come afferma già la legge 5) deve differenziarsi dal piano strutturale comunale.
- Secondo il principio della sussidiarietà il piano territoriale di coordinamento della Provincia deve dire quelle cose che sono necessarie alla pianificazione comunale e che il comune non può governare in modo adeguato in quanto eccedono i suoi confini.
Il Comune
Al Comune è attribuita la competenza in ordine alla disciplina dell’utilizzazione e della trasformazione delle risorse del territorio nell’ambito comunale
in tal senso il Comune:
- riconosce le identità dei luoghi e tutela le risorse essenziali del territorio;
- definisce gli indirizzi per il governo del territorio comunale espressi dalla comunità locale, nel rispetto di quelli espressi dalla Regione e dalla Provincia, dei quali promuove ove occorra i necessari adeguamenti;
- stabilisce gli obiettivi delle proprie politiche di settore e ne definisce l’attuazione programmata.
I RAPPORTI TRA LE COMPETENZE DELLE ISTITUZIONI ED I RIMEDI PER LE EVENTUALI PATOLOGIE IN ORDINE ALLA LORO TUTELA
C’è chi ritiene che anche nell’attuale disciplina contenuta nella legge n. 5 l’autonomia comunale si eserciti in modo eccessivo e dunque vorrebbe tornare indietro e trasformare il processo di consolidamento della riforma in controriforma, chi ha nostalgia dell’autorità della Regione che approva e stralcia gli atti di pianificazione altrui, magari attraverso la CRTA
La legittimità costituzionale, la storia e la realtà presente dei rapporti tra le istituzioni toscane, l’affermazione stessa del ruolo del governo regionale vietano questo ritorno al passato: la logica delle gerarchie comprenderebbe anche una supremazia statale nei confronti di tutti gli altri soggetti.
Questa proposta si colloca invece sulla linea delle intese e della leale collaborazione definita dalla sentenza 303 del 2003 della Corte costituzionale.
Per evitare le patologie nei rapporti interistituzionali si propone un sistema di warning precoce (durante il procedimento unificato chi intende tutelare le proprie competenze viene interessato ordinariamente all’avvio del procedimento e prima dell’adozione dell’atto, e comunque ha facoltà di presentare osservazioni).
Se infine con ciò non si perviene ad una composizione delle divergenze, non essendo data ad alcun soggetto la potestà di intervenire autoritativamente, si deve ricorrere ad un soggetto terzo (che oggi è rappresentato dal giudice amministrativo) che sia rappresentativo di tutti i livelli istituzionali.
Nella proposta di legge si è prevista una commissione paritetica Regione, ANCI, URPT, alla quale, nel caso che lo warning preventivo non abbia funzionato, si potrà rivolgere il soggetto che riterrà violate dall’amministrazione procedente le proprie competenze, le prescrizioni del proprio strumento di pianificazione o la stessa legge.
Il ricorso produrrà l’automatica sospensione dell’atto fino alle determinazioni del comitato. Sono peraltro previste misure di salvaguardia e poteri sostitutivi a tutela delle competenze di ciascun soggetto istituzionale e infine si potrà comunque ipotizzare un eventuale ricorso al giudice amministrativo.
UN MODELLO EFFICIENTE E SOSTENIBILE: DISCIPLINARE UN PROCEDIMENTO UNIFICATO PER LA FORMAZIONE DEGLI ATTI DI PIANIFICAZIONE.
I principi del governo del territorio sono affermati anche per le azioni di settore attraverso la definizione di obiettivi valutati in relazione ad ambiti di sviluppo e ricercando sinergie intersettoriali. Punto fondamentale è la definizione di un procedimento unificato e di valutazioni integrate.
Spariscono dalla legge i procedimenti ora previsti per la formazione e l’approvazione dei diversi strumenti, sostituiti dalla definizione di uno schema di procedimento unificato a valere verso tutti gli atti incidenti sul territorio
Si prevede di ricondurre ai principi propri del “governo del territorio” una serie di procedimenti di settore, di origine regionale o statale, il cui esito operativo induce effetti e trasformazioni significativi sul territorio e sulle sue risorse e che, ad oggi, rispondono a criteri in varia misura separati, estranei, e talvolta conflittuali, rispetto ai procedimenti ed agli obiettivi della sostenibilità affermati dalla L.R.5/95.
Fra questi assumono evidente importanza i temi dei programmi complessi, degli sportelli unici, le tante procedure messe in campo dal settore ambientale, nazionale ed europeo, che generano ulteriori complessità e separatezze, rendendo sempre più complessi i rapporti fra le norme generali di governo del territorio e quelle di settore.
La nuova legge prevede un unico schema di procedimento per la formazione e l'approvazione di tutti gli atti aventi effetto sul territorio.
Si definiscono i capisaldi del procedimento (avvio, progressiva definizione del progetto, verifiche, formalizzazione, evidenza pubblica ecc.) definendo per ciascun caposaldo le funzioni da svolgere e le prestazioni qualitative da garantire . Il titolare del procedimento è l’unico responsabile della perfetta legittimità di esso, non essendoci alcun soggetto sovraordinato che approva. Tale assunto, già presente nella legge vigente, viene rafforzato eliminando tutte le residue ambiguità.
Particolare rilievo è dato all'avvio del procedimento che è il momento in cui il titolare del procedimento provoca l’incontro e la sinergia di tutti i soggetti dai quali si attende un sostanziale apporto in termini di qualità, di definizione del quadro delle conoscenze, delle regole e degli obiettivi, e di quelli che per competenza espressa sono tenuti ad esprimersi sul prodotto finale. Lo scopo evidente è quello di trasferire il massimo di conoscenze alla successiva fase di progettazione, dotandola così di quanto necessario per conseguire i dovuti livelli di qualità e rendendola consapevole da subito delle regole secondo le quali sarà valutata.
I soggetti interessati all'avvio non saranno, quindi, solo i livelli istituzionali, ma tutti quei soggetti, pubblici e privati che, per loro funzione e ruolo specifico, il titolare del procedimento ritenga essere effettivi portatori di conoscenza, ovvero gestori di regole formalmente espresse ed incidenti sul procedimento, oppure titolari di un potere decisionale concorrente loro assegnato dalla legge.
Nel corso dell'iter progettuale il titolare del procedimento può porre in essere momenti formali di verifica, da stabilire all'atto di avvio, per garantire progressivamente la correttezza dello sviluppo progettuale e per portare tempestivamente gli eventuali correttivi, evitando al massimo che essi intervengano nella fase terminale del procedimento.
Elaborato il progetto, la legittimità di questo e la compatibilità e coerenza con gli strumenti di riferimento viene certificata formalmente dalle strutture tecniche responsabili del procedimento (autocertificazione).
Tutto avviene prima che l’organo politico istituzionale del titolare del procedimento assuma le proprie determinazioni in modo autonomo e consapevole
Sono esclusi dall’obbligo di seguire tutti i passaggi del procedimento unificato (salvo che per l’autocertificazione) gli atti meramente gestionali che sviluppino i propri effetti nell’ambito esclusivo delle competenze di un unico soggetto (ad es. il Regolamento Urbanistico ed i piani attuativi del Comune per i quali sussiste solo l’obbligo della trasmissione alla Regione – per il R.U. - e alla Provincia)
Alla luce della riforma del titolo V della Costituzione e dei recenti orientamenti della relativa giurisprudenza, non sembra da escludere che la norma regionale possa incidere sui comportamenti degli organi statali nell’esercizio delle loro competenze amministrative in materia di governo del territorio. Sembra possibile che la legge individui nei suoi procedimenti forme e momenti di concertazione operativa per attivare processi di collaborazione secondo il principio della leale collaborazione.
La legge afferma inoltre la necessità di procedere a valutazioni integrate degli effetti ambientali/territoriali, economici, sanitari e sociali indotti dalle trasformazioni del territorio risorsa. La nuova legge prevede che tali valutazioni siano effettuate nella fase di predisposizione dei piani o programmi, comunque prima della loro adozione, così da permettere alle amministrazioni competenti di operare scelte coerenti (valutate) con i principi dello sviluppo sostenibile
La nuova legge stabilisce infatti che “ogni soggetto che intende adottare uno strumento della pianificazione territoriale o un atto del governo del territorio effettua la valutazione integrata degli effetti territoriali, ambientali, sociali, economici e sulla salute umana, anche in più momenti , a partire dalla prima fase utile delle elaborazioni, prima che vengano assunte determinazioni impegnative, anche per consentire la scelta motivata tra possibili alternative e per individuare aspetti che richiedano ulteriori integrazioni o approfondimenti.” Le valutazioni compiute in una fase di elaborazione non sono ripetute con lo stesso livello di approfondimento e con le stesse modalità nelle fasi successive.
La nuova legge conferma che le disposizioni di carattere territoriale degli atti delle politiche di settore sono preventivamente sottoposte ad una verifica tecnica di compatibilità relativamente all’uso delle risorse essenziali del territorio. Dell’esito delle verifiche è dato espressamente atto nel provvedimento di approvazione dell’atto di programmazione settoriale. Gli strumenti della pianificazione territoriale determinano quali atti del governo del territorio debbano essere sottoposti alle valutazioni
COSTRUIRE RIFERIMENTI UNIFICATI PER CONIUGARE SVILUPPO E TUTELA, PER GARANTIRE LO " SVILUPPO SOSTENIBILE": UN TESTO UNICO DELLE NORME PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO
L’ obiettivo è stato in primo luogo quello di sincronizzare e portare a coerenza le diverse norme, in primo luogo quelle regionali, in tutte quelle materie che direttamente e tradizionalmente attengono all'urbanistica ed al territorio e che, ancora oggi, risultano "esterne" alla 5/95, anche se in parte ne hanno assunto i principi.
L'elenco è consistente e riguarda aspetti che vanno dal recupero del patrimonio edilizio esistente agli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia nelle zone a prevalente funzione agricola, dalla normativa edilizia alla disciplina paesaggistica, dall'edilizia residenziale o produttiva di iniziativa pubblica al commercio, dalla mobilità alla gestione dei tempi, ai porti e approdi turistici.
Si tratta di argomenti di rilievo che, si ricorda, attengono, fra l’altro, ad alcune Leggi Regionali importanti quali:
· LR 59/80 "Norme per gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente";
· LR 21/84 "Norme per la formazione e l'adeguamento degli strumenti urbanistici ai fini della prevenzione del rischio sismico";
· LR 39/94 "Norme in materia di variazioni essenziali e di destinazione d'uso degli immobili"
· LR 64/95 e successive modificazioni "Disciplina degli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia nelle zone a prevalente funzione agricola";
· LR 68/97 "Norme sui porti e gli approdi turistici della Toscana";
· LR 52/99 “Norme sulle concessioni e le denunzie di attività edilizie”;
· LR 38/98 Governo del tempo e dello spazio urbano e pianificazione degli orari della città
· L.R. 78/98 Testo Unico in materia di cave, torbiere, miniere, recupero di aree escavate e riutilizzo di residui recuperabili.
· la normativa urbanistica relativa alle aree per l'edilizia residenziale o produttiva di iniziativa pubblica e privata (lottizzazioni, piani particolareggiati, aree "167", aree P.I.P. ecc.);
· la normativa urbanistica relativa ai parchi regionali.
· la normativa urbanistica relativa al commercio
In questa operazione si è affrontato il tema importante della disciplina paesaggistica. Per quanto ci riguarda intendiamo riaffermare la convinzione che da sempre ci ha caratterizzato, secondo la quale la presenza di un piano dotato di specifiche norme sulla qualità paesaggistica e architettonica degli interventi da trasporre nella disciplina urbanistica locale, possa e debba costituire condizione per una modalità di gestione della tutela del paesaggio diversa da quella attuale. Il riconoscimento della sussistenza nel piano di tali norme si porrebbe infatti come condizione di garanzia della correttezza e della qualità degli interventi più efficace ed efficiente dell’attuale procedimento autorizzativo. La compatibilità di questi ultimi con il piano, quindi, potrebbe essere adeguatamente verificata in ambito comunale, risultando non più necessario il puro vincolo passivo e la modalità autorizzativa della tutela.
APPORTARE I CORRETTIVI CHE RISULTANO OPPORTUNI IN BASE ALL’ESPERIENZA DI QUESTI ANNI DI GESTIONE DELLA 5/95
Occorre precisare la definizione dei contenuti degli strumenti del governo del territorio (PIT regionale, PTC provinciali, PS comunali) secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, prevedendo per ognuno una parte “statutaria” strutturale ed una parte strategica più direttamente operativa;
E’ necessario rafforzare il controllo del Piano strutturale sulla gestione delle trasformazioni (regolamento urbanistico e piano complesso)
La nuova legge dovrà infine garantire la continuità, e la permanente adeguatezza e la certificabilità dei dati conoscitivi su cui si fonda e si valuta l’azione di governo del territorio, evitando vuoti di conoscenza, ridondanze, duplicazioni e costi economici fortemente crescenti a carico delle istituzioni e dei privati.
[1]Come emerge chiaramente, in Toscana, ci siamo orientati nel considerare la nozione “governo del territorio”, seguendo l’evoluzione delle elaborazioni disciplinari, amministrative e politiche di cinquant’anni intorno alla materia “urbanistica”,, dal concetto ridotto della legge del 1942, alla pan-urbanistica degli anni settanta, così estesa con il DPR 616 del 1977 da diventare un’altra cosa, così come, fin dalla nascita delle Regioni ordinarie, il regionalismo riformista auspicava e indicava.
In Toscana abbiamo dunque applicato il principio della continuità e al contempo il principio della continenza (nel più sta il meno), per cui nella nozione “governo del territorio” da una parte la consideriamo come la sintesi politica ed amministrativa più alta sul territorio, cioè quel complesso di istituti ed azioni che presiedono alla definizione, regolamentazione, controllo e gestione della principale risorsa in mano pubblica: il territorio, le sue regole, i suoi principi; dall’altra come inclusiva di tutti quegli aspetti tecnico-organizzativi che permettono di trasferire la sintesi nell’agire: l’urbanistica e l’edilizia in primis. Cioè il cuore normativo del governo del territorio è rappresentato anche dalla regolamentazione urbanistica e da quella edilizia, ma anche dalle regolamentazioni del paesaggio, dell’ambiente, ecc.
[2] Ad esempio, l’art. 9 della costituzione recita infatti che “la Repubblica…. tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico”; sottolineo la Repubblica, che come recita il successivo art. 114 “è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo stato”. E questo, operativamente, vuole pur dire qualcosa).
[3] Alla data del maggio 2003, dei 79 Piani strutturali giunti all’approvazione il più rapido è stato il caso di Bientina (PI) con soli 352 giorni effettivi; il più lento è stato quello di Terricciola (PI) con 2.419 giorni. La media tra tutti i piani strutturali approvati è di 1.245 giorni.
Alla stessa data, dei 39 Piani regolatori completi (Ps + Ru) il più veloce è stato quello di Bagno a Ripoli (FI), che ha chiuso l’intera procedura in 688 giorni effettivi; il più lungo quello di Scarlino (GR), che ha impiegato 2.450 giorni. La media è risultata pari a 1.506 giorni.
I dati si riferiscono al periodo che va dall’avvio delle elaborazioni all’entrata in vigore delle disposizioni. Entro cinque anni, l’arco del mandato amministrativo, nel 77% dei casi il piano giunge alla sua completa formalizzazione.
Prima della riforma i tempi di ratifica istituzionale non considera il periodo di elaborazione del progetto che nella maggior parte dei casi va attorno ai due anni: il 93% degli strumenti urbanistici necessita di altri tre anni per la sola fase di ratifica istituzionale, dall’adozione del piano all’esame regionale alla definitiva approvazione; addirittura il 37% supera la soglia dei cinque anni. Ciò significa che, sovente, una diversa Giunta comunale si trova a dover sostenere davanti agli organi tecnici regionali uno strumento urbanistico generale che non ha contribuito a definire.Infinitamente più breve è oggi il periodo di formazione delle varianti, che nei casi più semplici non supera i sei mesi dall’inizio delle elaborazioni all’efficacia.
[5] Vedi scheda n. 1 allegata
[6] Vedi scheda n. 2 allegata
[7] Vedi scheda n. 3 allegata