Le fonti rinnovabili, per quale sviluppo?
Un urbanista foggiano scrive a Nichi Vendola e al manifesto, a proposito della lettera di Agostinelli e Serafini sull’eolico
Leggendo la lettera aperta al presidente della regione Puglia, apparsa su “il Manifesto” dell’ 8 giungo 2005, di Massimo Serafini e Mario Agostinelli, con cui si chiedeva di ripensare l’idea della moratoria sull’eolico perché «la strada da imboccare è quella della promozione delle fonti rinnovabili», sono giunto ad alcune riflessioni (maturate a partire dalla mia realtà foggiana) per le quali ritengo sensata la proposta di sospendere l’attività dell’eolico nella regione, soprattutto nella provincia di Foggia che in Puglia è la realtà più inondata di eolico(nei comuni del Subappennino dauno con n.455 torri installate, con una potenza totale di MW 300,57 pari all’ 81% dell’intera Puglia con i suoi 371 MW).
Per comodità di sintesi le elenco per punti.
a) Perché produrre energia elettrica? L’energia elettrica serve per mettere in moto questo modello di sviluppo che ha bisogno sempre più di energia per produrre sempre più merci. Il modo di produrre merci distrugge territorio (natura e ambiente) e non considera le leggi fondamentali della natura. E’ un modello utilitaristico della società e dell’economia che considera «la natura il “fondo materiale” della storia, l’inesauribile riserva di estrazione di risorse minerali, vegetali ed animali».
b) La produzione di energia con fonti rinnovabili non è finalizzata a un modello economico e sociale che pianifica sia una sostituzione della produzione di energia da fonti non rinnovabili come le grandi centrali elettriche a carbone con grandi impatti umani e ambientali sia un altro modo di produrre l’energia e di organizzare la produzione e la riproduzione della società storicamente data.
c) Al di là della scelta giusta e sensata di produrre energia dalle fonti rinnovabili con tecnologia che rispetta i cicli della natura (la tecnologia non è neutrale), resta il problema del perché produrre energia, per chi, per che cosa? Perché un territorio di rilevante importanza agricola, naturalistica ed ambientale come quello foggiano deve essere “specializzato” a produrre energia elettrica tramite l’eolico (perché solo l’eolico?) che non ha nessuna interconnessione con il territorio e finisce per depauperare i territori interni (collinari e montani) con l’ulteriore abbandono dell’agricoltura ? I territori agricoli vengono convertiti con la messa a “coltura” dell’eolico a scapito di uno sviluppo agricolo che recuperi la memoria delle masserie ecologiche, dei piani zonali, di una difesa del territorio, di un impegno reale e concreto per bloccare il dissesto idrogeologico, eccetera. Insomma, uno sviluppo locale che sappia tutelare e valorizzare le risorse vocazionali del territorio è l’unica strada per non cancellare la storia, la cultura e l’esistenza di queste importanti comunità locali che hanno saputo costruire milieu locale innervato con la natura e l’ambiente.
d) L’eolico è energia che viene prodotta sopratutto dalle grandi imprese, anche multinazionali. Il modo di produzione delle imprese non considera il paesaggio, la natura, il territorio: esse ignorano le regole della natura e dell’ambiente ma non quelle del profitto e del potere. Intervengono sul territorio senza regole e l’unico controllo degli enti locali è quello delle banali varianti agli strumenti urbanistici vigenti, inadeguati e carenti.
e)La lettera aperta è una presa di posizione che si pone nella frattura tra la teoria e la prassi, dove la teoria non si rinnova con la prassi (e viceversa) e che non tiene conto del modo di produzione (forze produttive sociali, rapporti sociali di produzione, eccetera) dell’ energia elettrica sia essa fondata sulle fonti rinnovabili sia essa fondata su quelle non rinnovabili.
f) La provincia di Foggia è “ricca” di piani di area vasta redatti e in fase di redazione che si rifanno al cosiddetto sviluppo sostenibile. Sono piani che non comunicano e non producono un progetto sostenibile dell’insieme del territorio. La produzione di energia elettrica (rinnovabile o non rinnovabile) non ha nessuna correlazione con un progetto territoriale sostenibile della Capitanata.
La Puglia non ha un piano regionale di energia che si innerva con un piano di sviluppo territoriale, economico e sociale. Il presidente Vendola non solo fa bene a proporre la moratoria sull’eolico, considerato che non ha nulla a che fare con la produzione di energia pulita per uno sviluppo territoriale rispettoso della dignità umana e dei cicli ecologici e naturali, ma dovrebbe anche, a mio parere, impostare la questione energetica tenendo legate le pianificazioni territoriale, ambientale ed economica.
Oltre mezzo milione di uccelli migratori, tra cicogne, pellicani, gru, poiane e aquile sono a rischio lungo la costa del Mar Nero, nel Nord della Bulgaria, a causa di 3 progetti di impianti per la produzione di energia eolica. La zona interessata, Cape Kaliakra, è un’area importante per gli uccelli censita da BirdLife International all’interno del progetto IBA (International Bird Areas) e costituisce la seconda più importante rotta europea per gli uccelli migratori, in particolare quelli provenienti dal Nord Europa e diretti verso Sud. Lo denuncia la LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli) e la Società bulgara per la protezione degli uccelli (BirdLife Bulgaria): quest’ultima, insieme ad altre associazioni ambientaliste, ha lanciato oggi un appello contro il progetto che prevede 80 turbine a vento alte 120 metri ciascuna. Un “muro di morte”, l’hanno già battezzato gli ambientalisti bulgari, contro il quale finiranno per schiantarsi, con esiti fatali, centinaia di migliaia di uccelli migratori.
Anche in Italia il rapido sviluppo di centrali eoliche costituisce per la LIPU “una minaccia per importanti specie di rapaci e altri uccelli veleggiatori, sia nidificanti che migratori, soprattutto nel Centro-Sud e nelle isole”. La LIPU chiede una moratoria assoluta alla costruzione di impianti eolici nelle aree più importanti per la presenza di uccelli selvatici (IBA), nelle aree protette e nei siti di Rete Natura 2000, la grande rete di protezione della biodiversità dell’Unione europea. Seppur favorevole all’utilizzazione delle fonti energetiche alternative nel rispetto del protocollo di Kyoto, la LIPU chiede che la progettazione di impianti eolici avvenga all’interno di una severa programmazione, da effettuare a livello sia nazionale che regionale, che rispetti le aree più importanti per gli uccelli nonché valuti con attenzione l’impatto sul paesaggio.
“È assolutamente necessario – spiega Danilo Selvaggi, Responsabile rapporti Istituzionali LIPU – andare oltre i meri aspetti positivi prodotti dalle fonti rinnovabili sull’abbattimento di gas serra, e valutare quali impatti negativi esse invece producono sul territorio. L’attuale proliferazione incontrollata e non pianificata di impianti per la produzione di energia eolica costituisce infatti una grave minaccia all’integrità di ecosistemi e paesaggi in gran parte delle regioni italiane, in particolare in quelle aree a maggiore vocazione eolica quali la dorsale appenninica e la Sardegna”.
“Molte delle specie che più soffrirebbero della presenza di queste ‘fattorie del vento’ – prosegue Selvaggi – sono inserite in liste rosse nazionali o in Direttive europee, come la Direttiva “Uccelli” 79/409, e risultano già fortemente minacciate o in declino, come per esempio l’Aquila del Bonelli, il Capovaccaio, il Grillaio e la Cicogna bianca. Chiediamo di conseguenza che prima di realizzare nuovi impianti si metta a punto un Piano Energetico a livello nazionale e regionale e si realizzi una mappatura del territorio italiano in cui evidenziare le aree con un elevato grado di naturalità e importanza per la fauna selvatica dove interdire la costruzione di impianti eolici”.
Parma, 4 agosto 2005
Si veda anche la precedente risoluzionedella Lipu sull'eolico (4 giugno 2004)
Lo sviluppo dell'energia eolica incontra difficoltà in Italia, in particolare nelle Regioni dove maggiori sarebbero le potenzialità: i governi regionali, in particolare, in Sardegna, in Sicilia, in Puglia, manifestano opposizioni o serie riserve. La ragione principale di tali riserve starebbe nell'impatto visivo, paesistico, dei generatori eolici. Senza voler negare il problema, pare tuttavia necessaria una riflessione più ampia e complessiva: bloccare lo sviluppo dell'eolico in Italia sarebbe, infatti, una scelta con rilevanti conseguenze ambientali, e non solo.
Intanto non si può più dire che quella eolica sia destinata ad essere una fonte energetica marginale. Le turbine eoliche, i nuovi mulini a vento che producono energia elettrica, stanno avendo una rapidissima crescita: da una potenza complessiva di tutti i generatori eolici funzionanti sul Pianeta pari a 4.800 MW (milioni di watt)nel 1995 si è arrivati a ben 47.300 MW nel 2004. Negli ultimi 2 anni la crescita dell'eolico è stata fortissima: pari a 8000 MW installati in più all'anno, sia nel 2003, sia nel 2004.Se prosegue tale ritmo di crescita si potrebbe arrivare a sfiorare i 100.000 MW installati entro il 2010.
I Paesi a maggior presenza di generatori eolici sono: la Germania, leader mondiale del settore (con 16.629 MW), la Spagna (con 8.263MW), gli Stati Uniti (con 6.740 MW), la Danimarca (con 3.117MW) e l'India (con 3000 MW).
Perché questa crescita dell'eolico?
Il costo del chilowattora prodotto dai generatori eolici è fortemente calato, è ormai competitivo con quello dei combustibili fossili, per le economie di scala prodotte dalla crescita degli impianti installati, per i miglioramenti tecnologici che hanno aumentato i rendimenti, per l'aumento delle potenze delle turbine (ormai comprese fra 1 e 2 MW).
I buoni risultati raggiunti in alcuni Paesi hanno la forza delle buone pratiche: hanno innestato una forte crescita, apprezzata dalla gran parte dei cittadini, preoccupati per l'ambiente e interessati allo sviluppo di fonti energetiche pulite, rinnovabili, fattibili e non troppo care. Un forte impulso all'eolico viene, oltre che dall'aumento consistente e strutturale del prezzo del petrolio, anche dal Protocollo di Kyoto: per contrastare i cambiamenti climatici è indispensabile ridurre i consumi di combustibili fossili, aumentando l'efficienza energetica e sviluppando decisamente le fonti energetiche rinnovabili. Visto anche che il nucleare non è un'alternativa accettabile perché, oltre ad essere molto costosa, comporta rischi e problemi ambientali non risolti nella gestione dei rifiuti radioattivi.
Parlare seriamente di fonti rinnovabili, oltre all'idroelettrico già ampiamente utilizzato e con limitati margini di incremento, significa affrontare il tema dell'eolico, l'unica nuova fonte rinnovabile che, ad oggi, può dare contribuiti importanti alla produzione di energia elettrica. Il solare fotovoltaico installato nel mondo infatti, nel 2003 era di soli 562 MW. Seppellire l'eolico significherebbe per l'Italia seppellire le nuove fonti rinnovabili!
L'Italia ha installato 1.125 MW eolici, molto meno dei Paesi leader europei del settore.
Perché ha meno zone ventose idonee per questi impianti? Direi proprio di no: studi recenti stimano un potenziale eolico, di zone con vento sufficiente per oltre 2000 ore l'anno, molto elevato in Italia, superiore a quello tedesco.
Un utilizzo prudente, anche per ragioni ambientali, di tale potenziale potrebbe portare a generatori eolici per almeno 10.000 MW, con una produzione di energia elettrica pari a 20 TWh (miliardi di chilowattora). Le valutazioni d'impatto ambientale vanno fatte seriamente, tenendo conto oltre che degli impatti locali (delle zone di effettivo pregio paesaggistico o naturalistico che ci sono, ma non sono così diffuse), della valutazione comparativa delle alternative possibili per produrre energia elettrica. È decisivo che questa valutazione ambientale, sia strategica della politica energetica, sia puntuale degli impianti, venga fatta dalle Regioni, in modo integrato, con obiettivi chiari e coerenti fra loro: pare, ad esempio, poco coerente criticare l'eolico per ragioni ambientali e poi accettare nuove centrali a combustibili fossili senza battere ciglio, oppure non accettare né centrali a combustibili fossili, nè quelle a fonti rinnovabili, sperando che altri producano, non si sa come, comunque altrove, l'energia elettrica per il proprio fabbisogno.
Senza contare la riduzione degli inquinanti locali (dalle polveri sottili agli ossidi di azoto), ma valutando solo la riduzione di emissioni di gas di serra, 10.000 MW di generatori eolici consentirebbero di evitare, ogni anno, l'emissione di 16 milioni di tonnellate di CO2 di nuove centrali a carbone, oppure 14 milioni di tonnellate di Co2, se tali centrali fossero alimentate ad olio combustibile (fra l'altro risparmiando l'importazione di 5 milioni di tonnellate di petrolio) e 7 milioni di tonnellate di CO2, se tali centrali fossero alimentate a gas.
Se qualcuno sa come rispettare il Protocollo di Kyoto in Italia, senza un consistente ricorso a fonti energetiche rinnovabili, compreso un consistente ricorso all'eolico, si faccia avanti e ci spieghi, numeri alla mano, come.
Edo Ronchi è Responsabile Politiche della Sostenibilità DS
Caro Nichi, guerra, mutamenti climatici e inquinamento crescente, sono i frutti avvelenati del modello energetico fossile e nucleare. L'assemblea dei movimenti sociali, del forum di Porto Alegre, ha deciso di dar vita a un contratto mondiale per il clima e l'energia, con cui promuovere un nuovo modello, democratico e diffuso sul territorio, basato sulle fonti rinnovabili e il risparmio energetico.
Come sai l'aumento dell'effetto serra è un problema grave, non solo per il futuro del nostro Pianeta, ma già oggi per centinaia di migliaia di uomini e donne. Infatti gli sconvolgimenti climatici, che ormai hanno raggiunto anche l'Europa, in molti paesi poveri, specialmente nell'Africa sub-sahariana provocano l'avanzamento della desertificazione e conseguentemente la sete e la fame. Un vero paradosso morale: i poveri che non hanno alcuna responsabilità nelle emissioni dei gas che provocano l'aumento dell'effetto serra - l'anidride carbonica in primo luogo - ne subiscono le conseguenze più devastanti.
Nel frattempo noi popoli «ricchi» e noi italiani in particolare non riusciamo nemmeno a rispettare quegli impegni presi con il protocollo di Kyoto che ormai il mondo scientifico giudica persino insufficienti. L'Italia si era impegnata a ridurre del 6,5% le proprie emissioni entro il 2008-2012 rispetto al livello del 1990 e le abbiamo invece aumentate di oltre il 12%. Il nostro governo nazionale non fa nulla per invertire questa tendenza, anzi promuove la riconversione a carbone di grandi centrali termoelettriche.
La strada da imboccare invece è solo quella del risparmio energetico e della promozione delle fonti rinnovabili - dell'eolico e del solare in primo luogo, per costruire a partire proprio dal Mezzogiorno un modello energetico nuovo e pulito, più giusto e sostenibile, costruito intorno alle risorse locali capace, come in Germania, di generare decine di migliaia di nuovi qualificati posti di lavoro.
Per questo ti chiediamo di ripensare l'idea di stabilire una moratoria sull'eolico, che avrebbe preoccupanti effetti politici e di immagine se a prenderla fosse una Regione come la Puglia.
Sappiamo che questa decisione che vi apprestereste a prendere, viene dal sacrosanto e da noi condiviso bisogno di tutelare il paesaggio. Per questo noi e con noi importanti associazioni ambientaliste, siamo a tua disposizione per studiare insieme le modalità per scongiurare gli impianti più devastanti, compresi quelli in fase di approvazione e per contribuire a definire regole condivise per uno sviluppo dell'eolico in Puglia. Tu che hai fatto della partecipazione popolare una caratteristica del tuo governare, puoi dare ulteriore alimento a questi processi democratici aprendo un confronto sulla questione dell'energia e dell'eolico. Un confronto che coinvolga in primo luogo i tanti sindaci il cui territorio è ricco di sole e di vento, ma anche il mondo agricolo, i sindacati, le associazioni e i comitati. Sarebbe uno straordinario esempio di una regione capace di applicare «Kyoto dal basso» che parlerebbe a tutto il paese che invece scelte disastrose vogliono incatenare al petrolio, al carbone e al nucleare.
* del Contratto mondiale clima e energia
Titolo originale: Energy Bill Bestows Huge Windfall on ExxonMobil. New Report Says, in BushGreenwatch (trad. di G. Palermo)
Diverse associazioni e gruppi ambientalistici si sono riuniti nel comitato “Exxpose Exxon” ed hanno dato inizio ad un’intensa campagna contro il gigante del petrolio, la Exxon Mobil. Mentre il presidente Bush si accinge a firmare il nuovo progetto di legge sull’energia (Energy Bill), le associazioni si sono date appuntamento ieri a Washington per richiamare l’attenzione del pubblico sugli ingenti contributi previsti nel progetto di legge a favore della Exxon e di altri giganti dell’energia, e per illustrare il loro nuovo rapporto sui grandi vantaggi che la compagnia ne trarrà. Secondo il rapporto, il progetto di legge stanzia almeno 4 miliardi di dollari in sussidi e sgravi fiscali a favore dell’industria petrolifera [1].
La campagna di “Exxpose Exxon” comprende dodici fra le maggiori associazioni ambientalistiche, che, insieme, rappresentano un totale di 6.400.000 aderenti.
Facendo riferimento ai profitti da record ottenuti dalla Exxon e da altre compagnie petrolifere negli ultimi anni, i promotori della campagna sostengono che l’Energy Bill destina ingenti sgravi fiscali e sussidi all’industria petrolifera, del tutto ingiustificati. La Exxon ha già incassato la cifra di 15 miliardi di utili nella prima metà del 2005, di cui 7.85 miliardi nel secondo trimestre soltanto. L’anno passato i profitti della compagnia hanno raggiunto i 24 miliardi [2]. Ma la Exxon non è la sola compagnia petrolifera, quest’anno, a trovarsi in grande attivo. Fra l’aprile e il giugno del 2005, la BP ha segnato a suo favore 5 miliardi e la Conoco Phillips 3.1 miliardi [3].
“Vi sembra questo il caso di un’industria che ha bisogno di aiuti dal governo?”, chiede Anna Aurilio, responsabile legislativo di U.S. Pirg [4].
Ma, oltre agli aiuti forniti direttamente dal governo federale, la Exxon Mobil e gli altri giganti del petrolio riceveranno altri vantaggi dall’Energy Bill. Il progetto infatti allenta anche i vincoli ambientali e pone limiti ai diritti degli stati nel localizzare e costruire infrastrutture e tubazioni per il gas naturale liquido (LNG), attribuendo di fatto alla Exxon maggior peso su queste decisioni.
Gli stabilimenti ricevono il gas naturale congelato importandolo per mezzo di grandi petroliere. Con grande preoccupazione delle comunità locali, diversi studi provano che un attacco terroristico condotto su una di queste petroliere può coinvolgere nell’incendio persone per un raggio di tre quarti di miglio. Con progetti che prevedono la produzione di 15.6 milioni di tonnellate l’anno di gas naturale liquido, la Exxon si sta accingendo a costruire terminali a terra lungo tutto il Texas.
“La nuova legge sull’energia renderà più facile alla Exxon Mobil di ottenere l’autorizzazione per queste e per altre infrastrutture in futuro, anche se gli stati o le comunità locali saranno contrari”, dice la Aurilio [5].
Secondo il nuovo documento di “Exxpose Exxon”, il progetto di legge sull’energia imporrà anche dei limiti al potere degli stati d’influire sulle decisioni relativamente ai progetti di estrazione di petrolio in mare, un’altra novità che non può che favorire la Exxon. Gli ambientalisti temono che ciò consentirà alle compagnie petrolifere di accedere più facilmente alle acque litoranee. Aesa Energy, una joint venture della Exxon e della Shell, possiede più della metà delle 36 concessioni lungo la costa della California ed è uno dei maggiori trivellatori nel Golfo dei Messico [6].
Mentre la nuova legge sull’energia spende i dollari del contribuente americano per sussidiare l’industria del petrolio, le compagnie petrolifere saranno messe in condizione di non pagare la loro parte di tasse ed imposte, sostiene il documento di U.S. PIRG. La legge stanzia un miliardo e 700.000 dollari in esenzioni fiscali e miliardi in programmi di “alleggerimento delle royalties” per rendere la produzione di petrolio e gas meno cara e più vantaggiosa [7].
La legge inoltre offre fino a un miliardo e mezzo di nuovi contributi all’industria petrolifera per la trivellazione e la ricerca petrolifera in acque profonde. Tale offerta sembrerebbe favorire in modo particolare proprio la Exxon, dal momento che si tratta di un’industria leader in quel tipo di attività. La Exxon valuta che il petrolio estratto in alto mare ed il gas costituiranno più del 20 per cento della sua produzione nel 2010 [8].
Anna Aurilio di U.S. PIRG afferma che la Exxon dovrebbe far uso delle grandi facilitazioni ricavate dal progetto di legge per approntare “una nuova strategia di politica energetica che vada al di là del trivellare fino all’ultima goccia di petrolio, ad ogni costo” [9].
La campagna di “Exxpose Exxon” invita il pubblico americano a non comprare il gas della compagnia e gli altri suoi prodotti, ed incoraggia i distributori della Exxon Mobil ad usare la loro influenza per modificare la politica ambientale della compagnia.
[1] Big Oil Hits Pay Dirt in Energy Bill, U.S. PIRG, Aug. 3, 2005.
[2] Exxpose Exxon press release, Jul. 28, 2005.
[3] Big Money to Big Oil: How Exxon Mobil and the Oil Industry Benefit from the 2005 Energy Bill, U.S. PIRG Education Fund, Aug. 2005.
[4] Big Oil Hits Pay Dirt in Energy Bill, cit.
[5] Ibid.
[6] Big Money to Big Oil, cit.
[7] Ibid.
[8] Ibid.
[9] Big Oil Hits Pay Dirt in Energy Bill, cit.
Su energia, modelli di sviluppo ed esauribilità delle risorse, è inevitabile che l'informazione venga deformata dagli enormi interessi in campo. Per avere un quadro il più possibile scientifico - ma non neutrale - della situazione, abbiamo sentito Alberto Di Fazio, astrofisico, specialista nell'evoluzione dei sistemi complessi, membro della Commissione nazionale del Cnr e del International Geosphere-Biosphere Programme (IGBP), programma di ricerche interdisciplinari sui cambiamenti globali (anche climatici). Tra i politici che collaborano con l'Igbp il più noto è il neopremio Nobel, Al Gore.
Il Wec pone al centro del suo convegno il concetto di «sviluppo sostenibile».
E' un ossimoro. Sviluppo, anche solo «qualitativo», significa crescita. In qualche piccolo caso - per esempio il telelavoro, evitando l'uso dell'automobile - è anche possibile. Ma sulla scala dell'intera economia non si può fare. Lo sviluppo qualitativo presuppone quello quantitativo. Se bisogna garantire cibo sufficiente per tutti, l'agricoltura ha bisogno di fertilizzanti, pesticidi, ecc. Industria, insomma. «Sostenibile» è una pessima traduzione del termine inglese «sustainable», che significa però «durevole», senza fine. In francese è più chiaro: durable. E purtroppo non esiste. L'umanità deve rientrare in parametri di consumo inferiori a quelli permessi della natura.
Eppure dicono che basterebbero pannelli solari su un quadrato di 400 km di lato per esaudire tutta l'attuale domanda energetica.
E' un calcolo tutto matematico, e neppure esatto; dovrebbe essere molto più grande. Dal sole arriva una quantità di energia molto superiore alle necessità dell'umanità, ma per fare tutti quei pannelli solari ci vuole una quantità di silicio (oltre che di alluminio) che non esiste. Mancano le materie prime per fare una cosa del genere. «Sviluppo sostenibile» è la deformazione di un concetto di Herman Daly, ex economista della Banca mondiale, che parlava di «società sostenibile» indicando però un modello stazionario, non in perenne crescita. E' «sostenibile» quella società che consuma risorse e produce rifiuti in una quantità che la Terra, la biosfera, può tollerare. Una società in equilibrio con la natura. Mentre tutti hanno in mente l'idea della «crescita», che è tipica solo del capitalismo, ovvero degli ultimi 150 anni. Una cosa impossibile - a lungo andare - per motivi fisici, chimici e biologici. Viviamo dentro una «pellicola» molto sottile che garantisce la vita biologica.
Sono i «limiti dello sviluppo» già illustrati ai tempi del Club di Roma, che poi vennero definiti «sbagliati»...
Quei calcoli furono effettuati da una task force di centinaia di scienziati con al centro il Mit. Fin da allora ci fu una mistificazione, che attribuiva a quello scenario la «previsione» che nel 2000 le risorse si sarebbero esaurite. Cosa che poi non si sarebbe verificata. Basta prendere quei dati per accorgersi che lì si sosteneva che nel 2000 sarebbe stato consumato il 25% delle risorse non riproducibili (il petrolio, innanzitutto); mentre prevedevano una crisi economica, industriale, agricola e della popolazione tra il 2020 e il 2030, quando si sarebbe giunti a consumare circa la metà di queste risorse. Se hanno sbagliato è per eccesso di ottimismo.
Quella ricerca è stata aggiornata. Cosa dicono i nuovi dati?
Se prendiamo quelli sul petrolio, già il Corriere della sera di alcuni giorni fa constatava che negli ultimi tre anni l'estrazione di greggio resta ferma intorno agli 85-86 milioni di barili al giorno. Nonostante l'aumento della domanda di Cina, Russia e India, la produzione non aumenta. Per mantenere nel 2007 la quota degli ultimi anni, bisognerebbe aumentare l'estrazione di mezzo milione di barili da qui alla fine dell'anno. Se non quest'anno, al massimo nel corso dei prossimi due, il tasso di estrazione del greggio sarà inferiore. Può anche essere un «picco» temporaneo. Ma le previsioni più conservative - quelle dell'International Energy Agency - collocano il picco nel 2013. La curva della produzione sta rallentando. Non siamo ancora al picco, perché i prezzi sarebbe aumentati molto di più. Ma ci stiamo arrivando: l'offerta di greggio sale molto lentamente, mentre la domanda corre più velocemente. Basta guardare i trend sull'arco di 30 anni per capirlo.
Cosa ti aspetti allora dal convegno del Wec?
Verranno fuori delle buone proposte per quanto riguarda l'utilizzo del solare. Però sarà un ibrido. Verranno fuori anche degli imbrogli, come quello dell'idrogeno. C'è un'enorme industria che si sta lanciando su questo fronte, ma la produzione di idrogeno chiede più energia di quanta non ne renda disponibile. L'auto a idrogeno si può fare, ma peggiora la situazione. Poi si calcherà molto la mano su cose che si possono fare su piccola scala, ma non su quella globale. Per esempio i biocombustibili. I km quadri necessari per mandare avanti la produzione sarebbero molte volte di più di quelli fin qui destinate all'agricoltura alimentare. Già ora ci sono proteste in Brasile perché terreni coltivabili vengono destinati ai biocombustibili, anziché al cibo.
Siamo un gruppo di oltre cento persone che stanno apprezzando moltissimo la Vostra attività giornalistica e la competenza dei Vostri giornalisti.
Noi siamo di Faeto, in Provincia di Foggia, un comune che è considerato, con i suoi 866 m. s.l.m., il paese più alto della Puglia.
Il nostro paese era incontaminato e paesaggisticamente incantevole sino a qualche anno fa quando l’Amministrazione locale, che si è peraltro riconfermata alle elezioni del 2005, ha deliberato, con una decisione lampo e senza coinvolgere minimamente la popolazione nonostante fosse stata prevista nel Programma amministrativo l’indizione del referendum popolare su tale tema, di costruire un parco eolico.
La gente del nostro paese ha iniziato ad assistere ad un via vai di giganteschi camion, di betoniere e di fuoristrada che impolveravano sempre di più le strade interne ed esterne e che, con la loro frenetica quanto sconosciuta attività, stavano modificando per sempre i connotati del nostro territorio.
Iniziavano a stagliarsi sui crinali dei nostri meravigliosi monti, disseminati di faggeti e querceti, di sorgenti di acque cristalline oltre che di una fauna di assoluto pregio che comprende lupi, cinghiali ed una sterminata varietà di volatili, alcuni invadenti giganti senz’anima, collocati senza alcuna logica ed armonia visiva, che spezzavano irrimediabilmente e per sempre la quiete incontaminata di quei luoghi e che creavano un impatto ambientale talmente devastante da non poter essere accettato per nessuna ragione.
I parchi eolici sono stati localizzati in luoghi che rientrano o che sono limitrofi a zone boschive di primaria importanza, a zone catalogate come SIC e PUTT, a zone che sono state incluse nell’area del Parco dei Monti Dauni Meridionali senza trascurare il fatto che il 90% del nostro territorio è sottoposto ai vincoli dell’Autorità di Bacino della Puglia e di quella del Liri – Garigliano.
L’Amministrazione locale dal 2000 sino ad oggi non ha mai indetto un’assemblea popolare, così come previsto dallo Statuto comunale ex artt. 32 e 36-37, per spiegare alla gente, siamo un paese di appena 800 abitanti, il perché di tale decisione e, soprattutto, i benefici, in primis economici e lavorativi, derivanti da essa e per decidere democraticamente con la popolazione se procedere o meno a tale scelta.
Fatto sta che attualmente ci ritroviamo ad avere sul nostro territorio ben 42 pale eoliche installate senza neanche tenere nel dovuto conto le disposizioni contenute nelle Linee Guida emanate dalla Regione Puglia nel Gennaio 2004 per ciò che concerne, ad esempio, le distanze ed il rispetto dell’avifauna e dell’ecosistema in genere.
A maggior riprova di quanto sino ad ora esposto vi è il fatto che l’Amministrazione locale, in modo recidivo, ha deciso di installare altre 35 pale eoliche in una zona altrettanto importante a livello naturalistico e paesaggistico senza comunicare nulla alla popolazione. Con una freddezza burocratica tipica degli stati totalitari essa ha commissionato un progetto, uno screening per l’assoggettabilità alla Valutazione di Impatto Ambientale ed uno studio di incidenza ambientale dopodiché ha stipulato una convenzione con la Società che si occuperà della costruzione nonché della gestione del parco eolico. Vigono il silenzio e l’insabbiamento più assoluti.
A questo ulteriore parco eolico l’Amministrazione locale vuole aggiungerne altri due i cui progetti, però, sono in fase di stesura. Essi prevedono l’installazione di altre 50 pale eoliche. Ci troveremo, quindi, in un territorio di 24, 12 kmq ad avere ben 120 pale eoliche con una densità di 0,23 pale eoliche per kmq!
Uno scempio in piena regola perpetrato senza la benché minima possibilità di partecipazione popolare, un disastro ambientale per il nostro paese che possiede una forte vocazione turistica, con centinaia di presenze nella stagione estiva ed invernale, e che potrebbe vedere irrimediabilmente compromesse le potenzialità ancora inespresse.
Il Comitato contro l’eolico selvaggio LIBERIAMO IL VENTO, che abbiamo da poco costituito e che già conta oltre cento iscritti, nasce proprio da questo moto di ribellione e ad impulso di alcuni componenti della minoranza che siede in Consiglio Comunale che sono parte imprescindibile di tale Comitato e che ci informano su tutto quello che accade e che il Sindaco ci vuole abilmente nascondere.
L’Amministrazione locale ha detto, in qualche Consiglio comunale degli anni scorsi, che la scelta dell’eolico era dettata da motivi di risanamento del bilancio comunale. Ebbene, neanche dal punto di vista economico il nostro Paese ha, sinora, tratto rilevanti vantaggi.
L’entrata che il nostro Comune ottiene attualmente per le 42 pale eoliche già installate si aggira sui 150.000 euro annuali e ciò significa che per ogni aerogeneratore noi percepiamo annualmente la sbalorditiva cifra di 3.500 euro circa! Con le altre 35 pale che hanno deciso di installare percepiremmo un canone di 270.000 euro l’anno che corrisponderebbe a 7.700 euro circa l’anno per aerogeneratore.
Una cifra che noi riteniamo assolutamente inadeguata a risollevare le sorti del tanto vituperato bilancio comunale, che viene sempre utilizzato come alibi per giustificare questo tipo di scelte, anche perché questi soldi non vengono neanche utilizzati per attività socialmente rilevanti o per ridurre la pressione fiscale.
Il Comune di Faeto, in sostanza, percepisce, da un calcolo effettuato, sulla produzione di energia elettrica ottenuta dalle pale eoliche attualmente in funzione un misero 1,1% che è una cifra vergognosa se rapportata ai milioni di euro di guadagni ottenuti dalle società dell’eolico presenti in zona.
Noi dobbiamo, dunque, sopportare un costo elevatissimo in termini ambientali ed ottenere un ricavo miserrimo in termini economici.
Noi vogliamo che l’eolico debba rappresentare almeno un buon introito per il nostro Comune.
L’Amministrazione locale ha detto, in qualche Consiglio comunale, che la scelta dell’eolico avrebbe creato posti di lavoro di cui sarebbe stata beneficiaria la manodopera locale.
Ebbene, neanche qui abbiamo conferme. Se passiamo, infatti, a considerare l’aspetto occupazionale i dati sono ancora più sconfortanti. Il settore eolico a Faeto ha prodotto un incremento occupazionale pari ad un paio di posti di lavoro a tempo indeterminato tra i giovani locali con prospettive future veramente allarmanti.
Noi vogliamo che l’eolico debba rappresentare almeno motivo di incremento di posti di lavoro per i giovani del nostro Comune.
Da tutto ciò discende che il Nostro Paese sta subendo questa invasione, questo deturpamento territoriale senza trarne alcun beneficio. Noi, attualmente, il nostro contributo ai dettami previsti dal Protocollo di Kyoto, che riteniamo non sia neanche conosciuto dagli amministratori locali, ed all’incremento nell’utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, tematica mai affrontata dai frettolosi amministratori locali, siamo certi di averlo dato. Attualmente produciamo oltre 30 MW di energia, che riteniamo essere un contributo più che sufficiente, e se dovessero essere realizzate le altre 35 pale eoliche di cui abbiamo detto sopra arriveremmo ad una produzione di oltre 100 MW che rappresenterebbe una cifra spropositata ed un prezzo troppo alto da pagare per un Comune di così piccole dimensioni.
Li invitiamo a tener conto di questa situazione incresciosa e in qualche modo a risollevare le sorti di una popolazione a cui si sta imponendo l’eolico selvaggio senza possibilità alcuna di scelta. Vorremmo che Loro fosse al nostro fianco in questa battaglia. Riteniamo che sia assolutamente necessario fondere le forze attive disponibili al fine di lottare per la salvaguardia del nostro territorio. E’ quanto mai opportuno agire e quindi non restare vittime silenziose di uno scempio inspiegabile. Non vogliamo essere vittime silenziose ma attori protagonisti di un cambiamento possibile ma soprattutto sostenibile.
Ciò che è stato fatto finora non è più sostenibile o forse non lo è mai stato. Non lasciamo che logiche economiche e for profit attecchiscano indisturbate e per questo coscientemente e onestamente diciamo “no all’eolico selvaggio, stop allo scempio del territorio”.
Una testimonianza dei disastri provocati non dalle energie alternative (per le quali la ricerca, la sperimentazione e l’applicazione vanno perseguite con ogni impegno) ma dal fatto che esse vengono applicate senza governo pubblico né della convenienza rispetto ad altre fonti energetiche, né delle tecnologie e degli strumenti impiegati, né delle localizzazioni: scelte delicatissime lasciate alle mere convenienze del percato, egemonizzato dalla produzione industriale.
In allegato il testo integrale della lettera e ampi stralci della relazione di incidenza ambientale.
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In queste settimane la città spagnola di Pamplona è sui giornali di tutto il mondo - come tutti gli anni, da decenni. Almeno da quando Ernest Hemingway ne celebrò i riti e la gioia di popolo nel romanzo «Fiesta» del 1926. Il 7 luglio, infatti, scoppiano puntuali los Sanfermines, i giorni di feria dedicati ai tori, con relativo encierro, ogni mattina, quando tori e vacchette corrono per i vicoli della vecchia città fino alla plaza de Toros, là in cima alla città dove un busto ricorda lo scrittore americano.
I tori sono quelli che al pomeriggio verranno uccisi nella corrida. E ogni giorno, puntualissimi, i giornali e le televisioni di tutto il mondo riportano, con un certo sadismo, il numero dei feriti incornati, tra il pubblico che corre davanti e insieme ai tori. Tutta la notte poi è fatta di balli e bevute, fino alla corsa del mattino seguente.
Anche la rivista scientifica Nature, in questi giorni, si è occupata di Pamplona, nel fascicolo del 27 giugno, ma per tutt'altri motivi. Un inviato è andato sul posto a vedere da vicino questa provincia spagnola, la Navarra, che è all'avanguardia mondiale nella produzione di energia da fonti rinnovabili, il vento soprattutto, ma non solo. Le cifre parlano da sole: la Spagna nel suo complesso è al secondo posto al mondo per energia prodotta dal vento. Al primo c'è la Germania (con 20.652 megawatt installati) grazie a una politica lungimirante, attiva da tempo; subito dopo però viene la Spagna con 11.614 megawatt, che batte addirittura gli Stati Uniti per 39 megawatt. L'Italia è settima con 2.118.
Ma il dato più interessante è anche un altro, ovvero la percentuale di energia elettrica prodotta con le pale, rispetto ai consumi del territorio. Ed è qui che la piccola regione stretta tra i Pirenei a nord e i paesi baschi a ovest, batte tutti: nel 2006 il 51,7 per cento dei consumi sono stati coperti dal vento, superando e distanziando la Danimarca, che arriva al 21,4 per cento. Per l'Italia questa percentuale vale 1,3 e per gli Stati Uniti 0,8. Il sogno di Estaban Morrás, direttore escutivo di Accion Energia, la società privata che ha realizzato gli impianti, resta quello di arrivare al 100 per cento di rinnovabili e giura che non è impossibile. I piani ufficiali parlano del 75, comunque tantissimo.
Queste prestazioni sono state possibili grazie a un insieme di fattori. Intanto la Navarra è regione poco popolata, con grandi estensioni di altopiano e venti che scendono dai Pirenei. E' zona abbastanza povera, l'unica industria di peso essendo uno stabilimento della Volkswagen. Avrebbe bisogno di nuove aziende che vengano dal di fuori, ma queste non arrivano anche per la scarsa disponibilità di energia elettrica. Per anni Morrás cercò di puntare sull'idroelettrico, ottimizzando le piccole dighe lungo i fiumi che scendono dai Pirenei e cercando di realizzarne di nuove.
Uno di questi, il Burguete, venne anch'esso reso famoso da Hemingway che lì andava a pesca di trote. L'illuminazione gli venne in Francia, al vedere le prima pale per il vento, ed era il 1989. Fu d'aiuto certo la decisione del governo locale di incentivare finanziariamente i nuovi investimenti. La prima «farm» a vento sorse già nel 1994 nelle località di El Perdón, a sud di Pamplona, e da allora ne sono state costruite 32, con centinaia di turbine e finanziamenti pubblici per 136 milioni di euro. La spesa ha generato anche un indotto tecnologico, dato che oggi gli impianti che venivano acquistati all'estero sono prodotti nella regione, alla fabbrica Gamesa Eólica sempre in Pamplona.
Altri 240 milioni di fondi pubblici sono stati previsti dal 2005 fino al 2010, ma questa volta differenziando le fonti: di pale infatti non si può intasare il territorio, e del resto la loro resa è migliorata significativamente, dato che quelle che producevano 500 kilowatt ora danno 3 megawatt. È stato anche necessario realizzare due impianti tradizionali a gas naturale, per compensare il fatto che il vento va e viene, a intermittenza, mentre il fabbisogno è pressoché stabile. Si è così realizzato in ciclo elettrico combinato, capace di colmare sia i picchi che i plateau di consumi.
Il nuovo piano quinquennale spinge ora anche verso il solare, con un modello che appare interessante e che viene chiamato dei «giardini solari». Sono vaste estensione ricoperte di celle fotovoltaiche, dove singoli investitori possono comprare uno o molti pannelli, così ripartendo l'investimento e incassando gli utili in proporzione al numero di pannelli acquistati.
Nota: per una rasssegna articolata del problema eolico, si veda soprattutto la Visita Guidata a Eddyburg (f.b.)
Titolo originale: Will China pose a threat to world energy security? – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Il problema energetico della Cina nel periodo recente è sotto i riflettori dell’attenzione mondiale. Alcuni mezzi di comunicazione stranieri hanno addirittura prospettato che “la domanda energetica cinese sia una minaccia per il mondo” Si tratta di un ragionamento con qualche fondamento?
Una soluzione basata sull’autosufficienza
Come ha dichiarato presidente del comitato centrale PCC Jia Qinglin, al vertice di Boao lo scorso aprile, la Cina non è solo un grande consumatore di energia, ma anche un grande produttore. Le importazioni, ha affermato, costituiscono solo una piccola parte dell’insieme, che si poggia principalmente su risorse interne.
Il Ministro per lo Sviluppo Nazionale e le Riforme, Ma Kai, ha confermato che la produzione interna del paese ha soddisfatto il 94% della domanda nel 2004.
La struttura produttiva energetica della Cina vede la predominanza del carbone, che conta per il 76% del totale nazionale prodotto, e per il 68% del consumo.
Gli altri dati sottolineati da Ma riguardo alle fonti energetiche della Cina incoraggiano all’ottimismo riguardo al futuro. Ha insistito sul fatto che le riserve accertate di carbone sono molto inferiori a quelle stimate esistenti, che rimangono da sfruttare ancora due terzi delle risorse idroelettriche, e che c’è ancora molto spazio per lo sviluppo di vari nuovi tipi di energia.
La Cina è ingiustamente incolpata per l’aumento dei prezzi petroliferi mondiali
Alcuni opinionisti mondiali attribuiscono l’aumento dei prezzi petroliferi al crescente appetito cinese per il petrolio. Xu Dingming, Direttore della Divisione Energia della Commissione per lo Sviluppo Nazionale e le Riforme respinge questo punto di vista citando alcune statistiche sull’energia a livello mondiale della BP, che rivelano come la Cina abbia importato nel 2004 120 milioni di tonnellate di petrolio, pari a solo il 6,6% mondiale, contro i 500 milioni di tonnellate degli USA e i 200 del Giappone. Dunque, conclude Xu, è ingiusto affermare che sia il notevole aumento della domanda cinese la causa della salita dei prezzi.
Quattro rimedi per le carenze energetiche
È innegabile che la rapida crescita economica ha posto sotto pressione la disponibilità energetica cinese. La sete crescente di energia della Cina ha portato ad assottigliare alcuni tipi di fonti. Il governo, con la collaborazione di esperti, conta su quattro “ricette” predisposte per facilitare la soluzione del problema energetico.
Primo, occorre appoggiarsi al principio di autosufficienza energetica. Devono essere fatti sforzi aggressivi per sfruttare tutte le varie fonti nel quadro di una strategia di mix energetico diversificato.
Verrà effettuata una pianificazione generale che equilibri sviluppo di nuove risorse e risparmio energetico. Lo scorso anno si sono risparmiate 700 milioni di tonnellate equivalenti di carbone e si è consumato il 45% in meno per produrre ogni 10.000 yuan di prodotto nazionale lordo che nel 1990. La Cina prevede di assottigliare ulteriormente la presenza di industrie ad alto consumo energetico e sostenere la trasformazione tecnologica e organizzativa. La Cina rinosce che le tecnologie avanzate migliorano l’efficienza energetica, che a sua volta rende la modalità di crescita più attente.
Verrà data priorità allo sviluppo e uso delle energie rinnovabili. Ci sono a livello nazionale più di 13 milioni di famiglie in aree rurali che utilizzano il metano. Viene promosso l’uso dell’energia solare.
La cooperazione coi maggior produttori e consumatori di energia del mondo viene rafforzata secondo il principio del mutuo beneficio e reciprocità, tentando di perseguire risultati di favorevoli a tutti. L’intensa collaborazione coi grandi produttori come la Russia è di grande significato per allentare la pressione energetica.
Oggi, la questione energetica non si limita più alle singole nazioni o aree geografiche, nella crescente globalizzazione economica. È diventata una questione planetaria che è possibile affrontare solo tramite sforzi congiunti della comunità internazionale.
La Cina è ora più vicina al resto del mondo, forza importante nell’economia mondiale, e parte integrante del sistema energetico da quando appartiene al WTO. La Cina ha mantenuto il proprio impegno a partecipare agli sforzi internazionali per la disponibilità energetica.
Come ha annunciato Ma Kai al Fortune Forum di Pechino quest’anno, la rapida e stabile crescita economica non ha causato, e non causerà, una diminuzione della disponibilità energetica mondiale.
Nota: qui il testo originale alle pagine internazionali del Quotidiano del Popolo (f.b.)
«Le attività in corso riguardano una fase di pre-istruttoria, con la pubblicazione della richiesta e la raccolta di pareri e opposizioni, al termine della quale il ministero dei Trasporti deciderà se avviare l'iter autorizzativo vero e proprio. E' una fase, quindi, nella quale è ancora possibile operare e, a quanto hanno mostrato le istituzioni in questi giorni, cercare di bloccare l'iniziativa». E' questo l'essenziale emerso ieri nel vertice a Roma tra il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, e il comandante della Capitaneria di porto di Termoli, Luca Sancilio. Al centro dell'incontro il progetto di Effeventi srl che vuole dar vita a un parco eolico al largo delle spiagge di Molise e Abruzzo.
«Se il mostro, con i suoi 54 pali al largo, si può bloccare, lo faremo», questa, a distanza, la risposta di almeno tre amministrazioni, quelle di Vasto (Chieti), Montenero di Bisaccia e Termoli (Campobasso), da dove sono subito partite delibere di consiglio e di giunta contro l'impianto offshore che «darebbe un colpo mortale all'economia turistica della costa e alla pesca». «Questa vicenda - afferma il ministro Di Pietro - ci segnala l'urgenza di definire a livello governativo un piano nazionale per l'energia del vento. Come già fatto per i rigassificatori, occorre che i ministeri interessati definiscano quanta potenza eolica può essere installata nel Paese, quali siano i siti più adatti, quali debbano essere le modalità di sfruttamento e chi possa realizzare i parchi. Come rappresentante dell'Idv - continua il ministro, originario di Montenero - sono favorevole allo sfruttamento di fonti di energia alternativa, ma questo deve avvenire nell'ambito di un quadro nazionale concordato. Non è possibile che un privato decida autonomamente le installazioni, senza un disegno complessivo e senza una concertazione con gli organi e gli enti pubblici interessati».
Parere negativo all'insediamento eolico, che ha creato il subbuglio in Italia, è giunto, dopo lunga sonnolenza, dalla Regione Molise, di centrodestra, che è rimasta per un pezzo in silenzio e che adesso reclama la «titolarità ad esprimere la valutazione di impatto ambientale sulla struttura in questione ed in particolare per le opere a terra». La decisione della giunta regionale è seguita ad una letteraccia, al presidente Michele Iorio, da parte del sindaco di Termoli, Vincenzo Greco, che ha invitato il governatore e i suoi assessori a bocciare il progetto del parco, perché «se a rilevare la presunta illegittimità della procedura sino ad ora intrapresa non sarà la Regione», qualsiasi altro no «sarebbe inutile». Greco ha pure ricordato che la Regione era al corrente del progetto da più di un anno e che attraverso un suo funzionario ha delegato a Roma, cioè ai ministeri competenti, qualsiasi decisione in merito: «E tutto ciò, purtroppo, - ha concluso il primo cittadino - richiama con tristezza alla mente la procedura che ha portato all'installazione a Termoli della turbogas della società Energia spa: anche lì c'è stata la latitanza della Regione».
Contro la posizione ufficiale della Regione protesta Legambiente. «E' un errore - sostiene Edoardo Zanchini, responsabile per l'energia e i trasporti dell'associazione ecologista - l'impianto va fatto. E la Regione, invece di arroccarsi su una posizione ideologica, dovrebbe attivarsi per il miglioramento del progetto, in particolare per quanto riguarda la riduzione dell'impatto dell'allacciamento dei cavi su dune e pinete. La sua rinuncia su questo fronte rappresenta una precisa responsabilità. Il Molise - sottolinea ancora - ha installato solo 54 megawatt di energia eolica. Il solare fotovoltaico è a zero e ora si bloccano le pale in mare. Come pensa di dare il proprio contributo alla lotta ai mutamenti climatici e all'adeguamento della politica energetica agli obiettivi di Kyoto?».
Gli rispondono i Ds: «Questa piccola nostra realtà - tuonano - è ormai divenuta un "grande obeso dell'energia", vittima sacrificale di un processo speculativo in cui nel passato è stata piazzata la centrale a ciclo combinato, poi le pale eoliche sono spuntate come funghi sui monti e per il futuro si vuole collocarle in acqua... E' necessario creare uno sviluppo diverso. Di energia elettrica, da queste parti, ce n'è fin troppa!».
Nota: sul tema dell'energia eolica, la Visita Guidata a Eddyburg (costantemente aggiornata) riassume in modo documentato il dibattito internazionale di questi anni riportato nel sito (f.b.)
Australian Wind Energy Association, Australian Council of National Trusts, Wind Farms and Landscape Values, Rapporto finale Fase I, Identificazione dei problemi, marzo 2005 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
[...] Quali sono le caratteristiche di una wind farm?
Gli impianti di energia eolica [ wind farms] comprendono caratteristicamente:
• una o più turbine (torre, gondola con parti generatrici di energia, pale rotanti)
• infrastrutture di trasmissione (cavi che collegano le turbine ad una sottostazione, e linea di connessione esterna dell’impianto dalla sottostazione alla rete nazionale
• strade di accesso per costruzione e manutenzione
• segnaletica, recinzioni ed altri elementi necessari.
Le caratteristiche che contribuiscono a un potenziale impatto sul paesaggio (positivo o meno) degli impianti per l’energia eolica sono la localizzazione, l’altezza delle torri e turbine, il numero delle torri, il movimento, colori e materiali, infrastrutture di servizio.
Localizzazione
Le strutture di energia eolica sono progettate e collocate per trarre vantaggio dal vento disponibile. Sulla terraferma, le velocità più elevate si trovano in ambienti aperti e/o rivieraschi. Gli impianti hanno anche bisogno di essere ragionevolmente vicini a infrastrutture esistenti della rete nazionale, per poter trasmettere economicamente al consumo l’energia che generano. Questo rende le aree più remote e non abitate problematiche. Ne risulta, che la maggior parte delle strutture di energia eolica in Australia sono o nei pressi della costa, o in zone aperte e linee di crinale, tutte localizzazioni tendenzialmente molto visibili.
Questi ambienti – specie nelle aree costiere – sono spesso di grande valore, per molte ragioni:
• valore sociale, ad esempio spazi per il tempo libero
• valore storico, ad esempio siti di importanza per la cultura indigena
• valore ambientale, ad esempio per le specie avicole migratorie
• valore estetico, per esempio, rupi spettacolari o forme geologiche.
In più, localizzare un impianto eolico richiede di considerare molti altri fattori (come quelli delle caratteristiche tecnici e commerciali) e relativi altri impatti ambientali (come le interferenze elettromagnetiche, quelle per l’aviazione, i rumori).
Altezza di torri e turbine
Le tecnologie attuali per la realizzazione di turbine a vento consentono di collocarle molto in alto sul livello del terreno, per sfruttare venti meno soggetti all’attrito delle caratteristiche topografiche, della vegetazione e delle strutture edilizie. Anche se è possibile costruirne di più alte, quelle australiane tipicamente raggiungono i 120 metri, e consistono in una torre alta 50-80 metri, con pale rotanti che salgono in verticale per altri 40 metri. L’altezza di una turbina può renderla visibile da notevoli distanze, e si può trattare di elementi che spiccano sull’orizzonte se visti dal mare o col cielo come sfondo. Le turbine possono anche essere in vistoso contrasto con le altezze degli altri elementi del paesaggio circostante.
Numero delle turbine
Le turbine organizzate per gruppi offrono l’opportunità di una maggior produzione di energia con quantità di infrastrutture ridotta, a pari megawatt di capacità installata. Ma, nello stesso modo in cui le singole turbine possono essere elementi dominanti del paesaggio per la loro altezza, raggruppamenti di esse possono risultare altamente visibili per la combinazione di altezza, ripetitività, area geografica occupata. Nonostante la maggior parte delle strutture generatrici eoliche esistenti in Australia consista di meno di dieci turbine, la tendenza è verso insediamenti più grandi. Al momento la più grossa wind farm d’Australia è l’impianto di Woolnorth in Tasmania, con 37 turbine e una capacità installata di 65 MW. Esistono progetti di impianti eolici superiori ad una capacità di 100 MW (indicativamente: fra le 50 e le 100 turbine) sono in varie fasi di analisi, fattibilità o iter di approvazione in Victoria, Tasmania, South Australia, Western Australia e New South Wales.
Il movimento
Le turbine a vento si differenziano rispetto ad altri tipi di insediamento nel paesaggio a causa delle grandi parti mobili – le pale del rotore – che automaticamente attirano lo sguardo. Numeroso turbine in funzione, possono avere un impatto visivo particolarmente forte. I rotori in movimento producono anche rumore, il quale, anche se avvertibile soltanto quando si è vicini, può influenzare il godimento del luogo da parte di alcune persone. I livelli sonori sono, comunque, regolati da standards, norme urbanistiche e ambientali, e vanno oltre gli scopi di orientamento del presente studio.
Colori e materiali
Anche i particolari colori e materiali utilizzati per le turbine a vento sono caratteristiche che possono contribuire agli impatti sul paesaggio.
Infrastrutture di servizio
Sottostazioni, strade di accesso, linee di trasmissione elettrica e altre strutture, contribuiscono agli impatti sul paesaggio delle wind farms.
In che modo gli impianti eolici influenzano i valori paesistici?
Nonostante gli impatti sul paesaggio delle caratteristiche fisiche e dei vincoli progettuali degli impianti di generazione eolica possano essere chiaramente documentati, è meno facile definire il modo in cui una wind farm influisca su ciò che è di valore nel paesaggio. Nel dibattito sugli impatti degli impianti rispetto ai valori paesistici, c’è una tendenza alla polarizzazione su punti di vista piuttosto netti. E a dire il vero molti degli effetti menzionati possono essere considerati come positivi o negativo, a seconda della prospettiva dell’osservatore. Ma questa polarizzazione non necessariamente riflette in modo preciso i punti di vista dalla comunità ampia. La vasta maggioranza delle persone può non avere opinioni nette in nessun senso. Negli studi britannici su abitanti che risiedono vicini (al massimo 20 km) alle wind farms una grande maggioranza (74 per cento) riteneva che gli impatti degli impianti eolici sul paesaggio fossero o neutri (51 per cento) oppure non aveva opinione in proposito (23 per cento), nonostante le opinioni tendessero a diventare più nette quanto più ci si avvicinava agli impianti. [...]
Quali sono gli impatti positivi che gli impianti eolici possono avere sul paesaggio?
Nonostante i complessi di energia eolica abbiano concreti impatti sul paesaggio (e in gran parte impatti inevitabili), alcuni elementi del progetto, dimensionali e funzionali delle strutture contribuiscono ad alcuni percepiti miglioramenti.
Estetica
Per molte persone la forma, linee e colori delle turbine a vento sono esteticamente gradevoli. Le linee pulite di torri e rotori, il contrasto col paesaggio e l’uniformità dell’aspetto sono citati come benefici, che in alcuni casi possono anche l’aspetto di paesaggi degradati. Fra le altre cose, si ritiene che i valori estetici per il paesaggio delle wind farms vengano da:
• forme snelle aerodinamiche e scultoree
• solidità e modernità della progettazione
• coerenza e ripetitività degli elementi
• un senso di ordine
• una presenza forte.
Valore simbolico
Una wind farm è simbolo forte e riconoscibile delle nuove tecnologie e della produzione sostenibile di elettricità. Alcune persone accolgono con piacere lo “elemento macchina” della turbina a vento nel paesaggio vedendolo come esempio di lavoro umano in armonia con la natura.
Funzione
Molti intervistati vedono il valore positivo degli insediamenti di energia eolica derivante dalla capacità di offrire un beneficio pubblico (l’energia) utilizzando strumenti rinnovabili.
Sostituzione
Un quarto beneficio percepito degli impianti riguarda lo scambio con altri tipi alternativi di insediamento che offrono lo stesso prodotto con metodologie differenti e spesso in località differenti. L’esempio più semplice è una centrale a carbone, nonostante siano necessarie molte centinaia di turbine per sostituire l’energia prodotta da questo tipo di impianto.
Si noti che, nonostante gli impianti eolici siano una presenza evidente nel paesaggio, l’emissione di gas serra che contribuiscono a ridurre non è altrettanto immediatamente evidente. L’impatto sul paesaggio delle grandi centrali alimentate a carbone – che attualmente producono circa l’84% dell’elettricità in Australia – è comunque “lontano dagli occhi lontano dal cuore” per la comunità.
Quali sono gli impatti negativi che gli impianti eolici possono avere sul paesaggio?
Impatti sulle caratteristiche e scenari del paesaggio
Sia le turbine a vento in sé, che le strutture di servizio (linee di trasmissione elettrica, sottostazioni, strade di accesso ecc.) possono influenzare le caratteristiche del paesaggio. Data la scala e dimensioni di turbine e impianti in generale, il loro contrasto col paesaggio entro cui sono posti, non sorprende che proprio gli effetti su caratteristiche e scenari siano tra gli elementi più contestati.
Non si mette in discussione la presenza fisica delle turbine. Per alcuni la dominanza visiva “esprime ispirazione e aspirazione”, ma per altri trasforma in modo inaccettabile le caratteristiche dei luoghi: molti intervistati nei sondaggi dichiaravano che le wind farms contribuivano a una “industrializzazione” dei paesaggi rurali. Un esperto di percezione visiva che ha risposto al sondaggio, offre un punto di vista più accomodante: per questo signore le torri sono “alte, aggraziate, progettate in modo elegante” ma “su larga scala ... invadenti per il paesaggio”.
Prese singolarmente, le turbine eccedono la “scala umana” e possono essere una presenza incombente e inaccettabile per l’osservatore. Gli intervistati hanno risposto che le turbine a vento (sia singolarmente che prese nell’insieme) hanno un alto impatto sulle caratteristiche del paesaggio e sui valori scenografici ed estetici delle comunità.
È in quanto grossi gruppi di turbine, che le strutture per l’energia eolica possono avere gli impatti maggiori sui caratteri e gli aspetti scenografici. Anche se la cosa non è stata quantificata nel nostro sondaggio, un numero maggiore di turbine che coprono una vasta area o si collocano in un importante campo visivo sembrano essere considerate una inaccettabile sottrazione di caratteri e valori scenografici del paesaggio. Studi all’estero – basati sull’ormai superata tecnologia che richiedeva grandi gruppi di piccole turbine – hanno rilevato che il numero ha maggiori effetti sul paesaggio che non le dimensioni. Alcuni studi di Lothian in South Australia indicano, tuttavia, che il nostro è un contesto specifico; vale a dire, che un grande numero di turbine in paesaggi costieri appare negativo, mentre il localizzazioni interne può non apparire così.
In più, le proporzioni delle turbine a vento e il loro contrasto col paesaggio significano che gli impatti sui valori scenografici e il carattere si estendono ben oltre il sito dell’impianto. Nonostante sia aperto il dibattito sulla soglia di distanza per l’interferenza visiva, il potenziale di impatto si estende per distanze maggiori di quelle della maggior parte degli altri tipi di insediamento nel paesaggio. Esiste, dunque, una certa preoccupazione per le interferenze visive nelle aree dove il godimento o il senso del luogo dipende dagli aspetti naturali, ad esempio nei parchi nazionali.
Impatti sui valori culturali Indigeni
Un progettato complesso di impianti eolici può avere significati culturali rispetto agli Indigeni Australiani a causa dei suoi rapporti con la tradizione, o con le pratiche attuali degli abitanti del luogo, o coi tradizionali proprietari o custodi del sito. La presenza di particolari specie vegetali o animali, ad esempio, può avere significati spirituali. Oppure, un luogo può avere significati perché è stato teatro di eventi storici, come un massacro.
Una custode tradizionale che ha partecipato al sondaggio ha riportato che nella sua esperienza le preoccupazioni principali della popolazione Aborigena delle aree costiere rispetto alle wind farms erano l’ostruzione delle vedute sacre, l’allontanamento della fauna (in particolare degli uccelli migratori), e il danneggiamento di siti con altri valori Indigeni tradizionali.
Comunque, la presenza di valori Indigeni in un dato luogo non preclude necessariamente l’insediamento di un impianto, come dimostra la collaborazione tra Framlingham Aboriginal Trust e Pacific Hydro per costruire un gruppo di turbine su terreni di proprietà Aborigena (Deen Marr) a Yambuk, in Victoria.
Impatti sulle attrattive
Le attrattive [ amenity] in questo caso si ritengono separate dagli impatti sui caratteri e i valori scenografici, anche se si tratta di elementi correlati. L’attrattiva di riferisce specificamente al godimento corrente dei luoghi: residenza, zone per il tempo libero, strade turistiche e via dicendo. Oltre al fatto che le turbine sono un elemento visivo dominante, il loro movimento può produrre altri fenomeni visivi con impatti negativi sulle attrattive, e fra questi riflessioni e rifrazioni causate dalle pale, ombre o alternanza rapida ombra-luce.
Si tratta di effetti che tendenzialmente sono sperimentati dalle persone vicino alla wind farm, nonostante la riflessione solare possa essere visibile a chilometri. Va notato comunque che questi effetti vengono valutati nel corso dell’iter di autorizzazione, e se emerge un effetto potenziale sulla qualità dei luoghi sta all’autorità competente al rilascio determinare se tali effetti siano accettabili.
Impatti sui beni culturali
Nessuno degli intervistati nel sondaggio ha fatto riferimento a impatti negativi sul patrimonio edificato. Ciò probabilmente perché questi elementi sono abbastanza ben documentati e tutelati in Australia, e di conseguenza le wind farms sono state collocate lontano da essi. Esiste, ad ogni modo, una crescente consapevolezza fra gli studiosi del settore, che anche i paesaggi geografici dei siti di interesse storico culturale siano meritevoli di tutela. La Carta di Burra stabilisce la necessità di proteggere “tessuto e forme” dei luoghi di interesse storico.
Con gli effetti visivi e paesistici che inducono, il proprio potenziale ruolo dominante, gli impianti eolici possono cambiare l’assetto dei luoghi di interesse storico e influenzare così il loro valore. In uno studio di impatto paesistico in Tasmania, per esempio, si raccomandava che le turbine fossero collocate lontano dalla visuale di un insediamento storico costiero. In più, sono gli stessi paesaggi a poter essere individuati come importanti elementi storici a causa della connessione con la storia dell’insediamento umano e relative culture: valore sempre più diffusamente riconosciuto da documenti formalizzati come il registro del National Trust dedicato ai panorami significativi. Gli ambienti possono essere anche influenzati da una progettazione o localizzazione inadeguata delle strutture eoliche.
Impatti su valori socio-culturali contemporanei e sul senso dello spazio
Alcune delle persone intervistate hanno descritto un legame emotivo, talvolta spirituale, rispetto ai luoghi dove sono state localizzate le wind farms. A volte questi legami sono un fatto condiviso, dalla comunità in genere o da particolari gruppi. In Australia, la costa rappresenta uno di tali luoghi, come attestato dalle numerose citazioni nella nostra letteratura, arte, teatro, musica, produzioni televisive.
Gli intervistati descrivono come in talune circostanze sembrava che questi legami fossero stati influenzati negativamente dall’introduzione degli impianti eolici. In una risposta per esempio si sottolinea come inserire un “elemento macchina” in un ambiente a cui si attribuiva alto valore ne abbia cambiato la percezione e il sentimento, come spazio di riflessione e contemplazione. È difficile ricostruire un’accurata rassegna e comprensione di quanto diffusi siano tali effetti, ma un numero notevole di risposte sono pervase da senso di perdita, da parte di persone con un atteggiamento principalmente negativo verso le wind farms.
Esistono modi di progettazione e localizzazione degli impianti eolici che possano ridurre gli impatti negativi?
Per quanto riguarda alcuni valori – ad esempio, una localizzazione di alto valore biologico – l’unica forma di tutela può essere la non realizzazione degli impianti. Per altri valori, qualche tipo di impatto può essere impossibile da evitare. Ad esempio, in una prospettiva di caratteri e scenari, è impossibile nascondere o schermare un impianto. Data l’altezza delle strutture, le schermature vegetali possono essere utili sono per impedire la vista da un certo punto, ma non della torre. In modo simile, varie operazioni per ridurre al minimo la visibilità degli impianti nel paesaggio – come l’integrazione con la topografia o l’adattamento a linee, forme, colori, intrecci del paesaggio circostante – sono impossibili o molto difficili da realizzare con qualche risultato nel caso delle turbine, e invero possono anche essere poco desiderabili. Invece, un’attenta disposizione che eviti caratteristiche particolarmente sensibili e si concentri sull’ottimizzare le caratteristiche positive degli impianti, è più efficace. Il Wulff (2002) nota che delle tre potenziali opzioni di collocamento delle turbine e vento – mascherare o nascondere; immergere o integrare; evidenziare – “è il mettere in evidenza le torri il modo per ottenere implicitamente il risultato visivo più semplice”.
Tenendo questo in mente, esiste una scelta di possibilità per il progetto, la localizzazione e l’uso delle varie opzioni per ridurre l’impatto di interferenza delle wind farms e migliorare il loro aspetto, rendendole così più accettabili.
Localizzazione e organizzazione
Esistono parecchie organizzazioni planimetriche che hanno il potenziale per ridurre gli impatti sul paesaggio. Ad esempio, gli intervistati nei sondaggi indicano che raggruppare turbine ad evitare linee visuali ed elementi caratteristici del paesaggio ne riduce gli impatti. Ma questo tipo di concentrazioni può anche ridurre l’efficienza di generazione elettrica, e pone problemi alla gestione di altri impatti potenziali. Gipe (2002) suggerisce che una collocazione corrispondente alle caratteristiche del paesaggio esistente – per esempio, a riflettere le linee di crinale in un ambiente collinare, o a scacchiera in un territorio piano – contribuisce alla “leggibilità” degli impianti, con impatti più positivi ed accettabili.
Secondo Stanton (1996), collocare le turbine lontano dai crinali non ne riduce l’impatto, e compromette la correlazione fra paeaggio e funzioni delle turbine: “è un problema di onestà, rappresentare una forma in correlazione diretta alla sua funzione e alla nostra cultura”.
Altezza
Alcuni intervistati nel sondaggio fanno riferimento alla presenza incombente delle turbine: si tratta senza dubbio di una reazione all’altezza delle torri. Molti ritengono che rendendole più basse si ridurrebbe il loro impatto negativo.
Una valutazione di impatto paesistico raccomandava che le torri non superassero l’altezza relativa degli altri elementi caratterizzanti il paesaggio della regione; vale a dire, che dai punti di vista chiave le cime delle turbine dovrebbero essere visivamente equivalenti all’altezza percepita di lontane colline o altri elementi del paesaggio, dve esistenti. Giudizi del genere sono comunque probabilmente adatti ad un particolare contesto paesistico, e non esistono studi noti nazionali australiani relativi all’interferenza visiva relativa in diverse situazioni.
L’altezza delle turbine è un vincolo progettuale: più alte le torri e le pale dei rotori, maggiore la quantità di energia elettrica prodotta. Ne risulta che ridurre altezze o lunghezza delle pale si tradurrebbe in aumento del numero di turbine proposte, che a sua volta potrebbe generare altri effetti indesiderati, come intasamenti visivi, o incrementi nelle quantità di terreno necessarie all’insediamento.
Distanze e densità
La localizzazione di numerose turbine in un paesaggio aperto può produrre impatti negativi secondo alcuni osservatori. Effettivamente, il numero delle turbine di un complesso può essere più dannoso della loro altezza. Uno studio condotto negli Stati Uniti ha rilevato che le persone tendono a preferire turbine più grandi, rispetto a un numero maggiore di turbine più piccole.
In più, gli effetti dei gruppi di turbine possono essere mitigati evitando raggruppamenti densi (che creano ostruzioni visive) e accorpando gli elementi in “gruppi funzionali” con una certa quantità di spazio aperto fra l’uno e l’altro. Questa tecnica può anche essere utile per limitare gi impatti su particolari caratteristiche o visuali.
Concentrarsi sulle caratteristiche positive
È stato rilevato che la relativa accettabilità delle wind farms è conseguenza di come esse appaiono “ben proposte” all’osservatore. Concentrarsi sulle caratteristiche positive – ovvero sulle loro particolarità estetiche (utilizzando linee nitide e materiali moderni), costanza progettuale (turbine del medesimo colore, modello e altezza) e funzionalità (tutte le turbine in movimento, in modo da apparire attive) – è stato citato come cosa importante per assicurare che gli impianti vengano più prontamente accettati.
Un intervistato sottolineava di preferire la presenza di tabelloni informativi sugli impianti, perché questo riduce una percezione negativa degli impatti sul paesaggio.
Nascondere e attenuare le caratteristiche negative
Nonostante la difficoltà di schermare le turbine, è possibile nascondere o limitare le caratteristiche potenzialmente negative di un impianto eolico; per esempio, interrando le linee di connessione fra i vari impianti per evitare conflitti visivi con le turbine stesse, organizzando le strade in modo tale da evitare le zone sensibili e i pericoli potenziali di erosione, ripulendo accuratamente la zona dai residui di cantiere e altri rifiuti.
Colori e materiali
Un’attenta selezione di colori e materiali può ridurre contrasti e impatti visivi delle turbine a vento. Colori attenuati (grigio chiaro, beige e crema, ad esempio) e materiali con finitura sfumata possono ridurre visibilità e contrasto a distanza. D’altra parte, l’uso di colori dal paesaggio circostante può aumentare il contrasto se lo sfondo è il cielo.
A causa delle proporzioni delle turbine a vento, la gran parte delle viste di turbine e rotori avviene sullo sfondo del cielo, quindi spesso si raccomandano colori più chiari. Stanton (1996) sostiene che nelle condizioni britanniche i colori più attenuati e i bianchi debbano essere evitati, dato che ciò suggerirebbe un tentativo di mimesi; raccomanda invece che le torri vengano utilizzate per una “chiara e diretta affermazione”.
METODI DI VALUTAZIONE DEI VALORI PAESAGGISTICI
Cos’è una valutazione paesaggistica?
La valutazione paesaggistica si usa per individuare e determinare valori, significati e sensibilità di un paesaggio; può anche significare una quantificazione delle probabilità che un insediamento influisca su queste qualità. Essa è un importante strumento per due operazioni:
• documentare i valori del paesaggio, il significato e sensibilità di una regione, per individuare i siti adatti, dal punto di vista paesaggistico, a un insediamento di wind farm
• documentare i valori paesistici, significato e sensibilità di un proposto sito per l’insediamento nel contesto regionale, per valutare e quantificare i potenziali impatti di una wind farm su queste qualità, e assicurare che i modi dell’insediamento rispondano positivamente a queste potenzialità di impatto.
Nell’ambito della presente ricerca, vengono considerati entrambi questi aspetti della valutazione paesaggistica, anche se gli Enti associati riconoscono che tale valutazione non è di responsabilità né del settore dell’energia eolica, né di particolari responsabili della costruzione.
Cosa deve prendere in considerazione, e cosa invece no, una valutazione paesaggistica?
Le idee sugli obiettivi e i potenziali di una valutazione paesaggistica variano di molto: alcuni autori usano “valore del paesaggio” solo a significare i caratteri visivi ed estetici di un luogo; altri citano nei “valori del paesaggio” un ampio raggio di qualità, di tipo sociale, Indigene, culturali, artistiche e ambientali. Esiste comunque un consolidato riconoscimento, a livello nazionale e internazionale, dell’artificiosità del separare i valori culturali da quelli naturali, ed esiste una crescente concordia sulla necessità di una valutazione olistica dei valori di paesaggio. È la prospettiva riflessa nell’approccio inclusivo di valutazione dei valori nel luoghi Patrimonio Mondiale, e si rende anche evidente nel nuovo sistema nazionale, dove il “bene” è definito come parte dell’ambiente. I luoghi, compresi i paesaggi, scelti per essere inclusi nella nuova National Heritage List possono essere selezionati per i valori naturali, Indigeni, e/o culturali (storici, estetici, spirituali, e via dicendo). Il temine “ heritage” quindi è sempre più visto come comprensivo sia di valori tangibili che immateriali. Ciò si riflette nelle definizioni della parola adottate dai governi statali e territoriali nel corso della revisione delle leggi in materia.
Il campo di valori paesaggistici che le strutture per l’energia eolica possono influenzare è molto ampio. Le questioni e gli impatti individuati attraverso l’esame della letteratura scientifica e il coinvolgimento degli interessati, comprendono valori molto diversi, come:
• quelli ambientali, ad esempio impatti su uccelli e pipistrelli
• quelli estetici, ad esempio il contrasto delle wind farms col paesaggio
• sociali, ad esempio l’identificazione della comunità col paesaggio
• emotivi, ad esempio le sensazioni di meraviglia, o smarrimento
• culturali, ad esempio, impatti su caratteri di importanza storica o archeologica
La valutazione paesaggistica dunque richiede un approccio interdisciplinare, e sono state sviluppate una quantità di metodologie allo scopo di cogliere tutto l’arco dei valori. Ma nessuna metodologia è universalmente accettata. In più ad alcuni valori (ad esempio, quelli ambientali e storici) corrispondono linee di lavoro bene definite e accettate per valutare livelli e significati, i potenziali impatti di un insediamento su di essi, l’accettabilità di tale impatto, mentre per altri (come quelli estetici e culturali) non ne hanno. Fra le metodologie meno consolidate o solo emergenti, ci sono quelle relative a:
• i valori visivi, estetici e scenografici dei paesaggi
• caratteri e significati del paesaggio
• valori socio-culturali contemporanei, in quanto opposti a quelli storico-culturali, ad esempio il valore dello stato del paesaggio per gli Indigeni contemporanei, o un attaccamento personale ed emotivo a un luogo.
Come deve essere affrontata la valutazione paesaggistica?
Il lavoro pionieristico in questo campo in Australia è avvenuto in gran parte attraverso i primi studi del National Trust, particolarmente in Victoria e New South Wales, e attraverso lo sviluppo di sistemi di gestione delle risorse visive ( Visual Resource Management System / VMS) per le attività di forestazione. La tecnica VMS utilizza approcci derivati dalla tradizione della valutazione formale estetica e dalla architettura del paesaggio, che di norma comprendono:
• classificazione del paesaggio entro tipi caratteristici, e descrizione di tali tipi
• valutazione obiettiva dei valori estetici relativi del paesaggio, espressa in termini di qualità scenografica alta, moderata, bassa, dove l’alta qualità è di solito associata a varietà, unicità, preminenza e naturalità delle forme del suolo, vegetazione e acque, entro ciascun tipo
• determinazione delle capacità del paesaggio di assorbire vari tipi di insediamento sulla base delle caratteristiche fisiche e ambientali
• valutazione di “sensibilità visiva” basata sulla sensibilità relativa al cambiamento di diversi gruppi di osservatori – ad esempio turisti contro boscaioli – quante persone osservano e da quanto lontano.
Questa tecnica si occupa specificamente di graduare i valori scenografici e visivi estetici di un paesaggio. Nondimeno, alcuni adattamenti di essa sono stati comunemente utilizzati nelle valutazioni paesaggistiche per le wind farms in Australia aggiungendo tra l’altro:
• modello computerizzato della visibilità degli impianti dai dintorni (e da punti di vista chiave) in base alla topografia; analisi delle “zone di influenza visiva” o “area vista”
• modello visivo della wind farm e costruzione di “fotomontaggi” che illustrano le potenziali trasformazioni del paesaggio.
Nonostante le tradizioni di valutazione visiva alla base degli approcci VMS li rendano giustificabili e ripetibili, essi sono stati criticati per le seguenti ragioni:
• manca di input dal parte della comunità locale per definire il valore e qualità scenografica
• conferisce maggior peso alle caratteristiche naturali che a quelle culturali (essendo stato sviluppato in gran parte per l’uso in zone naturali)
• i “gruppi di osservatori” sono mal definiti e manca una rigorosa analisi quantitativa delle percezioni dei diversi osservatori
• non vengono riconosciuti i valori più immateriali ed “emotivi” del paesaggio.
I fondamentali studi sul paesaggio della Australian Heritage Commission nell’ambito degli accordi sulle foreste regionali, sviluppati nei primi anni ’90, utilizzavano in modo intensivo le consultazioni locali per quantificare i valori immateriali: legami sociali, spirituali, estetici al luogo. Questo problema del coinvolgimento locale costituisce l’elemento centrale di tensione fra le varie metodologie: esiste una fondamentale divergenza teorica di opinioni, sul possedere il paesaggio una intrinseca oggettiva bellezza che possa essere in qualche modo misurata o comparata, oppure se la bellezza scenografica sia un valore solo soggettivo, attribuito a un’area o particolare paesaggio.
Le valutazioni basate su un giudizio professionale dei valori paesaggistici (ad esempio “qualità scenografiche”) sono talvolta criticate come insufficientemente rappresentative della prospettiva dei gruppi interessati non-professionali. Con questi presupposti, le comunità chiedono sempre più spesso di essere consultate su cosa conta per loro, e questa domanda trova sempre più spesso risposta positiva da parte delle autorità competenti.
Molti dei valori individuati come importanti nel sondaggio non sono facili da misurare o quantificare. Per esempio, è relativamente facile quantificare gli effetti di un insediamento di impianti eolici sui valori tangibili della vegetazione locale; è molto più difficile quantificarne gli effetti su valori immateriali, come i sentimenti di una persona per un luogo. Schwann (2002) suggerisce che, nonostante i valori immateriali presentino una sfida per la pianificazione e valutazione, resta importante verificarli e valutarli. Un efficace coinvolgimento della comunità locale – che consenta al punto di vista collettivo di rendersi evidente, e non solo a quello di chi ha più voce – è ovviamente essenziale da questo punto di vista.
Comunque, perché la valutazione paesaggistica possa essere un’utile guida per la progettazione e realizzazione di impianti eolici, ci deve essere equilibrio fra input soggettivi e quadri generali di carattere professionale che comprendano e documentino tale input. Un approccio testato in uno studio sul sud-est Queensland (anche se non specificamente correlato a un insediamento di tipo eolico) integrava dati di visibilità elaborati dal computer con una dettagliata analisi delle preferenze comunitarie per tipi e caratteri di paesaggio, producendo infine una graduatoria delle “piacevolezze sceniche” del paesaggio. Studi simili sulla percezione sono stati condotti lungo la Great Ocean Road in Victoria, e nelle cittadine costiere di New South Wales e Queensland. Questi approcci possono avere valore per graduare la sensibilità e preferenze riguardo agli insediamenti eolici, nonostante sinora non siano stati condotti studi del genere orientati alle wind farms.
Usando metodi simili, Andrew Lothian (2002) ha condotto studi rilevanti sulla percezione del pubblico (su oltre 300 persone) in South Australia rilevando che le preferenze riguardo al paesaggio sono simili quanto più simili sono i gruppi di età, sesso, livello culturale. Di conseguenza suggerisce che, nonostante esista il potenziale di iniziare un lavoro nazionale di valutazione paesaggistica, è importante prima di tutto completare studi simili in tutta Australia.
Come deve essere misurata, la significatività?
Da una prospettiva di pianificazione, il prodotto centrale di una valutazione del paesaggio è la quantificazione dei suoi valori relativi, in modo tale che possa essere presa una decisione sull’accettabilità o meno di alcuni impatti. Il rapporto sulle reazione della comunità al progetto dell’impianto di turbine eoliche a Portland in Victoria, per esempio, raccomanda che nelle valutazioni future di questo tipo si classifichino i paesaggi “in termini di significati internazionali, nazionali, di stato, regione, e locali”identificando le caratteristiche che contribuiscono in ciascun caso al loro significato.
Esiste un ampio dibattito sul misurare o meno, e come, il significato relativo dei paesaggi. Le diversità di valori che implica l’idea di “valore del paesaggio” creano altre difficoltà nel definire cosa sia significativo in un paesaggio. le risposte alla domanda del sondaggio “Cosa rende un paesaggio più speciale di un altro?” vanno elementi misurabili (ad esempio la diversità delle variazioni topografiche, o presenza o assenza di acqua) all’immateriale (ad esempio, il grado di significati personali e associazioni mentali con un dato luogo); “in mezzo” sta il livello di naturalità o qualità di stato selvaggio di un panorama. Come sottolineato, esistono varie tecniche per classificare l’importanza relativa di un paesaggio e degli elementi in esso. Se il valore debba essere classificato oggettivamente o soggettivamente, è ambito di tensione fra i diversi approcci.
Pochi dei sistemi esistenti affrontano in modo comprensivo tutti i valori potenzialmente significativi. Fra i criteri di significatività utilizzati come parte si un sistema gerarchico di classificazione, negli studi esistenti, ci sono:
• qualità scenica, determinata in modo scientifico, o attraverso la percezione della comunità, o in entrambi i modi
• scarsità, la relativa unicità di un tipo di paesaggio o elemento
• frequentazione e riconoscimento, quanto il pubblico è attratto da un paesaggio, e quante persone e di che tipi ci vanno
• visibilità, il numero di persone che osservano un paesaggio, e da dove lo osservano
• frequenza della rappresentazione artistica, inclusi lavori scritti o visivi, livello di riconoscimento dell’oggetto nei lavori, rapporto dell’artista con un luogo.
È pure rilevante il problema dei limiti di una valutazione paesaggistica. Appare essenziale sviluppare criteri standard per valutazioni solide e ripetibili sui valori paesistici per la localizzazione di impianti eolici nei vari stati e regioni.
Come procedere? Si devono portare a termine valutazioni paesaggistiche per tutte le aree dove è presente la risorsa vento?
Esiste crescente consapevolezza che la valutazione paesistica a scala regionale sia essenziale per comprendere i valori relativi dei paesaggi. L’importanza delle varie caratteristiche dipende in gran parte dalla comprensione del significato relativo di un paesaggio, o di un tipo di paesaggio. Nello stesso modo in cui sono disponibili informazioni su presenza o scarsità di specie e associazioni vegetali a livello regionale, statale e nazionale, anche una valutazione strategica dei valori di paesaggio ha le potenzialità di misurarne il significato.
Al momento, gli impatti paesaggistici delle wind farms sono valutati caso per caso, come risposta a richieste di nuovi impianti. Nonostante ciò sia essenziale per ricostruire gli specifici impatti di un progetto, in assenza di un quadro regionale di contesto dei significati relativi dei paesaggi non è possibile classificare questi impatti. In più, l’impossibilità di individuare i paesaggi particolarmente significativi può determinare conflitti non necessari, e incertezze nella realizzazione degli impianti.
Alcuni governi statali hanno individuato particolari aree, come i parchi nazionali, inadatte per insediamenti di impianti eolici. Le valutazioni paesaggistiche in tali casi possono essere inutili, o ridondanti. Dato che alcuni impatti sono inevitabili, quando si realizza una wind farm, e dato che esistono piani statali, nazionali e internazionali di promozione dell’energia eolica come fonte rinnovabile, i processi di pianificazione devono tener conto planning della necessità di equilibrare le politiche di alto livello relative agli impianti eolici, col desiderio di tutelare i paesaggi.
Nota: il documento integrale e originale (con l’intero testo, le bibliografie, e soprattutto le Appendici metodologiche e di rilevamento) è scaricabile in file PDF dal sito di uno dei due enti responsabili, l’Austrialian Council of National Trusts (f.b.)
Eolo sa leggere, meglio non truffarlo
Guglielmo Ragozzino
Ai tempi della rivoluzione francese, l'ultimo mese dell'inverno, quello stesso che, senza rendercene conto, stiamo attraversando, si chiamava Ventoso.Ventoso finirà il 20 marzo, lasciando dietro di sé qualche perplessità, qualche domanda. In tutta Italia - anche oggi si parla del Molise e della Toscana, ogni altra regione ha gli stessi problemi - si discute se e come utilizzare il vento per produrre energia pulita.
Togliamo di mezzo ogni forma di parlar-d'altro: lasciamo perdere il risparmio che certo è la nostra prima scelta; e non consideriamo lo stile di vita più sobrio che viene subito dopo. E' un fatto che un certo quantitativo di energia è indispensabile. Non serve che sia crescente, anno dopo anno; anzi il nostro impegno dovrebbe essere di garantirci quanto ci serve con un mionore dispendio di energia. A questo punto dobbiamo vedercela con l'energia che ci serve e scegliere quella che consuma meno natura, quella che produce meno inquinanti, meno scorie nucleari, meno cambiamenti climatici. Petrolio e gas, nella misura minore possibile, per gli usi, oggi indispensabili, nei settori dei trasporti. E poi sole, idroelettrico, vento.
Il vento, come energia non inquinante, è entrato da qualche anno nei programmi di grandi imprese internazionali. Forse è stato il prezzo elevato del petrolio che ha reso necessaria la ricerca di alternative e possibili molte innovazioni in campi prima trascurati.
come risultato, le compagnie elettriche maggiori che in precedenza consideravano il vento come una variante minore, ai margini del lavoro importante - quello di produrre quantità enormi di energia in complessi giganteschi - ora si sono ricredute, oppure, le più pigre, si stanno ricredendo. La tecnica è progredita e l'elettricità nasce ormai dalle pale anche senza un vento molto forte. Con gli accorgimenti della tecnica e gli appoggi finanziari della politica, anche il vento può essere un affare.
A questo punto, con il rovesciamento dell'incredulità precedente nel suo contrario, l'entusiasmo del neofita, tutti progettano il vento, seguendo una moda che poi è complicata dalle leggi nostrane: un po' di eolico consente carbone e gas delle centrali tradizionali. Gli ambientalisti sono in parte sconcertati: quel vento non è più quello che essi auspicavano; spesso anzi è una presa in giro, un ulteriore attacco ai loro valori.
La questione del vento va afrrontata dal governo con urgenza, senza togliere alle regioni il potere di scegliere, ma indicando loro un atteggiamento coerente. Il governo e l'autorità garante devono affidare al vento un ruolo preciso nel piano energetico nazionale, che non deve essere fatto per raggiungere i prezzi più bassi per ogni unità di energia, ma la minima produzione di anidride carbonica, rispettando la democrazia, l'eguaglianza tra i cittadini e il resto della Costituzione italiana, compreso l'antico articolo 9, quando la repubblica che ancora non sa niente di ambiente però « tutela il paesaggio. Dunque il vento deve essere sottoposto a tre diverse forme di controllo: la prima è l'obbligo di utilizzare le migliori tecniche disponibili, senza neppure tentare di usare i rottami dell'eolico altrui; segue l'obbligo di preparare una dettagliata carta dei venti. Non è più il tempo di cercare il vento, fiutandolo, o mettendo all'aria l'indice bagnato; infine, con buon senso e generosità, si deve fare una carta dei luoghi giusti: quelli che non offendono nessuno, quelli che non opprimono gli altri.
Ventoso, un nome che forse è di buon augurio.
Soffia il vento, infuria la bufera
Serena Giannico
«'Sta storia ha il sapore della beffa, perché le comunità locali non sono state sentite per esprimere i propri pareri...». Sulle «pale selvagge» che dovrebbero presto adornare il litorale del Molise spira bufera. Per il progetto della Effeventi di Milano, che intende realizzare una centrale eolica in mare, è rivolta dei cittadini, che hanno costituito un comitato per la tutela del territorio, e dei comuni, che si sono uniti in un secondo comitato. Mentre gli ambientalisti sono in guerra tra loro.
Il piano del parco offshore ha scatenato polemiche e conflitti. Tutti contro tutti. Le amministrazioni di sei comuni - Vasto e San Salvo (Chieti) e Termoli, Montenero di Bisaccia, Petacciato e Campomarino (Campobasso) - sono insorte. «Ogni palo - tuonano i sindaci - sarà alto ottanta metri, ai quali si dovranno aggiungere i venti metri delle eliche. L'intervento sarà su un'area - che verrà pure interdetta alla navigazione - di 25 milioni 600 mila metri quadrati, non lontano dalle spiagge che stiamo cercando di valorizzare, di promuovere e di far conoscere ai turisti di tutto il mondo per le bellezze naturalistiche. Sarebbe il primo impianto del genere nel Mediterraneo e sarebbe così brutto che...». Che loro neppure si soffermano a dire che sono contrari, perché, in realtà, sono inferociti. «Se fossimo stati interpellati, avremmo detto di no - riprendono -. Adesso, però, ci debbono ascoltare. Siamo pronti alla mobilitazione e ad adire le vie legali...».
Intanto hanno chiesto un incontro per il 16 marzo prossimo al governatore Michele Iorio (Fi). Su cui, per questa vicenda, si stanno abbattendo tuoni e fulmini. Gli ultimi sono stati scagliati da Cristiano di Pietro, consigliere provinciale e figlio del ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro. «Siamo pronti - afferma Di Pietro jr - a dare battaglia al governo regionale che prima, con ripicche e strane autorizzazioni, ha dato il via all'iter procedurale e ora grida la propria avversità».
«Ci risiamo - rincara Marcella Stumpo, del Coordinamento ambiente-salute che, assieme alla fondazione "Lorenzo Milani" sta mettendo a punto le osservazioni antiturbine -, sembra davvero che la Regione non perda il vizietto: era da tempo a conoscenza del progetto, ma ha taciuto. Ha tenuto l'iniziativa nascosta e non ha coinvolto la popolazione con conseguenze negative per il territorio. Certo - aggiunge - non era un obbligo di legge informare, ma lo avrebbero imposto la correttezza istituzionale e i più elementari principi di democrazia. Invece anche stavolta è rimasta in silenzio, come per la centrale a ciclo combinato, come per il gessificio, come per la centrale biomasse...».
Il presidente della Regione, bersagliato, e dopo il coro di resistenze che si è levato, ha scritto al presidente del Consiglio, Romano Prodi, al vice, Francesco Rutelli e a sei ministri, dimostrando «la contrarietà alla costruzione del parco». Il ministro Di Pietro, molisano verace, ha nel frattempo chiesto lumi al collega dei Trasporti e convocato per il 14 marzo, a Roma, il comandante della Capitaneria di porto di Termoli, Luca Sancilio, per avere chiarimenti. Ed è stato il putiferio. Così facendo è finito nel mirino dei Verdi, che lo accusano di non essere stato «sensibile» nell'affrontare progetti che sconvolgono altre parti del Belpaese. «Ora - gli viene rimproverato - Di Pietro capisce perché gli abitanti della Val Susa si oppongono al tunnel della Tav? Perché i vicentini e il movimento contro la guerra si scagliano contro la base militare americana? Perché in molti non vogliono il ponte sullo Stretto di Messina?».
Arrivano, dirette, a Di Pietro pure le stoccate di Grazia Francescato. «E' singolare - afferma la deputata dei Verdi, già responsabile del Wwf - che egli scopra la sua vocazione ambientalista solo per quello che potrebbe accadere a Montenero. E' paradossale viste le tante opere ad alto impatto ambientale a cui vorrebbe dare il via libera. Una fra tutte: il corridoio tirrenico che farebbe sparire la Maremma in Toscana».
«Intendiamoci - si difende Di Pietro - sono convinto che l'energia eolica sia un'alternativa valida. Ma va valutato il rapporto costo-benefici. E poi quella è un'area inadatta e unica per il valore paesaggistico, perché ancora vergine. Mi sembra più una speculazione».
Controversie e progetto preoccupano il presidente del Senato, Franco Marini, che ha chiesto al presidente della Provincia di Chieti, Tommaso Coletti, di essere informato su quanto accade. Mentre la Provincia di Campobasso, allarmata, domani si riunirà con urgenza per adottare provvedimenti contro «l'imponente insediamento che andrebbe ad installarsi in prossimità degli arenili, determinando, tra l'altro, la crisi irreversibile del settore della pesca».
Per non parlare dei danni e del rumore generato dalle pale rotanti. Rifondazione comunista ribadisce dissenso «alla selva di torri d'acciaio che si slargherebbe in acqua». Il parco offshore divide anche gli ecologisti. Edoardo Zanchini, responsabile Energia di Legambiente, assicura che «il progetto è stato a lungo esaminato in commissione al ministero dell'Ambiente e che sono stati apportati correttivi per minimizzare l'impatto con i fondali, per garantire l'allacciamento dei cavi elettrici senza interferire sulle dune e sulla fauna». Mentre Legambiente del Basso Molise sottolinea che «il progetto non ha tenuto conto di specifiche peculiarità, quali la vulnerabilità del litorale interessato - infatti è a ridosso di uno dei fronti franosi più estesi d'Europa - e il fatto che è situato nei pressi di un Sito di interesse comunitario. E' una zona - evidenzia - diversamente vocata. E, per essere il primo eolico marino in Italia, va sostanzialmente modificato e rispondere ai requisiti di distanza e prospettiva degli ultimi impianti del Nord Europa».
Il Comitato nazionale per il paesaggio che fa riferimento all'ex ministro Carlo Ripa Di Meana, dichiara: «Quelle torri bianche deturperebbero un luogo idilliaco». Ritenuto pregiato per la presenza del fiume Trigno, per il passaggio migratorio degli aironi, così come per la flora. «Negli anni passati - ricorda Giuseppe Vatinno, responsabile nazionale energia ed ambiente dell'Italia dei valori - nel caso dell'eolico abbiamo assistito ad una sorta di far west, che ha portato a scempi e a bidoni industriali dei quali è ancora disseminato lo Stivale».
Il ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio aggiunge: «Per produrre energia di questo tipo vanno rispettate le condizioni per un suo corretto utilizzo ed è necessaria la pianificazione nazionale degli impianti».
Sul parco eolico molisano, in eddyburg
Titolo originale: Glossary of energy-related terms – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini [l’ordine è quello alfabetico originale dei termini anglosassoni]
Energia Eolica/Wind Energy— Energia disponibile da flussi di vento attraverso un ambiente, determinati dal riscaldamento di atmosfera, terra e oceani da parte del sole.
Sistema - o Apparecchio - di Conversione dell’Energia Eolica/Wind Energy Conversion System (WECS) or Device — Apparato per convertire l’energia disponibile nel vento in energia meccanica che può essere utilizzata per azionare macchine (mulini per cereali, pompe d’acqua) o generatori di elettricità.
Generatore Eolico/Wind Generator — Uno WECS espressamente progettato per produrre elettricità.
Mulino a Vento/Windmill — Uno WECS utilizzato per macinare cereali, caratterizzato da un rotore posto in alto, termine comunemente usato a descrivere tutti i tipi di WECS.
Curva dell’Energia Eolica/Windpower Curve — Grafico rappresentante la correlazione fra l’energia disponibile dal vento e la sua velocità. L’energia dal vento aumenta proporzionalmente al cubo della sua velocità.
Impianto per l’Energia Eolica/Wind Power Plant — Gruppo di Turbine a Vento collegate a una centrale comune attraverso un sistema di trasformatori, linee di distribuzione e (di solito) una sottostazione. Gestione, controllo e manutenzione sono spesso centralizzate, attraverso una rete di sistemi computerizzati, affiancati da verifiche visive. Si tratta di un termine usato comunemente negli USA. In Europa si utilizza il termine centrale di generazione.
Profilo dell’Energia Eolica/Windpower Profile — I cambiamenti nell’energia disponibile dal vento a causa delle diverse velocità, o profilo di velocità; il profilo dell’energia eolica è proporzionale al cubo del profilo di velocità del vento.
Valutazione delle Risorse Eoliche/Wind Resource Assessment — Il processo di definizione delle risorse eoliche, e dei potenziali energetici, per uno specifico sito o zona geografica.
Rosa dei Venti/Wind Rose— Un diagramma che indica le percentuali medie delle diverse direzioni da cui soffia il vento, su base mensile o annuale.
Velocità del Vento/Wind Speed — I flussi di vento non impediti da ostacoli.
Curva Temporale di Velocità del Vento/Wind Speed Duration Curve — Un grafico che indica la distribuzione delle velocità del vento in funzione del numero cumulativo di ore in cui la velocità supera un limite dato, in un anno.
Curva di Frequenza di Velocità del Vento/Wind Speed Frequency Curve — Una curva che indica il numero di ore all’anno in cui si raggiunge una determinata velocità.
Profilo di Velocità del Vento/Wind Speed Profile — Un profilo di come cambia la velocità del vento a seconda delle altezze rispetto alla superficie del terreno o dell’acqua.
Turbina a Vento/Wind Turbine — Termine utilizzato per definire un apparecchio di conversione dell’energia eolica in elettricità; può avere una, due o tre pale.
Capacità Relativa di Turbina a Vento/Wind Turbine Rated Capacity — La quantità di potenza che può produrre una turbina a vento alla velocità per cui è stata programmata, ad esempio 100 kW a 30 km/h. La velocità relativa del vento corrisponde al punto in cui l’efficienza di conversione raggiunge il massimo. A causa della variabilità del vento, la quantità di energia effettivamente prodotta da una turbina è in funzione del fattore di capacità (ad esempio, una turbina produce dal 20% al 35% della sua capacità relativa in un anno).
Velocità del Vento/Wind Velocity— Velocità e direzione del vento in un flusso indisturbato.
Nota: l’intero Glossario in originale (che riguarda l'insieme delle energie da fonti rinnovabili) è disponibile al sito dello US Department of Energy (f.b.)
Termoli - Scempio al largo. Imponenti torri che svettano tra le onde. Potrebbe presto cambiare il paesaggio costiero del Molise, ventisei chilometri di litorale in più punti martoriati dal cemento e che custodiscono già una centrale turbogas, che terrorizza la popolazione, e diverse rischiose aziende chimiche. Adesso, nelle pieghe delle brezze primaverili, spunta un progetto della ditta Effeventi srl, con sede a Milano, che ha scelto questo fazzoletto di meridione per realizzare il primo parco eolico in mare d'Italia. Un tratto d'Adriatico costellato di... pali d'acciaio. L'impianto coprirebbe, in maniera devastante, uno specchio acqueo di 25 milioni 527 mila e 500 metri quadrati, di cui 3 milioni 150 mila di area demaniale e sorgerebbe dirimpetto alle spiagge del piccolo centro di Petacciato (Campobasso), tra tre e cinque miglia dai lidi di Termoli e Campomarino, a sette dal bagnasciuga di Vasto (Chieti), a un paio da quello di Montenero di Bisaccia - paese del ministro Antonio Di Pietro - e a 21 dalle isole Tremiti. Andrebbe, quindi, a incastonarsi nei pressi dello splendido arcipelago pugliese e in un sito rinomato e frequentato per i caratteristici fanghi generati da una slavina naturale.
Cinquantaquattro le turbine da installare, della potenza complessiva di 162 megawatt e che dovrebbero produrre energia elettrica per 450 milioni di chilowatt annui, che potrebbero soddisfare il fabbisogno di 120 mila famiglie.
Il ministero dei Trasporti ha autorizzato l'istruttoria, avviata da un paio d'anni, ordinando, qualche settimana fa, alla Capitaneria di porto di Termoli, la pubblicazione all'albo pretorio del Comune degli atti con i quali si dà avviso dello scellerato progetto. Ciò vuol dire che sono scattati i 30 giorni utili alla presentazione delle osservazioni al piano. Trascorso questo periodo - e resta ormai poco tempo - non sarà accettato alcun reclamo e si darà ulteriore corso alle pratiche, già a buon punto. L'iter per i permessi e lo studio d'impatto ambientale, infatti, sarebbero quasi ultimati.
Secondo la società lombarda che vuole realizzare il parco off-shore - così viene tecnicamente chiamato - la mega struttura, per la quale è stata chiesta una concessione demaniale di sessant'anni, sarebbe «salutare» per il territorio. Questi i benefici elencati «per il mancato consumo di 90 mila tonnellate di idrocarburi»: 420 mila tonnellate in meno di anidride carbonica immessi nell'atmosfera in un anno, 600 tonnellate di anidride solforosa, 800 di ossidi di azoto e 43 tonnellate di polveri sottili.
«La società Effeventi - spiega l'avviso che occhieggia dalle bacheche del municipio di Termoli - preparerà il fondale, erigerà i pali di fondazione mediante una nave speciale munita di gambe d'appoggio e dotata di gru a martelli idraulici». I «piloni» avranno un diametro di cinque metri e saranno inseriti ad una profondità di 50 metri. Seguiranno i lavori di posa dei cavi, anch'essi invadenti, e d'interconnessione. Diversi fili si allacceranno ad una cabina di trasformazione piantata sulla terraferma e ad una linea «volante» che si andrà a collegare alla rete elettrica nazionale. «Il montaggio - affermano ancora i documenti - verrà completato sistemando la torre eolica con la gondola contenente il generatore e successivamente il rotore e le pale». Le torri metalliche si innalzeranno per 80 metri al di sopra del livello del mare. Si staglieranno possenti e ingombranti. Inutili per questo spicchio di Sud, a tratti ancora povero e che, nonostante le proteste, ha dovuto accogliere una centrale a ciclo combinato che non voleva e che teme. A cui sono state regalate industrie alle quali, secondo una recente ricerca dell'Istituto superiore di sanità, potrebbe essere collegato l'incremento delle malattie tumorali, che si aggira mediamente intorno al 17 per cento, sfiorando, in alcune zone, addirittura aumenti del 42 per cento.
Dei 25 mila ettari di pali eolici la Regione, guidata da Michele Iorio, era a conoscenza, dato che l'avvio della procedura amministrativa è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale del 16 dicembre 2005. Ma ha glissato la faccenda. Un disastro contro cui l'amministrazione provinciale di centrosinistra, «pur non avendo ricevuto alcuna comunicazione ufficiale da parte di enti», è scesa in campo esprimendo «sgomento e disapprovazione». «E netta contrarietà - rincara il presidente Nicola D'Ascanio - anche per ciò che riguarda il metodo, contrassegnato da elementi di clandestinità procedimentale. Potremmo ritrovarci un insediamento eolico deleterio». Per i piccoli pescatori che tirano avanti con fatica e reti e per le attività turistiche, economiche e sociali che stentano. «Un impianto rovinoso - tuona Luigi Lucchese, responsabile Legambiente nel Basso Molise - che annienteranno la vita marina e creeranno degrado in luoghi che, con sforzo, stiamo cercando di tutelare e valorizzare». In rivolta anche il vicino Abruzzo, il cui assessore regionale all'Ambiente, Franco Caramanico, dichiara: «Provvederemo ad attuare le misure per difendere e salvaguardare il nostro litorale«. In subbuglio la marineria, mentre l'associazione ecologista Patria di Termoli riflette: «Stiamo assistendo alla crocifissione del Molise, che non riceverà benefici da questo parco delle brutture». E che a breve potrebbe vantare dolci arenili con dune, fiori rari e vista... pali. Altro che... favola blu.
Sulla questione dell'energia pulita parte la scommessa per un'ambiente sostenibile e proprio in Sicilia dove recentemente sono state convocate sedute consiliari nei vari Comuni per gli impianti eolici.
Il ministro dell'Ambiente Altero Matteoli ha inaugurato le eliche dei 43 aerogeneratori da 850 Kw ciascuno; sulle montagne di Partitico, Alcamo e Camporeale, la zona del parco eolico, c'erano anche Totò Cuffaro, il presidente dell'Anev (Associazione Nazionale Energia del Vento), Francesco Ferrante di Legambiente, il vicepresidente della Regione Sicilia, Francesco Cascio e il responsabile della ditta Ivpc per la Sicilia. Questo parco Eolico permetterà la produzione potenziale di 100.000.000 di KWh con un risparmio di 190.000 barili di petrolio, pari a circa 30.000.000 di litri all'anno ed è stato realizzato dal Gruppo Ivpc. Si prosegue così decisamente verso il raggiungimento degli obbiettivi di produzione di energia di fonti rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, fissati dalla direttiva comunitaria nel 25% entro il 2010, traguardo a serio rischio che può essere raggiunto solo con un'azione decisa ed incisiva.
Per il ministro Matteoli «L'energia eolica è la scommessa che dobbiamo fare per il futuro. In Italia, siamo un pò in ritardo perchè c'è stato un forte dibattito, ma speriamo di poter raggiungere l'obiettivo del 25% di energia prodotta dal vento entro il 2012. In posti come questo produrre energia dal vento è un risultato eccezionale. Per questo dobbiamo trovare le sedi adeguate per impiantare l'eolico».
Attualmente le richieste per la realizzazione di campi eolici in Sicilia sono 150, su otto impianti già funzionanti. Spiegano gli addetti ai lavori che : «Si tratta di un parco eolico da 36,55 MW realizzato dal Gruppo Ivpc costituito da 43 aerogeneratori sviluppanti ciascuno una potenza massima nominale pari a 850 Kw. Gli aerogeneratori sono collegati tra loro ed alla cabina primaria denominata Partinico 2-Alcamo, costituente il punto di consegna dell'energia alla rete elettrica nazionale, da cinque linee elettriche interrate».
«Ricade in un'area che presenta ottime caratteristiche di ventosità per cui l'impianto eolico appare una scelta opportuna in questo sito che tral'altro è facilmente accessibile ed utilizzato a tutt'oggi quasi esclusivamente per pascolo o per colture che possono coesistere con l'impianto, quindi il parco eolico è perfettamente compatibile con l'assetto territoriale. è importante considerare che 43 generatori da 850 Kw ciascuno, eviteranno l'immissione in atmosfera di oltre 50mila tonnellate annue di anidride carbonica. Una centrale eolica è una vera e propria centrale elettrica, ma l'elettricità prodotta ha una caratteristica unica, che la differenzia da quella prodotta da tutte le altre tipologie di centrale elettrica: è assolutamente pulita, ottenuta senza inquinamento e senza emissione di gas-serra o di radiazioni elettromagnetiche di qualsiasi tipo e con il minimo impatto ambientale sull'ecosistema».
«Una centrale eolica è costituita da una serie di aerogeneratori disposti secondo geometrie ben predeterminate al fine di non creare ostacoli reciproci tra le macchine e di consentire la migliore esposizione verso le direzioni predominanti dei venti. Un generatore eolico è costituito da una torre, sulla quale é fissata una capsula di forma aerodinamica, una navicella contenente il generatore elettrico e un rotore formato da tante pale progettate per sottrarre al vento parte della sua energia meccanica. Il principio di funzionamento degli aerogeneratori è lo stesso dei mulini a vento: il vento che spinge le pale. Ma nel caso degli aerogeneratori il movimento di rotazione delle pale viene trasmesso ad un generatore che produce elettricità».
Possiamo notare il Parco eolico e gli impianti ad occhi nudo volgendo lo sguardo verso le montagne del palermitano all'interno del territorio del Golfo di Castellammare verso Camporeale e le montagne che nascondono ai nostri occhi Piana degli Albanesi e Portella della Ginestra.
L'unica domanda che bisognerà porsi ora è l'aspetto economico: se l'impianto eolico farà risparmiare milioni di barili di petrolio ogni anno e considerato lo stato dell'energia in Italia e in Sicilia, bisognerà anche sapere quale costo o quale risparmio ne deriverà per le economie dei cittadini, gli utenti che pagano la bolletta: questo ancora non è stato dato sapere. Ma soprattutto, visto che l'energia prodotta dal Parco Eolico sarà immessa nella Rete elettrica nazionale, che tipo di benefici, e se ce ne saranno, potranno essere ricondotti alla Sicilia che ha già l'esperienza del prezzo della benzina alto nonostante sia una zona produttrice di petrolio.
Negli ultimi anni una vera e propria trasformazione sta avvenendo in tutti i campi dell'energia e dell'approvigionamento e produzine oltre che gestione della stessa energia e dei servizi indispensabili alla vita moderna industrializzata: il Parco Eolico, che chiamato Parco può far pensare a una cosa in subordine di matrice solo ambientalista mentre si tratta essenzialmente di un modo di produzione non inquinante o comunque non sfruttando il petrolio, il Parco Eolico dunque è solo l'ultimo anello di congiunzione di un programma più vasto di riforma della produzione e della gestione dell'energia.
In cantiere, e non senza polemiche e dubbi, esistono infatti anche i Termovalorizzatori (ne sono previsti 4 in Sicilia, uno a Bellolampo a Palermo e su cui gli ambientalisti sono contrari); e per la gestione delle acque e dei rifiuti è previsto l'Ato: su queste cose per il momento sembra minima l'attenzione dell'opinione pubblica che sembra accettare le trasformazioni senza una precisa idea di quello che può essere il futuro, un futuro che intanto per ora con il parco Eolico è già presente in forma operativa. Ma esiste anche un altro futuro, più decisivo per le economie dei cittadini e di cui ancora poco si conosce: le bollette dei consumi dell'energia, dell'acqua e dei servizi connessi di cui non si sa ancora nulla.
«Quando soffia il vento – continuano gli ingegneri a spiegare – le pale si mettono a girare e l'energia cinetica è trasformata in energia elettrica dal generatore della navicella. L'energia così prodotta viene convogliata su un trasformatore che ne innalza la tensione prima che venga immessa nella linea di trasmissione».
Di regola, i moderni aerogeneratori entrano in azione quando la velocità del vento si avvicina ai 20 km/h, esprimono il massimo rendimento fra 40 e 50 km/h, e si disattivano intorno ai 110 km/h.
«Il problema maggiore – continuano gli ingegneri – che deve affrontare la produzione di energia eolica, infatti, è la naturale incostanza dei venti, che si traduce in un funzionamento discontinuo degli aerogeneratori. Per questo motivo, sono ritenute adatte all'installazione di aerogeneratori soltanto le località caratterizzate da una velocità media annua del vento di almeno 21 km/h. Le turbine convertono direttamente l'energia cinetica del vento in energia meccanica utilizzata per la generazione di energia elettrica. L'aerogeneratore opera a seconda della forza del vento. Per cominciare a funzionare è necessario che la forza del vento sia di almeno 4-5 m/s, ad elevata velocità (20-25 m/s) invece l'aerogeneratore per motivi di sicurezza si pone automaticamente in posizione di stallo. L'energia elettrica generata dalla turbina a 690 Volt, viene convogliata alla basa della torre, in una cabina dove viene trasformata da 690 Volt a 20.000 Volt. Queste cabine di trasformazione ospitano anche le unità di controllo di ciascuna turbina ed alcune unità di corrente reattiva oltre alle apparecchiature di controllo per il monitoraggio centrale. Dalle cabine l'energia prodotta viene convogliata, tramite cavi interrati, alle sottostazioni dove viene trasformata da 20.000 a 150.000 Volt e quindi immessa nella rete nazionale».
Fra le energie cosiddette “alternative”, ovvero che si discostano dal modello tradizionale petrolio/carbone e che hanno (o dovrebbero avere) un basso impatto sullo sfruttamento delle risorse, quella eolica è probabilmente la più discussa in Italia. Ciò si deve evidentemente alle caratteristiche peculiari del nostro paesaggio naturale e antropizzato, al suo ruolo nel costruire l’identità nazionale e locale, e al conseguentemente ampio dibattito che l’insediamento (reale, auspicato, studiato) delle turbine genera.
Quello che segue è un elenco dei contributi comparsi sinora su Eddybug e su eddyburg_Mall, sommariamente suddiviso nei tre ambiti del dibattito nel contesto e sui casi italiani, internazionali, degli studi scientifici e proposte normative.
Il dibattito in Italia
La lettera di Mario Agostinelli e Massimo Serafini (che si firmano come appartenenti al Contratto Mondiale Clima ed Energia) dell’8 giugno 2005 pubblicata dal manifesto, e indirizzata al presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, da cui il titolo: Mulini a Vendola. Gli Autori in sostanza chiedono che nel decidere le proprie politiche energetiche la regione tenga conto dell’urgenza di agire contro il riscaldamento globale, e non applichi la prevista moratoria per gli insediamenti di turbine, nell’attesa di emanare nuove norme a proposito. Ancora sulla questione pugliese, l’intervento per Eddyburg dell’urbanista Luigi Longo, pubblicato il 10 giugno col titolo Le fonti rinnovabili, per quale sviluppo? A partire dalla lettera di Agostinelli-Serafini, e dalla constatazione dello stato di fatto nell’area foggiana, Longo sostiene la tesi secondo cui il territorio/paesaggio pugliese possa essere considerato sovracccarico in termini di impianti eolici. La conclusione, come emerge anche dal titolo, è che – in questo come in altri casi - oltre al “quanto” sia anche il caso di chiedersi “a quale fine”.
Altra regione ventosa, e conseguentemente “appetita” dagli interessi legati all’energia eolica è la Sardegna. Lo ricorda Sandro Roggio nel suo Attenti al paesaggio ( il manifesto, 12 giugno 2005), sottolineando la necessità e opportunità anche qui di una mortoria per meglio verificare gli impatti sul paesaggio. Ancora Sandro Roggio nella sua lettera a Eddyburg del 20 luglio 2006, Perché andare cauti con l'eolico in Sardegna, sottolinea il ruolo centrale della pianificazione territoriale paesistica, contro decisioni arbitrarie ed emergenziali.
Antonio Pignatiello dal Quotidiano di Sicilia il 16 giugno 2005, in Eolico: la nostra scommessa per il futuro, racconta una inaugurazione di impianti alla presenza del Presidente della Regione e dei rappresentanti di Legambiente. Il tono prevalentemente ingegneristico delle argomentazioni mostra se non altro una scarsa rilevanza del dibattito sociale diffuso nella decisione: probabilmente sostituito in questo caso con la cooptazione della Associazione ambientalista.
Il Comitato Liberiamo il Vento di Faeto, in provincia di Foggia racconta su Eddyburg nell’agosto 2005 la “Disastrosa esperienza del Parco Eolico”. L’interesse particolare di questa testimonianza sta nel raccontare nei particolari gli “effetti a terra” del sistema a turbine, che come non sempre risulta chiaro ha i suoi impatti maggiori nella rete di strade, centraline, recinzioni ecc. che sono indispensabili al funzionamento effettivo delle più visibili torri e pale.
Il giornalista de la Repubblica Giovanni Valentini, con un suo articolo del 17 luglio 2006 intitolato Quelle mille battaglie d’Italia contro i moderni mulini a vento giudica: “Combattere l’eolico in nome dell’Ambiente è […] un controsenso che non sta né in cielo né in terra”. Anche sulla scorta di quanto proposto e riassunto sinora sul sito, Eddyburg rrisponde documentatamente a Valentini.
Difende a spada tratta l'eolico l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, responsabile per la “sostenibilità” dei DS, in un articolo su l’Unità del 9 giugno 2005, intitolato Energia, vai dove ti porta il vento. Sulla base di una serie di dati e ragionamenti, Ronchi chiede e si chiede se, posto che comunque un impatto sul paesaggio pare inevitabile, esso non sia un prezzo minimo di fronte ai vantaggi in termini di incremento della disponibilità di energia “sostenibile”.
Anche in Italia si apre la questione degli impianti off-shore, con un progetto sulla costa del Molise. Ne danno conto Serena Giannico, Un mega parco eolico sulla costa del Molise (il manifesto, 7 marzo 2007), e un gruppo di articoli ancora dal manifesto, 11 marzo 2007, raccolti sotto il titolo Via col vento. Di nuovo Terresa Giannico sul manifesto del 15 marzo giudica pressoché chiusa la questione dell'impianto off-shore dopo un intervento contrario del ministro (molisano) Di Pietro: Il Molise Cambia: Via quel Vento!
Il dibattito internazionale
Jonathan Leake sul Sunday Times del 24 aprile 2005, col titolo Regno Unito: l’invasione delle turbine a vento, partire da un caso di opposizione apparentemente di tipo Nimby e piuttosto elitaria, l’autore presenta la spaccatura fra le organizzazioni ambientaliste sul peso da attribuire alla questione energetica nazionale e globale, e all’impatto territoriale delle wind farm. L’articolo di Mark Townsend per l’ Observer domenicale del 22 maggio 2005, La battaglia dei mulini a vento, si concentra soprattutto sui temi del consenso all’insediamento, con quello che ne segue in termini di stabilità o mutamento del ruolo del paesaggio, tradizionale o “modernizzato”, nell’identità nazionale e locale. L’indagine condotta da Steffen Damborg per conto della Associazione Danese per l’Industria Eolica e pubblicato nel 2002 col titolo L'atteggiamento del pubblico verso l'energia eolica, su un campione di studi internazionali presenta un ampio spettro di opinioni molto articolate, e di casi specifici particolari ma estendibili. Anthony De Palma, in Le fattorie dello stato di New York piantano una nuova coltura: elettricità dai mulini a vento, descrive un “riuso” apparentemente senza grandi conflitti o problemi di alcuni territori agricoli, The New York Times, 13 marzo 2006 (su Mall Ambiente). John Vida, sul Guardian del 2 giugno 2006 racconta come Una turbina radicalmente nuova porterà l’energia eolica direttamente in città, e come implicitamente la risposta non stia solo nelle grandi centrali (su Mall Ambiente).
Sul Guardian del 5 gennaio 2007, Polly Toynbee si schiera decisamente: Non si può permettere che i , riferendosi ai quadri locali dei partiti che per raccogliere facili consensi bloccherebbero gli stessi impianti strategici approvati dai loro organismi centrali (su Mall Ambiente).
Anche nella positivista e istintivamente modernista America, crescono le perplessità sulle turbine eoliche. Sono tutti Nimbies? Se lo chiede Laura Tepper, in Via dal Vento della Centrale, The Next American City , primavera 2007. E si risponde: no. Un altro articolo di Wendy Priesnitz dal Natural Life Magazine, luglio-agosto 2007, pone una domanda più netta: Le turbine a vento sono pericolose? La risposta è naturalmente No/Ma.
Allarga il campo della riflessione Carla Ravaioli, che nella sua Opinione per Eddyburg del 20 luglio 2006, a partire da una polemica tutta italiana su Il pessimo indotto dell’eolico, critica il modello generalmente industrialista tradizionale che a scala mondiale si applica anche alle energie “alternative”
Metodi, Procedure, Regole
L’Eddytoriale del 17 luglio 2005 riprende con un giudizio negativo della proposta pro-eolico di Agostinelli-Serafini. Dal punto di vista del metodo, meglio evitare che decisioni affrettate in una logica di emergenza finiscano per esporre il territorio a danni evitabili: la questione va affrontata in primo luogo con un programma che tenga conto dei danni e dei benefici delle diverse forme di produzione energetica, in una logica non meramente settoriale.
La relazione del Comitato Nazionale per il Paesaggio (dicembre 2004, proposta su Eddyburg nel giugno 2005) intitolata La produzione di energia elettrica sfruttando la forza del vento, articola una serie di parametri tali da consentire in generale e nei casi particolari una valutazione dei pro e dei contro, a seconda dei contesti, della tipologia di impianti, di altri fattori. In particolare, noto ed evidente è il tema dell’impatto delle turbine sulla vita degli uccelli: Impianti eolici: la Lipu per una moratoria (settembre 2005) anche di carattere internazionale, di nuovo per valutare pro e contro di una tecnologia che sembra proporre una crescente gamma di impatti negativi
Il rapporto della britannica Sustainable Development Commission, maggio 2005 dal titolo L'energia eolica, la pianificazione territoriale, il paesaggio,esamina i rapporti degli insediamenti col sistema delle politiche territoriali pubbliche, perché i vari criteri di tutela decisione e promozione del planning system si possano applicare al meglio anche nel caso delle turbine. Il Glossario Eolico Minimo dal sito statunitense del Department of Energy, di cui Eddyburg pubblica alcuni ESTRATTI nel giugno 2005, chiarisce alcune terminologie tecniche su impianti e coponenti. Lo studio australiano condotto in collaborazione da un gruppo economico e uno ambientalista, la Wind Energy Association e il Council of National Trusts, Impianti eolici e valori del paesaggio, esamina le potenziali interazioni (possibili, difficili, impossibili) fra gli elementi costitutivi della rete dell’energia eolica e quelli dei paesaggi. Le combinazioni e argomentazioni sono di grandissimo interesse anche per altri contesti.
Sustainable Development Commission, Wind Power in the UK (maggio 2005) – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini
[...] 5 – Energia eolica e pianificazione
Sommario:
• le domande per impianti eolici di dimensioni piccole e medie sono gestite dalle autorità urbanistiche locali
• i grandi progetti sono gestiti direttamente dal Segretario di Stato per l’Industria e il Commercio, o dal governo Scozzese
• esistono in tutte le nazioni che costituiscono il Regno Unito politiche di pianificazione tali da offrire una guida per le decisioni locali sugli insediamenti di impianti per energie rinnovabili
• è richiesta una Valutazione di Impatto Ambientale per la maggior parte degli impianti eolici: essa deve essere di carattere generale e sviluppata in modo approfondito
Questa sezione del Rapporto esamina da vicino il sistema e le politiche di pianificazione per quanto riguarda i progetti di impianti eolici. Il quadro delle politiche di pianificazione e procedure di autorizzazione si sta gradualmente affinando – dovrà continuare a farlo – perché il Regno Unito possa conseguire i propri obiettivi nello sviluppo delle energie rinnovabili.
5.1 - I processi di pianificazione per progetti di impianti eolici
Tutti gli insediamenti di impianti eolici nel Regno Unito devono richiedere adeguati permessi e/o autorizzazioni. Per tutti gli impianti energetici in Gran Bretagna sulla terraferma con potenza superiore ai 50 MW, e per quelli al largo oltre 1 MW, l’autorizzazione non è rilasciata dalle autorità urbanistiche locali, ma gestita direttamente dal Department of Trade and Industry (DTI) (per Inghilterra e Galles) o dallo Scottish Executive (per la Scozia) ai sensi della Sezione 36 dello Electricity Act 1989xvii. Tutti gli altri progetti sono approvati dalle autorità urbanistiche locali.
In Nord Irlanda, tutti gli impianti eolici necessitano di autorizzazione rilasciata dal Department of Environment, e ai sensi dell’articolo 39 dello Electricity (Nord Irlanda) Order 1992, tutti gli impianti energetici oltre i 10 MW devonoa vere anche il consenso del Department of Enterprise, Trade and Investment.
Per i progetti eolici di dimensioni maggiori (di solito quelli sopra i 5 MW), il costruttore deve produrre per legge una Valutazione di Impatto Ambientale indipendente (vedi Box 5), che analizzi questioni specifiche come il paesaggio, i rumori, gli effetti su flora e fauna selvatica. I risultati della VIA sono resi pubblici in uno Environmental Statement (ES), il quale è un documento disponibile che può essere utilizzato nel corso del processo di autorizzazione. È accompagnato da un sommario non-tecnico, che deve essere redatto in linguaggio accessibile ed essere liberamente e gratuitamente disponibile, di solito a cura del costruttore. Molti costruttori mettono queste informazioni a disposizione sui loro siti web, una buona pratica che va incoraggiata.
Le decisioni di piano in sede locale
Per progetti di impianti eolici di potenza inferiore ai 50 MW, il costruttore deve richiedere il permesso all’autorità urbanistica locale ( Local Planning Authority / LPA). In Inghilterra, la competenza di solito è dei consigli di distretto, tranne nelle aree con una sola entità congiunta responsabile, come in alcune grandi città. In Scozia e Galles, l’autorizzazione è gestita da autorità congiunte, e in Nord Irlanda è l’Assemblea nazionale a controllare direttamente del decisioni si piano attraverso sei uffici regionali.
Nella maggior parte dei casi, le domande vengono prima esaminate da funzionari della LPA, che verificano se gli insediamenti proposti sono in linea con le indicazioni locali, regionali e nazionali prima di richiedere una Valutazione di Impatto Ambientale ai costruttori (ove necessario) e attivare le consultazioni pubbliche. Viene poi redatta una raccomandazione per il planning committee, che è composto da consiglieri locali e deve prendere la decisione finale. Se la domanda è respinta, il costruttore può fare appello all’organismo competente, che ha il potere di ribaltare la decisione originaria se ritiene che:
a) si sia trattato di una deviazione dalle politiche di piano nazionali, regionali o locali;
b) non siano stati valutati in modo equilibrato gli aspetti nazionali o locali di carattere ambientale, sociale o economico.
Un costruttore è autorizzato anche a ricorrere in appello a seguito di una mancata decisione entro il periodi stabilito di otto settimane, o sedici settimane per le domande in cui è stata predisposta una Valutazione di Impatto Ambientale. Ci sono tre organismi responsabili per il giudizio di appello, a seconda della giurisdizione della decisione originaria: il Planning Inspectorate (responsabile per Inghilterra e Galles), la Scottish Executive Inquiry Reporters Unit, e la Northern Ireland Planning Appeals Commission. Tutti rispondono al rispettivo governo nazionale. L’organismo di appello può richiedere materiale informativo scritto o in altre forme, o può decidere di attivare una publicinquiry: quest’ultima opzione si applica spesso per i progetti di impianti eolici più complessi o controversi.
Infine, il Segretario di Stato responsabile per le amministrazioni locali e la pianificazione (per gli impianti in Inghilterra, Galles e Nord Irlanda), e lo Scottish Executive (per impianti in Scozia), ha il potere di “ avocare a sé” le domande, perché la decisione finale venga presa in sede centrale secondo varie motivazioni. Per esempio, i progetti possono essere “ chiamati” se sollevano questioni di importanza nazionale, o si tratta di significative varianti rispetto al piano regolatore o alla politica di piano nazionale. In generale, questo potere è esercitato con cautela.
Il processo di approvazione a livello nazionale
I progetti di impianti eolici in terraferma oltre i 50 MW vengono automaticamente indirizzati al Segretario di Stato per il Commercio e Industria (in Inghilterra e Galles) o allo Scottish Executive (in Scozia). Questo processo è regolato dalla Sezione 36 dello Electricity Act 1989 e richiede che il Ministero dell’Industria e Commercio o lo Scottish Executive prendano in considerazione tutti gli argomenti pro e contro l’insediamento proposto, prima di deliberare la propria autorizzazione. Può essere tenuta una public inquiry a livello locale. Un’autorizzazione può essere abitualmente rilasciata al tempo stesso ai sensi della Sezione 90 del Town and Country Planning Act 1990.
Box 5
VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE
La procedura di Valutazione di Impatto Ambientale assicura che vengano individuati i probabili effetti significativi del progetto di insediamento e le relative misure di mitigazione, e che se ne tenga conto nelle procedure di approvazione. Il prodotto principale della procedura è lo Environmental Statement (ES), redatto dal richiedente, che deve essere allegato alle domande di trasformazione che ricadono nell’Allegato II o III della Direttiva VIA. La richiesta di coinvolgimento del pubblico significa che la richiesta di Environmental Statement deve essere resa pubblica e copie di esso rese liberamente disponibili alla consultazione e osservazioni. Esso deve anche essere esaminato dai principali organismi consultivi previsti dalla legge. Il General Development Procedure Order (1995) stabilisce quali sono tali organismi consultivi per ciascun tipo di intervento di trasformazione.
VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA
La direttiva dell’Unione Europea sulla Valutazione Ambientale Strategica è stata recepita da numerosi Stati membri nel luglio del 2004 dopo un periodo di gestazione di un decennio circa. Il suo obiettivo è di:
“… offrire una protezione di alto livello all’ambiente e contribuire all’integrazione degli aspetti ambientali nella predisposizione e adozione di piani e programmi, promuovendo uno sviluppo sostenibile, assicurando che, coerentemente alla presente Direttiva, venga sviluppata una valutazione ambientale di piani e programmi che possano avere effetti significativi sull’ambiente.”
Si tratta di un processo iterativo e sistematico, sviluppato a livello strategico, per identificare, prevedere e evidenziare gli impatti ambientali. Deve anche identificare e considerare adeguatamente le opzioni alternative praticabili all’interno di paini e programmi. Il Regolamento VAS del 2004 copre alcuni tipi di piani e programmi predisposti per le città e il territorio, l’uso dello spazio, agricoltura, foreste, pesca, energia, industria, trasporti, gestione dei rifiuti, delle acque, telecomunicazioni e turismo. Al momento attuale non viene richiesta una VAS per insediamento di impianti eolici sulla terraferma. Ma in Scozia lo Environment Assessment (Scozia) Bill (attualmente in fase di discussione nel Parlamento Scozzese) estenderà gli obiettivi della VAS oltre i termini della Direttiva. Mira ad assicurare che tutti i piani, programmi e strategie del settore pubblico siano esaminati per gli impatti ambientali. Anche se gli insediamenti di impianti eolici non saranno automaticamente esenti dalla redazione di una VAS, è improbabile che ciò accada per singoli progetti di wind farm.
5.2 Politiche di pianificazione
Le politiche di pianificazione vengono sviluppate a cura dei governi nazionali, e quindi Inghilterra, Scozia, Galles e Nord Irlanda hanno politiche distinte. Queste per quanto riguarda le energie rinnovabili sono state recentemente aggiornate dall’Ufficio di Vicepresidenza del Consiglio (responsabile per l’Inghilterra) dallo Scottish Executive in Scozia; l’Assemblea Governativa in Galles emanerà le proprie direttive tra breve. [...]
6 – Ambiente e Paesaggio
Sommario
• il paesaggio delle Isole Britanniche si è trasformato drasticamente a causa dell’intervento umano negli ultimi 5000 anni, e molto poco di esso è databile ad epoche precedenti
• i mutamenti climatici avranno effetti radicali sul nostro paesaggio, e gli insediamenti di impianti eolici devono essere considerati entro questo contesto
• gli impatti visivi e sul paesaggio sono considerazioni ambientali importanti per le domande di approvazione, ma le reazioni rispetto a questi aspetti sono altamente soggettive
• in generale esistono di gran lunga meno impatti paesistici e ambientali, associati alle turbine a vento, in confronto alle altre alternative, e la maggior parte di essi sono rapidamente reversibili
• gli insediamenti di impianti eolici possono verificarsi in aree dove non è mai esistita una presenza di impianti tecnologici per la produzione di energia in passato, e spesso incontrano una maggior resistenza
6.1 Premesse
Questo capitolo riguarda il paesaggio, le questioni visive e ambientali riguardo alla localizzazione di impianti di energia eolica. Un approccio sostenibile richiede che la questione dell’energia eolica venga esaminata parallelamente alle possibili alternative, le quali tutte hanno pure impatti ambientali e sul paesaggio. Va considerato anche l’impatto cumulativo degli insediamenti eolici su paesaggio e ambiente, dato che tutti gli insediamenti energetici alla fine produrranno impatti complessivi, legati alla loro espansione ed estensione a rete.
Con la pressione crescente sulle politiche energetiche, e col bisogno di ridurre le emissioni di anidride carbonica è difficile che qualunque comunità venga giudicata esente dal compito di sostenere un futuro a basso tenore di gas serra. Dato che il mutamento climatico presenta la più seria minaccia ai paesaggi del Regno Unito, devono essere incoraggiate le tecnologie che ci aiutano a limitare il nostro contributo alla trasformazione del clima, anche quando ciò rappresenti una temporanea perdita di bellezza.
Questa sezione offre un riassunto dei vari tipi di insediamento per energia eolica, le relative caratteristiche visive e di rapporto col paesaggio, le questioni progettuali degli impianti e gli effetti visivi risultanti che possono determinare trasformazioni nel paesaggio del Regno Unito. Viene esaminato anche l’impatto ambientale degli insediamenti eolici, e quello delle alternative ad energia non rinnovabile.
Assumere un punto di vista olistico rispetto allo sviluppo sostenibile non significa automaticamente dare “semaforo verde” agli insediamenti eolici, dato che ciò richiede di considerare un’ampia gamma di problemi di carattere paesistico, naturale, ambientale, oltre che sociali ed economici.
6.2 Le trasformazioni del paesaggio
Una delle definizioni di paesaggio è “area scenografica estesa”. Non rende piena giustizia alla complessità del termine, che è meglio descritto come “habitat più uomo e il risultato della combinazione di intrecci, percezioni, processi”. Il Landscape Institute definisce il paesaggio come “il complesso del nostro ambiente esterno, sia entro le aree urbane che in quelle rurali”. Il presente documento non deve essere considerato come orientamento definitivo sull’argomento, che è trattato da numerose pubblicazioni tecniche e altri documenti dettagliati di orientamento.
Le Isole Britanniche contengono una notevole varietà di paesaggi. La landa selvaggia post-glaciazione è stata trasformata nel corso degli ultimi 10.000 anni nel paesaggio vivo del 21° secolo. La struttura delle Isole Britanniche è stata definita dall’aumento del livello del mare e dalla loro separazione dalla terraferma del continente europeo, con successiva colonizzazione delle terre da parte delle foreste e arrivo della prima fauna. I mari circostanti danno alle isole un clima temperato e ricchezza di vita marina. Circa 5-6.000 anni fa, i primi uomini iniziarono il lungo processo di trasformazione della natura selvaggia nel paesaggio che oggi ci è familiare. I paesaggi non sono statici; sono sempre stati in trasformazione e continueranno a farlo, adattati dai bisogni umani e dalle attività economiche, e influenzati dai futuri mutamenti climatici. Essi sono in uno stato costante di equilibrio dinamico, che non può essere congelato in un punto specifico del tempo.
I progetti per lo sfruttamento dell’energia eolica sono solo una delle molte forme di insediamento che possono causare trasformazioni del paesaggio nel Regno Unito. E vale la pena ricordare che le turbine a vento non sono strutture permanenti, e una volta rimosse il paesaggio abitualmente può ritornare nelle condizioni precedenti – nonostante le strade possano restare per un considerevole periodo di tempo dopo che un sito è stato disattivato. Questo se gli insediamenti eolici non conducono all’occupazione del territorio da parte di altri insediamenti, da cui occorre tutelarsi in aree protette o in origine non edificate.
6.3 Paesaggio ed effetti visivi
Gli effetti sul paesaggio sono trasformazioni nel suo tessuto, caratteristiche e qualità, indotte a seguito di edificazione, e si distinguono dagli effetti visivi. Questi ultimi riguardano l’aspetto di tali trasformazioni, dove essere possono essere viste entro il paesaggio, e gli effetti sulle persone. È riconosciuto che gli impatti visivi e sul paesaggio sono una delle questioni ambientali chiave per l’approvazione di progetti di wind farm, data la loro tipica forma, localizzazione e funzione. Prendendo a caso un campione di 50 insediamenti a cui è stata negata l’autorizzazione, l’85% dei motivi per il rigetto hanno alla base impatti visivi e sul paesaggio.
Gli insediamenti per l’energia eolica hanno una serie di caratteristiche tali da determinare effetti visivi a sul paesaggio. Tali caratteristiche comprendono le turbine, i percorsi di accesso e spostamento locale, edificio(i) di sottostazione, lo spazio recintato di pertinenza, le connessioni alla rete e le antenne degli anemometri. La valutazione degli impatti deve tener conto di ogni proposta misura di mitigazione, prevederne le dimensioni, considerarne la significatività. Le valutazioni degli effetti sul paesaggio e di quelli visivi generalmente comprendono fotomontaggi da vari punti di vista per illustrare l’aspetto che avrà la wind farm una volta costruita. Possono anche comprendere le carte cosiddette Zone of Visual Influence (ZVI) che mostrano da quali zone di una data area di paesaggio gli impianti possono essere visti. Se un complesso è progettato con attenzione rispetto al paesaggio circostante, gli impatti visivi possono essere ridotti. Lo Scottish Natural Heritage ha sviluppato linee guida per orientare una corretta progettazione degli impianti eolici tessa a minimizzare i potenziali impatti negativi sul paesaggio.
Le varie componenti una wind farm devono essere conciderate in relazione alle caratteristiche del paesaggio in termini di valore, di esperienza, di composizione visiva, di rapporti con gli insediamenti esistenti.
6.4 Caratteristiche visive delle wind farm
Sulla terraferma
I caratteri visivi delle turbine a vento variano a seconda della loro costruzione e modello. In generale, sembrano più appropriati i tipi con forme semplici e scultoree che utilizzano tre pale, e sono questi i tipi di progettazione che si sono affermati come standard industriale.
Sulla terraferma in Gran Bretagna gli insediamenti di impianti eolici variano di dimensioni, da una sola turbina a complessi di grande scala contenenti oltre cento turbine. La dimensione media degli impianti eolici nel Regno Unito è attorno alle 10-20 turbine.
Gli impianti, nel primo periodo dell’industria del vento britannica all’inizio degli anni ’90, normalmente utilizzavano turbine con una capacità di circa 300-400 kW. Negli ultimi dieci anni le tecnologie si sono evolute, e le turbine di oggi possono generare sino a 3 MW ciascuna; un incremento di dieci volte in altrettanti anni. Esistono limiti pratici per le localizzazioni in terraferma, dato che le turbine di dimensioni maggiori e le relative torri sono diventate difficili da trasportare via strada. Ciò probabilmente frenerà in modo definitivo la tendenza all’aumento di dimensioni delle turbine.
Le turbine a vento di oggi abitualmente hanno il mozzo posto ad un’altezza sino a 90 m. sul terreno, con le pale che ruotano su un raggio fra 40 e 45 m., e un’altezza massima dal livello del suolo all’estremità del rotore in verticale - la “ blade tip height” – fra i 60 e i 120 m. I complessi di costruzione più recente generalmente hanno turbine con l’estremità delle pale ad un’altezza di 100 m. e oltre. Per fare un paragone, l’altezza del Big Ben è di 100 m., quella della Glasgow Tower 105 m., e quella del London Eye 135 m. Insediamenti futuri di turbine potranno avere prestazioni superiori insieme a incrementi nelle altezze, e diametri dei rotori. Le wind farms recenti hanno installate meno macchine, con pale più grandi, che operano con velocità di rotazione più basse. I gruppi di queste turbine più grandi tendono ad essere meno fitti a causa da maggiore spazio fra l’una e l’altra, ma ciò estende la loro influenza visiva su una superficie di terreno più vasta.
Nonostante visibilità e impatti degli impianti eolici aumentino con turbine più grandi, è spesso difficile distinguere le differenze relative in altezza, specialmente ad una certa distanza. In generale è considerato migliore in termini di impatto visivo un complesso dotato si un numero minore di turbine più grandi, di uno con un numero maggiore di turbine più piccole.
Al largo
Le offshore wind farms sono situate al largo delle coste, sia entro le acque territoriali che all’interno delle recentemente create Renewable Energy Zone. Esistono meno vincoli di dimensioni per le turbine al largo, e così si realizzano maggiori capacità di generazione: sino a 5 MW nel prossimo decennio. Normalmente, esse condividono le medesime caratteristiche visive di quelle sulla terraferma, ma possono anche comprendere segnali per la navigazione, elementi per l’illuminazione notturna, sottostazioni galleggianti e collegamenti alla rete generale di terraferma. L’utilizzo di questi elementi dipende dalla varietà della linea di costa, dalla visibilità nelle varie condizioni atmosferiche e dagli effetti della curvatura terrestre.
Gli insediamenti di impianti eolici al largo tendono ad avere più turbine, e più grandi, ma l’impatto sul paesaggio e visivo sono generalmente inferiori, data la distanza dalla linea di costa. Nondimeno, il paesaggio costiero è spesso unico e offre alcuni degli elementi di più alto valore del Regno Unito, e quindi anche queste localizzazioni possono essere sensibili.
In Gran Bretagna, ora gli insediamenti di impianti eolici al largo sono costruiti a distanze fra i 2 e i 10 km dalla costa, in acque relativamente basse, ma verranno presentate nuove domande di autorizzazione per siti molto più al largo, compresi alcuni al di fuori delle acque territoriali britanniche, entro le recentemente istituite Renewable Energy Zone. A queste distanze, probabilmente le wind farms avranno impatti visivi minori, ma naturalmente costruire e gestire turbine al largo è più costoso, e più alti possono anche essere i costi del collegamento alla rete. Ciò è controbilanciato in qualche misura dalla migliore produttività degli impianti, ma al momento esiste ancora una considerevole differenza nei costi di generazione rispetto ai complessi sulla terraferma. Grazie al sostegno del governo, l’energia eolica prodotta negli impianti al largo sarà prevedibilmente di grande contributo al raggiungimento degli obiettivi di produzione energie rinnovabili del 2010, e la sua importanza, crescerà ancora, sino al 2020 e oltre.
Miglior progettazione e interventi di mitigazione
Alcuni paesaggi sono in grado di accogliere meglio di altri gli insediamenti di impianti eolici, in relazione a scala, forme del terreno, possibilità di limitare la vista. Una buona progettazione generale dell’insediamento e delle sue relazioni con le forme del paesaggio può migliorarne l’accettabilità visiva.
La localizzazione generalmente è condizionata da ragioni tecniche, pratiche ed economiche, come la capacità di catturare il vento, le turbolenze, l’accessibilità, le connessioni alla rete nazionale, la strumentazione urbanistica, la proprietà dei terreni. Questi fattori limitano perciò la quantità di considerazioni estetiche con cui è possibile allineare la scelta localizzativa.
Un complesso raccolto in un gruppo compatto è visivamente più accettabile se appare come elemento isolato in uno spazio aperto e inedificato. Ma nei paesaggi agricoli, le file di turbine possono essere visivamente accettabili ove esistano linee di demarcazione formale fra i campi.
L’impatto visivo generale di un insediamento per l’energia eolica dipenderà principalmente dall’area da cui è visibile (quantità della visibilità), dall’aspetto che mostra in queste vedute (la natura della visibilità). Non si tratta necessariamente dell’essere visibile o meno, ma di come è visto e come appare quando è visto. Gli insediamenti eolici saranno più accettabili se appariranno adeguati all’area, creando quanto è percepito come immagine visiva positiva. Ad ogni modo è evidente che per alcuni le turbine a vento sono strutture brutte e indegne alla vista, fuori luogo in qualunque ambiente rurale, ed è improbabile che i modi del progetto e gli interventi di mitigazione siano in grado di cambiare questa opinione.
6.5 – Le zone tutelate
Il Regno Unito ha molti tipi di aree tutelate, con i Parchi nazionali e le Aree di Particolare Bellezza Naturale (solo Inhgilterra, Galles e Nord Irlanda) dotate dei più elevati livelli di protezione, ed altre varie tipologie di zone classificate di particolare interesse nazionale e internazionale.
Lo scopo della classificazione ad area di tutela è quello di conservare paesaggi unici di grande valore per il beneficio nazionale sul lungo termine. Tutti i documenti di orientamento per la pianificazione citati nel Capitolo n. 5 raccomandano che non si autorizzino interventi di trasformazione per impianti di energie rinnovabili in zone classificate di tutela, a meno che non si presentino considerazioni superiori, e nessuna localizzazione alternativa. Nella maggior parte dei casi ciò non si applica ai progetti di impianti eolici di dimensione commerciale, ed è quindi possibile affermare che deve essere mantenuto un alto livello di protezione nelle aree tutelate per i valori paesistici ed estetici.
6.6 – La percezione del pubblico
Alcune persone considerano le turbine a vento come strutture aggraziate che arricchiscono il paesaggio, in particolare quando siano paragonate alle grandi centrali energetiche e impianti della rete di distribuzione presenti attraverso il paesaggio da molti anni. Nondimeno, ci sono anche molte persone che avvertono le turbine a vento come una industrializzazione del paesaggio, inaccettabile nei contesti rurali. Alcuni aneddoti suggeriscono che gli impianti eolici proposti per aree già industrializzate sono oggetto di minori proteste di carattere visivo.
Uno studio promosso dallo Scottish Executive sugli atteggiamenti del pubblico mostra che un abitante su quattro che abita nei pressi di una wind farm (26%) afferma che esse rovinano il paesaggio, e l’impatto visivo è la prima causa per cui le persone non amano gli impianti eolici. Ma lo studio mostra anche che fra le persone che abitano nei pressi di un impianto, solo il 12% afferma che il paesaggio è stato rovinato.
Essenzialmente, il dibattito sul fatto se le turbine siano inserimenti distruttivi, benigni, o addirittura positivi per il paesaggio britannico, è altamente soggettivo. La mancanza di una risposta “giusta” o basata su fatti, significa che il dibattito difficilmente troverà una soluzione, rendendo qualunque decisione sui singoli progetti estremamente foriera di divisioni.
Ad ogni modo, per valutare l’estensione dei problemi, è importante anche prendere in considerazione le alternative di produzione energetica al vento, le quali tutte hanno pure impatti paesistici e ambientali, molti dei quali sono comunemente accettati.
6.7 – La comparazione degli impatti paesistici e ambientali
L’impatto della generazione di elettricità sul paesaggio e l’ambiente dipende dal tipo di combustibili e tecnologie utilizzate per la produzione. I combustibili fossili come gas e carbone, e l’uranio necessario per la fissione nucleare, si basano tutti su industrie estrattive per la fornitura. Nel caso di carbone e uranio, ciò può avere effetti devastanti sul paesaggio circostante le miniere, con le relative infrastrutture e produzione di scarti che contribuiscono ad un impatto paesistico e ambientale che può durare per anni. Per la Gran Bretagna l’estrazione del gas (e di petrolio – anche se quest’ultimo è un fattore minore nella produzione di elettricità) si concentra al largo, e scorte di gas naturale liquefatto arrivano via mare.
Comunque, saranno ancora necessarie alcune infrastrutture costiere per ricevere, immagazzinare e distribuire, ed esistono molti problemi ambientali connessi alle trivellazioni al largo. Poi, in altri paesi, gas e petrolio sono ottenuti da riserve sulla terraferma, dove gli effetti sul paesaggi possono essere molto più pronunciati.
Nonostante molti degli effetti paesistici e ambientali dei nostri bisogni di combustibili non riguardano il Regno Unito, un approccio di sviluppo sostenibile implica che debbano essere considerati tutti gli effetti, ovunque si verifichino nel mondo. Non sarebbe equo pensare che la distruzione del paesaggio in altri paesi sia giustificata, perché siano tutelati i panorami del Regno Unito.
Per la combustione, tutti gli impianti energetici convenzionali richiedono una vasta estensione di terreno, e il loro impatto visivo totale comprende anche qualunque traliccio di collegamento alla rete nazionale. La sottrazione di spazio per la connessione alla rete si applica egualmente anche all’energia eolica, anche se per insediamenti più piccoli vengono utilizzati piloni a basso voltaggio, che tendono ad avere impatti visivi molto inferiori. Sul versante ambientale, la generazione di elettricità da combustibili fossili emette gas serra e altri inquinanti al momento della combustione, il che contribuisce al mutamento climatico e ai problemi di inquinamento atmosferico. Bruciare carbone, col suo alto contenuto di zolfo rispetto ad altri combustibili fossili, causa anche le piogge acide. Questo particolare problema può essere risolto installando sistemi di desolforizzazione, ma è costoso e impossibile in molti impianti. Le centrali energetiche a combustibili fossili (specialmente a carbone) causano spesso problemi di inquinamento del suolo nella aree dove sono localizzate, e molti impianti convenzionali (compresi quelli nucleari) generano inquinamento termico, danneggiando i corsi d’acqua locali o il mare. L’elettricità generata da fissione nucleare si somma i livelli di radioattività del sottosuolo, e i rischi per le conseguenze di gravi incidenti richiedono rigorose e costose procedure di gestione degli impianti.
[...]
La dismissione delle turbine a vento è un processo relativamente lineare, e nella maggior parte dei casi il terreno può essere restituito “normale” alla fine del ciclo produttivo dell’impianto, con gli impatti delle strade di accesso e altri nella maggior parte dei casi reversibili. In questo senso, le turbine a vento possono essere viste come strutture temporanee, e le decisioni localizzative non devono essere necessariamente permanenti.
6.8 – Lo spazio sottratto per insediamenti eolici
Nonostante si tema una generalizzata distruzione delle campagne britanniche, l’insediamento dell’energia eolica probabilmente non avrà gli impatti che molte persone si immaginano. Per raggiungere l’obiettivo del 20% entro il 2020 esclusivamente con la generazione eolica, il Regno Unito avrebbe bisogno di circa 26 GW di capacità se l’offerta energetica aumenterà a 400.000 GW. Se il 50% di questa quantità viene ottenuto dagli impianti sulla terraferma utilizzando turbine in media da 2 MW, ciò richiederà più o meno 6.500 turbine. Sulla base di un’occupazione di spazio di circa 0,18 ha/MW per turbine, strade d’accesso e sottostazioni, il totale di spazio necessario in terraferma sarebbe di circa 2.340 ha. Sulla superficie totale del Regno Unito di 24 milioni di ettari, si tratta dell’equivalente dello 0,0001% dello spazio disponibile. Ciò, contro i 3,3 milioni di ettari correntemente classificati come uso del suolo “urbano e altro”. Dato che le turbine a vento sono abitualmente collocate in zone collinari, lo spazio attorno ad esse è comunque ancora disponibile a pascolo o altre attività, e non deve quindi essere considerato come parte dell’occupazione totale di suolo.
6.9 – Verso una prospettiva di lungo termine
Di tutte le questioni che ruotano attorno allo sviluppo delle energie eoliche, gli impatti visivi e paesistici sono le uniche principalmente soggettive. Dato che gli effetti non possono essere calcolati e misurati, e le possibilità di interventi di mitigazione sono limitate, è poco probabile che questi problemi vengano risolti con soddisfazione di tutti. Sembra quindi inevitabile che alcune persone saranno sempre contrarie alle wind farms in ambienti rurali, e dato che le risorse di vento del Regno Unito sono strettamente correlate a zone rurali e remote, il dissenso è inevitabile.
I recenti aggiornamenti alle linee guida per la pianificazione per il Regno Unito, richiedono che i decisori locali prendano in considerazione le priorità energetiche nazionali nel deliberare su progetti per le fonti rinnovabili, e in molti casi è improbabile che ce ne sia abbastanza per non respingere una domanda in base alle sole considerazioni paesistiche. Visto l’alto livello di consenso nazionale, e spesso anche locali, per l’energia eolica, questo sembra essere un approccio ragionevole nei casi in cui non esiste particolare classificazione di sensibilità paesistica. Esistono forti motivi per ritenere gli insediamenti eolici strutture temporanee, che non richiedono le cautele di strutture di più lunga durata per motivi paesistici. Dato che abitualmente è possibile una dismissione completa, può essere posto rimedio alle permanenti opposizioni sulla base di studi caso per caso, con la rimozione finale delle turbine alla fine del ciclo produttivo.
Le opzioni energetiche e disposizione entro quel tempo saranno mutate, e potrebbero essere disponibili altre tecnologie. Comunque, va anche riconosciuto che le trasformazioni del paesaggio hanno una lunga storia e che ciò che appare alieno oggi potrebbe divenire accettato nel tempo. L’evidenza suggerisce che le opinioni ostili verso le wind farms tendono ad ammorbidirsi dopo l’autorizzazione, e non c’è motivo di ritenere che questa tendenza non si ripeta nei casi di insediamenti futuri.
Qualunque preoccupazione per i danni al paesaggio del Regno Unito da parte degli insediamenti di impianti eolici, deve essere controbilanciata dai diffusi danni che lo stesso mutamento climatico può determinare. Si è mostrato nei capitoli precedenti [ non inclusi in questi estratti n.d.T.] come l’energia eolica sia una soluzione pratica e affidabile alle trasformazioni del clima, come parte di un necessario e più ampio mutamento sociale ed economico. L’insediamento su terraferma di tali complessi darà un grande contributo al rispetto degli obiettivi energetici e non ci si può aspettare che siano gli impianti offshore, significativamente più costosi, a farlo da soli.
Nota: il testo completo e originale del Rapporto (con dati, tabelle, e alcuni casi studio) è disponibile in file PDF al sito della Sustainable Development Commission (f.b.)
Tanto per cominciare, lo dice anche lui: “anche in questo settore la tecnologia è in rapida evoluzione”. E questo mal si concilia con l’affermare qualche riga sotto, che “Combattere l’eolico in nome dell’Ambiente è, dunque, un controsenso che non sta né in cielo né in terra”.
Mi riferisco a Giovanni Valentini, che col suo nuovo articolo della serie energie alternative coglie al volo l’occasione per dare gentilmente dell’imbecillotto passatista, o qualcosa di simile, a singoli, multipli, istituzioni e regole che ostacolano la marcia del progresso. Che altro sarebbe, secondo l’Autore, questa carica contro i mulini a vento, se non una patetica difesa a oltranza di un mondo fantastico (il riferimento mentale donchisciottesco della personalità disturbata è sin troppo facile da evocare automaticamente nel lettore), di pianure e colline da cartoni animati, che ovviamente non trovano alcun riscontro nella realtà. Realtà che vede l’operoso stivale attento sì alla tutela del paesaggio e del territorio, ma insomma vi abbiamo dato delle centrali che non inquinano e voi non siete contenti? Con cosa ve lo facciamo funzionare l’ascensore per salire a contemplare il vostro paesaggio? Coi fuochi di sant’Antonio?
Domande che appaiono del tutto ragionevoli, se non fosse che quelle obiezioni e opposizioni alle fattorie del vento, sono assai più realistiche dell’esegesi tardo-marinettiana di tanti cantori del progresso “a prescindere”. Perché tengono conto, sostanzialmente, di due aspetti che il futurismo giornalistico lascia al momento nel cassetto:
- l’osservazione empirica, e la prospettiva storica
- il fatto, appunto che “la tecnologia è in rapida evoluzione”.
La storia e la cronaca dicono, perlomeno a chi decide di badare a questi aspetti, che l’insediamento delle turbine nasce e si sviluppa secondo i criteri abituali dell’industria. In modo quindi del tutto paragonabile a cose ben note come le centrali energetiche tradizionali, le discariche, o diverse ma simili come le strutture per la logistica e la grande distribuzione, le infrastrutture per la mobilità … Ovvero: c’è l’immagine degli uffici stampa (non necessariamente menzognera, ma certamente parziale) concentrata sui vantaggi, e c’è il resto degli impatti. Nel caso delle wind farms il non detto spesso rappresenta il quasi tutto, ovvero ciò che sta a terra in termini di strutture di servizio, strade (e effetti indotti dalle strade in aree dove prima non ce n’erano), recinzioni, barriere, altri effetti territoriali della questione sicurezza ecc. Altro che dire: problema risolto quando le pale non tritano più le anatre. Il tutto senza nemmeno sollevare la questione estetica, che è discutibile e lasciamola discutere in altra sede.
C’è poi il fatto che, lo riconosce Valentini, “la tecnologia è in rapida evoluzione”. Non solo la tecnologia pura (che in sé interessa solo i veri appassionati), ma le forme organizzative che la affiancano e complementano: impianti di dimensioni minori, maggiore efficienza, minori velocità di rotazione … il che significa (volendo) una logica diversa riguardo alle possibili localizzazioni, concentrazioni, rapporti col suolo e con la rete di distribuzione e consumo. E la stessa “rapida evoluzione” non si deve certo alla sola libera concorrenza dei settori ricerca e sviluppo delle imprese interessate, ma al fatto che il mitico mercato è composto anche da singoli, gruppi e istituzioni che hanno imparato sulla propria pelle come il collettivo OOOOH! a naso all’insù non sia l’unica possibile reazione. Singoli, gruppi e istituzioni che sollevano legittimi dubbi sulla effettiva luminosità dei futuri da pieghevole pubblicitario. Si spera siano almeno finiti i tempi in cui per la common wisdom si è out se non si portano moglie e figli ad ammirare il fungo dalle parti di Los Alamos. Per poi sentirsi dire dopo qualche decennio: “non potevamo sapere”.
Quindi ben vengano tutte le innovazioni tecnologiche e organizzative (soprattutto le seconde), ma ben vengano anche le legittime cautele di chi non accetta a scatola chiusa i “vincoli tecnici”, soprattutto quando c’è il rischio di accettare da subito una trasformazione comunque in gran parte irreversibile, e poi per decenni l’impatto di una tecnologia dimostratasi quasi subito obsoleta. E la stessa cosa vale ad esempio per le idee, di cui già si parla, di riconversione delle colture agricole a scopi energetici. Con qualcuno già a immaginare la pianura padana come una replica un po’ più pulita del delta del Niger … e le solite tribù di intellettualoidi passatisti che si oppongono al progresso …
Avevo letto l'articolo di Valentini. Pensavo di ospitarlo nella cartella "Stupidario", poi ho soprasseduto. E' veramente singolare che un giornalista che passa per ambientalista ignori la ragionevolezza delle perplessità che, non solo in Italia, si sollevano nei confronti dell'eolico. Che ignori l'assenza di un serio programma energetico basato su una valutazione comparativa dei vantaggi e benefici di ciascuna delle tecnologie impiegabili: non in generale, ma nella specifica situazione del nostro paese Che non metta nel conto la pesante degradazione del paesaggio, valore costituzionalmente garantito, provocata dalle "fattorie del vento". Ma se riflettiamo, Valentini è quel giornalista che ha inventato "l'ambientalismo sostenibile", allineandosi con i molti che non sanno che cosa "sostenibilità" significhi nella cultura internazionale.
Mi ha dissuaso di pubblicare l'articolo di Valentini anche l'astio che sgorga dalle sue righe, ogni volta che ne ha l'occasione, per Renato Soru, per motivi che non conosco ma che certamente non derivano dalla prudenza nei confronti dell'eolico, che Soru condivide con altri governanti.
Nell'ampia documentazione sui fatti e sulle opinioni a proposito dell'eolico vedi, in eddyburg, lo studio del Comitato per il paesaggio e l'eddytoriale n.74. Per un esempio della "tecnologia in rapida evoluzione, su eddyburg_Mall una dscrizione anche tecnica della turbina Quiet Revolution. E, qui sotto, potete scaricare un ampio dossier sull'eolico.
Titolo originale: Public Attitudes Toward Wind Power - Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Una panoramica degli studi
Gli studi sugli atteggiamenti del pubblico nei confronti dell’energia eolica sono di tipo molto diverso. Spesso questi studi non sono stati condotti con criteri scientifici, ed esiste poco coordinamento tra di loro. Questo rende difficile compiere un’analisi tra i vari contesti nazionali. Le indagini sull’argomento sono state condotte a partire dagli anni ’90 principalmente in paesi come Gran Bretagna, USA, Canada, Svezia, Germania, Olanda, Danimarca. Il presente studio farà una sintesi delle principali conclusioni che è possibile trarre sulla base delle ricerche disponibili. Si noterà, comunque, che esiste una differenza fra l’opposizione agli impianti come atteggiamento negativo, e l’opposizione come comportamento di resistenza contro nuovi insediamenti. Questo studio si concentra sugli atteggiamenti generali e locali verso l’energia eolica, e verso specifici impianti.
Le fonti di energia rinnovabili
Le fonti di energia rinnovabile hanno maggiore credibilità nei confronti del pubblico di quanto non avvenga per quelle non rinnovabili, come combustibili fossili o energia nucleare. Negli USA un sondaggio di opinione nazionale del 1995 ha mostrato che il 42% degli americani ritiene che le fonti di energie rinnovabili come solare, eolica, geotermia, biocombustibili e idroelettrica, dovrebbero essere prioritarie nei finanziamenti federali per la ricerca e sviluppo nel settore energetico. I combustibili fossili e il nucleare, le fonti che forniscono la maggior parte di energia negli USA, vengono per ultime, con il 7 e 9 per cento.
In Danimarca sono state poste le stesse domande. Anche qui l’atteggiamento verso le energie rinnovabili è positivo. A un campione rappresentativo di danesi è stato chiesto se le fonti rinnovabili dovessero avere maggior priorità nelle politiche energetiche nazionali. Secondo il risultato dei questionari, quattro su cinque danesi pensano che le energie rinnovabili debbano avere priorità. Solo il 9 per cento non la pensa così. Non c’è dubbio che le fonti rinnovabili oggi siano considerate una fonte evoluta di produzione energetica. Dietro al termine “energie rinnovabili” c’è comunque una varietà di tecniche di generazione. È quindi interessante indagare se quella di origine eolica gode di un particolare ampio sostegno del pubblico.
L’energia eolica
Un questionario distribuito in Canada chiedeva a un campione rappresentativo di cittadini se avrebbero gradito vedere l’autorità energetica provinciale conferire priorità alla produzione elettrica a generazione eolica. Secondo questo sondaggio il 79% del canadesi ritiene che l’energia generata dal vento debba avere priorità a livello nazionale. La stessa tendenza è osservabile in un sondaggio danese. Ai danesi è stato chiesto se il paese dovesse mirare ad un uso più ampio dell’energia eolica. L’82 per cento della popolazione era favorevole a più energia dal vento. Un’indagine fatta in Olanda ha mostrato la stessa tendenza. L’80% della popolazione olandese era favorevole all’energia eolica, il 5% si opponeva ad essa, e il 15% era neutrale. Gli stessi risultati sono stati ottenuti nel Regno Unito. Qui sono stati condotti dal 1990 al 1996 tredici studi, e anche qui otto su dieci intervistati sostengono l’energia eolica. Quindi, sia alle fonti rinnovabili in generale, che all’energia eolica in particolare, è conferita più credibilità che non alle fonti non rinnovabili come combustibili fossili e nucleare.
Caratteristiche dei favorevoli e contrari
Questo paragrafo si concentra sulle caratteristiche degli atteggiamenti nei confronti di energia e impianti eolici. Questi diversi atteggiamenti sono stati oggetto di varie indagini nel corso degli anni.
Le persone prive di esperienza specifiche con l’energia eolica credono che il rumore sia più forte, rispetto a chi realmente abita vicino alle turbine. I maschi credono che siano più rumorose di quanto non ritengano le femmine. Le persone di mezza età in generale sono più critiche degli altri gruppi di età. Altri risultati dell’indagine danese sono: le donne preferiscono gruppi di 2-8 turbine rispetto a impianti più grandi e rotori isolati; gli uomini preferiscono gruppi di 10-50 turbine rispetto a installazioni singole e parchi più ampi. Gli oppositori valutano l’estetica locale in termini più alti di quanto non facciano per il clima o ad esempio i rischi dell’energia nucleare. Come mostrano sia gli studi americani che quelli svedesi, l’accettazione delle pale in movimento è più alta di quella degli impianti fermi quando non generano energia. Una ricerca sul problema del rumore in Danimarca, Olanda e Germania mostra che il disturbo causato dalle turbine tocca molto poche persone, e il livello di disturbo è pochissimo correlato all’effettivo livello sonoro dei particolari impianti. Invece, il disturbo è connesso ad altre cause, come l’atteggiamento negativo nei confronti delle turbine a vento. L’indagine danese mostra che chi è favorevole alle energie rinnovabili e all’eolico in particolare ha anche un atteggiamento più positivo verso gli impianti locali, li trova meno rumorosi e invadenti nel paesaggio.
Anche se sembra che la percezione individuale di rumori e impatti visivi sia determinata da fattori diversi rispetto all’effettivo livello sonoro e quantità di impianti, ciò non significa che il problema del rumore e degli effetti visivi debba essere trattato in modo superficiale. La scelta delle località deve tener conto di questi aspetti. Ciò probabilmente ridurrà al minimo l’atteggiamento negativo verso specifici progetti.
In una sintesi di ricerche britanniche, vengono analizzati gli argomenti caratteristici a favore e contro l’energia eolica.
Il profilo di chi dice NO
... le energie rinnovabili non possono risolvere i nostri problemi energetici ... le turbine a vento sono inaffidabili e dipendono dall’intensità del vento ... l’energia eolica è costosa ... le turbine a vento rovinano il paesaggio ... le turbine sono rumorose
Il profilo di chi dice SI
... l’energia rinnovabile è davvero un’alternativa ad altre fonti ... la teoria del mutamento climatico deve essere presa sul serio ... l’energia eolica è illimitata, a differenza dei combustibili fossili ... l’energia dal vento non inquina ... l’energia eolica è sicura
I due profili illustrano bene perché si continua a dibattere sull’energia eolica. Si possono trovare argomenti sia pro che contro, senza il sostegno di fatti. Sono invece gli atteggiamenti ad essere basati su convinzioni e valori individuali. Il fatto che le turbine a vento deturpino o arricchiscano il paesaggio, è una questione di gusti. Se il costo dell’energia eolica è a buon mercato o dispendioso dipende, pure, da quanto si valuta il clima globale, e se si crede nella teoria dell’effetto serra.
Lo studio sul caso di Sydthy
L’ultimo studio condotto in Danimarca sul comune di Sydthy mostra alcuni risultati interessanti. Sydthy ha 12.000 abitanti, e più del 98% dell’energia elettrica consumata è fornita da impianti eolici. Ciò significa che Sydthy è uno dei posti del mondo con la più alta concentrazione di turbine a vento. Il sondaggio di opinione a Sydthy mostra che le persone con un alto livello di conoscenze sulla produzione di energia e le fonti rinnovabili tendono ad essere più positive rispetto all’eolico, di chi ha poche conoscenze.
La distanza dalla turbina più vicina non influenza l’atteggiamento delle persone verso l’eolico in generale. Questo indica che chi vive vicino agli impianti non considera rumori e impatti visivi un problema significativo. Di fatto chi vive più vicino di 500 metri ad una turbina tende ad essere più positivo nei riguardi delle turbine, di chi abita più lontano.
Questa tendenza si conferma se si incrociano gli atteggiamenti verso le turbine a vento in generale con il numero di esse visibile dall’abitazione degli intervistati. Ancora, non emerge uno schema chiaro. Ma le persone che possono vedere fra 20 e 29 turbine tendono ad essere più positive rispetto all’energia eolica di chi ne riesce a vedere solo un piccolo numero. Questo indica, ancora, che la quantità di turbine a vento nell’ambiente locale non influenza negativamente l’atteggiamento delle persone nei confronti dell’energia eolica.
In Danimarca esiste una tradizione di cooperative per l’energia eolica, dove un gruppo di persone condivide un impianto di generazione. Da questo punto di vista il comune di Sydthy è piuttosto unico, con il 58% delle famiglie con una o più partecipazioni in una turbina di proprietà cooperativa. Per quanto riguarda l’atteggiamento generale verso le turbine a vento, il quadro è chiaro. Le persone che possiedono quote sono significativamente più positive di chi non ha interessi economici in materia. I membri delle cooperative del vento sono più propensi ad accettare che si realizzi una turbina nei paraggi.
Chi vive nella zona urbana (definita dai limiti di velocità) tende ad essere più negativo di chi abita in area rurale. Un spiegazione di questo fenomeno può essere che le persone di città hanno un’immagine più romantica della campagna, mentre chi abita in campagna ha un rapporto più pratico con la natura, in quanto risorsa da utilizzare a scopi produttivi.
Nel comune di Sydthy quattro su cinque persone non si ritengono per nulla disturbate dal rumore delle turbine. Come previsto, più lontano abitano da esse, meno subiscono inconvenienti relativi al rumore. Lo studio su Sydthy conferma anche i precedenti risultati degli studi danesi, sulle persone di mezza età come quelle che trovano il rumore più snervante. Gli uomini avvertono il rumore delle turbine più delle donne, e più positivo l’atteggiamento verso l’energia eolica, meno il disturbo percepito. Va ricordato che molte delle turbine di Sydthy sono progettate secondo i livelli di rumorosità ammessi negli anni ’80, e non dei più silenziosi modelli attuali.
Not In My Backyard
C’è una grossa differenza, fra l’energia eolica come idea generale, e le turbine a vento come strutture accettabili nel paesaggio. Come abbiamo visto, le persone sostengono l’idea generale delle energie rinnovabili e di quella eolica. Ma quando si passa a progetti concreti per il territorio locale, l’accettazione sembra scomparire. Questo è definito la sindrome del “ Not In My Back Yard” o, in breve, la sindrome NIMBY. La teoria di base è che le persone sostengono l’energia eolica a livello astratto, ma mettono in discussione specifici progetti locali a causa delle temute conseguenze riguardo principalmente al rumore e agli impatti visivi. La sindrome di NIMBY non è caratteristica degli impianti eolici. Si verifica in molte altre situazioni. Nuove strade, ponti, gallerie, ospedali, aeroporti, impianti nucleari e altre strutture per la produzione di energia, tutti incontrano resistenze a livello delle comunità locali.
Nel Regno Unito sono state effettuate parecchie indagini prima/dopo l’installazione. In un rapporto di ricerca commissionato da BBC Wales, è stato calcolato il sostegno del pubblico locale per l’energia eolica in genere e per tre particolari parchi di turbine, prima e dopo l’impianto.
L’indagine mostra che solo una su cinque persone è in genere contro lo sviluppo dell’energia eolica in Galles, e sette su dieci sostengono gli impianti. Il livello di sostegno generale quindi è più o meno identico a quello di Danimarca e Olanda. Contemporaneamente, alle persone è stata chiesta anche un’opinione prima e dopo la costruzione delle tre wind farms.
Inizialmente, solo il 40% sosteneva i tre progetti, contro il 70% che in generale era favorevole allo sviluppo dell’energia eolica in Galles. In altre parole siamo di fronte a una reazione NIMBY per quanto riguarda specifici impianti di energia eolica. Chi si opponeva ai progettati impianti citava tre motivi per essere contrario. Il principale era la preoccupazione per il rumore. Tre su quattro persone fra quelle contrarie alle turbine citavano il rumore. Le altre due ragioni erano l’interferenza visiva e quella dei campi elettromagnetici. Dopo il completamento dei tre progetti, la BBC Wales ha di nuovo posto le domande sugli atteggiamenti nei confronti delle wind farms.
Se paragoniamo i risultati di prima con quelli di dopo le realizzazioni delle turbine, lo schema appare chiaro. In tutti e tre i casi le persone favorevoli superano quelle contrarie sia prima che dopo. Anche il 36,2% del totale della popolazione che si dichiara non sicuro o non interessato ai progetti prima della realizzazione, sembra spostarsi verso un sostegno dopo l’attuazione (l’indagine contempla solo gli spostamenti netti). Ancora, uno su quattro non approva i progetti.
Un costruttore olandese di impianti eolici, la Energy Connection, ha rilevato lo stesso atteggiamento in Olanda. Qui, come abbiamo detto prima, l’accettazione dell’energia eolica è alta. Ma su specifici progetti il tasso di approvazione sembra abbassarsi nella fase di progettazione e costruzione. Dopo la realizzazione il consenso sembra aumentare avvicinandosi ai livelli di prima.
Le conclusioni sonora sono che l’accettazione da parte del pubblico dell’energia eolica è molto elevata. Essa cade, ad ogni modo, quando si invade il “cortile” degli interessati. Ma il consenso sembra aumentare anche nel territorio locale, dopo l’installazione delle turbine. D’altra parte, che non è favorevole alle energie rinnovabili in generale tende a trovare gli impianti eolici meno accettabili quando si tratta di impatti visivi e acustici. Una sintesi di sondaggi mostra un’altra caratteristica interessante. La comparazione fra atteggiamenti del pubblico in zone con presenza di impianti eolici, e in altre che ne sono prive suggerisce che gli atteggiamenti verso impianti concreti sono di maggiore accettazione in zone che ne hanno già esperienza, di quanto non accada dove non esiste alcuna esperienza. Ciò vuol dire che la sindrome di NIMBY sembra avere le manifestazioni più forti dove non esiste o esiste scarsa conoscenza dell’energia eolica. Questa conclusione indica che l’accettazione da parte del pubblico dell’energia eolica cresce col crescere del livello di informazione. In Cornovaglia si è verificato un significativo mutamento di atteggiamenti da parte dei residenti nell’area della wind farm, prima e dopo la costruzione. In generale la popolazione è diventata più favorevole all’energia eolica. Il 27% delle persone interrogate ha cambiato il proprio atteggiamento da quando le turbine sono in funzione. Di questi, nove su dieci sono diventati favorevoli all’uso dell’energia eolica.
Questa spiegazione basata sull’idea di NIMBY è stata messa in discussione da molti studi. Anche se molti atteggiamenti individuali nei confronti degli impianti locali possono essere descritti come NIMBYismo, ciò sembra essere un fattore minoritario per la maggioranza di chi si oppone ai progetti.
Nell’ultima indagine, nella regione del Friesland, agli olandesi residenti è stato chiesto se volevano più turbine a vento nella specifica zona, e se sostenevano un uso più intensivo dell’energia eolica nel resto del Friesland. Il 61% non obiettava a più turbine in Friesland, purché non fossero collocate nel loro “cortile”. Il 15% non voleva più turbine in generale nella regione. Questa distribuzione dei risultati non differisce in modo significativo dagli studi precedenti. Il fatto interessante di questa indagine, è che agli intervistati è stato anche chiesto se potessero accettare più turbine nella propria zona. Sorprendentemente il 66% erano favorevoli ad accettare altre turbine nella comunità locale, e il 18% era contrario. Ovvero c’erano più persone (5% in più) disposte ad accettare nuove turbine nel proprio “cortile”, di quanti ne accettassero di più nel resto della regione. Questi risultati indicano che esistono variabili nascoste, diverse dall’atteggiamento NIMBY, che condizionano il rapporto dell’opinione pubblica con l’energia eolica a livello locale.
The NIMBY-explanation is probably a too simplistic way of seeing people's attitudes. There has to be focused on other explanations if public attitude shall be described in a more sophisticated manner. The mentioned study (Wolsink, 1996) concludes, that people in areas with significant public resistance to wind projects are not against the turbines themselves, they are primarily against the people who want to build the turbines. Often the local people are kept out of the decision making process. Some have hostile attitudes against the developers, the bureaucracy or the politicians on beforehand. Those factors have a significant effect on public attitudes in a specific area. Attitudes towards concrete projects are site specific. They are primarily formed by the interaction with central actors and the extent of involvement of local interests are a major explanatory factor.
Anche uno studio recente condotto in Germania mette in discussione l’ipotesi della sindrome NIMBY. Le dimensioni dell’impianto di turbine influenzano in modi non significativi l’atteggiamento del pubblico nei confronti di un progetto. Ciò indica che gli impatti reali legati alle dimensioni dell’impianto, come le trasformazioni del paesaggio, hanno effetti relativamente piccoli sugli atteggiamenti verso specifiche installazioni. La dimensione quindi dice poco rispetto all’atteggiamento. Lo studio conclude invece che, sull’atteggiamento del pubblico nei confronti del progetto, hanno una significativa influenza quelli verso chi lo realizza, i decisori locali, il processo complessivo di decisione. Contemporaneamente, lo studio suggerisce che un approccio partecipativo al progetto di localizzazione ha effetti positivi sull’opinione pubblica, e conduce a una diminuzione delle resistenze. Quello che conta è coinvolgere la popolazione locale nella procedura di localizzazione, entro processi di piano trasparenti, e con un alto livello informativo.
Le persone vogliono essere coinvolte
Lo studio sulla zone del Friesland conferma queste conclusioni. Più dell’85% della popolazione desidera essere tenuta informata sui progetti di nuovi impianti eolici. Il 60% ritiene che diffondere informazioni sia compito dell’amministrazione municipale. Un altro 5% pensa che sia compito dell’autorità provinciale. Solo il 13% crede che tocchi ai mezzi di comunicazione. Nella realtà, le persone di solito traggono le proprie informazioni dai rapporti personali e dai media. Il 49% afferma che andrebbe alle assemblee pubbliche, se fossero tenute. Quindi, esiste una grossa differenza tra il modo in cui le persone vorrebbero essere informate, e il modo in cui funzionano davvero le cose. Un recente studio tedesco rivela che in meno del 50% dei progetti di impianti eolici nel paese, agli abitanti è stata data l’opportunità di esprimere la propria opinione nella fase di piano. E solo nell’8% dei casi in cui gli abitanti sono stati sentiti, i costruttori hanno tenuto assemblee pubbliche di informazione. In un caso su tre l’opinione pubblica ha avuto un’influenza concreta sul processo di localizzazione, caratteristicamente attraverso la possibilità garantita dalla legge di presentare osservazioni formali.
Se si vogliono ridurre al minimo le opposizioni, tutte le parti in causa devono avere effettiva opportunità di influenzare un progetto. Le decisione prese sopra la testa delle popolazioni locali sono il modo più diretto per generare proteste. Restano da vedere, sondaggi a livello internazionale che esaminino approfonditamente questi problemi.
Conclusioni
In tutti i paesi, sia il sostegno del pubblico per le energie rinnovabili che per l’energia eolica in particolare è molto elevato. A livello astratto, circa l’80% della popolazione sostiene l’energia eolica, secondo le indagini esaminate in questo studio. A livello locale il sostegno nelle aree dove operano impianti eolici è egualmente elevato. Ovvero, quattro su cinque persone tendono ad approvare gli impianti, sia in generale che nelle zone che hanno esperienze in proposito. Ciò però non significa che non si manifestino proteste. Basta un oppositore impegnato, ad esempio, per attivare una causa legale contro un’autorizzazione di impianto. Questa è una delle ragioni per cui i conflitti, nei casi di impianti eolici, sono diventati la regola anziché l’eccezione. La carenza di comunicazione fra chi abita dove sarà realizzato un impianto e chi lo vuole realizzare, le burocrazie locali, l’ambito della decisione politica, sembra il perfetto catalizzatore per trasformare lo scetticismo locale in azioni concrete contro progetti specifici. Al contrario, informazione e dialogo sono la strada per l’accettazione.
Nota: il file PDF scaricabile dell’articolo, nella relativa pagina della Danish Wind Industry Association (f.b.)
Non convince l’intervento di Massimo Serafini e Mario Agostinelli pubblicato nei giorni scorsi su queste pagine a proposito degli impianti per la produzione di energia eolica in Puglia. Anche il presidente della Regione Sardegna e con lui la maggioranza di centrosinistra hanno convenuto sulla necessità di andare a vedere meglio le questioni connesse alla installazioni di tralicci eolici nel territorio. E con legge hanno deciso di sospendere, per quanto possibile, le iniziative (troppe) con effetti di sicura alterazione di quadri paesistici di rara bellezza.
Il provvedimento della Regione Autonoma, che è stato assunto insieme a quello di fermare l’assalto alle are costiere, è stato poi impugnato dal governo Berlusconi davanti alla Corte Costituzionale ( un atto che la dice lunga sugli interessi in gioco ben al di qua degli accordi del protocollo di Kyoto). La posizione di Serafini e Agostinelli, in forma di lettera a Nichi Vendola, pone quindi una questione - gli effetti pericolosi della moratoria - che potrebbe essere riferita per stretta analogia anche alla Sardegna. Il limite dell’ impostazione è quello di attribuire, pure con molte cautele, il primato alla questione energetica ponendo in secondo piano i diritti del bene comune paesaggio.Per cui nelle regioni del Mezzogiorno dove il vento soffia forte si dovrebbe costruire “un modello energetico nuovo e pulito, più giusto e sostenibile, costruito intorno alle risorse locali “.
La questione posta in questo modo sembra sottovalutare molto, nonostante le rassicurazioni di circostanza (perché siamo tutti, ci mancherebbe, per la tutela del paesaggio), l’impatto di queste torri normalmente ubicate su quote elevate, visibili a distanza con un esteso grado di compromissione non solo sul piano della percezione. Un esito ingiusto, insostenibile e appunto a danno di quelle risorse locali che sono la sola ricchezza che in un futuro non lontanissimo potranno essere essenziali per lo sviluppo del Mezzogiorno (che ha poche colpe sull’effetto serra). Sottrarre al mercato contingente le cose belle e rare che potranno servire domani è un imperativo. La solidarietà ecologica e generazionale si esprime anche su questo terreno. Al di là delle contingenze appunto. Se in Sardegna saranno realizzate anche la metà delle pale eoliche progettate dalle varie società nel nome dell’ energia pulita c’è la certezza di un danno incalcolabile (a proposito di flussi turistici, basta leggere qualche sondaggio e si capisce che paesaggi inquinati da cose del genere i turisti non ne vogliono proprio vedere!).
Si è vero, l'eolico è incentivato da massicci finanziamenti europei. E a proposito di partecipazione occorre dire che molti comuni, che non hanno un euro in cassa, vorrebbero consentire quegli impianti solo per incamerare un po’ di denaro. Anche con il dubbio che fra una decina d’anni, per l’evoluzione rapida della tecnologia, quelle pale non siano inservibili ferraglie che nessuno sarà impegnato a togliere.
Chi ha visto le conseguenze degli impianti eolici sui paesaggi sardi non potrà che diffidare delle ipotesi di mitigarne l’impatto ( accorciare le torri ? metterle più a valle ? colorarle di verde ?). La moratoria è l’unica strada per provare a considerare all’interno di un piano tutte le ragioni insieme, muovendo dal presupposto che l’energia pulita (da esportazione) non può essere a scapito dei paesaggi del nostro Mezzogiorno.
Un nuovo scenario energetico si delinea per l´Europa. I prezzi del gas e del petrolio sono quasi raddoppiati negli ultimi due anni. Con l´esaurirsi delle nostre riserve di idrocarburi e con l´aumento della domanda, la dipendenza dell´Europa dalle importazioni dovrebbe crescere, secondo le previsioni, fino al 70% entro il2030, con le conseguenze che ne deriveranno per la nostra sicurezza energetica. Le nostre infrastrutture devono essere rinnovate: nei prossimi20anni saranno necessari 1000 miliardi di euro per soddisfare la prevista domanda di energia e per sostituire le infrastrutture obsolete. Il clima sta cambiando a causa del riscaldamento del pianeta.
Si tratta di problemi comuni a tutti i cittadini e paesi europei. Si impone pertanto una risposta comune a livello europeo. L´Ue si trova nella posizione migliore per agire. Abbiamo il potere negoziale che ci deriva dall´essere il secondo maggiore consumatore mondiale di energia. Siamo uno dei continenti con la maggiore efficienza energetica. Siamo all´avanguardia nel mondo nella ricerca di fonti di energia nuove e rinnovabili, nello sviluppo di tecnologie a bassa emissione di carbonio e nella gestione della domanda. Eppure, finora l´Europa ha seguito un approccio disorganico ai problemi energetici, che ha impedito di collegare politiche e paesi diversi. Questa situazione deve cambiare.
Per questo la Commissione europea pubblica oggi un libro verde sullo sviluppo di una politica europea coerente nel settore energetico. Il nostro obiettivo è quello di garantire la sostenibilità, la competitività e la sicurezza dell´energia. Se l´Ue sarà in grado di adottare un approccio comune, e di dare espressione a tale approccio con una sola voce e in modo coerente, l´Europa potrà imporsi come leader a livello internazionale nella ricerca di soluzioni ai problemi energetici. Le risposte non sono semplici. Il libro verde permetterà, comunque, di avviare un importante dibattito pubblico su come affrontare la nuova realtà energetica.
Quali sono le nostre proposte?
L´unità. L´Ue deve parlare con una voce sola a livello internazionale, in particolare ai principali produttori e consumatori di energia. Dobbiamo valerci delle dimensioni del nostro mercato e della gamma degli strumenti a nostra disposizione per contenere la nostra dipendenza energetica, diversificare le nostre fonti di approvvigionamento energetico e creare sostegno internazionale per affrontare le nuove sfide energetiche. Fondamentale è un nuovo partnerariato con i paesi fornitori limitrofi, tra cui la Russia. Dobbiamo mettere a frutto il reciproco interesse dell´Europa e dei suoi principali fornitori limitrofi per mercati energetici sicuri, aperti e in crescita. E dobbiamo rafforzare la nostra cooperazione con gli altri principali partner, in Medio oriente, in Asia e in America.
L´integrazione. Dobbiamo creare un vero mercato unico europeo dell´elettricità e del gas, che ci consenta di garantire sicurezza, competitività e sostenibilità. Mercati aperti generano benefici per i consumatori, pongono le basi essenziali a lungo termine per gli investimenti, creano l´idoneo contesto paneuropeo per le attuali operazioni di concentrazione. Nel settore energetico, come in altri settori, l´Europa potrà prosperare abbattendo le barriere, non erigendole.
La solidarietà. L´integrazione dovrebbe andare di pari passo con la solidarietà. L´Europa deve poter reagire meglio alle fluttuazioni sui mercati dell´energia e alle variazioni dell´offerta, e deve ripensare la politica di gestione delle riserve di emergenza di gas e di petrolio.
La sostenibilità. Dobbiamo accelerare la transizione verso un´economia a bassa emissione di carbonio, utilizzando sia le nuove energie che le energie tradizionali. L´Europa deve creare le condizioni che consentano lo sviluppo delle energie a bassa emissione di carbonio: per alcuni si tratta dell´energia eolica, per altri dell´energia solare, per altri ancora del carbone pulito. Alcuni Stati membri stanno considerando di sviluppare ulteriormente l´energia nucleare. Non possiamo permetterci il lusso di favorire una forma di energia ad esclusione delle altre. La quota delle energie rinnovabili nel nostro mix energetico deve continuare a crescere. Dobbiamo impegnarci seriamente a favore delle energie rinnovabili e a basso tenore di carbonio. Esse non possono sostituire del tutto gli idrocarburi, con i quali, però, come nel caso dei biocarburanti, possono letteralmente combinarsi.
L´efficienza. Dobbiamo modificare non solo l´offerta ma anche la domanda di energia. Notevoli sono le possibilità di un uso più efficiente dell´energia, a beneficio del clima, dei consumatori e della nostra sicurezza. Non si tratta semplicemente di diminuire il riscaldamento, per quanto tutti noi a volte ci rendiamo colpevoli di accendere i termosifoni e di aprire la finestra allo stesso tempo. Si tratta invece di sviluppare tecnologie e abitudini che ci consentano di cambiare il modello energetico dell´Europa e di favorire una crescita sostenibile. Dovremmo continuare a sviluppare norme di efficienza energetica per i settori ad elevato consumo di energia, quali i trasporti e le abitazioni.
L´innovazione. L´Europa è all´avanguardia nello sviluppo delle tecnologie a bassa emissione di carbonio. Dobbiamo conservare questa posizione. Enormi sono i benefici per l´ambiente, ed enormi sono le opportunità commerciali, vista la forte crescita del mercato internazionale delle tecnologie ad elevata efficienza energetica e a bassa emissione di carbonio. Un istituto europeo di tecnologia potrebbe consentire all´Europa di conservare la sua posizione di testa nell´innovazione.
Danno sostegno a queste sei priorità due concetti cruciali che consentiranno all´Europa di garantire la sostenibilità, la competitività e la sicurezza dell´energia. Il primo è la diversità: delle fonti energetiche, dei paesi d´origine e di quelli di transito. Abbiamo visto quanto sia importante questo concetto nel settore del gas. Il secondo è l´urgenza. In alcuni settori dobbiamo iniziare quasi da zero. Ci vorranno anni prima che alcune delle nuove energie arrivino a regime. È un argomento, questo, senz´altro a favore di un´azione immediata, non del rinvio. L´Europa non può permettersi di aspettare. Il libro verde sulla politica energetica europea aiuterà l´Ue a creare le basi per garantire la sostenibilità, la competitività e la sicurezza dell´energia. Il mondo sta entrando in una nuova era dell´energia. Con una coerente politica comune dell´energia l´Europa potrà guardare con fiducia alla nuova era.
Josè Manuel Barroso è presidente della Commissione Ue, Andris Piebalgs Commissario Ue all´Energia
Caro direttore, "le zone di effettivo pregio paesaggistico o naturalistico ci sono, ma non sono così diffuse". Lo sostiene sull'"Unità" di giovedì l'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi. Dunque, per anni, decenni, secoli ci siamo sbagliati : quello che era ritenuto il Giardino d'Europa, il Bel Paese per antonomasia, non è poi questa cosa straordinaria che ci siamo raccontati, confortati da Goethe e da altri visionari. Ha sì delle zone di pregio ma neanche tante. Per cui possiamo metterci un bel po' di grandi pale per l'energia eolica, dalle coste sarde a quelle pugliesi. Meno male che Soru e Vendola la pensano diversamente. Ma forse sono dei pericolosi estremisti. Un saluto cordiale
L’energia eolica fa bene all’ambiente? Secondo questo studio(concluso nel novembre 2004 dal Comitato nazionale per il paesaggio) il contributo al risparmio energetico, in Italia, è del tutto marginale, mentre enormi sono i danni al paesaggio e notevoli quelli all’avifauna. Quello che succede quando si affidano messaggi poco precisi a poteri pubblici incapaci di adoperare la programmazione e di condizionare la produzione (dicembre 2004)
Una galleria d'immagini sulle fattorie del vento
L’energia eolica è energia rinnovabile intermittente, come anche l’energia solare fotovoltaica e l’energia solare termodinamica.
Poiché l’accumulazione di grandi quantità di energia elettrica è oggi impraticabile, ne consegue che l’energia elettrica prodotta dal vento e dal sole deve essere distribuita e consumata nel momento in cui viene prodotta. Ciò significa che gli impianti di energia rinnovabile intermittente devono essere connessi direttamente alla rete elettrica di distribuzione, al cui interno in qualsiasi momento si può trovare un consumatore disposto all’acquisto. Esiste però un limite tecnico alla quantità totale di potenza elettrica intermittente (qual’è quella solare ed eolica) che è possibile collegare alla rete elettrica nazionale senza rischiare di provocare il collasso di parte o dell’intero sistema elettrico nazionale. Cosa che potrebbe avvenire nel momento in cui si verificassero, a causa dell’intermittenza, brusche ed impreviste variazioni del livello della potenza immessa nella rete. In altre parole, senza rischiare un “black-out” elettrico locale o nazionale. Per ragioni cautelative di sicurezza (anche tenendo conto, nel caso dell’energia eolica, del carattere assai irregolare dei venti italiani) questo limite è collocabile tra il 10 e il 15% della potenza alla punta, cioè del picco di domanda. Poiché in Italia la potenza alla punta ha raggiunto nel 2003 il valore di circa 53.000 MW (un megawatt corrisponde a 1.000 chilowatt) ne deriva che la potenza massima eolica e/o solare fotovoltaica o termodinamica collegabile alla rete elettrica nazionale italiana è pari a 8.000 MW circa.
Prendendo in considerazione la dimensione media dei nuovi aerogeneratori che si intendono installare attualmente in Italia (potenza tra 1 e 2 MW, altezza totale dell’aerogeneratore elica compresa 100 - 130 metri circa) si può ipotizzare l’installazione complessiva di circa 5.000-6.000 nuove torri eoliche, che si aggiungerebbero alle 1.500 già installate, per una potenza complessiva tra 5.000 e 8.000 MW. Per calcolare il contributo energetico che queste torri potrebbero assicurare si deve ricordareche l’Italia è un paese poco ventoso. Su 8.760 ore annue, la media nazionale del vento di velocità compresa tra 4 e 20-22 metri al secondo (l’unica adatta alla produzione elettrica) sta tra le 1.800 e le 1.900 ore annue. Ne deriva che in Italia, anche nell’ipotesi di massima, quanto mai improbabile, di 8.000 MW eolici totali, questi potrebbero produrre al massimo 15,2 miliardi di kWh (kilowattora), cioè circa il 4.8% del fabbisogno annuale italiano di energia elettrica. Ma poiché l’energia elettrica rappresenta poco più del 35% circa del consumo energetico totale italiano, gli ipotetici 15 miliardi di kWh eolici corrisponderebbero solo all’1,8% del consumo totale di energia in Italia. Contributo del tutto irrilevante ai fini energetici, poiché nettamente inferiore, all’aumento dei consumi energetici di un solo anno! Alle stesse conclusioni si giunge calcolando il risparmio di emissioni inquinanti, cioè gas serra, che gli ipotetici 8.000 MW eolici potrebbero assicurare. Su un totale di quasi 500 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente, il risparmio non sarebbe superiore al 2% del totale!
In conclusione, da un lato della bilancia sta l’occupazione e la trasformazione in ambiti industriali di vaste zone di territorio prezioso dal punto di vista paesaggistico ed ambientale (5.000 aerogeneratori da 1 MW, con diametro del rotore di circa 60 m, se collocati sull’Appennino in linee a schiera continua, occuperebbero con 4 o 5 linee parallele, dispiegate sui crinali senza interruzione, un arco di 500 km, cioè l’intera dorsale appenninica centromeridionale, dai Monti Sibillini al massiccio del Pollino). Dall’altro lato della bilancia sta l’esiguità del risultato energetico conseguito: tra l’1 e il 2% del fabbisogno totale italiano.
Ci si chiede:”Il gioco vale la candela?” E’ evidente che non può essere questa la strategia d’impiego delle fonti rinnovabili su larga scala ed è altrettanto evidente che la corsa all’eolico appare improvvisata e violenta, sia a fronte della complessità e della vastità della crisi climatica, sia in relazione ai danni ambientali e paesaggistici prodotti. Stiamo assistendo, ancora una volta, ad una drammatica aggressione al territorio italiano al di fuori di qualunque minima pianificazione territoriale e principio di tutela sia degli ambienti naturali, sia del patrimonio storico paesaggistico e culturale. Una strategia adeguata alle problematiche presenti dovrebbe comprendere, invece, una maggiore attenzione alle altre tecnologie delle fonti rinnovabili (solare termico per il riscaldamento – pannelli solari e fotovoltaico in primo luogo), i cui potenziali energetici sono molto più consistenti di quello eolico e il cui collocamento nel territorio è di gran lunga più compatibile dal punto di vista della conservazione dei beni ambientali e paesaggistici.
Il produttore di energia elettrica, o l'importatore che chiede di connettersi alla rete nazionale, deve detenere (perché produce in proprio o perché acquista da chi la produce) la quota, corrispondente al 2,35%, di "Certificati Verdi"(decreto del Ministro dell’Industria dell’11 novembre 1999), il cui prezzo oscilla intorno alle 130 lire a kWh.
Poiché il valore dei "Certificati Verdi" prescinde dalla fonte di energia rinnovabile utilizzata, la scelta degli operatori non può cadere altro che sulla produzione eolica, che al momento risulta la più economica, grazie anche alle incentivazioni di cui gode.
Si è dunque determinata una situazione distorta che condanna il paese a non avere una distribuzione equilibrata di produzione da fonte rinnovabile. Avviene dunque che il nostro Paese decida di attivare una quota di energia rinnovabile, per contribuire alla riduzione dell'inquinamento planetario, ma sceglie alcune modalità di incentivazione che di fatto privilegiano quel tipo di energia che mette in crisi altri, almeno altrettanto significativi, valori collettivi propri del nostro territorio. In ciò si evidenzia la mancanza di una strategia di lungo periodo, attenta a calcolare nel conto economico le esternalità connesse all'utilizzazione di una fonte piuttosto che di un’altra. Infatti, non considerando le produzioni sotto il profilo dei costi esterni, che devono comprendere le stime anche economiche dei danni paesistici ed ecologici, si mettono in difficoltà quelle produzioni rinnovabili che più si adatterebbero ad essere inserite nel delicato territorio italiano.
In conclusione, mancando ogni pianificazione strategica nazionale nel campo energetico, l'unico criterio di azione è divenuto il mero costo di produzione e, grazie alle incentivazioni, gli operatori sono stati indotti ad investire tutto nell'eolico, lasciando al palo lo sviluppo delle altre fonti rinnovabili, come il solare, che hanno molto minor impatto sull'ambiente e sul paesaggio.
Nessun altro impianto tecnologico, tra quelli tradizionalmente già inseriti nelle aree montane (tralicci di elettrodotti, ripetitori televisivi, antenne per telefonia mobile, ecc.) ha un impatto paesaggistico ed ambientale paragonabile per pesantezza a quello dei parchi eolici.
Le grandi torri eoliche, per la collocazione sui crinali, per l'altezza, per la composizione in serie, introducono nel territorio scenari assolutamente inusuali che irrompono - con la forza delle loro gigantesche dimensioni fuori scala - nella visione paesaggistica. Grandi macchine, potenti, dominanti, rumorose! Chi le conosce o le vive quotidianamente da vicino dichiara inquietudine e turbamento nel vedere i luoghi familiari della propria vita radicalmente mutati e sconvolti in tempi brevissimi. Non a caso ci sono Comuni come S. Bartolomeo in Galdo (il più popoloso della Val Fortore) che si dichiarano con delibera ufficiale "deolizzati" ed altri, come Agnone (Isernia) che chiedono alla Regione Molise di fermare le pale eoliche, prima che distruggano il loro patrimonio storico e paesaggistico.Ed ora il preventivo rifiuto si estende anche in altre regioni come la Sardegna.
Grave è poi la ricaduta connessa alle infrastrutture che accompagnano l'installazione delle pale eoliche. Scavi, manufatti, scassi, nuovi elettrodotti, chilometri e chilometri di nuova rete stradale di servizio (devastante in zone montane) tra l'altro proporzionata all'accesso di mezzi di eccezionali dimensioni.
Si rompe inoltre la continuità degli ambienti naturali, aprendo i territori più incontaminati al bracconaggio, alle discariche, ai rally di mezzi motorizzati, ad ulteriori cementificazioni del territorio.
Le prospettive che si profilano comportano un'insanabile contraddizione con i programmi, le vocazioni e le aspettative sulle quali da tempo lavorano le comunità di zone collinari e montane ancora integre. Un territorio che costituisce l'ultima grande riserva del paesaggio storico e naturale, che ospita centinaia e centinaia di Comuni i cui abitanti presidiano e difendono il polmone verde d'Italia.
Parchi nazionali e regionali, piccole città d'arte, iniziative generali e particolari come l'APE (Appennino Parco d'Europa), attività turistiche e agrituristiche, produzioni agroalimentari di qualità sono gli elementi di un grande progetto per un nuovo e duraturo rilancio economico, la cui base consiste nella conservazione e nella valorizzazione dei beni ambientali, paesaggistici e storico-culturali.
L'irrompere dei parchi eolici, con decine e spesso centinaia di torri d'acciaio alte non di rado più di 100 metri, con le strade connesse e con i relativi pesanti basamenti interrati di cemento, va invece in tutt'altra direzione, quella di un processo di rapina del territorio che oscurerà il patrimonio di bellezza e di autenticità su cui si basano quei progetti e quelle aspirazioni. Un discorso valido non solo per l’Appennino, ma anche per le Alpi, per le Prealpi, per la Sicilia, per la Sardegna, per la penisola Salentina e per tante zone collinari di pregio come i Monti della Tolfa a nord di Roma.
Si preannuncia una dequalificazione generale nel paesaggio italiano. Una vera e propria svolta epocale verso il peggio.
L’impatto viene notevolmente amplificato dal fatto che gli impianti, progettati separatamente, vengono poi spesso aggregati in aree di confine tra più comuni. Un esempio drammatico in tal senso è rappresentato dalla Valle del Fortore nel Sannio, al confine tra le regioni Campania, Puglia e Molise, dove diverse amministrazioni pubbliche hanno imprudentemente consentito l’installazione ognuna di una certo numero di pale eoliche cosicché oggi i crinali di tutto il comprensorio ospitano quasi 600 torri. L’effetto visivo e prospettico da qualsiasi punto si osservi la vallata è tale che l’intero aspetto dei luoghi risulta pesantemente trasformato e sconvolto e ciò, unitamente alla rumorosità delle pale, fa decadere in modo definitivo qualsiasi valenza turistica del territorio. Una situazione analoga a quella della Valle del Fortore si è recentemente creata con la messa in opera, di centinaia di torri eoliche in provincia di Chieti, nei comuni di Castiglione Messer Marino, Schiavi d’Abruzzo e altri vicini.
Uno degli effetti negativi delle centrali eoliche, di cui tuttavia si parla pochissimo, è il forte deprezzamento che i terreni e le proprietà immobiliari, presenti fino a qualche chilometro di distanza, subiscono sia a causa del rumore prodotto dal movimento delle pale che a causa del degrado del paesaggio dovuto alle torri eoliche ed alle opere infrastutturali. Di questo deprezzamento si è già avuta ampia conferma in diversi paesi tra cui Stati Uniti e Germania.
Alla devastazione del paesaggio si accompagna il grave danno arrecato all’ambiente naturale, nelle sue varie componenti. Spesso le aree scelte per la realizzazione degli impianti costituiscono habitat di elevato pregio naturalistico, che, in molti casi, proprio per il loro valore ambientale di importanza spesso non solo regionale ma nazionale ed internazionale, ricadono in aree protette dalla legislazione interna (parchi nazionali e regionali, riserve naturali) o in siti d’importanza comunitaria, o in entrambe le situazioni, o a ridosso dei loro confini con effetti ugualmente devastanti. I progetti che si stanno proponendo non tengono in nessun conto i principi di conservazione acquisiti in questi ultimi decenni nel nostro Paese e in Europa e che hanno trovato espressione giuridica in fondamentali norme nazionali come la legge quadro sulle aree protette n.394 del 1991, nella cosiddetta legge Galasso su vincoli e piani paesistici, oggi convertita nel D.L. 490 del 1999, nonché nelle relative leggi regionali in materia.
I siti di importanza comunitaria (SIC e ZPS) ospitano specie animali e habitat minacciati e meritevoli di misure speciali di tutela e, per tale motivo, sono riconosciuti di rilevanza europea sulla base di convenzioni internazionali e di norme comunitarie come la Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, recepita in Italia con il D.P.R. 8 settembre 1997 n.357 e la Direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici, recepita in Italia con la legge n.157 del 1992.
Le suddette Direttive prevedono l’istituzione di una rete europea di aree protette denominata NATURA 2000 e i siti individuati ai fini della loro inclusione, elencati nel Decreto del Ministro dell’Ambiente del 3 aprile 2000, furono a suo tempo indicati dalle Regioni sulla base di studi naturalistici appositamente condotti. Oggi, paradossalmente, molte amministrazioni regionali avvallano ed autorizzano la distruzione dei beni naturalistici da loro stesse inventariati.
Nel quadro della tutela delle aree protette è fonte di notevole preoccupazione il Protocollo d’intesa "L’energia dei Parchi" firmato il 27 febbraio 2001 da Enel, Ministero dell’Ambiente – Servizio Conservazione della Natura, Legambiente e Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali, che favorisce ed incentiva lo sfruttamento, nelle aree protette, delle fonti di energia rinnovabile ovverosia il vento e quindi le centrali eoliche, vista anche la situazione italiana di quasi monopolio dell’eolico rispetto alle altre forme di energia rinnovabile. Il Protocollo costituisce inoltre un pericoloso precedente, un alibi, per quanti al di fuori delle aree protette vogliono realizzare centrali eoliche in aree naturalisticamente di pregio.
L’insieme delle torri e delle infrastrutture che accompagnano necessariamente le centrali eoliche realizzate in aree naturalisticamente significative, esercita un impatto pesantemente negativo su flora e fauna. Sono opere che vanno a perturbare gravemente gli equilibri degli ecosistemi e che comportano la distruzione di intere comunità animali e vegetali. Vista la localizzazione degli impianti progettati risultano particolarmente a rischio associazioni vegetali considerate, ai sensi della succitata Direttiva 92/43/CEE, prioritariamente meritevoli di tutela a livello europeo. Pur essendo le centrali eoliche collocate per lo più in aree aperte la costruzione delle strade di accesso e delle linee per il collegamento alla rete di trasmissione nazionale non può non interessare anche gli ambienti boschivi limitrofi.
La presenza di molte e a volte centinaia di decine di queste strutture, con eliche in movimento di giorno e di notte, esercita un pesante impatto sulla fauna. Le zone individuate per costruire le centrali sono spesso molto importanti per numerose specie di uccelli rapaci sia come zone di caccia sia come punti di concentrazione durante le migrazioni. E’ noto e documentato il rischio diretto per gli uccelli rapaci costituito dalle eliche dei generatori. Quasi tutte le specie di rapaci italiani sono incluse nell’allegato I della Direttiva 79/409/CEE, che comprende le specie particolarmente meritevoli di tutela per le quali gli Stati membri (art.4) sono tenuti all’adozione di misure speciali di conservazione dei loro habitat di vita per " … garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nelle loro aree di distribuzione". La realizzazione delle centrali eoliche in tali ambienti o nelle loro vicinanze costituirebbe quindi un’evidente infrazione a precisi obblighi comunitari.
Non solo i rapaci diurni e notturni ma anche altre specie come il corvo imperiale (quasi estinto nell’Appennino centro-settentrionale ed in via di reintroduzione), il gracchio alpino (il passeriforme a maggior rischio di estinzione nell’Appennino Centrale), il gracchio corallino (incluso nell’allegato I della sopraricordata Direttiva 79/409/CEE), ed altre specie ancora, subirebbero danni assai gravi dalla realizzazione delle centrali eoliche nei loro ambienti di vita. Il rischio di collisione con le pale sarebbe inoltre elevato per tutti gli uccelli veleggiatori come le cicogne, e per gli uccelli migratori in genere, soprattutto durante le migrazioni notturne ed in condizioni di nebbia. Va ricordato che molte specie di uccelli migrano prevalentemente od esclusivamente nelle ore notturne.
Anche i pipistrelli, particolarmente utili per la loro dieta insettivora, verrebbero falcidiati dal movimento delle pale, come dimostrato da studi soprattutto americani..
Altro fattore d’impatto è la perdita di habitat. Succede che nelle aree dove sono presenti impianti eolici, per un’ampiezza fino a circa 500 m dalle torri, sono state osservate diminuzioni di uccelli nidificanti e non fino al 95%. Per fare un esempio di habitat a rischio a noi vicino, pensiamo ai crinali appenninici a prateria: essi rappresentano l’ambiente elettivo sia per la nidificazione e sia per l’alimentazione di un gran numero di uccelli. A riguardo molti sono i progetti conosciuti per impianti eolici previsti proprio sui crinali: la presenza di torri eoliche in questi luoghi determinerebbe la scomparsa su aree vaste di quasi tutta l’avifauna attualmente presente.
Questi effetti vanno poi a sommarsi a quelli già esistenti da diversi anni, prodotti dal fenomeno dell’elettrocuzione e della collisione con le linee aeree di trasporto dell’energia elettrica (si stima che circa 5 milioni di uccelli l’anno siano vittime in tutto il mondo di questi due fattori).
Il disturbo e la perdita di habitat arrecati dalla presenza degli impianti eserciterebbe un impatto pesantemente negativo su molte specie di mammiferi, tra cui diverse di particolare significato ed importanza, come l’orso bruno, il lupo, alcune specie di ungulati. Tra l’altro l’apertura delle strade di accesso e di servizio incentiverebbe il bracconaggio ed altre attività ad impatto negativo sulla fauna.
Negli Stati Uniti varie ricerche scientifiche testimoniano come la presenza dei generatori in aree critiche costituisca un forte fattore di minaccia per la conservazione di molte specie di rapaci. In particolare uno studio condotto in un’area della California ha verificato che il 38% della mortalità dell’aquila reale era dovuto all’impatto con gli aerogeneratori. Considerando l’impatto con gli elettrodotti, il cui sviluppo si presuppone sia proporzionato alla produzione dell’energia eolica, tale percentuale di mortalità sale al 54%.
Questo stato di cose ha avuto negli USA grandi ripercussioni negative presso l’opinione pubblica, al punto che in diversi stati, compresa la California, si è avuto, di recente, un forte rallentamento o addirittura uno stop ai progetti di centrali eoliche, come per esempio nella Contea di Alameda.
Altri dati significativi, riguardanti l’impatto sull’avifauna delle centrali eoliche, provengono dalla Spagna.
Un rapporto del 2001, commissionato dalle autorità spagnole, evidenzia i seguenti valori di mortalità (collisione/torre/anno) riscontrati in 5 diversi impianti eolici:
- Salajones (33 torri) : 35,05 collisioni/torre/anno
- Izco (75 torri) : 25,72 collisioni/torre/anno
- Alaiz (75 torri) : 3,56 collisioni/torre/anno
- Guerinda (145 torri ) : 8,47 collisioni/torre/anno
- El Perdòn (40 torri) :64,26 collisioni/torre/anno
Da questi dati si deduce che in un anno nei 5 impianti eolici in esame perdono la vita almeno 7.250 uccelli!
L’impatto risulta inoltre sempre sottostimato in quanto molti uccelli morti vengono rapidamente fatti sparire da carnivori terrestri, come cani randagi, volpi, lupi, mustelidi.
Rimanendo in Spagna, in Navarra ogni anno muoiono almeno 400 avvoltoi grifoni, oltre ad aquile reali, gufi reali e tanti altri esemplari di specie protette di rapaci.
In Italia non si hanno ancora studi sulla valutazione dell’impatto sull’avifauna presso gli impianti eolici esistenti, tuttavia dalle prime indagini e osservazioni di campo si rileva che le circa 1.500 torri installate soprattutto nel Meridione (Abruzzo meridionale, Campania, Puglia e Basilicata) hanno portato, nelle zone con impianti eolici, ad una forte diminuzione della presenza di rapaci quali il nibbio reale, specie rara nel nostro paese e già minacciata da diversi fattori di natura antropica.
Il futuro di specie come l’aquila reale, per non parlare di altre assai più rare, come l’aquila del Bonelli, il capovaccaio, il grifone, il gufo reale e altri rapaci, si presenta, a causa dell’eolico, quanto mai a rischio.
Le centrali eoliche, realizzate in zone importanti per la fauna, esercitano un impatto negativo molto rilevante, diretto ed indiretto, anche sulle specie di interesse venatorio, sia stanziali, che di passo, che svernanti. Uccelli come i colombacci, i tordi, diversi piccoli passeriformi, i trampolieri possono facilmente subire gravi falcidie dalla collisione con le eliche rotanti. Altre specie come la lepre, la starna, la coturnice, la quaglia, vengono allontanate dalle aree interessate dalle centrali eoliche, a causa del disturbo e del degrado del loro ambiente di vita.
Da tutti i fattori fin qui evidenziati ne consegue che la realizzazione in Italia di impianti eolici su crinali montani e in generale in aree che conservano ancora buone valenze naturalistiche, costituisce una grave minaccia per gli uccelli rapaci, per quasi tutta l’avifauna presente nelle zone, sia stanziale, che migratoria, per i pipistrelli, per molte altre specie di mammiferi, per la vegetazione e per la biodiversità in genere. Questa minaccia può arrivare a produrre estinzioni su vaste aree o forte declino di diverse specie.
Lo sviluppo di una capillare rete stradale di servizio, proporzionata per giunta all’accesso di mezzi pesanti di eccezionali dimensioni, non solo rompe la continuità dei delicati ambienti prativi di alta quota ma altera fortemente il drenaggio dei terreni provocando mutamenti nella composizione vegetale e conseguentemente nelle comunità animali che ne dipendono. Può inoltre arrecare seri danni alla stabilità dei suoli, favorendo l’erosione ed modificando la circolazione superficiale delle acque. I plinti di ancoraggio degli aero generatori raggiungono notevoli profondità e quindi possono alterare le falde acquifere con tutte le conseguenze negative facilmente immaginabili.
Le dimensioni degli aereogeneratori (molti modelli dell’ultima generazione arrivano a superare le 200 tonnellate l’uno) e delle relative fondamenta in cemento, rendono proibitivi i costi di rimozione di queste strutture, una volta che queste non venissero più utilizzate a causa degli eccessivi costi di manutenzione o dell’obsolescenza dovuta al progresso tecnologico. Come già avvenuto altrove, ad esempio in California, si avrebbero cimiteri di centrali eoliche abbandonate al degrado ed al disfacimento, monumenti più che eloquenti all’insipienza, per non dire altro, dei responsabili della gestione del territorio.
Per quanto riguarda le installazioni eoliche in mare (off-shore) c’è da dire che pochi sono gli studi finora effettuati, riguardanti comunque solo le popolazioni locali di uccelli. Difficile, se non impossibile, operare un censimento delle carcasse dei volatili. Tuttavia molti esperti concordano nel dire che possono essere causa di morte per collisione per molti uccelli, compreso i migratori e in particolare quelli notturni.
In conclusione, la nostra opposizione non è nei confronti dell’eolico in quanto tale ma è nei confronti del cosiddetto “eolico selvaggio”, che è quello che si sta concretizzando di fatto nel nostro paese. Questa nostra posizione non significa affatto indifferenza nei confronti delle energie rinnovabili e del complesso problema dello sviluppo sostenibile a fronte dell'inquinamento globale. Al contrario il nostro impegno è quello di promuovere una diffusione equilibrata delle varie tecnologie, tra cui in primo piano l’energia solare.
La battaglia è molto difficile ed impegnativa: è in gioco il futuro delle zone paesisticamente ed ambietalmente più pregevoli del nostro Paese. Ci conforta tuttavia sapere che la protesta contro “l’eolico selvaggio” si va diffondendo ed estendendo. Nella sola Europa occidentale abbiamo notizia dell’esistenza di almeno un’ottantina di comitati sorti negli ultimi tempi per contrastare l’eolico in territori di pregio. Ma altri comitati continuano a nascere e non solo in Europa ma anche nel Nordamerica, in Australia ed altrove.