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Jonathan Leake
Regno Unito: l’invasione delle turbine a vento
3 Dicembre 2007
La questione energetica
Nuovi particolari sulle polemiche britanniche fra i difensori del paesaggio e i progetti di impianto delle centrali eoliche. Dal Sunday Times, 24 aprile 2005 (f.b.)

Titolo originale: United Kingdom: Invasion of the Wind Farms – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Le turbine a vento stanno spuntando a migliaia in tutta la Gran Bretagna, industrializzando alcuni tra i più amati paesaggi. Ma funzionano? E ne abbiamo davvero bisogno?

”Turbine? Sono una rovina, una dissacrazione del paesaggio” tuona James Lowther, settimo Conte di Lonsdale. È la prima volta che l’ottantaduenne conte si pronuncia pubblicamente su una questione che ha diviso la sua famiglia e fatto infuriare le comunità che vivono dentro e attorno ai migliaia di ettari della proprietà Lowther fra le colline del Lakeland.

Ma con le terre che un tempo controllava ora nelle mani di un trust gestito da figlio, Jim, il conte non ha potere per fermare l’insediamento e può solo guardare al futuro “inorridito” mentre si sviluppano i progetti per impiantare 27 turbine giganti sulle alture di Whinash Fells.

La battaglia di Whinash, che è oggetto di una planning inquiry che durerà ancora per sette settimane, è solo una delle molte guerre sulle turbine eoliche che si stanno combattendo in Gran Bretagna.

Al cuore di tutto una questione centrale: se si debba conservare il paesaggio, o salvare il pianeta dal riscaldamento globale. La perdita di alcune delle nostre più belle vedute è un prezzo ragionevole da pagare per l’energia rinnovabile che potrebbe contrastare il mutamento climatico? Questa domanda ha spaccato il movimento ambientalista britannico,mettendo i gruppi pro-turbine come gli Amici della Terra [ Friends of the Earth – FoE] e Greenpeace contro il National Trust e il Council for National Parks, che sostegono che il paesaggio è più importante.

Sopra questo contrasto aleggia una questione più grossa: dove prenderà, la Gran Bretagna, l’energia per il prossimo secolo? Entro il 2020 quasi tutte le nostre vecchie centrali nucleari, che producono il 22% dell’energia elettrica nazionale, dovranno chiudere. Lo stesso vale per gli impianti alimentati a carbone. L’impossibilità di adeguarsi agli standards di emissione dell’Unione Europea obbligherà la maggior parte a chiudere entro un decennio, tagliando la capacità di generazione di un altro 25%.

La Gran Bretagna, sostengono gli esperti, ha solo pochi anni a disposizione per decidere da dove trarre la propria energia, prima che le luci comincino a spegnersi.

A prima vista tutto questo furore per le turbine a vento può sorprendere, se si considera il piccolo numero. I progetti, concordati fra l’industria energetica e il governo, prevedono solo 3.500 macchine sulla terraferma, e altre 2.000 al largo delle coste.

La maggior parte sarà in aree remote. Le preferite sono la Scozia settentrionale e isole come le Shetlands e le Ebridi, più zone elevate in Galles e Inghilterra settentrionale.

Ma gli oppositori sostengono che, nonostante siano poche di numero, le turbine sono così visibili, e il loro movimento costante così evidente, che ne bastano solo poche a rovinare un intero panorama.

Possono anche uccidere gli uccelli. La Royal Society for the Protection of Birds, sostenitrice delle energie verdi, si è opposta sinora strenuamente ai principali progetti britannici di wind farm, che vedrebbero più di 230 turbine sull’isola di Lewis nelle Ebridi esterne.

Gli ingegneri vedono altri problemi. Michael Laughton, ingegnere elettrico e membro della Royal Academy of Engineering, esperto di sistemi di generazione, afferma che il governo deve riconoscere i limiti delle energie rinnovabili. “Il governo intravede l’energia eolica prendere il posto degli impianti nucleari man mano questi vengono disattivati, ma è una cosa che non potrà mai accadere” dice. “La rete nazionale non può basarsi sull’inaffidabilità del vento”.

Il nostro approvvigionamento di energia è stato per decenni controllato da un unico organismo, il Central Electricity Generating Board (CEGB), con l’indicazione di mantenere le luci accese qualunque cosa accadesse.

Quando Margaret Thatcher privatizzò l’industria energetica negli anni ’80, il CEGB fu sostituito da compagnie private che rispondevano agli azionisti. Non avrebbero mai rischiato i miliardi necessari per gli investimenti in carbone, nucleare o energie rinnovabili. Quello che sono pronti a finanziare, sono gli impianti a gas, dove il costo è basso e i profitti garantiti.

Dagli anni ’80 l’energia generata dalla “corsa al gas” è salita sino a circa il 42% del totale. Il governo prevede che raggiungerà i tre quarti entro il 2020.

Phil Ruffles, vice-presidente della Royal Academy of Engineering, ritiene che questo lasci la Gran Bretagna sempre più esposta alle oscillazioni dei mercati. “Nel Mare del Nord il gas si sta esaurendo in fretta” dice. “Quest’anno la Gran Bretagna diventerà un importatore netto di gas per la prima volta, ed entro il 2020 importeremo sino al 90% del fabbisogno da paesi come la Russia e l’Algeria. C’è un enorme rischio, nel lasciare che la Gran Bretagna divenga dipendente da regimi instabili. In più, maggiore la quantità di gas, maggiore quella di anidride carbonica prodotta”.

Sempre più, funzionari di alto rango e ministri sembrano trarre conclusioni simili.

Il prossimo giugno, studiatamente dopo le elezioni, il governo pubblicherà un aggiornamento delle proprie politiche sul mutamento climatico. L’obiettivo ufficiale è quello di stabilire orientamenti perché la Gran Bretagna raggiunga i livelli promessi di taglio delle emissioni. Ma ci sono chiari segnali che il rapporto diventerà la prima fase di una campagna per rilanciare l’energia nucleare.

Descriverà come il governo sia chiuso in un angolo dall’aumento della domanda di energia, il fallimento delle promesse di stabilizzare le emissioni dei trasporti e l’imminente chiusura di centrali energetiche.

Sir David King, responsabile scientifico del governo, vicino a Tony Blair, ha reso chiaro il proprio sostegno all’energia nucleare. Come molti altri scienziati e ingegneri, la vede come una tecnologia intermedia che manterrà in funzione la Gran Bretagna mentre si compie la transizione verso forme di energia rinnovabili.

Alcuni sostengono che l’energia nucleare può essere ampliata, a coprire la metà o più del fabbisogno di elettricità. Ma questo causerebbe enormi problemi tecnici per la rete nazionale perché le centrali nucleari tendono a produrre allo stesso ritmo tutto il tempo. Il che va benissimo per generare l’energia “base” sostiene la rete, ma oltre un certo livello il nucleare diventa troppo poco flessibile per un mercato che deve misurarsi continuamente con la domanda di consumo.

Anderson dice: “Come il vento, il nucleare può offrire solo parte della risposta. Quello di cui abbiamo bisogno sono fonti di energia diversificate, non di poter contare su un’unica possibilità”.

In più, nel dibattito sull’energia nucleare, politici e cittadini non colgono un punto cruciale. Esattamente come il vento, può fare sono una differenza parziale riguardo alle emissioni di gas serra. E questo perché la produzione di elettricità contribuisce solo per un terzo delle emissioni: sono i trasporti e l’industria a produrre il resto. E dato che le centrali nucleari producono solo un quinto dell’elettricità, esse riducono le nostre emissioni del 5%.

Tony Juniper, direttore degli Amici della Terra, sostiene che la risposta sta nella riduzione dei consumi. “L’energia nucleare si è screditata una volta e lo sarà ancora. Il settore aveva mentito sulle scorie, aveva mentito sugli incidenti, e mentito anche sulle enormi perdite. Il vento non è l’intera risposta, ma c’è abbondanza di altre tecnologie rinnovabili che non abbiamo esplorato, come quella delle maree, o il carbone pulito. E nel lungo termine, l’unica soluzione è di consumare meno energia”.

Mentre politici, gruppi ambientalisti ed esperti di energia litigano, un risultato sembra inevitabile. Il paesaggio della Gran Bretagna cambierà: non solo perché ci saranno più turbine a vento, piloni, o centrali, ma per il riscaldamento globale che l’umanità sembra incapace di evitare.

Se si avvereranno le previsioni degli scienziati di un innalzamento di 5° entro il 2100, il verde di Lonsdale e le belle colline di Whinash saranno davvero irriconoscibili, mulini a vento o no.

Nota: qui il testo originale dell’articolo del Sunday Times, come ripreso (con alcuni paragrafi ripetuti per una svista) dal portale sul mutamento climatico Climate Ark (f.b.)

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