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Eugenio Scalfari
Le due Italie a confronto
11 Dicembre 2005
Scritti 2004
Una magistrale sintesi di una realtà che va oltre lo scontro Berlusconi-Prodi, da la Repubblica del 15 febbraio 2004.

A VOLTE la politica sconfina nell'antropologia; non è buon segno, è l'indice d'una malattia o quanto meno di una anomalia, d'un disagio più o meno consapevole ed è il caso nostro. Si discute infatti da mesi, anzi da anni, se convivano sul territorio della Repubblica due Italie, o forse più, due modi di percepire la realtà, animati da passioni diverse, da diversi interessi e da contrapposti disegni e finalità. Due modi insomma di concepire il bene comune talmente dissimili da alimentare non solo competizione ma addirittura odio nei confronti di chi la pensi ed operi su una sponda opposta alla propria.

Alcuni spiriti nobili cercano di sopire quell'odio e quell'incompatibilità tra le due opposte sponde costruendo un qualche ponte di comunicazione, ma finora non sembra che queste esortazioni abbiano avuto esito positivo. Sembra sempre più remota nel tempo l'esortazione manzoniana rivolta all'Italia che ancora non c'era: "Una d'arme, di lingua, d'altare / di memorie, di sangue, di cor". D'arme? Non è un buon test nel caso italiano. Di lingua? Non direi.

D'altare? Siamo un popolo genericamente cattolico (battezzato) e largamente miscredente. Di memorie? Ognuno ha le proprie e tutte sono assai labili. Quanto al sangue e al cuore, meglio lasciar perdere, siamo frutto di un melting pot che potrebbe gareggiare con gli Stati Uniti d'America.

Del resto la stessa elencazione manzoniana non era un'affermazione ma un'esortazione e tale è rimasta nonostante il lungo tempo (quasi due secoli) intercorso da allora. Resta poi da vedere se una unità così compatta ed estensiva sarebbe un fatto positivo o invece limitante. Comunque irreale in un mondo dove l'interdipendenza globale sta risvegliando particolarità e piccole patrie che cercano di contenere l'omogeneità tecnologica dei mercati.

Ma l'odio? La politica italiana è dominata veramente dall'odio contro l'avversario? Mi sono posto questa domanda mentre vedevo scorrere sul piccolo schermo le notizie sulla campagna presidenziale americana cominciata con nove mesi di anticipo sull'esito finale.

Il candidato Bush accusato d'alcolismo e d'imboscamento militare ai tempi della guerra in Vietnam; il candidato Kerry accusato di avere un'amante e per di più segreta. E così s'andrà avanti fino al prossimo novembre, colpo su colpo, denuncia di vizi privati veri o supposti, pur di far uscire di pista l'avversario.

Da noi, nonostante la nostra accertata faziosità, accuse del genere non sarebbero tollerate, farebbero semmai uscir di pista chi le mettesse in circolazione. La privacy dei nostri uomini politici è generosamente salvaguardata, i puritani arrabbiati non allignano in casa nostra e chi si atteggiasse ad esserlo si vedrebbe ritornare addosso quelle accuse con un devastante effetto boomerang. Dunque si discute di idee, non di persone, anche se è vero che le idee camminano sulle gambe di uomini e donne in carne ed ossa.

* * *

Due Italie però ci sono davvero. Qualche cosa in comune ce l'hanno. Poco. Per il resto (molto) differiscono. Cercherò di descrivere i tratti più rilevanti ricorrendo alla memoria storica e all'esperienza personale, compiuta per mia fortuna da un osservatorio privilegiato e testimoniale. C'è un'Italia che privilegia la felicità immediata, ora, subito, possibilmente tutto. Da uno che se ne intendeva fu definita l'Italia da bere.

Quest'Italia, questi italiani, mettono l'accento sui diritti e in primo luogo sul diritto, appunto, alla propria individuale felicità. Reclamano la piena libertà dallo Stato, visto piuttosto come un'entità di ostacolo che limita quella libertà, si intromette in questioni che non dovrebbero riguardarlo, si arroga poteri di scelta e di orientamento che sono di esclusiva pertinenza dell'individuo e - al massimo - della famiglia.

Quest'Italia, questi italiani, hanno molta fiducia in se stessi, hanno spirito di intrapresa, vogliono vincere la loro gara personale, il successo professionale rappresenta la misura del valore quale che sia il campo d'applicazione e il terreno di gioco. Le istituzioni in genere sono guardate con sospetto, non sono produttive, dovrebbero essere ridotte al minimo. Ad esse si attribuisce soprattutto il compito di sgombrare gli steccati che rallentano la corsa dei migliori.

Coloro che restano indietro nella corsa non debbono certo essere abbandonati, ma aiutati e assistiti e sono appunto le istituzioni e lo Stato a doversi dar carico di quell'incombenza senza tuttavia smarrire il criterio-base dell'efficienza. Compito dello Stato, oltre a quello di tutelare la libertà degli individui a fare da sé, è dunque quello di occuparsi di quel "terzo debole" della società che non ce l'ha fatta. Istruzione pubblica, sanità pubblica e pubblica assistenza siano dunque riservate al "terzo debole", i liberi e forti capaci di correre più velocemente provvederanno con criteri privatistici alla propria istruzione e alla propria sanità.

Quest'Italia, questi italiani del tutto e subito, puntano anche sul miracolo, sulla vincita improvvisa, sulla lotteria, che sono altrettante scorciatoie verso la felicità.

Infine: quest'Italia è anche individualmente generosa per quanto invece è collettivamente avara ed anche crudele in nome dell'efficienza. L'efficienza deve contenere una sua spietatezza poiché questa è la garanzia del migliore impiego delle risorse e quindi anche della successiva equità sociale.

Aggiungo per finire questa prima "scheda", che questi italiani contribuiscono robustamente a far girare la ruota dei meccanismi sociali. Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. E ancora: una siffatta tipologia c'è al Nord come al Sud, la si ritrova in tutti i ceti e in tutte le età. Spesso convive nello stesso individuo con la tipologia opposta poiché le contraddizioni sono un tratto presente nell'umana natura.

* * *

Non ho dato, ovviamente, alcun giudizio di valore nella descrizione di un tipo di italiano, né potevo darlo. Ma vediamo per grandi linee la tipologia contrapposta.

C'è un'Italia per la quale la felicità immediata non deve compromettere quella futura. Accanto al diritto individuale alla felicità c'è il diritto delle generazioni che seguiranno ad ereditare le risorse accantonate anche per loro. Si parla molto in questo periodo dei diritti dell'embrione e se ne parla a proposito e a sproposito. Ebbene, esiste anche, eccome se esiste, una società embrionale, generazioni ancora bambine o non ancora concepite, i cui potenziali diritti divengono doveri per gli adulti di oggi.

Per questa Italia le istituzioni e lo Stato debbono darsi carico di far valere questi doveri e debbono farlo attraverso regole e normative che valgano per gli individui e per le istituzioni medesime. La cosiddetta società da bere suscita in questi italiani una viva diffidenza. A torto o a ragione essi la fanno coincidere con un processo di dilapidazione di quel fondo di risorse che funge da presidio e da lascito per le generazioni future e va perciò amministrato con oculata prudenza.

Quest'Italia si appassiona anch'essa alla libera competizione ma non accetta che l'equità sociale venga dopo. L'equità è, in questa visione del bene comune, un elemento fondante che dev'essere contestualmente presente e far parte delle condizioni di gara. Il valore dell'eguaglianza si materializza attraverso una costante analisi delle posizioni-occasioni di partenza che debbono essere assicurate a tutti dall'intervento regolatore e moderatore delle pubbliche istituzioni. Giustizia e libertà insieme sono due valori portanti; l'uno non può sopravvivere senza l'altro, in mancanza di che si crea un danno irreparabile a tutti e a ciascuno.

Quest'Italia, proprio perché modula la felicità presente con quella futura, ha una concezione del tempo assai meno istantanea e una più vigile percezione dei processi storici. Custodisce quindi una sua memoria che rafforza l'identità collettiva. E' tuttavia possibile che il complesso di questi connotati indebolisca in qualche misura quella "spietatezza sociale" che ravviva lo spirito di intrapresa.

Ho già avvertito prima che le due tipologie qui descritte in controluce possono ed anzi sicuramente sono presenti anche nello stesso individuo. Comunque si intrecciano all'interno delle società in misura direttamente proporzionale alla loro complessità. Il problema non è ovviamente quello di abrogare l'una o l'altra di queste due Italie, ma di capire in quali fasi storiche l'accento dominante cada sull'una piuttosto che sull'altra e di mantenere in ogni caso condizioni aperte alla reversibilità dell'una al posto dell'altra.

* * *

Non è neppure il caso di avvertire, e lo osservo soltanto per completezza d'informazione, che le due tipologie qui descritte, con le numerose varianti che ciascuna di esse contiene, sono presenti in tutte le società moderne ed evolute. Ci sono due Americhe che si contrappongono, due inglesità, e così via in Francia, in Spagna e in tutto l'Occidente la duplice polarità è un dato di realtà ed è essa che sta alla base dei valori occidentali.

Credo non sia azzardato dire che la prima tipologia qui descritta sia stata all'origine delle fortune politiche del berlusconismo e che la seconda si riconosca nel centrosinistra. L'accoglienza riservata ieri pomeriggio a Romano Prodi al Palalottomatica ne è un'efficace conferma. Se oggi si colgono al centrodestra alcuni segnali di crisi ciò dipende dal fatto che una parte almeno delle aspettative suscitate sono appassite, si sono rivelate fallaci, da parte di molti sono addirittura apparse menzognere.

Per questo da qualche tempo Berlusconi è su una sorta di graticola politica: i suoi alleati, ma soprattutto una parte non trascurabile dei suoi elettori, si sono sentiti in qualche modo traditi; la felicità promessa a corta scadenza non si è realizzata; al contrario sono emersi consistenti segnali d'impoverimento individuale e sociale, disfunzioni del sistema, fondati timori che alcune delle previste riforme accrescano il disagio invece di lenirlo.

Direi che il pendolo tra una "dominante" e l'altra si stia spostando e di conseguenza potrà forse spostarsi l'esito elettorale. Il centrosinistra ha imboccato finalmente la via maestra. Veda ora di non smarrirla. Quanto al problema dell'odio, ha ragione chi lo rifiuta ed esorta a rifiutarlo. Resta il fatto che, tra i tanti problemi che ogni paese deve risolvere e noi come gli altri, ne abbiamo uno tutt'altro che trascurabile; noi abbiamo infatti da risolvere anche il problema Berlusconi e l'anomalia con la quale egli fa tutt'uno e che infatti non esiste in quelle proporzioni in nessun paese del mondo evoluto.

Nessuno dei suoi avversari politici lo odia. Alcuni hanno addirittura tentato - sbagliando - di costituzionalizzarlo. Ma non è costituzionalizzabile perché la sua è un'anomalia permanente. Saperlo e ricordarlo non è segnale di odio ma semplicemente di regola del gioco. Con lui purtroppo le regole non valgono per la semplice ragione che non le rispetta e non le ha mai rispettate. Perciò con lui non si può giocare e se ne stanno ora accorgendo anche i suoi alleati e i suoi elettori.

(15 febbraio 2004)

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