E finalmente, dopo tre anni di bugie, di barzellette, di malgoverno e di non governo, di propaganda demagogica, che hanno portato il paese al punto più basso della sua storia morale e politica, anche per la spettabile ditta Berlusconi-Tremonti è arrivato il momento della verità. Delle spalle al muro.
Della scelta senza appello. Un doppio appuntamento, politico-elettorale ed economico-finanziario. Affrontati entrambi, bisogna dirlo, con intelligenza e furberia; due scommesse molto rischiose e strettamente legate l´una all´altra, sulle quali la spettabile ditta gioca il tutto per tutto. O la va o la spacca, questione di settimane. Il 13 giugno sapremo se la giocata uscirà dalle urne vincente o perdente. Del resto non avevano alternative.
Tutto è cominciato dal rapporto deficit/Pil e dalla lettera di ammonimento che la Commissione di Bruxelles ha l´obbligo d´inviare ai governi di quei paesi che hanno superato la soglia del 3 per cento del suddetto rapporto, imposta dal patto di stabilità europeo.
Secondo il nostro governo quella soglia è ora stimata al 2.96 per cento; basterebbe un peggioramento minimo, di appena 140 milioni di euro (280 miliardi di vecchie lire) per varcarla. Secondo le valutazioni della Commissione di Bruxelles ne siamo già oltre, al 3.2. Secondo il Ragioniere dello Stato, massima autorità in materia, siamo già al 3.5.
Altri Paesi europei, Francia Germania Gran Bretagna per nominare i più importanti, si sono trovati e alcuni ancora si trovano in analoghe condizioni, ma con una differenza fondamentale rispetto a noi: il loro debito pubblico è molto inferiore a quello italiano. Inferiore al 60 per cento del Pil che è il limite massimo fissato dal trattato di Maastricht. L´Italia è al 106 per cento, il doppio. Perciò l´Italia (non per malizia di Prodi e della Commissione da lui presieduta) è in libertà vigilata. Qualora superasse la soglia del 3 per cento e ricevesse la lettera di ammonimento già scritta e in attesa di essere spedita a Palazzo Chigi subito dopo il 13 giugno, le conseguenze sulla nostra posizione finanziaria sarebbero molto gravi. Le agenzie di "rating" abbasserebbero la valutazione dei titoli emessi dal Tesoro. Il loro prezzo sul mercato registrerebbe uno scossone al ribasso. Gli oneri degli interessi aumenterebbero contestualmente. Tutta l´opera paziente e tenace di risanamento effettuata a suo tempo da Ciampi ne uscirebbe distrutta come in parte è già avvenuto per quanto riguarda l´avanzo di bilancio delle partite correnti, passato in tre anni dal 5 al 2 per cento
Ecco perché questa complessa vicenda è cominciata da lì: dalla necessità urgente d´intervenire per trattenere il rapporto deficit/Pil al di sotto della soglia per noi fatale e non superabile. Prima del 13 giugno. Prima che la lettera imbucata a Bruxelles con destinazione Roma arrivi a destinazione.
Tremonti sa che continuare con i giochi di prestigio della finanza creativa gli è precluso per due ragioni: Bruxelles non li considererebbe validi ai fini del patto di stabilità e l´ha già fatto sapere in accordo con le valutazioni del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale europea. E poi non c´è più granché da inventare in tema di finanza creativa: tutti i condoni possibili sono stati già effettuati, tutta la legna è diventata cenere. Questa volta bisogna fare sul serio: tagliare spese effettive in misura adeguata. E strutturale. Non si possono però toccare né la spesa sociale (sanità, assistenza), né la scuola, né la sicurezza, né le spese militari, né le pensioni in corso di erogazione. Ne risulterebbero effetti sociali e politici devastanti. In più, anzi in sovrappiù, Berlusconi per rimontare la china d´una fiducia che da mesi è in caduta libera, deve assolutamente tagliare le tasse prima del 13 giugno poiché questo è il solo strumento rimasto nelle sue mani per evitare la catastrofe elettorale, la sconfitta alle elezioni europee, la sconfitta alle regionali in Sardegna, alle comunali di Bologna, di Padova, forse di Bari, forse alla Provincia di Milano. Insomma una débacle che continuerebbe poco dopo a Catania alla Regione Liguria, alla Regione Piemonte.
Perciò bisogna tagliare le imposte e prima tra tutte l´Irpef.
Dai primi calcoli sembrava che l´operazione potesse esser contenuta nella misura di 6 miliardi di euro. Ma Fini e Follini avvertirono: con quella cifra si possono a stento alleggerire le imposte sui ceti più deboli, quelli al di sotto dei 20 mila euro di reddito annuo. Se si vuole dare un sia pur modesto acconto ai contribuenti dei ceti medi, dai 20 ai 60 mila euro di reddito annuo, bisogna raddoppiare la cifra complessiva: non 6 ma 12 miliardi. Il rebus è stato a questo punto girato a Tremonti. Risolverlo sembrava impossibile anche per la sua mente fertile di grande «imbroglione».
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E invece no. La trovata del grande «imbroglione» è stata la seguente.
Un decreto-legge con effetto immediato taglierà la spesa per incentivi alle imprese private e pubbliche per 12 miliardi di euro. Per le pubbliche il taglio riguarda soprattutto le Ferrovie. Per le private, tutte quelle che hanno accesso alle varie formule e leggi incentivanti a cominciare dalle dazioni a fondo perduto sui nuovi investimenti, sulla creazione di nuovi posti di lavoro, sull´emersione dal "sommerso", eccetera.
Un taglio secco di 12 miliardi e mezzo con effetto immediato sulla cassa del Tesoro e in gran parte anche sulla competenza dell´esercizio 2004.
Bruxelles ne sarà felice, il rapporto deficit/Pil resterà decisamente sotto il 3 per cento, la lettera di ammonimento non partirà, gli oneri del servizio del debito pubblico non aumenteranno.
Certo le imprese strilleranno a più non posso. La Confindustria per la prima volta nella sua storia di un secolo dissotterrerà l´ascia di guerra contro un governo in carica. E la diminuzione delle imposte, altro essenziale elemento del rebus affidato al ministro dell´Economia? Tranquilli. Bisogna distinguere nettamente tra le impellenti necessità dell´esercizio finanziario 2004 e quelle dell´esercizio 2005. Nel primo si fa il decreto sul taglio degli incentivi con effetto immediato. Nel secondo, con decorrenza dal gennaio 2005, si tagliano le tasse per 12 miliardi e si apre una linea di crediti ventennali e trentennali dalla Cassa Depositi e Prestiti Spa (ormai messa fuori dal bilancio dello Stato pur essendo posseduta interamente dallo Stato) verso le imprese che beneficiavano degli incentivi a fondo perduto.
Lo sgravio fiscale sarà finanziato in parte con il taglio già effettuato degli incentivi, in parte con la vendita del patrimonio immobiliare per l´ammontare di 21 miliardi, in parte con la sperata crescita del Pil e quindi del gettito fiscale provocato dal taglio dell´Irpef.
Tutti contenti: i contribuenti che pagheranno meno tasse, le imprese che riavranno, sia pure sotto forma di prestiti a lungo termine e a basso tasso d´interesse (mezzo percento) gli incentivi tagliati nel 2004, il Tesoro che avrà evitato in curva lo sfascio finanziario, Berlusconi che avrà potuto mantenere il punto più delicato e più atteso del suo contratto con gli italiani, la Casa delle libertà in tutte le sue componenti che utilizzeranno questa messe di argomenti favorevoli per riguadagnare il consenso degli elettori. E infine Tremonti: risolvere un rebus gremito di ostacoli e di incognite con questa eleganza formale e sostanziale non era da tutti. Lui ci è riuscito, alla faccia di chi gli vuol male.
Dov´è l´imbroglio?
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Tra il taglio degli incentivi (immediato, entro il corrente mese di maggio) e il taglio delle imposte che scatterà nel gennaio 2005 ci sono sette mesi.
Egualmente sette mesi passeranno tra il taglio degli incentivi e l´entrata in funzione del fondo per i prestiti alle imprese gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Tremonti punta sull´ipotesi che la congiuntura cominci a tirare anche per l´Europa e per l´Italia e quindi che aumentino i consumi, gli investimenti, le esportazioni, l´occupazione, la produttività.
Naturalmente ci vuole un tempo tecnico di almeno un anno. Diciamo che i primi effetti di queste misure si potranno vedere a fine 2005, inizio 2006.
Nel frattempo Tremonti spera che si capovolgano le aspettative in seguito all´effetto d´annuncio dell´intero piano. Se le aspettative passeranno dalla sfiducia alla fiducia entro maggio, ci sarà un effetto politico positivo di carattere elettorale e un effetto economico positivo sugli investimenti in previsione dell´aumento dei consumi. Questa è la scommessa della spettabile ditta B. T.
Naturalmente occorre che nel frattempo non ci sia un aumento dei tassi di interesse in Europa e neppure in Usa, che l´inflazione resti sotto controllo, che il prezzo del petrolio scenda almeno da 40 a 30 dollari al barile, che il dollaro non si deprezzi ma anzi si apprezzi riportando il cambio sull´euro per stimolare esportazioni e competitività.
Se tutto andrà così, tutto andrà bene. Per loro, ma anche per l´economia italiana. Bisognerà dirgli bravi, sia pure a denti stretti.
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Ma ci sono anche elementi negativi e sono i seguenti.
Nei setti mesi che passeranno tra il taglio degli incentivi e il taglio delle imposte ci sarà, oggettivamente, un effetto restrittivo sulla domanda.
Dodici miliardi di spese in meno non sono bruscolini: 24 mila miliardi di vecchie lire rappresentano in un´economia senza crescita un elemento deflattivo non da poco.
Gli imprenditori che si vedranno diminuire l´ossigeno degli incentivi cambieranno le loro aspettative da negative in positive? Ho fondati dubbi che questo avvenga. Sette mesi all´addiaccio sono una notte piuttosto lunga da passare in fondo alla quale la prospettiva è poi quella di doversi ulteriormente indebitare sia pure ad un tasso simbolico. Ma se nel frattempo il livello dei tassi in Usa e in Europa dovesse aumentare, il che è abbastanza probabile? Quali diverse aspettative si metteranno in moto in quel momento? Puntare sulle esportazioni, come ha fatto la Germania nei mesi scorsi con notevole successo per il sostegno della domanda, è molto rischioso in un´Italia precipitata in tre anni al 51? posto nella classifica mondiale della competitività. Le speranze vanno concentrate dunque su consumi e su investimenti. Ma quali sono le politiche di sostegno? Il taglio degli incentivi, sia pure sostituiti in seconda battuta da prestiti, non è propriamente un sostegno, al contrario. L´effetto restrittivo delle spese tagliate nei sette mesi di vuoto non è propriamente un sostegno, al contrario.
La riduzione fiscale di 350 euro l´anno sui redditi da 10 a 20 mila euro e i 590 sui redditi da 20 a 30 mila euro sono gocce. Serviranno a rilanciare i consumi? Con 590 euro si comprano un paio di magliette o un pullover. Con 350 ci si paga un paio di cene di famiglia in pizzeria.
I vantaggi sono più consistenti per i redditi da 40 mila euro in su, ma non per cifre da euforia, siamo a 5 milioni di vecchie lire annue di risparmio d´imposta, che diventano 9 milioni oltre i 60 mila euro di reddito. Ma a quei livelli il numero dei beneficiari si assottiglia fino a diventare sottile ai livelli ulteriori.
Che cosa ne farà la platea dei beneficiati di queste cifre risparmiate sull´imposta? Aumenterà i consumi? Rimborserà i debiti? Aumenterà il risparmio? Comprerà le obbligazioni che intanto avranno invaso il mercato per assicurare i finanziamenti, i prestiti, le sofferenze bancarie sempre più numerose e pesanti?
Se queste saranno le aspettative, come non è affatto da escludere, la scommessa della spettabile ditta B. T. farà flop e allora non ci sarà un´altra prova d´appello perché questa è l´ultima che il calendario politico economico e finanziario le accorda.
Ecco dov´è l´imbroglio: nell´estrema fragilità e rischiosità della scommessa. Ho chiesto ad un economista italiano che è anche un alto dirigente di Autorità monetaria e quindi uomo di pratica oltre che di teoria: tu a quanto la dai? Ci ha pensato un momento e poi ha risposto: al 50 per cento.
La spettabile ditta B. T. gioca dunque al rosso e nero con l´economia nazionale. Questa è la loro politica, da sempre. Così inviarono le truppe in Iraq nella speranza che finita la guerra, il dopoguerra si svolgesse all´insegna del pane e delle rose. Lì purtroppo la scommessa è andata malissimo. Ora vediamo questa e sia l´ultima.