Forse più di altri elettori, noi urbanisti di sinistra (possiamo ancora chiamarci così?) dovremmo essere allarmati e impauriti dalla probabile vittoria della destra di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. La prossima legislatura potrebbe essere quella che promulga la fine del governo pubblico del territorio, la sua irreversibile privatizzazione, la resa senza condizioni agli interessi fondiari. Devo ricordare che, nella primavera del 2005, la maggioranza di centro destra della Camera, con il sostegno di 36 deputati di centro sinistra, e con il complice silenzio della grande stampa, approvò il cosiddetto disegno di legge Lupi. Oltre alla cancellazione degli standard urbanistici, a un indiscriminato incentivo al consumo del suolo e a tanti altri danni, quella proposta prevedeva che le decisioni in materia di urbanistica finora di esclusiva competenza pubblica fossero sostituite da atti negoziali, cioè concordati con la proprietà immobiliare. Solo grazie alla mobilitazione nostra, all’impegno implacabile di eddyburg e all’anticipata conclusione della XIV legislatura fu scongiurata la definitiva approvazione del provvedimento da parte del Senato. Nei mesi del governo Prodi, parlamentari di sinistra e di centro sinistra hanno presentato proposte alternative alla legge Lupi, alcune riprendendo dichiaratamente il testo elaborato da eddyburg nella primavera del 2006. Ma prima dello scioglimento delle camere era solo iniziato il dibattito in commissione al Senato.
Perciò siamo punto e a capo. Si pone allora il problema di come dobbiamo votare per avere una ragionevole certezza di non ritrovarci nuovamente schiacciati dall’incubo della legge Lupi. Per quanto posso capire, il partito democratico è un interlocutore fondamentale per la costruzione, nel governo del Paese e delle realtà locali, di maggioranze di centro sinistra. E in quel partito militano amministratori di alto profilo, come Renato Soru. Ma sappiamo anche che, purtroppo, prevalgono, in quella compagine, posizioni e sensibilità che non possiamo condividere. A cominciare dalla disponibilità a larghe intese e a programmi comuni con la destra, disponibilità suffragata dalla dichiarazione del leader che “non ci sono due Italie ma una sola”. Il risultato non sarebbe Berlusconi ma il berlusconismo (e nel berlusconismo può legittimamente rientrare la legge Lupi). D’altra parte non è lontano dal berlusconismo quell’“ambientalismo del fare” a banda larga che tanto credito raccoglie nel partito democratico. Dobbiamo aggiungere la diffusa attitudine per l’urbanistica contrattata di molte amministrazioni locali a maggioranza di centro sinistra, la subordinazione a spericolate operazioni urbanistiche (come i grattacieli di Torino) garantite solo dalle firme di archistar che vengono accreditati come importanti maître à penser. Per non dire di quelle regioni governate dal centro sinistra che si oppongono con argomenti da lega nord all’approvazione dell’ultima stesura del Codice dei beni culturali e del paesaggio, un testo che finalmente restituisce indispensabili prerogative allo Stato.
Un efficace antidoto alle tentazioni e ai cedimenti che attraversano il partito democratico può essere una forte e autorevole presenza di eletti nelle liste la sinistra l’arcobaleno. Ed è a questa nuova formazione – che raccoglie, com’è noto, quanti provengono da rifondazione, dalla sinistra democratica (ex Ds), dai comunisti italiani e dai verdi – che propongo sia destinato il nostro voto. Da almeno tre lustri non sottoscrivo appelli al voto alle elezioni politiche, mi sono sempre dichiarato indipendente. Stavolta mi pare che ci si debba schierare. Non senza inquietitudini. In primo luogo, perché, come ha dichiarato Marco Revelli in una lucidissima intervista al manifesto, la nuova sinistra “è una sinistra dai riflessi spaventosamente lenti, che stenta a cogliere la dimensione di quello che sta succedendo. La svolta impressa dal Pd sconvolge tutta la mappa delle identità politiche italiane. É una liquidazione chiarissima, esplicita e credo irreversibile, perfino del concetto di centrosinistra”. “Se l’alternativa di sinistra vuole essere davvero «nuova» – continua Revelli – dovrebbe misurarsi con una società trasformata nel profondo, essere capace di superare vecchi dogmi (come quello sviluppista) o il modello di partito burocratico novecentesco, o almeno di metterli apertamente in discussione. Invece mi sembra di assistere a una sorta di congelamento delle idee di fronte alle minacce, e al prodromo, della liquidazione della sinistra tout court”.
Anche nel merito specifico delle questioni che più interessano in questa sede, non manca il disagio riguardo a la sinistra l’arcobaleno. Perché se è vero che ai partiti che confluiscono nella nuova formazione si devono alcune esperienze di buon governo del territorio, sappiamo anche che non sono state poche le occasioni nelle quali esponenti della sinistra e dei verdi hanno sostenuto scelte e operazioni insostenibili, a cominciare dal recentissimo voto a favore del piano regolatore di Roma, il piano del nuovo sacco della capitale. E non mancano le loro responsabilità anche nella rovina di Napoli e della Campania sommerse dai rifiuti e in altre non lodevoli vicende. Ma tant’è. Non è questo il momento per rifugiarsi nell’astensione, né possiamo assistere attoniti all’estinzione della sinistra.
24 febbraio 2008