Roberta Carlini ha scritto che la finanziaria non spiega a sufficienza se l'obiettivo finale sia il risanamento o lo sviluppo, nè quale scelta vi sia tra welfare e mercato. Forse questo non era il compito di un provvedimento finanziario. Ma è certo compito della politica spiegare quale sviluppo si intenda perseguire superata l'esigenza impellente del risanamento finanziario,e quale rapporto si intenda costruire tra welfare e mercato. E una politica economica che non spiega se stessa non sollecita a schierarsi chi dovrebbe difenderne gli strumenti: su questi si mobilitano gli interessi colpiti (anche se in modo del tutto marginale, e là dove i margini per tagliare sarebbero ampi), mente restano inerti i cittadini interessati a sostenerla poichè non comprendono per quali prospettive debbano farlo.
Il fatto è che i cittadini non sanno quali siano, nel concreto, i costi della società, come siano composti, quali siano riducibili e quali no, quali giusti e quali ingiusti. Così come non sanno mediante quali canali, diretti e indiretti, si drenano i soldi per pagarli, e da quali tasche essi scaturiscano. Nella seconda edizione della Scuola di Eddyburg abbiamo affrontato (dopo quattro sessioni spese a illustrare problemi e soluzioni possibili per la casa, l’ambiente,la mobilità, le politiche pubbliche) un argomento cruciale: chi paga i costi della città?
Una cosa è emersa con chiarezza. Una parte troppo alta del costo della città va alla rendita, cioè a quella forma di reddito che, come ha scritto di recente Giorgio Lunghini, “non crea nessun valore: è una sottrazione al prodotto sociale, senza nessun corrispettivo e legittimata soltanto dal diritto di proprietà”. La rendita erode salario e profitto. La tassa occulta che essa costituisce incide pesantemente sull’affitto, ricade sul costo delle merci e dei servizi. La facilità di fruirne ha spinto il capitale industriale a spostare le sue risorse dall’innovazione e dalla ricerca verso gli investimenti finanziari e immobiliari,condannando l’economia del Paese alla stagnazione. Qualcuno oserebbe opporsi alla lieve incisione sulla rendita compiuta con la finanziaria se tutti avessero presenti queste verità?
Si è anche discusso (alla Scuola di Eddyburg e nelle polemiche a proposito di finanziaria) del ruolo degli enti locali: hanno ancora senso le Province, e non costa troppo una democrazia così articolata (quattro livelli di governo) come quella italiana? Sulla stampa quotidiana un ottimo articolo di Diego Novelli,già sindaco di Torino e valoroso parlamentare, ha ricordato come il Parlamento avesse deciso, alla fine degli anni Novanta, una riforma degli enti locali che ne prevedeva la razionalizzazione, e come quella riforma non fosse stata attuata per tiepidezza dei partiti e per il rifiuto dei sindaci dei grandi comuni (Rutelli, Bassolino, Castellani: Roma, Napoli, Torino) a cedere i loro poteri.
I sindaci di oggi protestano per i tagli ai bilanci comunali. La loro protesta avrebbe maggior sostegno se rendessero trasparenti i bilanci, se dissipassero i veli ragionieristici che li rendono incomprensibili ai cittadini. Se pubblicassero, ad esempio, l’elenco delle consulenze con i relativi importi e il rendiconto dell’attività svolta. Se rendessero esplicito quanta parte delle spese sostenute per i Grandi Eventi che hanno dato lustro alla città è venuta dal bilancio dello Stato (quindi dalle tasche di tutti i cittadini). E se, prima di gloriarsi per l’aumento del numero dei turisti e di investire risorse per eventi che ne attirino altri, spiegassero ai cittadini quanto costa ogni city user: chi paga (e quanto paga di tasse) per le spese che la città sostiene, e chi guadagna (e quanto paga di tasse) chi ne cattura i soldini.
Vogliamo "bilanci partecipativi"? Non chiediamo tanto, ci basterebbero bilanci trasparenti per tutti, non solo per i padroni della città.
L'immagine di Sergio Staino è tratta dal sito del Comune di Empoli (Firenze)