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Eddytoriale 95 (28.10.2006)
10 Giugno 2008
Eddytoriali 2006
C’è senza dubbio il problema di ridurre il vulnus al paesaggio della Val d’Orcia provocato dal nuovo insediamento. Ma l’effetto più positivo della polemica, provvidamente sollevata da Alberto Asor Rosa, è stato quello di porre all’attenzione dell’opinione pubblica un problema che è centrale. In Italia, mentre è aumentata la sensibilità per il valore del paesaggio, non è cresciuta in ugual misura l’attenzione delle amministrazioni pubbliche (e delle forze politiche che ne sono le ispiratrici) per quei valori.

L’episodio di Monticchiello ha particolarmente colpito perché è avvenuto in Toscana, regione che si colloca tra quelle che hanno espresso maggiore considerazione per la ricchezza costituita dalla qualità dei paesaggi. Così da Monticchiello il ragionamento si è allargato ma si è rimasti prevalentemente nella stessa regione: la Toscana felix è diventata la Toscana in bilico, si è scritto. Eppure basterebbe scendere un poco più a Sud (dal Lazio alla Campania, dalla Puglia alla Calabria) o un poco più a Nord (l’orribile conurbazione padana che sta divorando dimore storiche e campi come un mostruoso blob) per rendersi conto che altrove il danno al Belpaese è ben più grave di quello che nella Val d’Orcia si è svelato. Riflettere sul danno toscano può allora aiutare a comprendere che cosa fare per evitare, o almeno ridurre, quello italiano.

Molti ritengono che una delle cause dei numerosi scempi di brandelli del paesaggio sta nel fatto che la Regione Toscana ha attribuito troppo potere ai comuni, affidando loro qualcosa (il paesaggio) di cui la Costituzione attribuisce la tutela allo Stato. Hanno ragione. Esiste, ed è centrale nel governo del territorio, la comunità locale. Ma non è l’unica. Ciascuno di noi appartiene a cerchie via via più vaste di comunità: esiste il comune dove sono nato o dove abito e lavoro, e poi esiste la provincia (il “contado”, diceva Carlo Cattaneo), la regione, la nazione, l’Europa… Ciascuna di queste comunità è titolare del bene paesaggio, il quale non può essere privatizzato, gestito e goduto in esclusiva, da nessun individuo e neppure da nessuna comunità che ne escluda le altre.

Certo, la comunità più vicina, che del paesaggio è anche componente e diretta custode, ha maggiori responsabilità. Ma non è l’unica responsabile. E se opera male, se non tutela ciò che a lei spetterebbe tutelare, altre hanno il dovere di intervenire.

Le leggi hanno il compito di regolare i modi in cui le responsabilità devono equilibrarsi: senza esclusività per nessuno dei livelli di comunità cui la nostra costituzione attribuisce sovranità popolare. Pessima è una legge che attribuisca troppo potere a uno dei livelli, cancellando la responsabilità degli altri. E in Italia abbiano esempi di leggi pessime sia in una direzione sia nell’altra.

Il vizio di assolvere ai propri compiti scaricandoli su altri livelli non è peraltro solo della Toscana. Le tendenze cosiddette “federaliste” (come se federalismo non significasse associare invece che dissociare), così come l’interpretazione alla Bossi del principio di sussidiarietà (tutto il potere al basso), sono stati bandiere che tutto il centro sinistra ha sventolato, per tentar di distogliere dal fronte avversario qualche manipolo di leghisti.

Così come non è certamente solo toscano (anzi, questa Regione è ricca di esperienze alternative) la riduzione dell’intero concetto di sviluppo (morale, culturale, sociale, estetico…) al solo sviluppo economico inteso come mera crescita della produzione di merci.

In quanti comuni e regioni d’Italia non domina la concezione che costruire di più, a prescindere da qualsiasi dimostrato bisogno, è un bene per tutti, è qualcosa che ad ogni costo deve essere perseguito? E che semmai (per i benpensanti) si tratta di mitigare, ammorbidire, rendere sopportabile (anzi, travisando i termini, “sostenibile ambientalmente, economicamente, socialmente”) ogni inutile costruzione di case, capannoni, infrastrutture.

Considerare davvero, al di là delle chiacchiere, il territorio un bene comune comporterebbe di tener conto di entrambi gli aspetti: le responsabilità della tutela non spettano a un solo livello di governo, esistono valori che non soltanto non sono riducibili al valore di scambio e alla crescita economica, ma che vengono prima.

Si tratta di due principi che sono ormai presenti nel diritto come nella cassetta degli attrezzi del governo del territorio. In particolare, nel nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio, che è il punto d’arrivo di un’elaborazione culturale e giurisprudenziale che è partita con la cosiddetta Legge Galasso. E i governanti della Regione Toscana hanno replicato alla tempesta sollevata a partire da Monticchiello non solo arroccandosi nel tabù dell’intangibilità della piena e indiscriminata autonomia dei comuni (soprattutto il presidente Martini), ma anche (soprattutto l’assessore Conti) indicando come strada per “superare” Monticchiello quello della pianificazione territoriale e dell’intesa in proposito con lo Stato.

Ma bisogna intendersi. Un piano che voglia avere le caratteristiche del piano paesaggistico prescritto dal Codice non può essere un compendio di analisi o una raccolta di esortazioni o un’antologia di racconti, ma deve definire, individuare e regolare precisamente ciò che il Codice prescrive. Esso deve individuare col massimo dettaglio possibile i beni meritevoli di tutela, sia quelli appartenenti a determinate “categorie” (boschi, spiagge, dune, falesie, alvei fluviali, golene, rocche, casali, campi e trame agrarie, filari e piantate, percorsi storici …), sia quelli che, per la particolare identità che l’intreccio tra storia e natura ha determinato, compongono determinate riconoscibili unità di paesaggio (come la Val d’Orcia). Deve individuarli in modo preciso e disciplinarne l’uso e le trasformazioni consentite in termini tassativi, non perorativi o suggestivi,e dove è necessario con efficacia immediata.

I precetti relativi ai beni di rilevanza regionale e nazionale devono poi prolungarsi nelle direttive la cui traduzione in regole è affidata alla pianificazione sottordinata (provinciale e comunale), nei confronti della quale la regione ha una duplice ulteriore responsabilità: quella di sostenerla materialmente, consentendo alle comunità di minore capacità di dotarsi degli indispensabili strumenti tecnici per la pianificazione, e quella di verificare che le prescrizioni e le direttive siano rispettate.

E’ questo il piano che Toscana e Ministero dei beni e delle attività culturali hanno deciso di formare? Se è così, “schifi” come quello di Monticchiello potranno essere scongiurati. In Toscana e – se il Ministero per i beni culturali farà il suo mestiere e applicherà con rigore e fedeltà il Codice senza bisogno di altri Monticchielli – nelle altre regioni italiane. Altrimenti…

Qui alcune immagini del paesaggio di Monticchiello

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