La prima parte del corso è stata dedicata ai fondamenti: richiami ad alcune nozioni essenziali per collocare correttamente il planner nei contesti nei quali si troverà ad operare. Si forniscono i testi di alcune lezioni e collegamenti ai powerpoint utilizzati. Gli argomenti: L'etica dell'urbanista, L'ordinamento della Repubblica italiana, la politica, la rendita. Si inserisce altresì alcuni materiali della terza parte del corso, nella quale si sono forniti alcuni strumenti.
L’ETICA DELL’URBANISTA
lezione del 15 febbraio 2007
Ogni mestiere ha una sua moralità.
Il mestiere è l’applicazione di un determinato sapere e di una determinata abilità a un’azione rivolta alla soluzione di una determinata esigenza posta da un determinato soggetto individuale o collettivo.
La moralità di un mestiere sta nell’impiegare quelle doti (sapere e abilità) al corretto soddisfacimento di quella esigenza così come questa si manifesta in relazione al soggetto che ne è il portatore.
La moralità di un mestiere implica il concetto di responsabilità: devo essere pronto a rispondere delle scelte che compio nello svolgere il mio mestiere.
La moralità di un mestiere è in sostanza la corretta applicazione di quel mestiere in relazione alla natura propria di quel mestiere, non alle applicazioni che di quel mestiere possono essere fatte per finalità diverse.
La corretta applicazione del mestiere può quindi anche essere diversa da quella che viene richiesta da un determinato soggetto. Se io vado dal medico e gli dico impiega il tuo sapere per aiutarmi a far star male questo mio nemico, lui non deve servirmi. Se vado dal fabbro e gli chiedo di scassinare una porta perché voglio entrare in una casa non mia e portare via qualcosa, lui non deve servirmi.
Per comprendere in che cosa consiste la moralità del mestiere dell’urbanista bisogna allora comprendere in che cosa consiste il mestiere dell’urbanista.
Riprenderò a questo proposito alcune connotazioni del mestiere dell’urbanista che ho enunciato nella lezione introduttiva di questo corso di laurea: garante degli interessi collettivi, portatore di una visione olistica della realtà, regista di saperi e mestieri diversi, collaboratore tecnico della politica.
Garante degli interessi collettivi
Nella città e nel territorio esistono e agiscono molteplici interessi. Si tratta di interessi spesso concorrenti, soddisfare l’uno significa non soddisfare l’altro. Prima ancora d scegliere tra i diversi interessi, occorre che tutti abbiano ugualmente modo di esprimersi, di essere rappresentati. Ora non tutti gli interessi che agiscono nella città e nel territorio sono ugualmente garantiti, difesi, rappresentati.
Sono certamente sostenuti gli interessi più potenti: quelli delle grandi proprietà immobiliari, che spesso appartengono a istituti di credito e ad altre componenti del mondo della finanza,e sempre più spesso a industrie che tentano di guadagnare con la valorizzazione immobiliare delle loro fabbriche, magari trasferendole dove le aree (e magari la mano d’opera) costano meno. Lo sono quelli delle aziende produttrici, in particolare di quelle che hanno a che fare con l’edilizia. Lo sono quelli dei commercianti, nelle città turistiche quelli degli albergatori e del mondo che attorno al turismo gravita. Si tratta comunque, in ogni caso, di interessi economici riferiti a una categoria particolare, e a una prospettiva temporale di breve periodo.
Cominciano a essere presenti gli interessi delle associazioni ambientaliste e di piccoli gruppi di pressione e d’orientamento. Ma si tratta di presenza il più delle volte deboli, su base volontaristica e spontanea, difficilmente capaci di durare nel tempo lungo delle decisioni amministrative, scarsamente dotati delle informazioni tecniche necessarie per valutare le scelte.
Una volta gli interessi generali erano rappresentati dai partiti politici. Questi avevano un disegno di prospettiva, proponevano un progetto di società di lungo periodo, e anche nell’azione amministrativa (che è riferita alla durata del mandato elettorale, cioè generalmente cinque anni) erano coerenti a quel progetto sociale.
Oggi i partiti sono tendenzialmente appiattiti sul breve periodo: domina la preoccupazione di ottenere il maggior numero possibile di voti alle prossime elezioni, ed è più facile ottenere consenso promettendo cose che possano essere realizzate nel breve periodo. Un bel progetto architettonico o un pezzo di superstrada “pagano” di più che un buon piano regolatore: Ma il futuro di un territorio dipende da un buon disegno e programma d’insieme, mentre è certamente compromesso da scelte casuali, episodiche, slegate.
Io credo che in questa situazione all’urbanista spetti, più che mai, più di quando la politica era lungimirante, il compito di rappresentare gli interessi generali e gli interessi del futuro: gli interessi di tutte le cittadine e i cittadini in quanto tali, in quanto abitanti e utilizzatori del “bene comune città”. Quelli di oggi, e quelli di domani, che nessun gruppo sociale e nessuna istituzione rappresenta, e a cui è destinato il Pianeta Terra che noi lasceremo ai nostri posteri.
Portatore di una visione olistica della realtà
All’urbanista spetta anche un’altra responsabilità: quella di essere capace di guardare al territorio nel suo insieme, di avere una visione olistica, sistemica della realtà.
Il territorio è un sistema, un insieme di parti tra loro integrate:l’urbanista (per la sua formazione e per il mestiere per il quale è preparato) è, deve essere, capace di non perdersi nell’analisi e nella considerazione delle singole parti dimenticando il contesto al quale appartengono e che le fa vivere, ma deve anzi partire dal contesto, dall’insieme, dal tutto.
“Il tutto è più importante delle sue parti”, diceva il poeta Eugenio Montale. E un altro poeta, Dante Alighieri: “Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questa è forma che l’Universo a Dio fa somigliante”.
Al di là delle parole dei poeti, quello che comunque è certo è che le parti del territorio non si governano se non si comprende il tutto. Verità, questa, largamente dimenticata.
Il territorio è oggi, nel nostro paese, trasformato da interventi occasionali, sporadici, promossi da questa o da quella esigenza. Là un pezzo di strada, qui l’ampliamento di un porto, l’autorizzazione a un capannone industriale, la trasformazione di un magazzino in una discoteca. In un’area destinata dal piano regolatore a verde pubblico si costruiscono case per i militari, dove la golena del fiume deve essere protetta per timore di esondazioni e per far scorrere la corrente in caso di piene di costruisce una fabbrica.
È questo modo di operare, sollecitato dall’urgenza e permesso dalla miopia, l’urbanista deve ricordare che è così che si sono provocati le catastrofi che hanno funestato in più occasioni le nostre terre, che è così che si provocato il degrado di quello che una volta era chiamato il Belpaese.
E a questo modo che l’urbanista deve reagire, predicando e praticando una visione olistica, sistemica delle cose: quella visione che è espressa dal metodo e dagli strumenti della pianificazione, di cui fra poco ci occuperemo.
Regista di saperi e mestieri diversi
Ripeto: il territorio è una realtà complessa, e molti punti di vista (molti saperi e molti mestieri) sono impiegati per conoscerla, analizzarla, valutare le sue potenzialità e i suoi rischi. Ciò significa che il lavoro dell’urbanista, poiché ha a che fare con il territorio e il governo delle sue trasformazioni, deve collaborare con gli esperti di altre discipline, deve avvalersi dell’apporto di saperi e mestieri diversi dal suo. Il suo è un lavoro eminentemente interdisciplinare.
Ma tra le altre discipline l’urbanista svolge (là dove si cimenta con gli strumenti della pianificazione) due funzioni particolari.
Innanzitutto egli svolge un ruolo di coordinamento: il geologo e lo statistico, il programmatore e lo storico dell’ambiente, il fitogeografo e il sociologo, il giurista e l’economista collaborano con la regia dell’urbanista. Così come, nel cinema, gli attori e lo scenografo, l’elettricista e il costumista, l’operatore di macchina e il fotografo sono coordinati dal regista.
E come nel cinema, la regia dell’urbanista è finalizzata a un risultato. Dai saperi degli altri l’urbanista deve trarre ciò che può tradursi in un progetto di spazio,in una disciplina delle trasformazioni del territorio, e nell’individuazione di ciò che bisogna fare (le azioni,le valutazioni, il monitoraggio) per tradurre il disegno del piano in concrete trasformazioni del territorio.
Non è un lavoro facile, quello dell’urbanista. Per esercitarlo è necessario essere curiosi e umili: curiosi per conoscere abbastanza bene i mestieri altrui così da saperli utilizzare; umili per rispettare la specificità delle altre discipline.
Appendice
L’urbanista come lo vedono altrove
Il ruolo sociale dell’urbanista
Ma qual è il nocciolo del ruolo sociale dell’urbanista? Diamo uno sguardo fuori d’Italia.
Scrive il documento fondativo del Conseil Français des Urbanistes: “bisogna sempre ricordare che l’urbanistica è di ordine pubblico e d’interesse pubblico” (“Il convient toujours se rappeler que l'urbanisme est d'ordre public et d'intérêt public”),
Afferma il codice deontologico dell’American Institute of Certified Planners: “Il primo dovere di un urbanista è di servire il pubblico interesse” (“A planner’s primary obligation is to serve the public interest”).
Decretano le “Norme di deontologia professionale” del Consiglio Europeo degli Urbanisti: l’urbanista deve “agire sempre nell’interesse del proprio cliente o committente”, ma con la “consapevolezza che l’interesse pubblico deve restare preminente”,.
Poiché il concetto di pubblico interesse è oggetto di elaborazione e dibattito, il documento dell’American Institute of Certified Planners si preoccupa di definire i paletti entro i quali l’urbanista deve comunque inscrivere la propria azione. Ne sono elementi essenziali la consapevolezza del carattere sistemico e della lunga portata temporale delle decisioni sul territorio, la completezza e la chiarezza dell’informazione fornita al pubblico, l’attenzione agli interessi delle categorie più svantaggiate, all’integrità dell’ambiente naturale e alla tutela del patrimonio culturale.
L’urbanista del futuro
In Italia siamo depressi per la scarsa considerazione che il mestiere di urbanista riceve nella pubblica opinione. Quale sarà il futuro dell’urbanista? Aiuta a dare una risposta un recente studio che si riferisce alla situazione della Gran Bretagna: Future Planners: Propositions for the next age of planning, redatto da P. Bradwell, Inderpaul Johar, Clara Maguire e Paul Miner, febbraio 2007 (tradotto da Fabrizio Bottini per eddyburg.it.
“Quella del planner è una professione moderna. Sin dal suo emergere negli anni ’20 ha avuto alti e bassi, a seguito di mutamenti nelle ideologia politiche e del contesto sociale. È possibile tracciare una storia professionale contemporanea a partire dagli anni ’80, decennio contrassegnato da una fede politica nel libero fluire del mercato e nella deregulation. Il sistema di pianificazione era considerato un ostacolo all’incremento della crescita economica. Ma oggi assistiamo a un ritorno dell’idea di pianificazione come elemento chiave per consentire uno sviluppo sostenibile legittimato democraticamente”.
Il rapporto prosegue delineando i nuovi ruoli che spettano al planner dei nostri tempi. In tutti viene sottolineata “la sua funzione chiave nella redazione e gestione di progetti per realizzare valori pubblici”. La ribadita preminenza di tali valori pubblici è la chiave per comprendere in quale contesto si collochino i nuovi ruoli di “negoziatore”, “facilitatore”, “mediatore” che al planner vengono attribuiti: un contesto radicalmente diverso dal nostro. In Italia infatti, nel XXI secolo, quei ruoli non alludono alla rapporto tra istituzioni pubbliche tra loro o con i cittadini, ma a quello tra i decisori e gli interessi immobiliari.
L’ORGANIZZAZIONE DELLO STATO
lezione del 22 febbraio
La pianificazione territoriale e urbanistica è competenza primaria delle istituzioni dello stato. Quali sono nel sistema costituzionale italiano queste istituzioni e quali i loro rapporti, in relazione al governo del territorio
Vedi le slide L’organizzazione dello stato, nel powerpoint scaricabile in calce, anche in formato .pdf
LA POLITICA
lezione del 1 marzo
Le radici della nostra lingua (e della nostra cultura) sono nelle lingue (e nelle culture) che hanno preceduto la nostra.
Tre parole esprimono la città nella lingua greca e in quella latina, ed esprimono tre aspetti del significato che il termine assume nel nostro mestiere.
Urbs: la città come luogo fisico
Civitas: la città come società che vi abita
Polis: la città come politica, come governo della cosa pubblica.
Il legame tra queste tre dimensioni della città è essenziale. Mentre l’architetto vede la città esclusivizzando il primo aspetto (urbs), lo studioso in scienze sociali nel secondo (civitas) e quello in scienze politiche nel terzo (polis), peculiarità dell’urbanista è saldare tra loro i tre aspetti, e non perdere mai la consapevolezza del legame tre di essi.
L’urbanista non è né un architetto né un sociologo né un politico, ma deve aver chiaro il rapporto del suo mestiere con queste altre discipline. Particolare importanza ha il rapporto dell’urbanistica con la politica, ed è di questo che parleremo oggi.
Un riepilogo
Per comprendere come si ponga oggi il legame tra questi due mestieri proviamo a riassumere e a fare un passo avanti.
Il mestiere dell’urbanista nasce in relazione alla necessità di tutelare, nell’organizzazione della città, alcuni interessi comuni di cui la logica del mercato era incapace di tener conto.
Le contraddizioni, e i relativi problemi pratici, si spostarono nel tempo dalla città ad ambiti più vasti: dalla città al territorio. Agli interessi comuni della funzionalità e della bellezza della città altri se ne sono aggiunti nel tempo: anche la tutela dei valori e interessi dei beni storici e culturali, anche l’impiego razionale e parsimonioso delle risorse naturali e dell’ambiente, si rivelarono via via come beni e interessi non tutelabili dalle leggi dell’economia, che quindi richiedevano un intervento regolatore “esterno”.
Di questo intervento regolatore si fece carico – sul piano sostanziale della decisione – l’autorità politica: cioè, nel sistema democratico, il sistema dei poteri rappresentativi eletti direttamente dalla popolazione. In Italia, il sistema Stato, Regione, Provincia, Comune.
Poiché si trattava di regolare una realtà complessa, che riguardava una realtà georeferenziata, si inventò un insieme di strumenti che avevano la loro base in un progetto di territorio, cioé un piano. Poiché, più tardi, si vide che la dinamica delle trasformazioni non era sufficientemente governata da un documento statico, si trasferì l’accento dal piano alla pianificazione, cioè a un’attività continua di governo delle trasformazioni territoriale.
Nacque, e via via si sviluppò, la figura professionale adibita alla formulazione tecnica degli strumenti per il governo, delle trasformazioni territoriali: l’urbanista, depositario dei saperi e mestieri tecnici necessari per supportare le decisioni dell’autorità politica: per redigere gli atti necessari a dar corpo alle scelte della pianificazione, i cui atti esprimono “una volontà politica tecnicamente assistita” (Indovina).
Il politico e l’urbanista
Il politico (l’ elu, l’eletto, dicono i francesi) e l’urbanista sono due figure sociali che vivono in stretta simbiosi.
L’una, il politico, ha il compito di esprimere l’insieme degli interessi espressi dalla società e di governare la cosa pubblica, cioè di assumere le decisioni necessarie a soddisfare le esigenze e realizzare i progetti considerati necessari per assicurare l’evoluzione della società nella direzione desiderata
L’altra, l’urbanista, esprime i saperi e i mestieri connessi alla materia che la pianificazione deve trattare. Poiché questi saperi e mestieri sono un ventaglio molto ampio, il terreno di lavoro è essenzialmente interdisciplinare. Dalla pluralità dei saperi l’urbanista deve trarre ciò che serve a sorreggere le decisioni, che spettano al politico.
L’urbanista è perciò in qualche modo la cerniera tra i vari saperi “tecnici” e la sfera della politica, del governo. Non ha però autonomia rispetto alle decisioni, poiché queste, in un regime democratico, spettano a chi rappresenta la collettività, al politico (all’eletto).
Il suo mestiere è legato alla ricerca della soddisfazione di interessi comuni, collettivi. Ma gli interessi della collettività sono rappresentati dall’altra figura: il politico. E’ lui, nel sistema democratico, il soggetto che esprime gli interessi “generali”. E’ a lui che è attribuito il compito (la responsabilità) di tradurre questi interessi in atti di governo che modifichino, dirigano, conducano le trasformazioni della società.
I partiti
Organismo centrale della politica sono i partiti. Questi sono formazioni che nascono dalla società esprimendo gli interessi, le esigenze, i progetti e le proposte di parti di essa. (Ricordate sempre l’origine delle parole, che spesso ne esprimono compiutamente il significato).
Possiamo dire che i partiti, in una società contemporanea sono lo strumento che connette la società al governo. E in effetti, le istituzioni nelle quali si organizza il potere democratico sono alimentati dai partiti.
La Costituzione, che disciplina le istituzioni, mantiene la massima cautela nei confronti dei partiti: li considera come libera espressione della società, quindi si limita a garantirne l’autonomia citandoli in due soli articoli:
Articolo 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Cioè la definizione dei partiti come strumenti mediante i quali i cittadini (la società) concorre a determinare la politica nazionale.
Aticolo 98: “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”. Cioè devono essere neutrali rispetto ai partti gli organismi statali che potrebbero minacciarne l’autonomia.
La politica com’era
Il rapporto tra politica e urbanistica ha conosciuto fasi diverse, in stretta relazione con il rapporto tra politica e società. Per chiarire il mio punto di vista mi riferisco alla mia personale esperienza.
Il grosso della mia attività di urbanista si è svolto in una fase della nostra storia in cui il politico era l’espressione di un partito: di una formazione (tra il sociale e l’istituzionale) la cui coesione, e l’appartenenza dei cui membri, era assicurata dalla comune convinzione della validità di un progetto di società.
Lo scontro politico era la competizione tra progetti di società alternativi, ciascuno riferito agli interessi di determinate classi sociali, ciascuna delle quali però aspirava a soddisfare l’interesse generale.
A seconda del potere conquistato dai portatori dell’uno o dell’altro progetto di società, il compromesso che via via si raggiungeva nella concreta attività di governo era più vicino all’uno o all’altro.
Ciò che voglio sottolineare è che in quella fase l’obiettivo che le formazioni politiche perseguivano (e che era fatto proprio dagli appartenenti alle diverse formazioni, dai politici) era un obiettivo di ampio respiro, un progetto di società. Esso si realizzava concretamente con piccole azioni e piccole trasformazioni, ma queste erano viste come parti di una costruzione complessiva, che si sarebbe concretata interamente solo in un futuro lontano. Si lavorava oggi per domani, e magari per dopodomani.
E poichè per poter realizzare il proprio progetto di società era necessario il consenso, l’azione politica di arricchiva di una forte componente didattica: occorreva spiegare il proprio progetto di società, illustrarne le ragioni, le possibilità, le conseguenze. Per conquistare i voti occorreva prima conquistare le coscienze. Partendo dagli interessi specifici delle diverse categorie di soggetti, ma cercando di farli convergere verso un interesse più ampio: tendenzialmente, verso un interesse generale.
La politica è cambiata
La politica è radicalmente cambiata. Oggi l’attenzione è tutta schiacciata sul breve periodo, sull’immediato, su ciò che si può raggiungere oggi, prima che inizi la prossima campagna elettorale.
E poiché ciò che conta è conservare (o conquistare) il potere, ecco che lo sforzo non è rivolto a formare le coscienze e a costruire il futuro, ma a guadagnare il consenso con una doppia operazione:da una parte, calibrando la propria proposta politica sul consenso che si può guadagnare nell’immediato, sugli interessi già presenti oggi e in grado oggi di essere soddisfatti; dall’altra parte, impiegando tutte le tecniche capaci di modellare la coscienza di strati vasti di popolazione.
Ecco una sintesi della caduta della politica:
Dall’interesse generale alla cattura di tutti gli interessi più immediati e spiccioli.
Dalla faticosa costruzione del futuro alle piccole trasformazioni nell’immediato.
Dalla formazione alla manipolazione.
Dalla visione prospettica alla miopia.
Politica, società, istituzioni
La crisi della politica è una componente importante della crisi della democrazia, alla quale abbiamo accennato nella lezione scorsa. Ricordiamo le tre cause che abbiamo ripreso da Luciano Canfora: “impoverimento dell'efficacia legislativa dei parlamenti, accresciuto potere degli organismi tecnici e finanziari, diffusione capillare della cultura della ricchezza, o meglio del mito e della idolatria della ricchezza attraverso un sistema mediatico totalmente pervasivo”.
Oggi tutti concordano nel riconoscere che vi è un distacco crescente tra i partiti e la società: non solo in Italia, ma particolarmente in Italia.
Questo distacco ha indebolito, e ha messo in crisi, il rapporto tra le istituzioni e la società.
E poiché gli strumenti della pianificazione vivono all’interno del mondo delle istituzioni, ecco che si è indebolito il legame tra urbanistica e società.
Democrazia rappresentativa e democrazia deliberativa
La democrazia quale la conosciamo è definita “democrazia rappresentativa”: il governo e il processo decisionale sono affidati ai rappresentanti, mentre il compito dei cittadini è di andare regolarmente ma saltuariamente alle urne per eleggerli.
La “democrazia deliberativa” è quella forma di governo nella quale i cittadini partecipano direttamente al processo di formazione delle decisioni (discutono e decidono).
Un recente libretto di Paul Ginsborg ( La democrazia che non c’è, Einaudi, 1977. € 8,00) chiarisce bene il signficato di queste espressioni, le ragioni della crisi della democrazia rappresentativa, i diversi aspetti della tensione verso la democrazia deliberativa, le ragioni della difficoltà di quest’ultima.
Si tratta di temi che riprenderemo nei successivi seminari, e anche in quello che concluderà il corso, quando ragioneremo insieme sull’argomento della partecipazione nella formazione degli atti di pianificazione. Ma adesso tocchiamo una questione decisiva per comprendere quali interessi sono messi in gioco dalle decisioni sulla città
L’urbanistica regolativa e la rendita
La privatizzazione del suolo urbano è la prima forma della contraddizione tra sistema economico-sociale e città, ed è il primo ostacolo alla riduzione dei suoi effetti. Chi governa in nome degli interessi collettivo non è libero nelle sue operazioni: deve fare i conti con la proprietà privata del suolo urbano.
Una parte consistente dell’urbanistica (e una parte consistente del lavoro dell’urbanista) è perciò volta a regolare la proprietà privata: non può ignorarla, non può ignorare che il suolo urbano è parcellizzato, suddiviso, frammentato, frantumato: una città che voglia avere una identità, e quindi voglia esprimere un’immagine unitaria di se stessa, non può essere liberamente disegnata, progettata, pianificata sul terreno tenendo conto solo delle sue caratteristiche fisiche: deve fare i conti con la proprietà individuale e i suoi confini. Perciò, deve imporre ai proprietari (ai “particuliers”, dicono i francesi) la sua regola. L’urbanistica non può non essere regolativa.
E la prima fase del mestiere dell’urbanista è stata proprio quella di regolare a priori (mediante lo strumento del “piano regolatore”) i malfunzionamenti che sarebbero nati se le forme della crescita delle città fosse stata solo quella dettata dai vincoli dell’assetto dominicale e dalle leggi del sistema economico.
Per chiarire questo aspetto del problema è utile riprendere il tema della rendita urbana dal punto di vista dell’economia classica. Vi rinvio in proposito al powerpoint.
Vedi le slide nei powerpoint su Politica e Rendita, scaricabili in calce anche in formato .pdf
[1] I testi cui mi riferisco in questo e nel precedente paragrafo sono disponibili in internet; sono raccolti nel mio sito http//eddyburg.it