Un’importante sentenza del Consiglio di Stato (IV sezione, sentenza n.2418/2009 del 10 gennaio 2009) ribadisce un principio da tempo affermato nella giurisprudenza, e tranquillamente calpestato di quanti affermano che, se un piano urbanistico comunale prevede una volta che un determinato terreno sia edificabile, nasce nel proprietario un “diritto edificatorio” che non può essere revocato da unb piano successivo. Una conferma, con qualche interessante integrazione a favore dell’interesse pubblico.
Il fatto
Il terreno di un certo soggetto, nel comune di Perugia, era stato inserito nel Prg tra le aree edificabili. Successivamente era iniziato l’iter di un piano di lottizzazione, attuativo di quella previsione; iter che si era protratto per molti anni senza peraltro concludersi con gli atti formali richiesti dalla legge.
Nel 2002 il comune aveva approvato un nuovo Prg, nel quale quell’area, insieme ad altre, era stata classificata cone zona agricola. La società proprietaria aveva ricorso al Tar, e questo aveva dato ragione al Comune. Nuovo ricorso, questa volta al livello superiore della giustizia amministrativa.
Il Consiglio di Stato ha confermato il parere del Tar con alcune argomentazioni che vogliamo riassumere per il loro generale interesse.
La sentenza in tre punti
Il Consiglio di Stato ribadisce, in primo luogo, che un Prg (o una sua variante) ha un potere superiore a quello di un piano di lottizzazione il cui iter non si sia concluso, e quindi può tranquillamente modificarne o annullarne le previsioni. Così si esprime la sentenza:
“Ed invero, muovendo proprio dalla giurisprudenza in materia di aspettative derivanti da lottizzazioni edilizie e modifiche preclusive dello strumento urbanistico, deve premettersi e ribadirsi che nessuna posizione giuridicamente può essere riconosciuta a progetti di lottizzazione che, al momento della variazione del PRG, risultino ancora in itinere o in istruttoria ancorché da lungo tempo. É evidente che ciò non è assentibile, in ragione del fatto che, mentre la variante di PRG assume immediata efficacia, per contro non sussiste alcuna approvazione di atto giuridico che sia perciò assurto al rango di uno strumento urbanistico efficace (nella specie attuativo, ad iniziativa di parte privata, quale il piano di lottizzazione) e del quale debba in qualche modo tenersi conto”.
La proprietà aveva poi sostenuto che comunque, avendo il terreno la destinazione d’uso edificatoria, era stata versata al comune una quota dei contributi previsti per le opere di urbanizzazione. La sentenza afferma: ciò significa che il Comune dovrà probabilmente restituire la somma percepita, ma non costituisce un mootivo per annullare la variante al Prg e ripristinare i “diritti edificatori”. Ecco le parole della sentenza:
“[…] anche il pagamento di oneri di urbanizzazione, lungi dal costituire aspettative edificatorie tutelate, si muove in realtà nel solo ambito obbligatorio-patrimoniale, generando al più il dovere restitutorio di somme non dovute, ma non può certamente comportare il sorgere di un dovere dell’amministrazione di fornire particolare motivazione delle proprie scelte urbanistiche incisive delle aspettative di mero fatto”.
Un ulteriore argomento di contestazione da parte della società proprietaria era nella circostanza che, comunque, il Comune aveva cambiato la destinazione d’uso del terreno da edificatorio ad agricolo. La sentenza afferma che ciò è nella piena potestà del comune, e che la situazione documentata dal piano rivelava che, se c’era una “vocazione”, questa era quella agricola e che quindi era pienamente legittimo adeguare a questa realtà le prescrizioni della pianificazione. Afferma la sentenza che non vale mettere in contrasto la previsione del precedente piano e quella del nuovo, poichè
“tale correlazione non può fondare alcun vizio di illegittimità, rappresentando il contenuto stesso del legittimo esercizio dello “jus variandi” in sede pianificatoria e comporta proprio il potere di mutare il regime giuridico-urbanistico dell’area, che vede quindi cambiare la sua “vocazione” in senso giuridico (nella specie da edificatoria ad agricola). Altra nozione è invece rappresentata dalla “vocazione” intesa come la situazione dell’area nelle caratteristiche geomorfologiche del contesto in cui essa si trova al momento dell’esercizio del potere pianificatorio e quindi indipendentemente dalla destinazione giuridica sino a quel momento impressa ma che può avere o meno avuto esplicazione mediante un effettiva trasformazione del territorio. Ed è tale situazione che viene in rilievo rispetto alla nuova destinazione giuridico-urbanistica che all’area si intende conferire e che, come correttamente confermato dal TAR, il Comune risulta aver nella specie preso in considerazione ove ha evidenziato (nello studio preliminare e carta d’uso del suolo) che l’area ha oggettivamente caratteristiche agricole essendo di natura “seminativo-irrigua”. Rispetto a tale valutazione tecnica, quindi, la scelta del nuovo PRG di imprimere destinazione agricola è del tutto coerente […]”.
Riassumendo: il piano urbanistico generale può senza ombra di dubbio modificare una destinazione d’uso precedente, anche se è stata avviata e lungamente elaborata lsa procedura di formazione di un piano di lottizzazione. Oltre alla corretta motivazione, l’unica spesa che il comune deve sostenere è quella eventuale di spese legittimamente sostenute dal proprietario. É del tutto legittimo imprimere una destinazione d’uso agricola a un terreno precedentemente dichiarato edificabile quel terreno è idoneo per l’agricoltura.
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