Innanzitutto penso vada valutata positivamente una cosa. Oltre al pregio di avere messo in piedi questa iniziativa, il fatto che dalle Camere del Lavoro sia partita una riflessione su questi argomenti in maniera molto approfondita, sull’idea cioè di come si interviene dal punto di vista sindacale, di un soggetto sindacale, dentro le questioni che sono state rilevate nel corso della discussione odierna.
Nell’introduzione che è stata fatta questa mattina da Salzano, è emersa appunto la questione degli anni ‘70. Perché quella fase politica, in quegli anni segnati da fatti particolarmente importanti per il Paese, ha determinato che il ruolo del sindacato, anche egemone rispetto ad altri ambiti, sviluppasse per se e quindi a partire dai luoghi di lavoro e per l’intera società, una evoluzione che oggi francamente tardiamo a riconoscere e, anzi, quando la riconosciamo, constatiamo un arretramento pericoloso.
Se fate mente locale su cosa è successo negli anni ’70, vi accorgerete che tutte le questioni che abbiamo discusso stamattina: società, casa, scuola, sanità, previdenza venivano accompagnate sempre da un sinonimo che si chiamava riforma: riforma della casa, riforma sanitaria, riforma previdenziale e in molti casi, al centro di questa iniziativa, non da solo, c’era il sindacato, il quale aggregava attorno a sè quella capacità di movimento che era in grado di determinare con altri soggetti il livello più alto che la società in quel momento metteva in campo.
Questo è valso per quanto riguarda la sanità, la programmazione territoriale e le questioni della casa, ciò ha avuto un valore generale di capacità propositiva, insomma di progetto generale.
Quindi la prima considerazione da fare è, se nasce questa esigenza delle Camere del Lavoro, è perché molto probabilmente si sono accorte che questo terreno è un terreno molto più ampio e un terreno su cui sviluppare una nostra rinnovata capacità di intervento. Non è un caso che la CGIL abbia posto al centro del suo ultimo Congresso l’idea di riprogettare il Paese e al centro della sua ultima Conferenza di Organizzazione l’obiettivo di riprendersi il territorio, perché al di là di queste esperienze che ovviamente vanno valorizzate, noi siamo presenti sul territorio, ma la nostra capacità di intervento è limitata, un po’ per le ragioni che prima diceva il segretario di Modena e un po’ anche perché noi stessi abbiamo considerato questa nostra capacità di intervento come un elemento di tutela individuale e collettiva che andava data sì sul territorio, ma senza una capacità progettuale e quindi senza quella che noi richiamiamo, per gli enti locali, la programmazione che servirebbe.
Questa premessa per introdurre un elemento che secondo me è particolarmente importante nell’azione che noi dovremmo svolgere, perché quando penso alla politica neoliberista, penso che questa politica ci abbia attraversato, non siamo stati spazzati via come spesso diciamo rispetto ad altre esperienze sindacali, ma è indubbio che abbia attraversato la società nel suo intimo e quindi forse anche l’organizzazione sindacale.
Faccio un esempio banale. Diciamo tutti che il ruolo pubblico va salvaguardato ed essendo noi sindacalisti pensiamo che questo ruolo sul lavoro vada tutelato. Nel nostro Paese è stata sancita, nella Costituzione, l’idea che vi possa essere un punto centrale, statuale, pubblico, in cui si incrociano la domanda e l’offerta di lavoro.
Se guardiamo oggi al 2008 il punto unico in cui si concentra e si incrocia la domanda e l’offerta di lavoro non è più il punto pubblico, sono altri i soggetti e molto probabilmente anche noi abbiamo considerato che questo elemento fosse una parte della modernità, dimenticando che così facendo abbiamo introdotto sul lavoro un principio che per noi, dalla Costituzione in poi, dovrebbe essere particolarmente “sacro” e cioè che non vi può essere profitto.
Ho citato questo come elemento perché, come mi ha ricordato un docente universitario, è stupefacente che la cosa sia passata quasi normalmente questo per dire che recuperare il terreno perso è per noi l’idea appunto di definire una linea più generale.
Lo sviluppo di una città a partire dai bisogni dei cittadini è fondamentale. Per dare un esempio a Padova noi negoziamo, discutiamo, con i comuni padovani sulla definizione del bilancio comunale. Il bilancio comunale che i comuni affidano alla discussione, dipende molto dal segno politico dell’amministrazione comunale, anche se non sempre, ma sopratutto dalle disponibilità economiche che hanno gli enti locali di indirizzare quelle risorse verso i bisogni che noi rappresentiamo.
Sostanzialmente potrei dirla così: la contrattazione, la negoziazione, il confronto con gli enti locali (104 comuni della provincia di Padova) ci da qualche risultato in modo particolare sui soggetti meno abbienti, gli anziani e per alcune fasce di reddito sui servizi che gli enti locali dovrebbero definire ma non siamo ancora obiettivamente a una fase contrattuale. Perché la fase contrattuale ha bisogno non soltanto della capacità propositiva del sindacato, ma se vogliamo acquisire una fase davvero contrattuale è necessario che quella fase in rapporto con gli enti locali possa determinare scelte e per fare ciò necessariamente c’è bisogno di un livello di partecipazione molto più ampia dei soggetti che noi rappresentiamo.
Provo a spiegarmi meglio: finché nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, non si parla delle questioni relative al livello territoriale del proprio ente locale, noi non la spuntiamo solo con questi, pur apprezzati, livelli di confronto. Solo se il sindacato è forte della partecipazione dei lavoratori può spingere l’ente locale a indirizzare risorse da una parte all’altra.
E’ ovvio quindi che sulle questioni dell’assistenza, della solidarietà che spesso i sindaci dimostrano, sono determinate dalle situazioni contingenti. Qualche giorno fa abbiamo fatto un accordo con il Comune di Este che ha messo a disposizione delle risorse per i lavoratori licenziati in una azienda e che non riescono a far fronte alle condizioni economiche minime relative alle spese di gestione familiare.
Quindi la prima considerazione da fare è se noi vogliamo spostare e indirizzare la provincia, i Comuni, gli Enti Locali verso la capacità di programmazione più in generale. Dobbiamo mettere in campo un livello di partecipazione che oggi è molto lontano e che deve riguardare i lavoratori.
Seconda considerazione: far percepire ai lavoratori in ogni luogo di lavoro che pur partendo da una condizione sociale che si manifesta soltanto nel lavoro, pur essendo essa fondamentale, si deve esplicitare anche sul territorio per far diventare i lavoratori stessi soggetti che in qualche misura abbiano un nuovo ruolo negoziale, esprimere quindi la capacità di partecipazione che rimane un punto fondamentale ed irrinunciabile
Per esempio, a Padova, stanno discutendo della costruzione di un nuovo ospedale. Ovviamente il nuovo ospedale secondo il governatore del Veneto, Galan, dovrebbe essere un centro di eccellenza particolarmente elevato per la ricerca, in un rapporto molto stretto con l’Università e quindi fornire ai cittadini, padovani e non, le migliori capacità di intervento su tutta la gamma che può appunto interessare la questiona sanità.
Nessuno si è interrogato:
a) se serve un ospedale, Padova da questo punto di vista è fornita e anche altamente fornita dal punto di vista qualitativo?
b) quali ricadute avrà la creazione di un nuovo ospedale rispetto al territorio, quale capacità in presenza di un pubblico molto più ampio?
c) cosa ne facciamo dei presidi sanitari e ospedalieri che oggi vi sono e se, aggiungo io, l’idea di ospedalizzazione è proprio quella che viene richiesta dal cittadino oppure una capacità dei servizi sul territorio molto più ampia?
d) cosa se ne farà dell’area attuale dove è situato l’ospedale?
Ora guardando il progetto regionale si capisce quasi tutto. Il primo elemento è che l’ente regionale, in questo caso, non ha le risorse sufficienti per fare il nuovo ospedale e introduce, ovviamente, la necessità di intervento privato chiamato il project financing, il quale dovrebbe non solo costruire l’ospedale, ma poi anche gestirne alcune parti (tale proposito vedi l’esperienza a Mestre). L’intervento del privato, però, condiziona in maniera molto consistente il Piano Regolatore del Comune, non solo perché richiede l’area dove va insediato il nuovo l’ospedale, ma richiede anche l’area dove era insediato quello vecchio e quindi dice esplicitamente che il progetto sta insieme se edifico il nuovo ospedale e di gestirne parte se, in contemporanea, ho la possibilità di utilizzare l’area di precedente insediamento.
Questo è il quadro. Nel risultato di verifica che noi abbiamo fatto nei confronti dell’Ente Locale, del mondo universitario, e anche se solo parzialmente nei confronti degli utenti, abbiamo ravvisato che c’è una favorevole e positiva reazione in gran parte di questi soggetti all’idea di fare un nuovo ospedale, perché di fronte alla possibilità che un Ente Locale costruisca un ospedale a quelle condizioni, con il massimo di attività medico scientifica possibile, con il massimo di ricerca e quindi le possibili preoccupazioni potrebbero essere accolte in quel presidio ospedaliero, non c’è cittadino che dica di no.
Quindi noi dovremmo far percepire al cittadino padovano e ad altri soggetti, non solo la complessità della questione, ma che l’intervento privato sulla sanità è un intervento che quando avviene non si ferma alla gestione del parcheggio, qualche problema l’abbiamo già visto anche a Mestre. Quando l’intervento privato ha bisogno di acquisire, ovviamente, il profitto, non si ferma alla conduzione della manutenzione ma ha bisogno anche di altro e molto probabilmente determina anche le scelte da un punto di vista generale, che un presidio ospedaliero dovrebbe compiere, perché il principio fondamentale del privato è fare profitto.
Per questi motivi abbiamo deciso di aprire una discussione nella città di Padova ponendoci un vincolo: è necessario fare in modo che i cittadini e i lavoratori e non solo quelli del comparto sanità, vengano coinvolti in una discussione sul futuro della sanità padovana, perché i poteri forti, se così vogliamo chiamarli, hanno una capacità mediatica molto ma molto più superiore a quella che noi possiamo determinare. Abbiamo quindi necessariamente bisogno di costruire un elemento che fino a qualche anno fa era un elemento fondamentale: il coinvolgimento e la partecipazione per costruire il punto di vista del sindacato.
Questi due elementi che si fondono come veniva ricordato, nel principio chiamato democrazia, ci consente di costruire un punto di vista alternativo a quello che oggi è dominante, indipendentemente dal segno politico che governa quell’ente locale, perché appunto i poteri “forti” sono in grado loro stessi di determinare interferenze con la politica. Noi invece mettendo in campo gli interessi delle persone, non in maniera egemone ma assieme ad altri soggetti, li possiamo rappresentare.
L’altra questione su cui è necessario secondo me approfondire ulteriormente anche da parte di una organizzazione sindacale, riguarda il ruolo pubblico.
Io penso che anche noi siamo stati attraversati dall’idea che pubblico e privato possano coesistere e che quindi il pubblico, per dare risposte ai bisogni dei cittadini, necessita anche ottenere “dei profitti sulle attività che opera”, di definire, per esempio, delle società miste tra pubblico e privato. Allora, un imprenditore per competere e quindi per avere il massimo del profitto in Italia ha due possibilità: o amplia la propria capacità di intervento sulla base di qualità, innovazione, ricerca, formazione ecc., oppure riduce il costo delle produzioni che opera. Ovviamente a partire dal costo del lavoro.
Cosa è successo per esempio in qualche multi-utility, anche loro hanno attivato forme di lavoro chiamate cooperative, in cui, in modo particolare (noi lo stiamo verificando a Padova) hanno attuato la connessione di fenomeni di terziarizzazione del lavoro e con la presenza di lavoratori immigrati. Ciò rende, ancora più evidente in una catena del lavoro l’ultimo anello che è rappresentato da una lavoratrice o da un lavoratore che prende 4,5 euro all’ora tutto compreso, ma che l’inizio della catena risponde ad un Ente Pubblico. E lo vediamo nella questione dell’igiene ambientale, lo verifichiamo in altri settori che hanno le stesse caratteristiche.
Questi passaggi non solo hanno visto anche pezzi di economia tramutarsi, modificarsi, ma ha reso difficile per noi intervenire. Ha reso però evidente la necessità di un ragionamento da parte nostra di carattere generale che faccia in modo che una Camera del Lavoro, un sindacato non stia soltanto nei luoghi di lavoro, ma che si appropri del territorio, perché le contraddizioni hanno queste caratteristiche e per noi il presupposto fondamentale che abbiamo, è di farlo diventare un impegno e un approccio culturale che il sindacato si dà. Se dobbiamo e concludo, riprogettare un paese, se abbiamo bisogno di ricostruire un punto di vista noi dobbiamo ampliare gli spazi di partecipazione delle persone, per cui anche noi come Modena abbiamo ragionato, all’interno della Conferenza di Organizzazione, di queste questioni. Ma c’è una novità di cui dobbiamo essere consapevoli il rapporto con gli altri soggetti, il contaminarsi; noi non siamo più egemoni, parlo del sindacato, non siamo più un soggetto che da solo riesce rappresentare tutto, abbiamo bisogno dei contributi e delle elaborazioni di altri soggetti, nati nel frattempo, è necessario dalogare con loro se vogliamo costruire queste forme di partecipazione più ampie, per dare la possibilità che anche la città ridiventi un bene comune e fare in modo che questo avvenga con molta celerità.
Ripeto, è un passaggio culturale che noi dobbiamo compiere, è importante che ciò avvenga da un livello più basso, quello delle Camere del Lavoro, ma è quello necessariamente da cui può ripartire un’azione e un’ambizione di questo spessore.