Cercherò di darvi un’idea di questa esperienza rimandando poi la necessità di approfondire anche sui testi, se ci sarà la possibilità di riprodurli. Li ho inviati e quindi spero che in un qualche modo si riuscirà a metterli a disposizione.
Reggio Emilia è una città, un territorio che dal punto di vista socio-economico e politico è molto simile alla realtà che Pivanti vi ha presentato per Modena questa mattina. Tant’è vero che qualche anno fa si parlava addirittura di una città lineare composta da Parma, Reggio Emilia e Modena senza soluzione di continuità. Reggio Emilia però in questi ultimi anni ha sviluppato una sua particolarità che è quella della forte concentrazione di immigrati. Vi cito solo due numeri giusto per darvi la dimensione del problema:
oggi Reggio Emilia intesa come Comune di Reggio Emilia, perché l’esperienza che vi presenterò è relativa al Comune di R.E., ha un totale di 19.000 extracomunitari regolari, divisi soprattutto in una fascia di età tra i 20 e i 45 anni che, tra coloro che sono più insediati, ovviamente, vede una forte presenza di ricongiungimenti familiari di donne e bambini. Di questi 20.000 grosso modo sono immigrati regolari e quindi aggiungendoci tranquillamente un altro 25% almeno di irregolari; ebbene un terzo di essi si concentra, si è venuto a concentrare come residenza, in due quartieri confinanti della città, che lambiscono un pezzo del centro storico, più il quartiere che dalla stazione ferroviaria si sviluppa nelle sue adiacenze. Questo ha causato negli anni un fenomeno migratorio nei due sensi. I primi insediati richiamavano amici, parenti di successiva stabilizzazione, mentre i cittadini che vi risiedevano da prima, (quello è un quartiere popolare che è nato dietro la stazione dalla ricostruzione post bellica fino agli anni ’70, fino agli ultimi interventi edilizi con grossi palazzi con 20-30 appartamenti, ciascuno di 100/110/120 metri quadri, con una tipologia anche piuttosto antiquata), sono andati a cercare occasioni di abitazione secondo loro più qualificata in altre zone della città. Gli spazi lasciati vuoti venivano riempiti dalle ondate di stranieri che si collocavano nelle varie vie a seconda delle comunità e/o delle zone di provenienza, costruendo negli anni pian piano un tessuto urbano che viene chiamato dai cittadini reggiani in un pezzo la china town, un altro pezzo la città dei magrebini, con i loro negozi, i kebab, si è creata una realtà che ad oggi vede praticamente convivere anziani e extracomunitari. Questa situazione ha creato, bisogna essere onesti, nel tempo una serie di problemi di convivenza. Ci sono stati anche degli episodi di delinquenza e un degrado costante delle strutture.
La cosa è sfociata tra la metà del 2007 e l’inizio del 2008 in una situazione di forte tensione, anche alimentata da una polemica che è partita sugli organi di informazione locali, soprattutto da parte dei commercianti del centro storico, che denunciavano tra le varie cose, appunto l’incuria, il degrado, la presenza degli extracomunitari, la criminalità, la percezione di insicurezza e quindi, il centro storico che si svuota, i reggiani che fuggono, le attività economiche che vanno in malora.
Una campagna, come dicevo, alimentata dagli organi di informazione locali, oltre che dalle forze politiche del centro destra, tanto è vero che negli ultimi mesi, essendo venuta a mancare dopo le elezioni la gran parte di questa polemica, è venuta a calare molto anche la percezione del senso di disagio che, fino a qualche mese fa, sembrava pervadere tutta la città. In ogni caso si è ritenuto che questa concentrazione di immigrati in una unica zona della città fosse un fattore sicuramente in grado di creare disagio.
Reggio Emilia ha un assessorato che si intitola “Coesione e sicurezza sociale” che tra l’altro ha cambiato Assessore pochi mesi prima dell’inizio di questa esperienza, e con questo assessorato ci siamo provati ad interrogare su che cosa si poteva tentare di fare per rispondere a questo stato di cose.
Abbiamo iniziato noi e loro in modo autonomo a fare intanto degli incontri sul territorio per cercare di capire quali erano i problemi reali e cercare di enuclearli da quello che era la polemica generale. Dico noi e loro in modo distinto, perché loro hanno contattato i cittadini nei vari centri di relazione (davanti al supermercato, nel circolo sociale), noi abbiamo iniziato dai nostri referenti più prossimi nel territorio, la Lega SPI. Lega SPI che per un certo periodo è stata il ricettacolo della percezione del disagio, nel senso che i nostri compagni pensionati iscritti alla CGIL da 50 anni, assolutamente democratici e partecipativi, però sono stati i primi che in un modo più forte hanno denunciato questo problema della convivenza, questa equazione che presenza di extracomunitari è uguale a criminalità, è uguale a degrado, i valori immobiliari degli appartamenti che avevano comperato e che volevano lasciare ai loro figli che erano crollati, fino ad arrivare in qualche riunione, a qualche assemblea, non dico che volassero le sedie, ma ci siamo arrivati vicini.
Abbiamo cercato di iniziare a dare un contributo ad entrare nel merito e nel dettaglio di questa realtà e a cercare di coinvolgere tutti coloro che erano interessati a mettere sullo stesso tavolo i problemi e vedere come se ne poteva uscire. Ovviamente supportati dall’assessorato coesione e sicurezza sociale che si faceva tramite nei confronti degli altri pezzi dell’amministrazione, perché la cosa che abbiamo capito subito è che non c’erano possibilità e soldi per fare opere in grande stile. Per esempio, nel mezzo di quel quartiere c’è un palazzone di 50 appartamenti tutti sub-affittati in modo irregolare, dove dentro succede di tutto, la soluzione migliore ci siamo detti sarebbe quella di trovare un’altra collocazione a queste persone e fisicamente demolire questo immobile, lo abbiamo messo anche come una delle cose da fare dentro la programmazione territoriale, ma voi capite che per fare questo occorre una quantità di risorse economiche e di capacità di governo del territorio immane.
Abbiamo cominciato a ragionare di cose che si potevano fare con pochi o con nessun soldo, semplicemente facendo funzionare meglio la macchina amministrativa, mettendo in contatto pezzi che fra di loro non si parlano e facendo ragionare queste persone con i cittadini. Vi faccio degli esempi che potrete ritrovare e che sono poi il tessuto di questo patto per la riqualificazione di questa zona. Esempi molto semplici.
La polizia di prossimità. Abbiamo definito un gruppo di vigili urbani che hanno aperto una sede in un negozio vuoto di questo quartiere, che sono presenti lì, che girano sempre loro, che contattano i cittadini, che ne ricevono le lamentele e le segnalazioni, e che fanno da interlocutore rispetto al resto della macchina amministrativa. Per esempio, c’è il ragazzino che rompe la lampada nel parco, loro telefonano subito all’apposito servizio comunale per farla sostituire; il signore anziano che denuncia che nell’appartamento di fianco ha sentito una rissa alla sera e allora si va a vedere col gestore dei servizi a chi è intestata quell’utenza, quante persone ci abitano realmente, si cerca di intervenire. Momenti di mediazione nelle assemblee di condominio, cominciando a spiegare, per esempio diffondendo assieme al Sunia una piccola guida tradotta nelle principali lingue su quali sono le regole di convivenza in un condominio, oppure col gestore dell’igiene ambientale una guida anche quella tradotta in varie lingue, che spiega come funziona la raccolta differenziata dei rifiuti e perché non bisogna buttare tutti i rifiuti dietro al palazzo, ma invece bisogna usare i cassonetti e come usarli.
Cioè abbiamo cercato da un parte di spiegare agli abitanti fra virgolette autoctoni che sentivano la perdita di possesso del loro pezzo di quartiere, che coloro che erano lì non erano tutti delinquenti, ma che avevano delle culture diverse e che spesso non conoscevano il tipo di regole e di cultura che governavano il funzionamento del nostro tessuto sociale. E, dall’altra parte, invece, anche un’azione educativa nei confronti dei nuovi cittadini per cercare di fargli conoscere le realtà delle altre etnie, soprattutto per permettergli di capire e di discernere quello che è un comportamento che deriva, appunto, da una cultura, da quello che è veramente invece un fenomeno di degrado. Cominciare a distinguere chi occupa un appartamento perché ospita il parente che è in attesa di regolarizzazione, da quell’appartamento di fianco dove invece c’è un giro di prostituzione governato da una criminalità organizzata e che si cerca di colpire e di sconfiggere.
Cercare di attivare delle mediazioni. Per esempio succede spesso che nei condomini ci siano le utenze centralizzate, succede spesso che una famiglia, magari extracomunitaria, pensa che non sia tenuta a pagare le spese di condominio e allora magari viene il fornitore del gas e stacca la fornitura a tutto il condominio appunto perché centralizzata. Prima succedevano liti che vi lascio immaginare, adesso si cerca di prevenire il conflitto, di discutere, di cercare di spiegare a chi non paga la sua parte di bolletta, le spese di condominio del perché la cosa mette in crisi tutti gli altri e quindi anche il suo rapporto, e si cerca di costruire anche un atteggiamento positivo negli altri, nei confronti di chi riesce a dimostrare che si trova effettivamente in una situazione economica di non possibilità, magari temporanea, di assolvere ai suoi compiti.
Era nata una discussione sul fatto che i kebab facevano puzza e disturbavano. I clienti buttavano le cartacce davanti al negozio, facevano rumore fino a tarda notte davanti ai kebab. Anche qua abbiamo convenuto un regolamento municipale per il funzionamento di queste realtà, però abbiamo anche fornito i mezzi per la raccolta differenziata, li abbiamo convinti che c’era una possibilità di integrazione. Lo stesso per i phone-center ed i negozi di cibo etnico.
Il passaggio attuale adesso, superata la crisi, cominciato a far parlare tra di loro le persone delle varie nazionalità, è quello di cominciare a favorire l’integrazione. Ci siamo messi a disposizione con la Federconsumatori per fare dei corsi di educazione al consumo, d’accordo con il supermercato che sta lì nel quartiere; ci siamo messi a disposizione con il nostro ufficio stranieri a cercare di utilizzare il locale di un centro sociale comunale che c’è lì per fare una qualche piccola permanenza con l’ufficio stranieri per il disbrigo delle pratiche dei permessi di soggiorno e di ricongiungimento famigliare, o per vedere di mettere in piedi dei corsi di italiano per extracomunitari, stiamo - assieme anche all’Acer, (ex IACP) che gestisce molti condomini in quella zona, al Sunia e a Federconsumatori - organizzando delle piccole feste di condominio dove magari l’extracomunitario porta il suo tipo di cibo e lo mette assieme a quello dei reggiani.
Tutta una serie di iniziative che, a fianco a quelle che fanno funzionare meglio la macchina comunale, che fanno essere presenti meglio i servizi comunali in quella zona, partendo dal basso, partendo dalla, scusate il termine, incavolatura dei cittadini locali, che avevano minacciato che non avrebbero più votato le amministrazioni, stiamo pian piano costruendo dal basso, con poca spesa, una esperienza di partecipazione che (se avremo modo vi faremo vedere i materiali e le evoluzioni di questa cosa), sta costruendo un modello che stiamo pensando di estendere ad altre zone un po’ meno problematiche della città.