Titolo originale: Town-Planning - Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Sotto i migliori auspici, si è svolta questa settimana a Londra un’importante conferenza sull’Urbanistica. L’incontro è stato organizzato dal Royal Institute of British Architects, e lo sforzo è stato, crediamo, commisurato alle migliori tradizioni dell’Istituto. Anche se non si tratta in senso stretto del nostro campo, visto che l’urbanistica è, nel miglior senso del termine, questione di interese generale, crediamo ci sia consentito qualche commento in materia.
A guardare la grande, sbalorditiva raccolta di disegni appesi alle pareti della Burlington House, appare evidente come gli urbanisti possano essere classificati grosso modo come orientati a due linee particolari di lavoro. Alcuni concentrano i propri sforzi nell’abbellimento, trasformazione, glorificazione delle città esistenti; i membri dell’altro gruppo si applicano ai più quotidiani bisogni della gente. Se quest’ultima categoria è di origine relativamente recente e concentrata nelle nazioni di cultura Occidentale, per quanto riguarda la prima non c’è nulla di moderno. Si tratta semplicemente dello sviluppo moderno di un movimento, talvolta sbilanciato verso l’utilitarismo, talvolta verso lo spettacolare, che esiste dall’alba dei tempi.
L’ambizione dei moderni appartenenti a questa classe che aspirano a distinguersi, è di produrre piani generali che partono da un grande punto centrale, o da una serie di centri interconnessi. Questa idea è vecchia quasi come il mondo. Con tutta probabilità, il primo congresso di urbanistica di cui sono disponibili gli atti è quello tenuto “in una pianura nella terra di Shinar”, in cui la principale risoluzione prese forma nelle parole “Andiamo, e costruiamo una città e una torre ...”. Lo scopo principale di questa torre, richiedeva fosse facilmente accessibile da tutte le parti della città, così si può dedurre che le strade dovevano irradiarsi da essa in tutte le direzioni. È evidentemente un piano dominato da un elemento centrale, e il prototipo di molte delle idee di oggi. Ma questo movimento democratico originario non ebbe successo, e di conseguenza, fino a tempi relativamente recenti, l’urbanistica come movimento popolare rimase dormiente. Il lavoro comunque non si fermò, ma divenne, anziché movimento popolare, interesse per pochi.
Ci sono testimonianze di tentativi coronati dal successo, di fare urbanistica su grande o piccola scala in ogni parte del mondo: magnifiche concezioni di grandi menti, spesso realizzate in modo tanto grandioso da rimanere ancor oggi oggetti di ammirazione. I tesori degli imperi Greco e Romano spiccano, forse, più in alto, e formano i resti di piani che, tenendo conto delle condizioni dell’epoca in cui si sono evoluti, erano probabilmente insuperabili. Le prodigiose idee dell’Antico Egitto sono fonte incessante di meraviglie. E gli esempi non si limitano a queste terre. Hanno avuto spazio in tutti i paesi dove ha posato piede la civiltà. Nonostante il piano di tipo Orientale di regola sia organizzato da un differente punto di vista e il risultato di conseguenza radicalmente diverso da quello Occidentale, alcuni degli esempi dell’Est sono comunque magnifici. Nei resti di Fatehpur Sikri, la grande creazione di Akbar, il cui desiderio era di farne una capitale degna delle pompe di corte, ci sono alte concezioni, che pochi uomini oserebbero tentare di mettere in pratica. Il felice trattamento del forte a Agra, l’area circostante il Taj Mahal, o i domini della moschea di Aurungzeb a Benares, sono ciascuno a modo proprio dei successi. Nelo stesso modo, la China può vantare grandi risultati, mentre il Giappone mostra nelle varie epoche città di grande splendore, pianificate in modo pratico e realizzate durante il breve periodo della vita di singoli promotori. Per esempio, Kamakura, costruita dal grande Shogun Yoritomo, era famosa per la sua magnificienza tanto quanto Osaka, realizzata più tardi dall’eroe nazionale, Hideyoshi, e famosa per la sua dimensione e i grandiosi edifici. Ma col passare del tempo e l’ascesa e declino delle dinastie, queste città, originate e realizzate per il capriccio di dittatori, sono o completamente cambiate in carattere, o hanno seguito la sorte dei loro grandi fondatori. La solidità dell’Egitto sta sepolta in un sudario di sabbia e macerie. Le glorie di Babilonia e Ninive sono svanite. I palazzi dell’India sono deserti. L’imponente splendore della corte di Akbar, per qualche ragione mai scoperta, si ritirò dalla città su cui aveva riversato tanta copia di pensieri, già durante la vita del suo fondatore, e ora il luogo è silenzionso come il suo mausoleo a Sikundra. Dell’orgoglio di Kamakura resta poco più di qualche viale, e il famoso Daibutsu, mentre le glorie di Osaka ora sono coperte dalla più vasta messe di ciminiere che si possa trovare in un paese dell’Oriente.
Ma se molte famose opere sono ora relegate nell’oscurità, lo spirito dura ancora. Anche se non arriva da padroni oppressori, o da despoti benevoli, la pianificazione su vasta scala è ancora un lavoro apprezzato. La modificazione delle città esistenti attrae gli architetti tanto quanto la progettazione di nuove, e apre un campo tanto vasto da non porre alcun limite all’immaginazione. È una cosa abbastanza facile riprogettare, per esempio, tutta Londra su un tavolo da disegno, cancellando con una gomma tutte le zone congestionate, e disegnare al loro posto ampi viali fiancheggiati da imponenti masse di edifici. È piuttosto facile sognare grandi prospettive, o lasciar vagare la fantasia a risistemare parchi e rive. Questi esercizi sono interessanti, ma non sono in nessun modo una cosa nuova; solo a Londra se ne sono fatti innumerevoli. I suggerimenti di Wren da questo punto di vista sono ben noti, e i piani elaboratamente concepiti da Sir John Soane per abbellire la Metropoli sono ancora conservati al museo di Lincoln’s Inn Fields. Ma i progetti di Soane fecero la stessa fine di altri, precedenti e successivi, e per la stessa ragione. La trasformazione della città è soprattutto un problema di spesa, e gli aspetti pratici di qualunque proposta devono necessariamente essere considerati. Nei tempi antichi non era difficile emanare un editto che ordinava, se necessario, la spietata distruzione di interi quartieri, se stavano ad ostacolare trasformazioni che qualche signore aveva preso a cuore. Oggi le cose sono diverse. Bisogna prendere in considerazione il trasferimento degli abitanti, e l’intero piano deve essere organizzato con dovuta attenzione alle proprietà. Non mancano certo, esempi di miglioramenti che diventano alla fine un problema, e di errori di giudizio simili commessi da importanti uffici.
Nelle questioni di riforma urbana, sembra operino due scuole di pensiero. Qualcuno sarà orientato ad ottenere strade ampie e dritte, e per questo scopo, nel suo sognante entusiasmo, si scaverà un percorso (sul tavolo da disegno) attraverso aree edificate, senza riguardi per le spese, col solo obiettivo di ottenere una “bella prospettiva” che termina in un capolavoro di architettura monumentale. Qualcun altro, insisterà sulla conservazione degli edifici antichi, con l’opinione che non si tratti mai di ostacoli allo sviluppo, salvo che nella mante di chi li considera tali. Il Professor Baldwin Brown chiama i piani del primo tipo “ clean slate and paper projects”, e crede che i monumenti storici debbano essere il punto centrale, con i piani a svilupparsi attorno ad essi. Qui, naturalmente, siamo di fronte alla discussione su cosa sia un monumento storico. Nelle grandi città, ci possono anche essere le condizioni per avere un’opinione esperta sul tema, ma cosa possono fare le piccole? Non esiste un’autorità centrale per giudicare, e gli amministratori locali, per quanto possano essere persone di valore, nella maggior parte dei casi non hanno alcun concetto dei valori archeologici, né degli aspetti artistici. Probabilmente, è per dare un aiuto in questi casi che Mr. Leonard Stokes, Presidente della Royal Institution of British Architects, negli ultimi giorni, ha sostenuto l’idea del despota benevolo che direbbe: “È cosa giusta, e sarà fatta”, o “Diventerà necessario fra non molto, e bisogna provvedere”. Nei progetti famosi del passato, il responsabile è stato in gran parte un singolo individuo. Ora, soffriamo il mescolarsi di molte e non allenate personalità. Nei tempi passati, gli urbanisti erano gli stessi signori: uomini di grandi idee. Ora quel lavoro è lasciato alle decisioni di uomini comuni. Un tempo i “si” e i “no” dell’urbanista erano assoluti, ma chi troverebbe un censore in grado di misurarsi coi bisogni moderni? Ma di un’autorità del genere esiste il bisogno quando, in mancanza di cognizioni e gusto, le città diventano tanto orribili nel cosiddetto interesse della comunità.
Il desiderio di una lunga prospettiva spesso supera, nei piani degli entusiasti, altre considerazioni che dovrebbero avere un certo peso. E spesso il rischio è di esserne poi travolti. Qui a Londra, che tanto spesso è oggetto di piani di trasformazione, l’atmosfera della città non è molto adatta a magnifiche lontananze. Le brevi distanze qui vanno molto lontano, e se le strade ampie sono da apprezzarsi in qualunque modo, l’idea che ne ha di solito l’artista o architetto assorto nella creazione sul suo tavolo da disegno può essere molto diversa da quella, pratica, di quello che è “l’uomo della strada”. Una via diritta può perdere la sua bellezza se è troppo lunga, e nello stesso modo non è possibile obiettare a nessun cambio di direzione, se è ben studiato. Se una curva è organizzata a largo raggio, e chiamata “ fine sweep”, può anche essere accettata da i più esigenti, come una delle migliori scelte d’effetto. Si può osservare, come spesso si fa, che la strada dritta è la migliore perché rappresenta quella più breve fra due punti dati. Ma questo è vero solo quando accade che i due punti si trovino sulla strada in questione. Come ognuno sa, le città degli Stati Uniti sono organizzate per blocchi rettangolari senza, di solito, nessuna strada diagonale. L’idea è la semplicità in persona. Non c’è niente di più facile per ricordarsi le direzioni: “Tanti isolati dritto e poi tanti isolati a destra o a sinistra”. Ma non ci sono scorciatoie, bisogna sempre aver a che fare con i due lati di un triangolo, e da qui deriva l’uso frequente del tram, da e per il centro, con il suo biglietto a tariffa urbana, per distanze che noi ci vergogneremmo di percorrere se non a piedi.
Oggigiorno, gli Stati Uniti si vantano di possedere una scuola di progettazione urbana in cui la pianificazione spettacolare di ampi spazi è paragonabile solo alle dimensioni del paese. Non si esita davanti alle più radicali trasformazioni, e non sono rari i piani per la completa riforma di intere città. Sulle pareti della Burlington House si possono ora vedere disegni provenienti dall’America, su spazi progettati e rappresentati su questa immensa scala. Come esempi di abilità in entrambe queste direzioni, i disegni sono piuttosto eloquenti, e di particolare efficacia quelli di Mr. Jules Guerin. Qui, la Chicago che sarà giace distesa ai nostri piedi, con magnifiche strade e viali, una superba costa a parco, con ampie propaggini protese dentro il lago a formare il porto. Questa scala di progettazione, bisogna ammetterlo, non deve sorprendere in un paese dove si intraprendono ricostruzioni come quelle delle stazioni di New York.Per apprezzare in pieno le proposte in mostra alla Burlington House bisogna avere una visuale a volo d’uccello sulla città. Pochi, al livello del suolo, potrebbero sperare di cogliere l’idea. Un’idea grandiosa, ma dopotutto le belezze dovrebbero essere anche commisurate in qualche modo alla nostra vita. Quando le cose diventano troppo vaste sono anche un po’ noiose, e all fine opprimenti.
Se questi piani si devono valutare a volo d’uccello (un punto di vista che, nella vita, pochi uomini sono in condizione di sperimentare) perché la loro bellezza possa dispiegarsi, Mr. J. Burns dovrebbe farci salire in cima al Monument per vedere quanto siano brutte certe parti di Londra. La postazione è certamente ottima per alcuni scopi, ma se si deve riprogettare Londra perché appaia bella sia sopra che sotto il livello del terreno, oltre che dall’alto, non è necessaria solo un’ideale lavagna pulita, ma prima di qualunque altra cosa gli architetti dovrebbeo imparare daccapo come confrontarsi con coperture e retri, cortili e camini, per cui ora non si fa niente di utile. Non c’è dubbio, che si possa far molto per rendere Londra migliore, più bella, più adatta ad una vita sana, ma cosa sia meglio fare è difficile da decidere. È facile parlare in generale, raccomandare l’abolizione delle stazioni di testa dalla zona della Metropoli, o la soppressione dei viadotti ferroviari, l’apertura di ampie strade, e via dicendo. Ma questi, e altri piani di maggior utilità, sono possibili sono spendendo grosse cifre di denaro pubblico, la cui erogazione non può avvenire senza la garanzia di adeguati ritorni. La ri-pianificazione (sic) delle città esistenti può anche essere un problema relativamente facile, per gli architetti. Nella pratica, le possibilità di ricostruzione sono limitate dalla capacità delle amministrazioni di sostenere il relativo carico economico. Le strade ampie da sole non risolvono il problema. La famigerata Bowery di New York è un po’ difficile da definire come ampia via, e il nostro East End fornisce un esempio simile di grandi strade progettate su ampia scala, e fiancheggiate da case in cui le condizioni di vita sono ben lontane dagli ideali a cui mirano i riformatori urbani.
Detto questo, bisogna aggiungere che è stato fatto molto a Londra in termini di ricostruzione, e che molte altre città d’Inghilterra sono eminenti esempi sia di pianificazione generale che di ri-pianificazione; ad esempio, Bath, che può vantarsi di una vasta e illuminata progettazione. Ma molto resta ancora da fare. Non si potrebbe forse trovare una città più adatta per incominciare, di quella resa familiare da George Eliot col nome di St. Ogg’s. A St. Ogg’s le strade non sono che una serie di strettoie, tortuose e squallide, mentre nascoste all’interno giacciono, fra spianate terrose e mattoni sgretolati, stanno se non gemme di architettura almeno tesori archeologici, in forma di antiche sale che risalgono ai tempi di John of Gaunt, o come dice qualcuno a epoche precedenti, Normanna o Sassone.
Qualche volta, l’opportunità di una ricostruzione può venire da una grave calamità. Casi di questo tipo sono numerosi, anche ai tempi nostri. L’occasione però, bisogna ammetterlo, non sempre è stata colta. Ma di regola una ricostruzione può procedere solo lentamente e con cautela. D’altra parte, le aree urbane esterne sono più plasmabili nel verso giusto, e qui si dovrebbero incoraggiare le costruzione secondo linee salubri e di ampie vedute. Quando si pensa che, secondo Mr. J. Burns, ogni quindici anni in questo paese si aggiungono aree urbane per una dimensione pari a quella del Buckinghamshire, si capirà l’importanza di questo problema. Si è iniziato un movimento salutare, e in questo non siamo secondi a nessuno nel Continente negli sforzi per offrire agli abitanti un ambiente di vita migliore. Gli esempi di questi sforzi appesi alla pareti della Royal Academy, sono vari. Comprendono le città giardino d’England, e per l’estero si va dal progetto per Kalgoorlie agli schemi della nuova Khartoum, da Prince Rupert in Canada ai Cinnamon Gardens di Colombo, alle periferie di Singapore. E se chi ne è in grado sta per essere fornito di un ambiente migliore e più aperto che in passato, per la vita di uomini e donne, è anche giusto che chi non sa farlo da solo sia assistito in una direzione simile. Quindi è del tutto coerente con gli ideali del movimento, se sulle pareti della Burlington House appaiono progetti per una città giardino dei ragazzi. Questa idea, ora sviluppata in pieno, è il risultato di una lunga esperienza al villaggio per ragazze del Dr. Barnardo a Barkingside. Il nuovo villaggio per ragazzi consisterà di 28 case su 20 ettari di terreno a Woodford Bridge (un contrasto, rispetto ai grandi isolati della Stepney Causeway). Il progetti sono dell’architetto W. A. Pite, che ha così avuto il privilegio di ideare uno dei migliori villaggi giardino in corso di realizzazione. Il piano merita successo, perché ad esempio invece di cambiare vita quando le abitudini sono già formate, si parte già da giovani con un’idea nuova, e nessuno dubita che salutari principi di vita possano essere instillati nei giovani che vivono in un ambiente del genere, piuttosto che nell’East End di London, facendoli così cittadini migliori di quanto avrebbero altrimenti avuto la possibilità di essere.
Nota: La versione originale di questo testo (insieme a molti altri preziosi contributi storici) è disponibile al sito gestito dal professor John Reps alla Cornell University . Per qualche comparazione, storica e non, consiglio di vedere, almeno su questa stessa sezione di Eddyburg, i testi di Patrick Abercrombie del 1910 su Chicago e Washington, e l'excursus storico-urbanistico nella "voce" enciclopedica curata da Giovanni Astengo (fb)