Appello a Romano Prodi, a Bologna e a Roma, di un folto gruppo di intellettuali, di addetti ai lavori nell’ambito dei beni culturali e ambientali: in tv, nei comizi, negli incontri, parli di più di cultura e di ambiente come valori fondativi della nostra identità nazionale, come investimento pubblico strategico per conservare, tutelare e far conoscere il grande e minacciato patrimonio storico-artistico-paesistico. Glielo rivolgono da mesi oltre trecento esperti e specialisti di questa materia. Glielo hanno ripetuto martedì scorso a Bologna in una tavola rotonda (con Ezio Raimondi, Felicia Bottino, Pier Luigi Cervellati, Marco Cammelli, Andrea Emiliani, Ennio Riccomini e altri) e giovedì scorso a Roma, nel corso di un convegno dal titolo di per sé significativo: “Beni culturali: una politica da ricostruire”, organizzato da Assotecnici, Bianchi Bandinelli e Comitato per la Bellezza. Un dibattito intenso, quest’ultimo, coordinato da Maria Serena Palieri e animato da Irene Berlingò la quale ha ribadito i punti di vista della associazioni. Alla maggioranza degli intervenuti nel vivace dibattito piace in realtà di più la dizione spadoliniana: beni culturali e ambientali. Indebolito, con un errore storico, il rapporto fra loro, in realtà il territorio italiano risulta sgovernato e con esso il paesaggio. Specie dopo il confuso, mediocre Codice Urbani che in poco tempo ha subito già due rimaneggiamenti ministeriali. Per non parlare della nuova legge sull’ambiente: un vero smantellamento della tutela.
Qual è la “missione” del Ministero oggi? “Dobbiamo studiare, lavorare per conservare, per tutelare, o per vedere qual è il maggior reddito possibile ricavabile da quel bene?”, si è chiesto il soprintendente di Pompei, Piero Guzzo. In campo ambientale non va meglio, come ha osservato Gaetano Benedetto segretario generale aggiunto del Wwf: “Difendere la natura sembra diventato un corollario della politica ambientale, non la missione fondamentale degli Enti parco”. Su questo punto strategico è stato molto preciso l’ex ministro dei BC, senatore Domenico Fisichella: “Siamo di fronte ad una questione nazionale che è tutt’uno con la statualità. Io non sono statalista e però c’è stata una deriva economicistica che rischia di snaturare il carattere del bene culturale che è bene pubblico. Esso è irriproducibile e quindi unico, mentre il bene economico è riproducibile, anzi seriale. Certo, anche il primo può avere ricadute economiche, ma il suo valore di fondo è pubblico”. Fisichella ha criticato in profondità l’attuale situazione del Ministero (“Mischia contraddittoriamente privatizzazione e burocratizzazione”) e la secca riduzione dei fondi. Un altro ex ministro, Giovanna Melandri, ha rivendicato la scelta di un Ministero della Cultura, “alterato però dalla riforma interna, con le direzioni regionali che, da organismi di coordinamento e da interfaccia delle Regioni, sono diventate organismi di gestione svuotando le Soprintendenze territoriali”. Melandri ha chiesto la cancellazione della “Arcus SpA”: così com’è configurata oggi, essa è una sorta di cassaforte per i ministri delle Infrastrutture e dei Beni Culturali. “Bisogna restituire finanziamenti stabili e adeguati alla mano pubblica. Se essa non è forte, neppure i privati vengono attratti”. Sul possibile allargamento delle competenze al turismo ha messo un punto interrogativo.
La maggioranza degli intervenuti ha però detto no a questa prospettiva: il turismo è un indotto del patrimonio storico-artistico-ambientale, è altra cosa; certo esige un centro di coordinamento nazionale e però non va mescolato con la tutela del patrimonio stesso, né la deve influenzare. “Nel 1870”, ha esemplificato Mario Torelli, archeologo e rappresentante del Pdci, “il grande Theodor Mommsen andò a Firenze ad incontrare il ministro dell’Istruzione, Pasquale Villari, e gli disse: “A Roma si va solo con idee universali”. E Villari di rimando: “E noi l’abbiamo: la Scienza”. Poteva essere ingenua utopia, ma la spinta ideale era assai forte. Ne vediamo poca invece nel programma dell’Unione per la cultura”. Un’opinione piuttosto condivisa. “Certe impostazioni liberiste e privatizzatici del patrimonio artistico e ambientale c’erano già nei gioverni di centrosinistra”, ha sottolineato Gaetano Benedetto. “Il centrodestra le ha estremizzate in modo becero. Il maquillage non basta certo”. “Dopo le elezioni”, è stato l’appello dell’assessore verde all’Ambiente della Regione Lazio, Angelo Bonelli, “dobbiamo ritrovarci per creare un fronte di intellettuali, di forze politiche che credono ancora ai beni culturali e ambientali come a valori costitutivi del Paese e della sua identità, che li considerano, per principio, inalienabili”. “La separazione fra beni culturali e beni ambientali è stata un grave danno”, gli ha fatto eco Patrizia Sentinelli di Rfc. “Bisogna ridefinire in tal senso l’orientamento di fondo del Ministero, mirando a ricostruire una strategia di conservazione e di tutela.” Che fare allora del Codice Urbani e della legge ambientale Matteoli? “Con un decreto il nuovo governo Prodi potrebbe sospenderne l’efficacia”, ha chiarito Sauro Turroni, vice-presidente della commissione Ambiente del Senato e protagonista dell’affossamento della disastrosa legge urbanistica del centrodestra. “La direzione di marcia dev’essere quella”.
Certo, il Ministero non funziona e sembra in stato confusionale. Pio Baldi, direttore generale, ha evidenziato le “criticità gestionali”: “Dieci anni fa, i passaggi di una pratica di restauro erano quattro. Oggi sono sette. Salvo complicazioni. Una catena di comando che non funziona più”. Ci sono ampi vuoti nelle file dei custodi (nella frequentatissima Pompei appena 360 sugli 872 previsti) e in quelle degli stessi dirigenti: “Ne mancano ormai una sessantina, e i più giovani hanno 50 anni”, ha denunciato il segretario della Uilbac,Gianfranco Cerasoli. “La spesa ordinaria del Ministero prevede 23 centesimi a testa per la formazione dei dipendenti...” A Villa Adriana, per 80 ettari, la vigilanza è ridotta a 40 persone, ha fatto presente Anna Maria Reggiani, direttore centrale.“Viviamo tutti un grande disagio”. I rappresentanti degli archivisti (Ferruccio Ferruzzi) e dei bibliotecari (Mauro Guerrini) hanno portato cifre agghiaccianti: fra dieci anni non ci saranno più archivisti professionali, bisognerà chiedere all’Unesco di occuparsene? L’ultimo concorso per archivisti risale al ’74, quello per bibliotecari all’84, il personale della Nazionale di Firenze si è, in pratica, dimezzato. Il declassamento dell’alta dirigenza è stato sottolineato anche da Marisa Dalai, presidente della “Bianchi Bandinelli”, insieme allo svuotamento operato dei Comitati di settore e dello stesso Consiglio Nazionale, organismi tecnici e democratici come devitalizzati. Anche così nascono leggi e regolamenti mediocri e confusi. Bisogna ripristinare un rapporto forte con l’Università, hanno concordato Dalai e Giovanni Sassatelli, preside di Lettere a Bologna. “Il Ministero ha smarrito il senso, lo scopo della propria esistenza. L’aspetto fondativo va recuperato, come il rapporto col territorio, un rapporto praticamente tagliato,” ha osservato il direttore regionale di Puglia e Molise, Ruggero Martines, “così il territorio non lo governa più nessuno”. Siamo al disastro. Coi piani paesistici della Galasso finiti nel dimenticatoio; col Codice Urbani che li prevede ma non si sa quando; con leggi regionali (vedi Storace nel Lazio) che li subordinano alle trasformazioni urbanistiche. “Di paesaggio non si parla quasi mai”, ha rilevato l’ex sottosegretario, Giampaolo D’Andrea, “il paesaggio è scomodo, per tutti”. Il divorzio fra norme paesistiche e norme urbanistiche deve cessare al più presto, in tutte le regioni. Altrimenti, a contare è il geometra del piccolo Comune, sub-delegato dalla Regione (anche in Toscana, errore mortale) a vigilare sulla compatibilità fra piani e progetti. Il controllato è diventato controllore di se stesso. “La deroga urbanistica poi”, ha denunciato Paolo Berdini, urbanista, “è ormai una pratica costante, distruttiva”. Bisogna davvero voltare pagina, su tutta la linea. Appuntamento a dopo le elezioni del 9-10 aprile. Per una forte azione programmatica in tal senso.