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Giovanni Valentini
L’ambientalismo della “sosteniblablablà”
22 Settembre 2013
Post 2012
Commentando le sagge parole del presidente del Worldwatch Institute l'autore sostiene che sarebbe bello, se esistesse un “ambientalismo maturo capace di distinguere, capace di criticare caso per caso. Non sa che c’è già.

Commentando le sagge parole del presidente del Worldwatch Institute l'autore sostiene che sarebbe bello, se esistesse un “ambientalismo maturo capace di distinguere, capace di criticare caso per caso. Non sa che c’è già. La Repubblica, 22 settembre 2013, con postilla

L’interrogativo può risultare senz’altro intrigante, sia per gli ambientalisti sia per i loro interlocutori: “È ancora possibile la sostenibilità?”. Con questo titolo, il Rapporto 2013 del Worldwatch Institute sullo stato del mondo — presentato venerdì a Padova — ripropone in termini provocatori una questione fondamentale che riguarda la nostra esistenza sulla Terra. Possiamo, cioè, imparare a vivere in una prosperità equa e condivisa con gli altri esseri umani, entro i limiti fisici e biologici del nostro pianeta? Si tratta, evidentemente, di una domanda che interpella tutti.

“Quella in cui viviamo — scrive nel capitolo introduttivo Robert Engelman, presidente del Worldwatch Institute, coniando un efficace neologismo — è l’epoca della “sosteniblablablà”, una profusione cacofonica di usi del termine “sostenibile” per definire qualcosa di migliore dal punto di vista ambientale o semplicemente alla moda”. In origine, l’aggettivo — diventato poi il vessillo dell’ambientalismo moderno — significava propriamente “capace di continuare a esistere senza interruzione o diminuzione”. Ma ormai viene sottoposto spesso a una banalizzazione mediatica che in genere si associa a una strategia di greenwashing — letteralmente “lavaggio verde” — adottata da molte aziende a fini commerciali e di marketing, realizzando di fatto un inganno o addirittura una truffa.

Dalla riduzione delle emissioni di gas serra che inquinano l’atmosfera e provocano il riscaldamento climatico del pianeta alla raccolta differenziata dei rifiuti, dalla diminuzione del consumo di carne all’acquisto di automobili a basso consumo, molti pensano che la sostenibilità si possa esaurire in una serie di comportamenti virtuosi individuali. E non c’è dubbio che tutto ciò contribuisce al rispetto e alla difesa dell’ambiente, a condizione ovviamente che non si riduca a gesti occasionali o isolati. Per gli ambientalisti, tuttavia, l’uso “smodato” di questa parola che imperversa sui media minaccia di occultare la vera questione: vale a dire “se la civiltà possa continuare in questa direzione senza compromettere il benessere futuro”.

Non è, dunque, soltanto una questione mediatica. Bensì di sostanza, di trasformazione culturale ed economica. Bisogna correggere perciò il modello di sviluppo e intervenire sui cinque grandi fattori che causano la disgregazione dei sistemi naturali: 1) il degrado del clima; 2) i processi di estinzione delle specie; 3) la perdita della diversità degli ecosistemi; 4) l’inquinamento crescente; 5) l’aumento della popolazione e dei livelli di consumo.

È il nostro modello di sviluppo, insomma, che deve cambiare per adeguarsi a questi valori, tanto più di fronte al rapido sviluppo dei Paesi cosiddetti emergenti. Altrimenti, a cominciare dalla salute, ne va della stessa sopravvivenza della Terra e del genere umano. E gli studiosi fissano al 2050 la scadenza entro la quale si verificheranno situazioni molto gravi di sofferenza.

Sarebbe sbagliato, tuttavia, disconoscere il fatto che anche la “sosteniblablablà” rappresenta comunque un successo dell’ambientalismo sul piano della comunicazione di massa e quindi della coscienza collettiva. Finora ha prodotto forse più benefici di un certo allarmismo o catastrofismo di maniera. Ben venga, allora, quell’ambientalismo “maturo” capace di valutare anche le Grandi Opere “una per una”, come ha dichiarato coraggiosamente nei giorni scorsi al Manifesto il sindaco di Genova, Marco Doria, eletto come indipendente nelle liste di Sel.

In tempi non sospetti, su questo giornale, chi scrive ha già usato più volte provocatoriamente l’espressione “ambientalismo sostenibile” per invocare un atteggiamento più concreto e costruttivo. A volte, è proprio il radicalismo verde, al limite del fanatismo ideologico o del fondamentalismo, che rischia di suscitare una reazione contraria di rifiuto, di avversione o di ostilità. Così, senza volerlo e senza saperlo, si finisce per favorire i veri nemici dell’ambiente. E se anche questa alla fine fosse “sosteniblablablà”?

postilla

L’autore non si è probabilmente accorto che « quell’ambientalismo “maturo” capace di valutare anche le Grandi Opere “una per una”» è nato e agisce da decenni. Non conosco una sola Grande Opera denunciata dai comitati, reti e associazioni per la quale non ci siano state puntuali analisi e proposte alternative, in generale ignorate da chi aveva il potere di decidere: dalla Torino-Lione al MoSE, dal Ponte sullo stretto alla Mestre-Orte, ai diversib tronchi della TAV alla Gosseto Civitavecchia e via infrastrutturando. Se gli manca qualche riferimento possiamo fornirglielo volentieri.

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