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Cus-Cus Taragno
29 Settembre 2012
Ricette degli amici
Latte e cereali: ma scordatevi l'American breakfast. Una ricetta facile, che potrebbe (secondo Fabrizio Bottini) anche mettere d'accordo Calderoli con l'immigrazione dal Maghreb

Si sa che la megalopoli è un grande melting pot: etnie, sostanze inquinanti, abitudini alimentari, affiliazioni politiche. Tutto scorre mescolandosi su e giù per i rivoli dei corsi d’acqua, dei nastri d’asfalto, dei binari e dei cavi in fibra ottica. E tutto cambia, a volte in meglio. È un miracolo possibile anche con Calderoli? Magari si, e vediamo la ricetta a partire dagli ingredienti ambientali.

Le orobiche valli bergamasche, oltre che per Arlecchino e le gare di moto fuoristrada, sono famose anche per la cosiddetta “polenta taragna”. Il nome taragna deriva da tarare, mischiare, perché durante la preparazione è necessario "tararla" di continuo a evitare che si attacchi sul fondo del paiolo. Non tanto la polenta, quanto il formaggio utilizzato di norma per comporre questo piatto unico: acqua, sale, farina mista di varie granaglie, burro e Bitto. Il quale Bitto viene prodotto prevalentemente nelle aree che mettono in comunicazione la Valtellina (provincia di Sondrio) con la Valbrembana (provincia di Bergamo) e che culminano nel passo dove sorge la leggendaria Ca’ San Marco, uno dei simboli mistico-territoriali della Lega Nord. Puro, inattaccabile e cristallino padanismo d’alta quota? Vediamo.

Il cuscus, dall’arabo “ rec-chesches” (=cibo tritato), poi solo “ chesches”, da cui la fonetica “ cuscus”, si accosta di solito a cibi saporiti, speziati, verdure, pesce … Va bene, va bene: ma anche qui zoccolo duro di mediterraneismo cristallino da quota zero calma piatta?

In fondo si diceva sopra che la megalopoli gira e rimestola tutto quanto, e ce lo insegna la geografia come “megalopoli” non sia quella cosa che dalle pagine dei giornali ci raccontano architetti e sociofagi di bocca buona: dentro ci stanno sia le aree di recupero urbano in joint-venture pubblico-privata, che la grande città diffusa delle pianure, dei fiumi e dei laghi, che, infine, anche le valli formaggifere. Come quella striscia di casupole che si snoda dalla “sacra” Ca’ San Marco, col suo bassorilievo cinquecentesco col Leone della Serenissima, nel verde dei pascoli. Dentro le casupole, una specie di versione locale della Maga Magò, sopra pentoloni brontolanti, produce il mitico Bitto. Ma: sacrilegio! Del Bitto si può anche fare a meno, come dimostrano generazioni di polente condite al formaggio buonissime, e come (ancora più sacrilegio!) alla polenta dalla necessariamente lunga cottura, si può sostituire il mitico cus-cus, o cous-cous per chi vuole la grafia francese a tutti i costi.


Insomma lasciamo le vette cristalline, il Leon cinquecentesco (che non mangiava el teròn, allora inesistente), e rientriamo nel mondo normale laicizzato, dove ad esempio i muratori orobici e quelli maghrebini si incrociano sui medesimi furgoni della trasformazione urbana più o meno strisciante, sui piazzali dei supermercati per lo spuntino volante di mezza giornata, o su quelli delle pompe di benzina nell’infinita coda serale che risale in disordine le arterie della megalopoli.

È con questi modi e tempi, che nasce la nuova cucina, con ingredienti trovati in fondo all’armadio, al frigo, o presi di corsa al supermercato sulla via di casa: cus-cus pronto dall’angolo farine o da quello “esotico”; un po’ di burro; una tazza di latte; sale qb; una confezione di strip-zola. Per chi non avesse colto il riferimento, dicesi “ strip-zola” quel genere di formaggio dal sapore lievemente pungente, che in effetti assomiglia un pochino al gorgonzola, viene venduto in varie forme nei supermercati lungo le strip metropolitane, e si apre strappando la strip di plastica trasparente, con gesto che libera la caratteristica invitante puzzetta, che raggiungerà l’apoteosi a fine preparazione.

Dosi, più o meno per due persone: una tazza di cus-cus; una tazza identica di latte e un bicchier d’acqua; una cucchiaiata abbondante di burro; un etto (o più, volendo) di strip-zola.

La preparazione richiede assai meno di questa infinita premessa, ovvero circa dieci minuti in tutto. Si mette a bollire il latte allungato e salato in un pentolino antiaderente. Nel momento in cui inizia a salire la schiuma si spegne, si aggiungono la tazza di cus-cus e il cucchiaio di burro. Dopo aver mescolato sino a sciogliere il burro, e aspettato alcuni minuti col pentolino coperto che il cus-cus abbia assorbito tutto il liquido, si riaccende il fuoco al minimo, e mescolando con una spatola di legno (gesto scaramantico che scaccia i fantasmi delle Magò Bittine) si incorpora lo strip-zola. Se l’insieme pare un po’ troppo compatto, basta aggiungere ancora un pochino di latte. Pronto!

Come insegnano alla fine tutte le ricette della taragna classica: sarebbe un piatto unico, però …. Però in qualunque posto, per quanto sia ricca e calorica, ve la offrono sempre accompagnata a salumi, carni ecc.

Anche il cus-cus taragno non vuole essere da meno, e si può proporre con cose sicuramente più leggere e digeribili, ma altrettanto se non più gradevoli. Si accompagna benissimo a verdure come le bietole ripassate all’aglio (meglio ancora non bollite prima, ma fatte appassire direttamente), o i porri ad anelli pure appassiti a fuoco lento, o una frittata di cipolle, per chi poi non deve fare un lungo viaggio in compagnia nell’abitacolo di un pickup regolarmente in coda sulla superstrada.

E la domanda iniziale: piacerà a Calderoli? La risposta, laicissima, suona: boh! In fondo, chi se ne frega.

Nota: per chi vuole accompagnare il cus-cus taragno a sensazioni forti, uno sfondo socio-canzonettaro, direttamente dal prato di Pontida (f.b.)

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