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Giovanni Astengo
Urbanistica in Parlamento
11 Agosto 2007
1963, La proposta Sullo
Urbanistica 36-37, 1962

Il secondo semestre del ‘62 è caratterizzato, per quanto riguarda l’urbanistica nel nostro Paese, da due fatti fondamentali: l’entrata in vigore della legge 18 aprile 1962, n. 167, e la ultimazione del progetto per la nuova legge urbanistica.. compilato dalla commissione nominata e presieduta dal Ministro Sullo.. e sottoposto in questi mesi al parere del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.

La legge 167 sull’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare rappresenta 10 sbocco, in vero assai tardivo.. di un disegno di legge che, presentato dapprima dal Ministro Romita, quindi riportato in Parlamento dal Ministro Togni, ha impiegato sette anni per superare il vaglio di due legislature e di varie commissioni parlamentari. Confrontando il testo finale con quello iniziale c’è da domandarsi se gli emendamenti apportati durante il lungo iter costituiscano effettivi e sostanziali benefici per il pubblico interesse, tali da giustificare la lentissima gestazione, o se non sarebbe stato assai più efficace, per la finalità stessa della legge, approvare celermente il testo primitivo.

Non si deve infatti dimenticare che la proposta di legge è uscita originariamente dal Ministero dei Lavori Pubblici quando i Comuni già si trovavano in difficoltà per il reperimento di aree a basso costo, in quantità ed ubicazione adeguata, per l’edilizia statale promossa, a getti discontinui e sovrapposti, dalle numerose leggi allora operanti, quando l’INA-Casa, esaurito il programma del primo settennio, stava ormai impostando quello per il secondo periodo settennale, quando l’esigenza del coordinamento operativo dell’edilizia statale e sovvenzionata aveva già trovato una sua embrionale espressione con la formazione del CEP (1954), quando, cioè, era facilmente constatabile che la legge stessa, anche se resa immediatamente operante, sarebbe giunta in ritardo, tenuto conto dei tempi tecnici di attuazione, rispetto al momento di massima piena degli stanziamenti statali.

La stessa durata ristretta del piano e la procedura d’urgenza, istituita per la sua redazione, pubblicazione ed approvazione, erano misure eccezionali, rispondenti a questa esigenza di bruciare le tappe, di ricuperare il tempo perso, di stimolare indirettamente la formazione dei piani comunali generali, per garantire ai vari stanziamenti statali, sia pure nella loro fase discendente e finale, una possibilità di corretto impianto urbanistico a costi ragionevoli.

L’appoggio dell’INU al disegno di legge Romita volle allora significare il consenso ad uno strumento semplificativo delle procedure normali, adeguato a situazioni contingenti, e che, se pure imperfetto (basti ricordare la clausola della variante automatica dei piani regolatori per mezzo del piano settoriale dell’edilizia popolare, fin dall’inizio denunciata come inaccettabile) poteva tuttavia servire di innesco per la redazione dei primi piani particolareggiati, facilitandoli con la riduzione del temuto piano finanziario ad una semplice previsione di spesa, e per la formazione di una prima rata di demanio comunale, con procedura abbreviata rispetto all’art. 18 della legge urbanistica.

Queste prospettive sono cadute nel nulla a causa, come è noto, dell’infausto abbinamento, in sede parlamentare, fra una legge elementare, come quella a favore dell’acquisizione delle aree fabbricabili per l’edilizia popolare, ed una complessa e controversa come quella per l’imposta sulle aree fabbricali, abbinamento che, anziché a favore, si è in definitiva risolto tutto a danno della prima.

L’aver richiamato le situazioni di partenza e d’arrivo della legge 167, che nasce, come era del resto prevedibile, scompagnata dalla sua gemella adottiva, ci è parso utile non tanto come motivo di rimpianto, quanto per cercare di capire quale possa essere oggi la funzione di questa legge nel quadro della mutata situazione odierna: ad esaurimento di quegli stessi fondi, per il più razionale e spedito utilizzo dei quali era stata predisposta, ma anche alla vigilia di un nuovo programma decennale, ancora in elaborazione, di investimenti statali nel settore dell’edilizia).

Si può cosi amaramente constatare che la 167 giunge talmente in ritardo rispetto ai programmi di edilizia statale e sovvenzionata degli anni ‘50, da essere per lo meno in anticipo rispetto a quelli degli anni ‘60.

A parziale compenso del tempo e delle occasioni perdute abbiamo oggi una formulazione indubbiamente più estensiva di quella originaria, nella finalità e nei mezzi della legge. Due sono le innovazioni sostanziali: la estensione della applicazione alla edilizia economica, sia sovvenzionata che di libera iniziativa, ed il riferimento, per l’indennità di espropriazione, al valore che / i terreni avevano due anni prima del piano, con la stabilizzazione dodecennale di tale valore.

Sull’utilità sociale della prima non vi possono essere dubbi: che a fruire dell’acquisto a prezzo di costo delle aree espropriate, pianificate ed urbanizzate, siano non solo gli Enti statali e parastatali, ma anche cooperative ed Enti statutariamente privi di scopo di lucro e che, inoltre, agli stessi benefici possano accedere, entro certe condizioni e misure, anche i privati è certo un fatto positivo, che apre e sviluppa te finalità stesse della legge ed incita le Amministrazioni locali a darsi un programma edilizio decennale.

Non si possono tuttavia tacere alcune perplessità sul blocco dodecennale del prezzo dei terreni ricadenti nel piano. Originato dal lodevole proposito di frenare l’ascesa dei prezzi delle aree edificabili, particolarmente acuta negli ultimi anni, e di garantire all’edilizia economica e popolare l’acquisto di aree scevre da rialzi speculativi, stabilizzando al tempo stesso i prezzi in modo da consentire una più tranquilla attuazione degli investimenti, il congegno escogitato appare tuttavia non immune da difetti e tale da creare situazioni di grave sperequazione. Basta infatti considerare che, quando il piano blocca terreni esterni non ancora rivalutati da operazioni speculative o da lottizzazioni, si determina all’istante una situazione di sperequazione fra terreni bloccati e terreni liberi, sperequazione che diventa particolarmente acuta ed evidente nel caso di proprietà contigue, l’una inserita nel piano (con utilizzazione rinviata magari agli ultimi elenchi annuali), e l’altra di libera utilizzazione, che fruirà, nel frattempo, degli incrementi di valore per le opere di urbanizzazione che il Comune è obbligato a provvedere a servizio dell’ area vicina.

Ne è da escludere, infine, il caso in cui il blocco dei prezzi giochi a sfavore della collettività, premiando paradossalmente gli alacri lottizzatori col garantir loro una stabilità di alti prezzi artificiosamente raggiunti; situazione, questa, tutt’altro che improbabile per i terreni siti nelle frangie semi-urbanizzate delle città, dove il gioco speculativo di questi ultimi anni ha ottenuto i massimi incrementi.

Infine, non sono da poco anche i motivi di perplessità di ordine strettamente operativo. Nei Comuni obbligati a redigere il piano per l’edilizia economica e popolare, e cioè in tutte le grandi città, la presentazione obbligatoria e simultanea, in limiti di tempo eccezionalmente brevi, di tutti i piani particolareggiati, relativi alle aree prescelte per una previsione decennale, non solo comporta comprensibili difficoltà redazionali, con tutti gli inconvenienti di una elaborazione affrettata ed eseguita per parti, ma anche il rischio di condizionare e di cristallizzare per un decennio le direttrici di espansione per l’intera città a mezzo di un piano settoriale troppo precipitosamente formato.

I prossimi mesi ci diranno se e quanto erano giustificate queste apprensioni: per intanto segnaliamo che al 15 di novembre, data di scadenza dei 180 giorni fissati dalla legge per la redazione dei piani ai Comuni con oltre 50.000 abitanti 0 capoluoghi di provincia, e che interessano in complesso circa 20 milioni di cittadini italiani, un numero limitatissimo di piani sembra giunto a compimento poiché la maggior parte dei Comuni ha chiesto la proroga.

Il fatto è che la 167, perso il primitivo carattere di legge congiunturale a tempi brevi in funzione di precisi stanziamenti per l’edilizia statale e sovvenzionata, ha oggi assunto una ben più impegnativa funzione di obbligatoria formazione di piani particolareggiati per una rilevante aliquota dell’espansione residenziale; senonché a questa nuova dimensione, mentre si pone come elemento di rottura dell’immobilismo amministrativo, essa rivela al tempo stesso una intima fragilità, ne si dimostra in grado di risolvere i problemi e le contraddizioni che essa stessa suscita.

In definitiva, la 167 fornisce una ulteriore testimonianza sulla insufficienza delle soluzioni settoriali ed un’altra prova della improrogabile esigenza di una visione globale, quale solo la nuova legge generale urbanistica è in grado di prospettare.

La presentazione ai Ministeri interessati ed al CNEL della proposta di legge urbanistica che porta la firma del Ministro Sullo ha dato esca ad accese discussioni, sollevando opposizioni e consensi: in articoli di giornali e di riviste [1] si è giunti a tacciare la proposta di inefficienza e di incostituzionalità., accusandola di condurre alla paralisi edilizia assoluta, di favorire la corruzione e la persecuzione politica e di mirare all’annientamento della proprietà. Privata.

Quanto queste accuse siano fondate e legittime, e se siano mosse da una effettiva e disinteressata preoccupazione del bene pubblico o non piuttosto dalla trasparente difesa di ben precisi interessi di parte, non è difficile constatare purché si esamini con il dovuto distacco il testo della proposta che pubblichiamo nella sua versione integrale [2].

Per comprendere il disegno nella sua interezza occorre intanto tener presente che la proposta costituisce, essa stessa, una revisione del testo elaborato dalla Commissione interministeriale insediata dal Ministro Zaccagnini [3], revisione resasi necessaria per gli impegni assunti dal Governo di centro-sinistra in relazione alla programmazione economica ed alla istituzione delle Regioni. Orientamento, questo, destinato ovviamente ad incidere fortemente ed in modo definitivo sul contenuto dei piani, sulle procedure di formazione e di attuazione e sugli organi ad esse preposti e che le recenti decisioni governative in materia regionale [4], fanno ormai ritenere di imminente attuazione, rendendo pertanto inattuali quelle soluzioni a carattere unicamente interlocutorio e compromissorio in materia regionale che avevano informato il testo della Commissione Zaccagnini.

La proposta della nuova legge urbanistica, conformata per espressa direttiva del Ministro Sullo come “legge cornice”, appare oggi, non solo perfettamente aderente ai più recenti sviluppi del programma del governo, ma anche cosi tempestiva da poter offrire immediatamente un primo e basilare contenuto per l’attività normativa ed amministrativa delle istituende Regioni. Anche la stretta correlazione fra pianificazione urbanistica e programmazione economica, esplicitamente affermata dalla proposta di legge e chiaramente individuata negli scopi e negli organi, non sotto specie di subordinazione dell’una all’altra forma di pianificazione, ma come atto continuo di intesa fra i responsabili della vita pubblica nazionale e regionale, pone il disegno di nuova legge urbanistica come uno degli strumenti più attuali e più espansivi dell’attività economica e dell’intervento pubblico. Cosicché i piani urbanistici ai vari livelli e, di conseguenza, i procedimenti per la loro formazione, approvazione ed attuazione assumono nel processo di ammodernamento dell’ordinamento statale, sempre più il carattere di strumento fondamentale per la scelta democratica degli interventi pubblici e privati e per la loro corretta e razionale organizzazione spazio-temporale, e si rivelano sempre più indispensabili, quanto più accelerato e complesso diventa il ritmo di sviluppo economico e quanto più si estende il decentramento responsabile sul terreno delle autonomie locali.

Su questo punto di partenza non dovrebbero ormai esservi dubbi, ma giova tenerlo ben presente, per comprendere le varie dosature del contenuto dei piani. In sede nazionale il contenuto economico è preminente, in sede regionale l’economico e l’urbanistico si equilibrano, in sede comprensoriale il contenuto urbanistico prevale su quello economico, pur ancora ben presente, in sede comunale l’urbanistico è decisamente dominante. Il contenuto economico prevale per sua natura al vertice, s’interseca a metà strada con l’urbanistico e si affievolisce alla base, perché le scelte economiche reclamano una ampiezza di prospettiva ed una visione globale che sfuoca e svanisce man mano che si scende alla localizzazione territoriale, dove le scelte economiche ammettono spesso ampi gradi di libertà, mentre le scelte urbanistiche traggono la loro ragione d’essere proprio dalle particolarità territoriali: sono acutamente a fuoco alla base, sul terreno, ma diventano via via più sfumate ed approssimate man mano che i territori considerati si ampliano, ammettendo alla scala regionale e nazionale un maggior numero di alternative. La esatta compenetrazione dei due contenuti ai vari livelli si presenta dunque come elemento innovatore della legislazione e come fattore chiarezza e di propulsione nel processo deliberato delle varie Amministrazioni pubbliche.

Passando ora alla materia più strettamente urbanistica e non potendo ovviamente toccare tutti gli aspetti, ci limiteremo a coglierne alcuni essenziali, sia di carattere procedimentale, sia di carattere sostanziale.

Tra i primi è da illustrare brevemente la portata dei piani comprensoriali, cosi come configurati dal disegno di legge.

L’organo per la pianificazione comprensoriale è definitivamente il Consorzio dei Comuni interessati, i quali possono demandare al Consorzio stesso alcune loro funzioni urbanistiche. Il piano comprensoriale, che è essenzialmente un piano territoriale, funge anche da piano regolatore generale nei territori dei Comuni non tenuti alla sua formazione: da esso è quindi possibile discendere direttamente alla formazione dei piani particolareggiati, anche in Comuni non dotati di P.R.G. Con questo accorgimento si potranno conseguire notevoli risultati di snellimento procedurale e di rapido intervento localizzato, particolarmente utili nei piccoli Comuni privi di attrezzatura tecnica; inoltre lo stesso esercizio collegiale dei poteri di pianificazione, garantendo il reciproco controllo, dovrebbe agire da stimolo per l’espansione delle responsabilità e per la rottura delle visioni campanilistiche.

Alla tendenza spontanea, centripeta e congestionatrice, delle aree metropolitane potrebbero, in questo clima di rinnovamento, contrapporsi, con concreta possibilità di successo, le nuove tendenze di proiezione dell’urbanizzazione in una campagna organizzata.

Venendo ora all’esame delle norme relative alle limitazioni dell’uso della proprietà del suolo urbano, che costituisce il problema di fondo di ogni legislazione urbanistica, occorre rilevare che la proposta di legge è orientata ad eliminare, ed in ogni caso attenuare, nel limite del possibile, il processo delle multiple e successive sperequazioni che ogni forma di piano, che definisca e prescriva destinazioni d’uso del suolo, necessariamente determina nei confronti delle singole proprietà.

Com’è noto, il processo avviene, concettualmente, per gradi: alla prima scelta delle determinazioni d’uso per grandi classi, che discrimina sostanzialmente aree cui sono attribuite, o no, utilizzazioni urbane, ne subentra una seconda, in cui le grandi classi si suddividono in sottoclassi: le zone residenziali si articolano per differente indice di edificabilità ( spesso con un ventaglio di valori estremamente ampio) , quelle infrastrutturali in una serie, assai varia, di usi, determinando situazioni di accentuata sperequazione non solo nei valori, ma anche nella disponibilità stessa delle aree.

A questa seconda serie di sperequazioni se ne aggiunge una terza, spesso trascurata ma non meno reale, che riguarda il computo dell’indennità per le aree destinate a scopi o servizi di utilità pubblica e per le quali è ammesso, dalle leggi operanti in materia, il procedimento di espropriazione con differenti criteri di determinazione e con procedure più o meno lunghe, faticose e farraginose, che creano difficoltà non indifferenti agli Enti esproprianti, e disparità di trattamento nei confronti degli espropriati: buon’ultima la 167.

La legge urbanistica vigente, in tema di sperequazioni si limita ad affermare genericamente la non indennizzabilità dei vincoli di zona. Il principio, se applicato alla prima operazione di classamento fra suolo urbano e non urbano, è evidentemente accettabile, perché tale discriminazione dovrebbe sempre rispondere ad esigenze e scelte di esclusivo carattere superindividuale; il terreno agricolo, non modificando in perdita la sua destinazione d’uso attuale (salvo i casi, ben rari, di una limitazione anche di tale uso), non è quindi suscettibile di indennizzo. Il principio è in definitiva pacifico e lo si ritrova in tutte le legislazioni estere.

Senonché se si ammette che l’uso’urbano sia fonte di lucro, con valori proporzionali all’uso e commisurabili con i parametri della destinazione dell’intensità di fabbricazione e della giacitura, è inevitabile che ai margini della città, sulla linea di demarcazione urbano-non urbano, si scatenino le lotte e che, secondo gli elementari e secolari principi di tattica, la lotta tenda a spostarsi dalla linea di demarcazione per esser portata il più estesamente e profondamente possibile nelle retrovie: le lottizzazioni extraurbane confermano ampiamente questo stato di cose. All’interno della linea di demarcazione urbana non sono da meno le lotte intestine per l’ aggiudicazione di una redditizia destinazione d’uso o per l’elevazione degli indici di edificabilità. È una situazione ben nota, che intorbida la redazione dei piani, esplode nelle osservazioni in sede di pubblicazione, e sfocia in pressioni di ogni genere. Contro queste aggressioni dall’esterno e dall’interno, le Amministrazioni pubbliche sono oggi impotenti per carenza di legge.

Si è più volte affermato nei congressi, che si sarebbe usciti da questa situazione solo quando si . fossero resi i proprietari indifferenti al piano; ma non facile si presentava la soluzione.

Le proposte avanzate in questo campo, alla ricerca di sistemi riequilibratori, basati a volte su imposizioni fiscali proporzionate agli incrementi conseguiti o contemplanti compensazioni monetarie fra plus e minus valori creati dal piano, o, ancora, impostati sulla perequazione dei volumi edificabili, quale quello proposto dal nostro Istituto [5] e che la Commissione Zaccagnini aveva accettato, hanno rivelato, ad un esame più approfondito, difficoltà pratiche che ne hanno consigliato l’ applicazione generalizzata.

Infatti, come ha recentemente detto il Ministro Sullo alla Camera parlando della proposta di legge in sede di approvazione del bilancio dei LL.PP., “ l’introduzione di una imposta sulle aree fabbricabili ha la caratteristica di ridurre le diversità, senza eliminarle, perché è intrinseco allo stesso concetto di imposta di non costituire una confisca[6]. La compensazione monetaria è applicata in paesi ( come nella Germania federale) in cui vige la denuncia annuale del valore delle aree e dove l’Amministrazione pubblica si riserva il diritto di prelazione delle aree al prezzo denunciato. La ‘perequazione dei volumi sarebbe un istituto nuovo applicabile solo in sede di piano particolareggiato, necessariamente planovolumetrico, che non risolverebbe quindi le situazioni di saldatura o di conflitto tra piano e piano e che richiederebbe inoltre la istituzione di complessi e costosi servizi amministrativi. Infine, nessuno di questi sistemi è in grado di risolvere anche e contemporaneamente il problema dell’acquisizione delle aree per i pubblici servizi, secondo un criterio equo ed unificato.

La soluzione prospettata tende a risolvere contemporaneamente tutti questi problemi. “I criteri ai quali si ispira il progetto di legge predisposto sotto la mia presidenza - ha dichiarato il Ministro - si possono cosi riassumere:

a)procurare la certezza che i compilatori dei piani urbanistici nell’assolvere questo delicatissimo compito abbiano di mira esclusivamente gli interessi pubblici; liberare le autorità amministrative ed i tecnici urbanistici dalle pressioni degli interessi privati settoriali; rendere possibile una pianificazione rapida, efficiente, che sia adeguatamente elastica e possa essere coordinata con le esigenze di sviluppo economico dell’intera collettività;

b)consentire che i Comuni ed i soggetti pubblici interessati acquisiscano ad un prezzo equo le aree che siano indispensabili per i servizi pubblici e sociali; liberare cioè i Comuni dalla schiavitù rappresentata dagli insostenibili oneri finanziari attuali;

c)porre tutti i proprietari, in relazione agli effetti della legislazione urbanistica, su un medesimo piano di parità; impedire che la costruzione della città si traduca per gli uni in un danno, per altri in un enorme vantaggio;

d)semplificare al massimo i servizi urbanistici e contenerne il costo di gestione”.

Il sistema adottato dall’acquisizione preventiva delle aree e della loro urbanizzazione è, d’altra parte, quello stesso dell’art. 18 della legge urbanistica, e quello della 167, entrambi generalizzati e migliorati per ciò che concerne il criterio di valutazione dell’indennità di esproprio.

Con la generalizzazione cadono le sperequazioni residue tra aree di piano ed aree marginali e con il criterio di valutazione unificato scompaiono le sperequazioni derivanti dagli scopi della espropriazione, oggi esistenti per la pluralità di leggi al riguardo e che costituiscono una vera distorsione giuridica; diventa superfluo il criterio del blocco dodecennale istituito dalla 167 e cade infine ogni discriminazione di trattamento a seconda della dimensione dei Comuni.

Se si riflette poi alla estensione che l’applicazione della I67 sta assumendo nelle periferie delle grandi città ci si rende conto che l’urgenza di ristabilire un criterio unico ed equitativo è ormai indilazionabile.

L’accettazione del principio generalizzato dell’ acquisizione ed urbanizzazione preventiva delle aree di espansione porta alla conseguenza fondamentale ed innovatrice di conferire al Comune il compito e la responsabilità diretta e democraticamente controllata del processo di urbanizzazione.

Con tale attribuzione di poteri ed oneri la espansione urbanistica non sarebbe più, come oggi accade, subita passivamente dai Comuni che, anche quando sono dotati di piano generale approvato, sono costretti a consentire l’edificazione ovunque sia proposta ed a correre quindi dietro a voleri, capricci ed artifici dei singoli, per dotare qua e là le varie aree con strade e servizi, con uno sparpagliamento di mezzi che rende sempre insufficiente l’intervento comunale. Cesserebbe quindi nelle grandi città ogni manovra, oggi impudentemente giocata, per attirare i servizi in questa o in quella zona, per ampliare o restringere l’offerta di aree, a seconda del maggior lucro che si può trarre dall’operazione: cesserebbe una impari lotta, in cui il Comune non può che essere soccombente di fronte all’astuzia dei singoli.

Cadrebbero pure, di conseguenza, le varie iniziative di lottizzazione, sia effettive, sia fittizie o di comodo, che compromettono ormai ogni razionale utilizzazione di suolo periferico o esterno alle città grandi e piccole. E cadrebbe anche definitivamente il sistema delle convenzioni, che noi stessi anni addietro, in carenza di norme di legge, abbiamo illustrato e caldeggiato, ma che all’atto pratico si è dimostrato uno strumento discontinuo e insufficiente e, in definitiva, inadatto ad una generalizzazione.

Discontinuo e insufficiente perché, in assenza di norme sulla dotazione di opere di urbanizzazione primaria, non vi è stata unicità di indirizzo nella attribuzione degli oneri e nella consistenza delle opere stesse, con pochi casi di esemplare adempimento contro una maggioranza di palesi inadempienze. È ben vero che la materia potrebbe essere disciplinata con norme che stabiliscano rigidamente la consistenza e i tempi di attuazione delle opere di urbanizzazione, come avviene, ad esempio, in Francia [7]; ma gli abusi che di questo istituto stanno oggi compiendosi in vari Comuni.. con la richiesta di contropartite in natura o addirittura in denaro, sconsigliano di proseguire oltre su questa via. La lottizzazione convenzionata, anche se regolata da norme generali, resterebbe pur sempre un’operazione privatistica, tendente a dilagare sul territorio ed a contrastare le scelte razionali dettate da considerazioni sopraindividuali, scoprendosi come una nuova, se pur intelligentemente mimetizzata, forma di pressione che verrebbe ad influenzare negativamente la distribuzione territoriale e l’entità delle opere di urbanizzazione generale.

La forma di acquisizione e di urbanizzazione preventiva, infine, si pone come l’unica seria garanzia che si possa avere sia nei riguardi delle pubbliche Amministrazioni, che solo con questo strumento saranno in grado di calibrare effettivamente le aree occorrenti per i vari usi residenziali.. infrastrutturali e di lavoro, istituendo una gestione autonoma ed in partita di giro, sia nei riguardi degli utenti che dai difensori ad oltranza degli interessi precostituiti vengono sistematicamente ignorati.

Né i sistemi vigenti di libero mercato delle aree edificabili dentro o fuori dei P.R., né il sistema, sia pure razionalizzato e codificato, della lottizzazione convenzionata sono infatti in grado di fornire una adeguata garanzia agli utenti, obbligati oggi ad accettare aree lottizzate, ma non servite, o servite tardi e male.

E poiché le città si dovrebbero costruire non per il lucro dei proprietari di aree, ma per essere usate dagli abitanti, parrebbe che, anche a parità di sacrifici e di vantaggi, sia pubblici che privati, dovrebbe pur sempre prevalere quel sistema che offra serie garanzie di efficienza per gli abitanti.

Non è possibile evidentemente illustrare ora tutti gli aspetti della proposta di legge, su cui avremo ancora occasione di tornare più d’una volta, seguendone le vicende parlamentari.

Ma non possiamo non segnalare all’attenzione dei lettori almeno quel gruppo di norme che riguarda le opere di risanamento.. che per la prima volta vengono sistematicamente proposte e che interessano una gran parte del patrimonio edilizio ed urbanistico nazionale; sarà sufficiente notare che per le operazioni di rinnovamento urbano e per quelle di risanamento conservativo dei centri storico-artistici ed ambientali è richiesta, in prima istanza.. l’azione diretta dei proprietari degli immobili.

La legge non si propone cioè una compressione o un annientamento della proprietà privata, ma.. al contrario, una espansione dell’intervento privato. Sgombrato il campo dagli ostacoli e dai freni dell’urbanizzazione, innalzati oggi dalle proprietà frantumate e dalle lottizzazioni estensive, inserito il Comune come interr1zediario fra i primitivi proprietari ed i cessionari, il terreno urbanizzato si presenta libero e predisposto per l’impresa edilizia e per l’accesso di chi aspira ad edificarsi la casa o ad erigere un impianto di lavoro.

Si apre cioè la possibilità per tutti, privati ed enti pubblici, di realizzare ordinatamente l’espansione ed il rinnovamento urbano e l’organizzazione civile della campagna.. in forme razionali e seno sibili, non più condizionate e compresse da moventi extraurbanistici.

Non è una prospettiva da poco ed il prossimo futuro ci dirà se il Paese è maturo per questasvolta decisiva.

[1]Fra i vari sono da citare: Giornale dei Costruttori, n. 37, 20 settembre 1962; Rivista Giuridica dell'Edilizia, luglio-agosto 1962.

[2]Il testo, pubblicato per la prima volta e senza autorizzazione, su Documentazione Italiana, conteneva infatti errori ed ommissioni.

[3]La prima commissione interministeriale per la riforma della legge urbanistica, nominata dal Ministro Togni ed insediata dal Ministro Zaccagnini il l0/12/1960, aveva ultimato i propri lavori nell'agosto del 1961 e formalmente consegnato il testo definitivo il 26 settembre 1961.

La seconda commissione per la riforma delle legge urbanistica, nominata e presieduta dal Ministro Sullo è stata insediata il 28 marzo 1962 ed ha presentato ufficialmente il testo finale il 12 giugno scorso.

Di entrambe hanno fatto parte, come membri dell'INU, i professori Giovanni Astengo, Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà.

[4]Approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, di quattro disegni di legge concernenti la costituzione delle Regioni a statuto ordinario: Roma, 16 novembre 1962.

[5]Art. 55 della “Proposta di legge generale per la pianificazione urbanistica”.

[6]Dal testo del discorso del Ministro Sullo stralciamo il seguente passo di importanza basilare perla comprensione della proposta di legge: “Nei confronti di istituti quali la perequazione dei volumi o la imposizione sulle aree fabbricabili sono poi da aggiungersi due critiche di fondo, che ne dimostrano la limitata utilità.

La prima è che gli istituti stessi, pur riducendola, lasciano tuttavia che continuino a sussistere in una sensibile misura la disparità di trattamento e, con essa, il conflitto di interessi. La perequazione, come si è detto, non elimina le differenze tra l'una e l'altra zona; l'imposta sui fabbricati assorbe solo una parte del plusvalore provocato dalle misure urbanistiche. Ancora più rilevante è il considerare che questi istituti operano non nel momento stesso in cui le determinazioni urbanistiche sono adottate, ma in un momento successivo; esse cioè intervengono solo quando queste determinazioni devono essere applicate, e si propongono, per l'appunto, di attenuarne gli effetti.

Questo significa che, nella fase della adozione dei piani che; come già si è visto, è la più importante dal punto di vista urbanistico, gli istituti in esame lasciano che sopravviva il conflitto di interessi con tutta la sua incidenza negativa sulla adozione delle norme. Anche se gli istituti in esame eguagliassero in modo completo le posizioni (il che non è ne può essere), essendo tale livellamento rinviato al futuro, la tendenza dei proprietari sarebbe non di disinteressarsi del contenuto del piano, ma al contrario di procurarsi vantaggi urbanistici e a capitalizzarsi subito, prima cioè dell'entrata in funzione del meccanismo perequatore. Non è da escludere che perequazioni dei compensi ed imposte sulle aree accrescano la tensione al momento della deliberazione del piano, anziché diminuirla. Il che conferma che questi istituti rispondono, sia pure in modo imperfetto, alla finalità di attenuare le disuguaglianze, ma non eliminano gli ostacoli che si presentano da un punto di vista propriamente urbanistico.

La soluzione rappresentata da compensi nei volumi e nella imposizione fiscale sulle aree e in secondo luogo contrastata dalla esigenza di acquisire al minor prezzo possibile le molte aree che sono indispensabili per i servizi pubblici e sociali. Si presentano al riguardo due possibilità: la prima è che i Comuni acquistino le aree agli stessi .prezzi ai quali le aree sarebbero cedute dai proprietari ai privati. Questa soluzione è però ingiusta ed inopportuna. Sembra infatti assurdo che il Comune debba pagare al proprietario il plusvalore che è determinato non dall'abilità o dall'attività dello stesso proprietario, ma esclusivamente dagli atti amministrativi adottati dal Comune. Se poi le aree dovessero essere acquisite a prezzo di mercato, non resterebbe al Comune altra possibilità fuor di quella di rinunciare a tutte le aree non strettamente indispensabili, e ciò per mancanza di mezzi finanziari. La situazione attuale che è rappresentata dalla assoluta insufficienza di aree aventi finalità sociali (parchi, palestre, scuole ed asili, circoli ricreativi per bambini) è da attribuirsi principalmente a queste difficoltà; e questa situazione si riprodurrebbe inevitabilmente anche in futuro se restasse in vigore il sistema vigente.

La seconda possibilità è che i Comuni siano autorizzati ad acquisire singole aree destinate a finalità pubbliche e sociali, a prezzo inferiore a quello di mercato. Il legislatore ha avvertito questa necessità fin dal 1885 prevedendo un metodo di determinazione dell'indennizzo che dà risultati inferiori a quelli comuni. Provocata originariamente da una esigenza di carattere territoriale (legge per Napoli), il metodo è stato poi di volta in volta applicato a fattispecie sempre più numerose (v. le leggi sui piani regolatori di Bologna, Catania, Palermo, Ancona; sulla istruzione elementare, sulla gestione INA-Casa; sulla edilizia popolare ed economica; sull'incremento delle costruzioni edilizie; sulla costruzione dei campi sportivi, sulla eliminazione di abitazioni malsane; sulle Ferrovie dello Stato etc.).

Da ultimo si è affermata una tendenza più radicale, consistente nello stabilire in modo più esplicito che l'indennizzo deve essere ragguagliato ai valori agricoli (art. 4, L. 4 febbraio 1958, n. 158).

Questi orientamenti suscitano tre osservazioni. La prima è che tutti i casi qui contemplati sfuggono ad ogni disciplina egualizzante e realizzano quindi delle ipotesi di disparità di trattamento che, applicando i principi oggi in vigore, restano ineliminabili. Il secondo rilievo è che queste normative speciali, che una volta avevano un carattere eccezionale, sono andate generalizzandosi e occupano oggi un posto molto importante nella disciplina delle espropriazioni. La terza ed ultima osservazione è che questi istituti aggravano la disparità di trattamento in quanto, mentre obbligano i proprietari di singole aree o zone a cedere i loro terreni al Comune e ad enti pubblici ai prezzi fissati con riferimento a date anteriori al piano regolatore, consentono che i proprietari circonvicini possano trarre un immediato vantaggio dalla urbanizzazione della zona contigua e raccogliere a suo tempo gli incrementi di valore progettati dal piano. Le decisioni amministrative in questa materia acquistano, per i proprietari colpiti, il carattere sostanziale di una sanzione e non è da escludere, purtroppo, in periodi elettorali o preelettorali, che l'esercizio dei relativi poteri venga influenzato dal desiderio di favorire amici e colpire i nemici.

L'analisi compiuta conferma che una legislazione urbanistica, per essere efficiente, deve non solo perfezionare gli strumenti normativi, ma anche rimuovere le cause alle quali soprattutto è da imputarsi il rendimento insoddisfacente degli ordinamenti in vigore, cause che qualora fossero lasciate sussistere pregiudicherebbero allo stesso modo l'applicazione dei nuovi istituti”.

[7]V. Urbanistica n. 31, pagg. 87-88 e n. 35, pag. 86.

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