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Postille a Francesco Ventura
29 Marzo 2004
Urbanisti Urbanistica Città

Postilla n. 1Proprietà e proprietà

In realtà le cose sono un po’ più complicate. Bisogna tener conto del fatto che il regime proprietario è stato diverso nelle diverse epoche e nelle diverse civiltà. Per restare in Europa e nel nostro millennio, altro è il regime proprietario nei paesi dominati dal sistema giuridico romano, altro è nei paesi del Centro e Nord Europa.

Nell’area del sistema romano il diritto del padrone ( jus dominis) sulla terra era diritto di usare e abusare ( jus utendi et abutendi), e si estendeva da tutto ciò che c’era sotto il suolo e a tutto ciò che c’era sopra ( ab inferis ad astra); negli altri sistemi giuridici europei i diritti erano più articolati, e ai diritti del proprietario si sovrapponevano quelli dei diversi attori del sistema feudale e quelli della comunità. Per avere un’idea di sistemi giuridici diversi da quello romano, e dei loro effetti sul suolo urbano, basta leggere le pagine di Hans Bernoulli. Ma anche il sistema veneziano della Magistratura al piovego, cui fa riferimento Frederic Lane, è indicativa di sistemi giuridici che attribuivano ai poteri pubblici penetranti potestà, conformative e non solo regolative, nell’uso del suolo urbano.

La necessità di porre “al centro dell'azione per il possesso della terra quale mezzo delle trasformazioni territoriali e urbane”, lo strumento della “'espropriazione per pubblica utilità” diventa quindi necessaria, in quei sistemi giuridici, solo più tardi: quando la borghesia, finalmente affermatasi sull’ antico regime, dissolve le regole dei sistemi giuridici feudali e si impadronisce della proprietà fondiaria (anche di quella dei suoli urbani). Nasce allora, nel sistema capitalistico-borghese, contraddizione tra l’appropriazione individualistica di ogni bene, e la necessità (per la stessa sopravvivenza del sistema economico sociale) di imporre alcune volontà d’interesse generale: quella, ad esempio, di realizzare infrastrutture, o di risanare quartieri urbani particolarmente degradati. La contraddizione tra la necessità dell’intervento d’interesse generale (meglio, di interesse per il sistema economico capitalistico) e il dominio della concezione individualistica della proprietà, è risolta, appunto, con lo strumento dell’espopriazione per pubblica utilità. Uno strumento nel quale il prevalere della decisione pubblica sulla volontà privata è temperato e corretto dal sistema delle garanzie procedurali ed economiche (le rigide regole che determinano le procedure espropriative e la relativa indennità). Ma sul carattere dell’esproprio nel sistema capitalistico.borghese mi sembra che le considerazioni di Francesco Ventura siano chiare e condivisibili.

Postilla n. 2La Corte costituzionale e il suolo urbano

In realtà la Corte costituzionale ha sempre sostenuto che “il diritto di proprietà include il diritto di edificazione” solo perché così dispone la legislazione vigente. Essa però non ha mai negato che il Parlamento potesse modificare, anche radicalmente, i contenuti del diritto di proprietà. A volte si è spinta a suggerire le possibili vie di una riforma del regime degli immobili. Basta ricordare la famosa vicenda delle sentenze costituzionali n. 55 e 56 del 1968, e il dibattito che ne seguì. Già dal testo delle sentenze emergeva chiaramente il possibile percorso di una riforma, ma la dottrina della Corte fu ulteriormente esplicitata dal suo presidente, Aldo Sandulli.

La sentenza aveva affermato che

il principio della necessità dell’indennizzo non opera nel caso di disposizioni le quali si riferiscano a intere categorie di beni (e perciò interessino la generalità dei soggetti), sottoponendo in tal modo tutti beni della categoria senza distinzione ad un particolare regime di appartenenza. Secondo i concetti, sempre più progredienti, di solidarietà sociale, resta escluso che il diritto di proprietà possa venire inteso come dominio assoluto ed illimitato sui beni propri, dovendosi invece ritenerlo caratterizzato dall’attitudine di essere sottoposto nel suo contenuto, ad un regime che la Costituzione lascia al legislatore di determinare. Nel determinare tale regime il legislatore può persino escludere la proprietà privata di certe categorie di beni, come pure può imporre, sempre per categorie di beni, talune limitazioni in via generale, ovvero autorizzare imposizioni a titolo particolare, con diversa gradazione e più o meno accentuata restrizione delle facoltà di godimento e di disposizione. Ma tali imposizioni a titolo particolare non possono mai eccedere, senza indennizzo, quella portata, al di là della quale il sacrificio imposto venga a incidere sul bene, oltre ciò che è naturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell’attuale momento storico. Al di là di tale confine, essa assume carattere espropriativo.

La Corte, in altri termini, sostiene che il legislatore potrebbe anche porre limitazioni pesantissime alla proprietà (quale quella, ad esempio, di stabilire che tutte le aree non sono edificabili dai proprietari), a tre condizioni: che la norma sia stabilita in relazione a tutte le proprietà appartenenti a una determinata “categoria di beni”, senza discrezionalità; che questo derivi da una esigenza d’interesse generale; che la limitazione non annulli il valore economico del bene. In caso contrario, la limitazione è legittima, ma va indennizzata.

Aldo Sandulli, presidente della Corte costituzionale, e primo ispiratore della sentenza n. 55, rilasciava un’intervista (“L’astrolabio”, n. 27, luglio 1968) , sostenendo che la sentenza n. 55 non aveva affatto accordato prevalenza all’interesse privato su quello pubblico. La sua interpretazione era la seguente:

In sostanza la Corte ha affermato: libero il legislatore di stabilire, per categorie, quali cose possono essere di proprietà privata e quali no, e di fissare i limiti di godimento della proprietà; ma, una volta stabilito che una certa categoria di beni (nella specie, il suolo) può formare oggetto di proprietà privata, e che per essa una certa utilizzazione (nella specie, quella edilizia) rientra tra le utilizzazioni consentite in via di principio al proprietario, non può poi il legislatore disporre legittimamente che solo questo o quel proprietario venga privato senza indennizzo del diritto di utilizzare un certo bene della medesima categoria in modo conforme a quella utilizzazione, tanto più quando si tratti della utilizzazione tipica della categoria. È chiaro che queste affermazioni della sentenza lasciano aperta la strada a tutte le scelte, anche le più radicali. L’effettuazione delle scelte, è perciò compito del legislatore e non della Corte.

Le soluzioni possibili in sede legislativa - proseguiva il presidente della Corte costituzionale - sono numerose, “ dalle più temperate alle più radicali”. (Vedi, più ampiamente: V. De Lucia, E. Salzano, F, Strobbe, Riforma urbanistica 1973, Edizioni delle autonomie e dei poteri locali, Roma 1973; E. Salzano, Fondamenti di urbanistica, Laterza, Roma-Bari, 20024).

Successivamente Sandulli presentò ufficialmente (non era più membro della Corte costituzionale) diverse soluzioni della questione del regime degli immobili, tra le quali quella della separazione dello jus aedificandi dalla proprietà e della sua attribuzione ai pubblici poteri.

P.S.-Ho trattato ampiamente la questione dei vincoli urbanistici nella giurisprudenza italiana nello scrittoForse che il diritto impone di compensare i vincoli?

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