L'antica città italica, benché gelosamente racchiusa dentro il vallo, o le mura, ebbe innata la intuizione dei rapporti intercorrenti fra nucleo urbano e zona rurale circostante. Il pomerium sacro agli dei tutelari e la zona dei mille passus, che fu sempre considerata come parte integrante della città murata, erano la fascia di protezione, sulla quale, colla tutela del vincolo religioso o della potestà militare o civile, la città sentiva il bisogno di estendere il suo controllo.
Nei tempi moderni, quando sotto la spinta del crescente inurbamento, le nostre città, superate le vecchie cinte murarie, saturata la zona interna ed invasa l'esterna,, colle loro propaggini raggiunsero il limiti amministrativi del loro territorio,, penetrando prepotentemente nei Comuni contermini, la prima preoccupazione delle Amministrazioni fu di nuovo prevalentemente territoriale: ampliare i confini del Comune per procurare una conveniente estensione alla espansione urbana con indirizzo amministrativo accentrato e non federativo.
Si ebbero allora le graduali rettifiche di confini, il progressivo arrotondamento del territorio colla annessione di zone confinanti, finché, dal 1923 in poi, si addivenne a grandiosi provvedimenti di incorporamento di interi Comuni rurali nel Comune urbano, fra i quali, primi in ordine di tempo e di importanza, quelli per Milano, Genova, Napoli.
Ma, risolto il problema territoriale, si impose alla attenzione dei pubblici poteri il problema demografico. Il fenomeno dell'inurbamento, pur non raggiungendo ancora da noi - per particolari ragioni di ambiente e di tradizione - i paurosi aspetti di altri paesi, comincia tuttavia a farsi sensibile. Il Governo fascista, rendendosene chiaro conto, corse ai ripari con una collana di organici provvedimenti. Il decr. del Novembre 1927, che assoggetta a determinate condizioni l'impianto dei nuovi stabilimenti nelle grandi città, le nuove leggi che promuovono il ritorno alla terra, ed il recentissimo provvedimento che dà particolari facoltà ai Prefetti per limitare l'immigrazione nella città, sono le prime tangibili prove di questa vigile cura.
Il problema dello sviluppo dei quartieri periferici della città assume oggi per noi fra tutti i problemi urbani una posizione di primo piano, in diretto rapporto colle attuali direttive demografiche del Governo Nazionale.
E' ai margini appunto delle città che si svolge la lotta giornaliera fra i due elementi antagonistici: la «città» e la «campagna». Nei sistemi di estensione che si adottano per le nostre città è il più efficace mezzo tecnico per affiancare l'opera del Governo nella lotta contro l'urbanesimo.
E' bene chiarire che colla parola «sistema» non si intende qui di fare riferimento ai minuti particolari di tracciamento interno di un piano. Il problema in esame non può confinarsi nella ristretta discussione fra schemi classici o romantici, rettilineo o curva, simmetria spontanea o artificiose asimmetrie.. Esso è ben più vasto ed investe la intera costituzione somatica cittadina.
Il processo di accrescimento tipico dei nostri centri urbani nell'ultimo secolo - ove non esistevano particolari cause perturbatrici - è quella a «macchia d'olio» e cioè isotropo, uniforme, senza soluzioni di continuità.
Pure adattandosi a schemi strutturali diversi esso si ripete da Torino a Napoli, da Palermo a Bologna. Non ne restano purtroppo del tutto immuni neppure Firenze e Roma, quantunque meglio difese dalla loro tradizione artistica, dalla loro postura e da qualche indovinato provvedimento.
A questa legge «monocentrica» di accrescimento si tende oggi a sostituire quella «policentrica» nel senso cioè di limitare volutamente lo sviluppo dell'agglomerato principale cittadino per dare vita ad un'organizzazione periferica di «unità suburbane» nettamente disegnate, sufficientemente organizzate in ogni loro servizio, capaci di una vita relativamente autonoma, cinte da spazi liberi e convenientemente collegate da poche buone arterie col centro principale e fra di loro. E' il primo passo verso la necessaria concezione «regionale» del problema urbano.
Siamo per il momento ancora in una fase ancora tendenziale di applicazione di questo indirizzo. Se ne hanno però chiari accenni nei nuovi piani di Roma e di Napoli e nelle direttive enunciate fin dal 1924 dalla Amministrazione Comunale di Milano quando, ampliato il territorio colla aggregazione di undici Comuni contermini, si iniziarono gli studi del nuovo Piano di ampliamento. La tendenza venne riconfermata al Congresso di Urbanismo di Torino (1926) e ricompare adattata alle particolari circostanze negli studi e nei concorsi per altri recentissimi Piani di nostre città.
L'aggregato urbano non può crescere indefinitamente. Oltre un certo limite - che sarà necessariamente diverso da caso a caso - esso deve dare luogo ad un processo di differenziazione, arrestando il proprio sviluppo per dare vita intorno a se ad unità minori che, pure nel quadro generale di una comune organizzazione, conservino spiccate caratteristiche proprie.
Questa tendenza che si è venuta nettamente delineando fra gli studiosi negli ultimi anni trova perfetta aderenza ai recentissimi programmi governativi, assumendo con ciò una sanzione ufficiale.
Il criterio di differenziazione sarà naturalmente diverso da caso a caso.
La grande città deve creare ai suoi margini dei nuovi «centri civici» nei quali realmente si decentrino le sue funzioni industriali, commerciali, amministrative. Intorno a questi, entro un perimetro ben disegnato, può concentrarsi, con sicura economia di mezzi, lo sviluppo della rete stradale e dei servizi pubblici ed intensificarsi la fabbricazione per la creazione di nuove zone industriali o residenziali, di villaggi o sobborghi satelliti, ecc., invece di disperdere i mezzi privati e pubblici sopra una maglia troppo vasta di sviluppo periferico isotropo.
Per le città minori, di impronta prevalentemente agricola, gli elementi periferici ai quali può appoggiarsi il piano di sviluppo assumeranno invece sopratutto le caratteristiche di «borgate rurali». I provvedimenti legislativi del 7 Febbraio 1926 e del 27 febbraio 1927 favoriscono particolarmente lo sviluppo di queste borgate [1]. La città di Foggia nel suo recentissimo concorso per lo studio del Piano di Ampliamento (previsto per una comunità di 200.000 ab.) pose come condizione ai concorrenti lo studio di un gruppo di borgate rurali periferiche, a conveniente distanza dall'aggregato urbano, capaci di accogliere complessivamente 2000 Famiglie.
L'esempio merita di essere segnalato perchè indica una notevole tappa nei criteri urbanistici del Mezzogiorno d'Italia, dove l'addensamento della popolazione nelle città e la non residenza del contadino presso i suoi campi erano una triste conseguenza delle vicende storiche passate, disastrosa per il progresso agricolo.
Il sistema di sviluppo per «unità periferiche» ben individuate, anziché per anelli isotropi intorno al vecchio nucleo urbano, ha particolare interesse per le città italiane anche perchè permette di meglio conservare le caratteristiche storiche ed ambientali del loro suburbio invece di affogarle nell'uniforme assorbimento entro le maglie della espansione edilizia.
Può porsi a questo punto la domanda se, per le maggiori città, gli esistenti nuclei fabbricati suburbani e gli antichi villaggi della zona circostante possono utilmente costituire le cellule dei nuovi centri in espansione. In linea generale, pure costituendo questi nuclei per evidenti ragioni topografiche e demografiche dei punti inevitabili di richiamo, è da evitarsi assolutamente l'errore di applicare ad essi la pratica dei rimaneggiamenti e degli sventramenti per tentare di renderli atti a nuovi scopi. Meglio conservare ad essi fin dove è possibile la loro personalità, talora simpatica, senza costose manomissioni di dubbio risultato, e cercare invece nei terreni adiacenti od in zone vergini i luoghi più convenienti alla nuova espansione edilizia.
La voluta limitazione dello sviluppo urbano «a macchia d'olio» e l'adozione del sistema di espansione per enti periferici ben circoscritti ed individuati possono effettivamente realizzarsi solo a patto di conseguire la reale separazione dei futuri aggregati fabbricati con «zone libere» permanentemente conservate alla loro funzione agricola.
Indipendentemente dalla creazione di parchi o di giardini - nostalgici ricordi del divino Pincio, dell'impareggiabile viale dei Colli, delle Cascine o del Valentino - si tratta in primo luogo di «ruralizzare» la città, di spezzare la infinita successione di muri e di tetti, incuneando fra le propaggini suburbane ampie «riserve» di terreni agricoli permanentemente sottratti ad ogni forma di fabbricazione, che non sia quella strettamente necessaria ai particolari usi agricoli, o sportivi, o di ricreazione.
Assicurate, coi mezzi legali di cui parleremo più avanti, queste riserve, il problema dei parchi e dei giardini pubblici veri e propri può trovare nel suburbio elementi per la sua soluzione in quel patrimonio di antiche ville o di giardini patrizi che, perdendo gradatamente, coll'estendersi della città, la loro primitiva funzione, devono trasferirsi a beneficio della collettività.
Un piano di ampliamento a nuclei frazionati intramezzati da spazi liberi per la sua scioltezza ed adattabilità al terreno si presta meglio di quanto non lo potessero i poderosi e meccanici piani di vecchio stile alla valorizzazione di tutte queste note artistiche ed ambientali, talune delle quali, pur non costituendo monumenti d'arte o bellezze naturali «ufficialmente» protetti dalle speciali leggi di difesa delle Belle arti o del paesaggio, meritano tuttavia l'attenzione dell'urbanista.
Nella ricerca di queste note caratteristiche della geografia urbana viene oggi offerto un prezioso aiuto dai nuovi metodi di rilevamento fotografico aereo, che fanno rivivere il terreno in tutte le più minute particolarità che sfuggirebbero anche al più diligente topografo.
Parecchie città italiane se ne sono valse: Milano aveva iniziato nel 1925 un rilevamento sistematico della sua zona esterna, Foggia predispose per il bando del suo Concorso un completo rilievo fotografico.
La disposizione più conveniente da darsi a queste zone libere è in generale quella radiale penetrante a cuneo verso la città. Essa permette, colla maggiore economia, la massima penetrazione verso l'interno ed una progressiva espansione superficiale man mano che si procede verso la periferia.
Fra i settori contigui di zone libere potranno in qualche punto utilmente stabilirsi dei collegamenti trasversali costituenti dei tratti di corona anulare intorno alla vecchia città interposti fra questa e taluni dei nuovi nuclei fabbricati suburbani.
Non crediamo però in generale praticamente possibile la creazione di una intera fascia anulare di protezione intorno al vecchio centro principale a completa separazione di questo dai nuclei suburbani a meno che la zona libera non si riduca ad un semplice nastro verde, quali ne esistono intorno alle mura di qualche nostra città (vedasi ad esempio il nuovo Piano Regolatore di Grosseto) ma per ragioni soprattutto decorative e non come elemento formativo dello sviluppo cittadino.
Ai nuovi criteri di espansione edilizia corrispondono pure nuovi criteri ordinativi delle vie e dei mezzi di trasporto.
Conseguenza dei vecchi Piani regolatori isotropi troppo vasti e troppo simmetrici è una rete stradale onerosissima quasi sempre inadeguatamente sfruttata dalla fabbricazione sporadica e disordinata. I bilanci comunali ne danno la esauriente documentazione.
Non è economicamente possibile procedere con questi criteri anche per le nuove estensioni dei piani ed occorre concentrare i mezzi pubblici e privati entro limiti molto più ristretti.
Non quindi ragnatele amorfe di strade indifferenziate ma una chiara previsione delle funzioni da attribuire a ciascuna arteria; regolandone il tracciato e la sezione alle caratteristiche della zona da servire, alla natura ed intensità del traffico, con una netta differenziazione da caso a caso.
Da una buona soluzione periferica dei problemi del traffico restano enormemente facilitate anche le difficili condizioni della città interna.
Delle tre funzioni tipiche di collegamento - radiale, anulare e trasversale - affidate alle grandi arterie, la prima merita particolare attenzione per evitare il ripetersi di inconvenienti che oggi riscontriamo in molte delle nostre città.
Le grandi vie di comunicazione regionale costituite dalle antiche strade provinciali o nazionali non rispondono affatto, almeno nei loro tronchi più prossimi alla città, alle necessità del traffico per la loro ristretta sezione, per la ingombrante presenza di linee tramviarie e perchè vincolate dalla fabbricazione che si è lasciata sorgere - in applicazione agli antichi Codici della strada - troppo prossima ai loro cigli. Cosicché quando si vollero creare più rapide comunicazioni automobilistiche fra i grandi centri si dovette anche per ciò rinunciare a valersi di queste arterie e si ricorse a nuove concezioni quali le Autostrade.
Fra i problemi più urgenti della sistemazione periferica della città è quindi lo studio delle vie di allacciamento colla Regione sussidiarie delle insufficienti strade provinciali e nazionali e studiate in modo da permettere, col frazionamento delle carreggiate secondo la natura e la rapidità dei veicoli e colla indipendenza delle sedi tramviarie, il più comodo accesso alla città di tutti i moderni mezzi di trasporto stradali o tramviari. Il collocamento di bande verdi e di alberate conferirà all'estetica di queste grandi arterie suburbane e la assegnazione di larghe zone private di rispetto ai lati della via sarà la valvola di sicurezza per possibili ampliamenti futuri.
E merita pure accenno la tendenza che sull'esempio delle Autostrade altri vorrebbe applicata anche alle strade suburbane, di una netta separazione delle arterie radiali di grande comunicazione regionale dalle radiali di collegamento locale fra il centro ed i suoi sobborghi o nelle unità satelliti suburbane. Le prime dovrebbero possibilmente disporsi entro i settori agricoli penetranti a cuneo nella città ed essere perciò completamente libere dalla fabbricazione lungo i loro cigli e da confluenze ed incagli di traffico locale. Le seconde invece raccoglierebbero appunto il traffico locale da e per la città delle zone fabbricate che le fiancheggiano od a cui fanno capo.
Ove non sia possibile addivenire a questo netto sdoppiamento di funzioni, la separazione delle carreggiate potrà sempre dare buoni risultati.
L'argomento delle grandi vie esterne radiali ci porta a considerare anche il problema dei mezzi di comunicazione che collegando il centro coi sobborghi e colla regione circostante interessano specialmente le zone periferiche urbane.
In generale le nostre città ebbero nel passato una spiccata tendenza ad escludere dal proprio centro le teste delle linee tramviarie di comunicazione col contado, nella preoccupazione che esse servissero a sottrarre alla popolazione stabile - e quindi contribuente - notevoli masse che dalla città godevano giornalmente i benefici, sottraendosi ogni giorno agli obblighi fiscali con periodico riflusso serale alle campagne.
Oggi invece il fenomeno viene considerato con tutt'altro spirito e con più chiara comprensione del poderoso aiuto che da una rete di facili comunicazioni extra urbane deriva dalla lotta contro l'urbanesimo.
L'autore ebbe occasione di dimostrare in un suo recente scritto [2] che ogni nuovo cittadino immigrato in Milano grava sull'economia generale per una spesa di «impianto» (occorrente per fornirgli in città l'alloggio ed i più elementari servizi annessi) di L. 18.000. Questa cifra richiama l'attenzione sulla convenienza economica, oltre che demografica e morale, di arginare con tutti i mezzi - e fra questi importantissimi i trasporti -la tendenza all'inurbamento.
Va quindi favorita a questo scopo la penetrazione delle linee foresi nell'interno della città. Ciò non deve voler dire però confusione di attribuzioni fra i diversi mezzi di trasporto urbano.
Una netta separazione va fatta fra linee urbane, linee suburbane e linee regionali e sarebbe, a nostro modesto avviso, un grave errore, ad esempio, la inserzione di linee esterne a lungo percorso sulla rete di una linea metropolitana sotterranea destinata all'intenso servizio della zona più centrale. Le differenze di caratteristiche, di prestazioni, di orari, di velocità dei diversi mezzi richiedono linee indipendenti.
I problemi edilizi di ordine puramente estetico costituiscono un elemento - per quanto di primaria importanza - troppo particolare e locale per trovare posto in una trattazione di carattere generale.
Riaffermata la inscindibilità dei rapporti fra edilizia e piano regolatore, più che ai particolari architettonici esecutivi giova soffermarsi ai grandi problemi distributivi dell'edilizia.
La indisciplina delle costruzioni è il difetto più grave dei nuovi quartieri a combattere il quale non giovano i Regolamenti edilizi. Rispettati i capisaldi stradali, i vincoli di massima altezza, ed un minimo di sopportabile decenza esteriore, il proprietario è libero di utilizzare il terreno come meglio crede. Da ciò le caotiche promiscuità di danno particolare e collettivo.
Il male era troppo evidente per non richiamare l'attenzione. Fin dal 1910 in uno studio per la città di Napoli il concetto della «specializzazione edilizia delle zone» fa la sua apparizione. Parziali applicazioni esso trova nei piani di Milano (1912) e di Roma, più coraggiose in quello di Fiume, di Trieste (1925) e di Napoli (1927). Esso appare infine unanimemente accettato in tutti gli studi per i Concorsi per piani di Milano e di Brescia (1926), di Grosseto (1927), di Foggia (1928), e del nuovo piano di Salsomaggiore (1928).
Occorre però che la applicazione pratica del principio sia fatta con grande discernimento e con opportuna limitazione della casistica.
La «specializzazione» può considerarsi da un doppio punto di vista e cioè secondo la destinazione e secondo la densità. I due criteri si intrecciano e si sovrappongono, ma mentre il secondo è suscettibile di una precisa regolamentazione, il primo non può che avere un carattere tendenziale.
Negli esempi più sopra citati il primo criterio ha trovato nei quartieri periferici la sua applicazione nella suddivisione in zone residenziali e zone industriali, il secondo nella suddivisione in zone a fabbricazione intensiva od a fabbricazione estensiva, nella quale suddivisione il graduale spontaneo decrescere della intensità di fabbricazione col procedere verso la periferia deve trovare la sua espressione.
Le esigenze della vita industriale hanno particolare incidenza sullo sviluppo dei quartieri periferici. Se vi sono industrie che tendono a lasciare definitivamente la città, altre non possono rinunciare al mercato della mano d'opera urbana e denotano solo una tendenza al decentramento locale, ad un ordinamento periferico ai margini della città valorizzati dai nuovi mezzi di trasporto. Il loro collocamento è vincolato alle condizioni di accessibilità per lo spostamento giornaliero delle masse operaie che per la loro instabilità non sono necessariamente residenti nelle adiacenze dell'officina.
La massima dislocazione delle zone industriali è quella dei capilinea dei mezzi di trasporto suburbani. Se buoni mezzi di trasporto mancano gli stabilimenti si collocheranno più vicini al centro soffocandolo, e ciò tanto più quanto maggiore è il temporaneo bisogno di maestranze.
Assegnata in tal modo la più conveniente dislocazione delle zone industriali, tenendo conto di tutti gli altri elementi influenti - stazioni, raccordi, vie d'acqua, ecc. - occorre per conseguire effettivamente un ordinato sviluppo delle città richiamare verso queste i nuovi impianti industriali. La molla di richiamo può trovarsi nel giuoco combinato di speciali agevolazioni nella applicazione dei regolamenti edilizi in relazione alle necessità dell'industria ed in una opportuna politica fiscale esclusivamente riservata alle zone prescelte.
Le questioni ora accennate ci richiamano all'argomento più generale dei mezzi legali ed economici coi quali si possono praticamente applicare le direttive illustrate per la sistemazione dei nuovi quartieri nei piani di ampliamento.
Dal punto di vista economico l'elemento più influente sullo sviluppo dei piani di ampliamento è il regime della proprietà fondiaria.
Disgraziatamente in Italia la proprietà dei terreni intorno alle città non è che in minima parte di pertinenza comunale. Le leggi fondamentali del 1865 e del 1896 non incoraggiano la creazione di un demanio fondiario comunale. Poche città hanno seguito una politica fondiaria attiva. Fa eccezione Milano che fin dal 1906 faceva larghi acquisti di aree nelle zone suburbane e che anche in seguito proseguiva colle stesse direttive. Ma siamo ad ogni modo ben lontani dalle fortunate situazioni di molte città dell'estero grandi proprietarie di terreni suburbani. Per le altre città italiane - Roma compresa - le condizioni sono ancor meno favorevoli.
La trattazione già fatta di questo argomento al precedente Congresso di Vienna ci esonera dal parlarne ora. Passiamo piuttosto a considerare gli aspetti legali del problema.
La necessità da tempo sentita di un aggiornamento del nostro diritto in relazione alle nuove necessità urbanistiche ha dato origine ad un poderoso studio di riforma della legge fondamentale del 1865. Il nuovo testo proposto, ma non ancora discusso dal Parlamento, pur contenendo utili disposizioni non assurge però ancora al valore di una vera e propria «Legge edile».
Sono tuttavia notevoli fra le nuove disposizioni, oltre alla obbligatorietà dei piani per tutti i Centri con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, la facoltà concessa ai Comuni di regolare la fabbricazione in genere anche nelle zone esterne al piano e la distanza delle costruzioni delle strade esterne vicine alle zone comprese nei piani e di addivenire, attraverso la fusione delle preesistenti piccole proprietà private, alla formazione dei cosiddetti «comparti» ossia di convenienti unità da fabbricarsi con speciali norme.
Gli scopi che la nuova legge si propone sarebbero però meglio assicurati se si rendesse assoluto il divieto di fabbricazione all'infuori dei limiti predisposti dal piano, dando al Comune o ad una superiore Autorità la facoltà di esercitare questo vincolo su una zona di convenienti dimensioni intorno alla città e superando le difficoltà che nascono dai limiti di competenza territoriale. L'istituto dei «comparti» dovrebbe pure trovare il suo logico complemento in quello della «rifusione dei confini» che permetterebbe di arrivare ad una migliore sistemazione edificatoria del terreno anche senza ricorrere alla integrale fusione di parecchie proprietà in un unico comparto che potrebbe costituire una unità edilizia troppo estesa ed economicamente conveniente.
Nello studio del piano per la città di Salsomaggiore (1928) che scrive ha voluto tentare una applicazione di questi concetti, domandando che essi fossero accolti nella legge speciale colla quale sarà approvato il piano. Se la domanda avrà favorevole accoglienza si avrà una anticipazione legislativa di principi che necessariamente devono presto o tardi trovare accoglienza nel nostro diritto pubblico.
Anche nella disciplina cronologica della esecuzione del piano sarebbe convincente dare ai Comuni qualche arma per diminuire i disturbi della saltuaria e caotica utilizzazione edilizia che i privati fanno delle loro aree, costringendo il Comune a seguire coi suoi servizi i capricci dell'edilizia senza compenso adeguato all'onere.
Merita pure di essere ricordato un difetto - per quanto mi consta comune a tutte le legislazioni: quello di non adeguare l'abito legale alla statura dell'organismo al quale si applica.
Le leggi in generale considerano l'entità astratta «Comune» senza distinguere se esso abbia poche migliaia od un milione di abitanti, se caratteristiche industriali od agricole ecc.
Ben diverse sono invece - particolarmente nei riguardi dei problemi di sviluppo che qui appunto esaminiamo - le condizioni, le necessità, le difficoltà da caso a caso e giustamente il Legislatore ne deve tener conto per rendere meglio aderente il diritto alla realtà e per foggiare nelle nuove leggi l'arma veramente utile alla disciplina dello sviluppo urbano.
Nota: in questa stessa cartella, sono disponibili altri testi dello stesso Autore, e più o meno contemporanei sullo stesso tema (f.b.)
[1] Il R.D. 7 Febbraio 1926 (art.32) ed il D.M. 27 Febbraio 1927 (art.1) per facilitare la formazione e lo sviluppo di borgate rurali nel Mezzogiorno assegnano una dotazione di L. 25.000.000, - da erogarsi in premi ai costruttori di nuove case in zone rurali distanti almeno 3 km. dal più vicino centro urbano.
[2] Cesare Chiodi, «Aspetti demografici ed economici del Piano Regolatore di Milano» - Giornale Il Politecnico - 1929 - Vallardi Editore.