Prima di indicare le linee generali, di contenuto e di metodo, per avviare la costituzione di un Catalogo generale del paesaggio agrario italiano ritengo opportuno precisare alcune questioni preliminari, al fine di rendere più chiaro e culturalmente ben motivato l’intero progetto. Tenterò quindi di andare alle radici di questa impegnativa proposta rispondendo ad alcune domande tanto elementari quanto necessarie.
1)Perché oggi un Catalogo del paesaggio agrario?
A questa domanda saranno date risposte molteplici nel seguito di queste note. Ma intanto sottolineiamo una ragione rilevante, abbastanza evidente e comprensibile. Dopo oltre mezzo secolo di agricoltura industriale che ha trasformato profondamente le nostre campagne, dopo decenni di PAC, che ha reso esasperata la pressione produttiva sul suolo, è diventato urgente fare un bilancio, delineare un quadro di insieme di quel che resta di uno dei paesaggi agrari, più vari, diversificati e suggestivi dell’intero pianeta.D’altro canto, è il caso di ricordare che dalla fine degli anni Ottanta la Politica Agricola Comunitaria, sia attraverso le cosiddette Quote Latte, sia attraverso i piani di set aside - cioè la messa a riposo dei terreni meno produttivi - limita e regolamenta l’uso del suolo e le sue trasformazioni culturali. La corsa alla produttività illimitata è finita da quasi un ventennio. Dopo secoli di dissodamenti di nuove terre, e di sfruttamento intensivo delle campagne, un potere sovranazionale esorta e impone la limitazione dell’uso agricolo dei fondi. Dunque l’Italia, come gli altri Paesi del Vecchio Continente, si trova all’interno di un quadro normativo sovranazionale che regola, limita e controlla l’evoluzione delle coltivazioni secondo un disegno politico generale.E’ perciò sempre meno immaginabile l’azione solitaria di imprenditori agricoli che manipolano il territorio secondo le proprie esigenze individuali. Il paesaggio agrario può evolvere solo all’interno di un ampio disegno continentale.
Ricordo a tal proposito che uno degli effetti della stessa agricoltura industriale è stato quello di ridurre la superficie agraria utilizzata, lasciando così estesi territori fuori da ogni sfruttamento produttivo, fissati nei loro caratteri tradizionali, anche se non sempre ben conservati. Infine, nel momento in cui l’Unione Europea pone il paesaggio come uno dei beni originali del Vecchio Continente, da regolare e da tutelare (Convenzione europea del paesaggio, 2000) appare più che urgente apprestare una ricognizione che fissi in un grandioso inventario, come in un regesto di beni artistici unici e irriproducibili, il patrimonio che ereditiamo nelle campagne e nelle aree rurali del Bel Paese.
2)A che serve ?
Il primo fine risponde a una necessità di censimento. Il nostro paesaggio agrario è - come vedremo meglio più avanti - un patrimonio complesso e inscindibile di bellezze storico-artistiche e naturali, e come tale va tutelato e conservato, per quanto possibile, nella sua integrità. A tal fine diventa indispensabile un inventario delle sua estensione, delle sue caratteristiche, varietà, distribuzione, ecc. in grado di fornire alle istituzioni predisposte alla tutela la mappatura vivente, in tutte le sue articolazioni, di tale sterminato patrimonio.
Un Catalogo, com’è facile intuire, faciliterebbe un’opera attiva di difesa e valorizzazione. Ad esempio, consentirebbe di conoscere le aree più degradate e bisognose di ripristino di equilibri ambientali più congrui e stabili. Al tempo stesso potrebbe consentire il sostegno pubblico ad agricolture tradizionali, soprattutto nelle colline interne e nelle aree montane, che incarnano ancora oggi forme di paesaggio agrario di valore storico, presidi di conservazione della biodiversità agricola, di difesa degli equilibri idrogeologici del suolo. Un Catalogo infine consentirebbe una più consapevole e attiva politica di coinvolgimento dei cittadini nelle fruizione dei beni molteplici del nostro paesaggio agrario.
E’ appena il caso di ricordare che un tale strumento potrebbe inoltre costituire un importante argine culturale per incominciare a difendere con altra lena e severità civile il nostro patrimonio paesaggistico dalle aggressioni incessanti e vandaliche degli infiniti fautori del cosiddetto « sviluppo». Conoscere il paesaggio con le sue peculiarità naturali e storiche, espressione di vicende e soluzioni tecniche originali, di culture e saperi profondamente stratificati e sedimentati nel tempo, dovrebbe rendere il nostro territorio come «sacro», un immenso sito di archeologia rurale: non modificabile e manipolabile senza un consenso generale.E intorno alla difesa del paesaggio agrario italiano possono trovare ragioni di impegno quanti si oppongono a una cultura che assegna valore alle cose solo se trasformabili in merci, solo se generatrici di profitto.
3)Che cosa intende illustrare?
La prima risposta da dare a questa domanda è che il Catalogo intende sottolineare e documentare il carattere storico del paesaggio agrario italiano.Il termine storico è in sé, per la verità, semanticamente poco significativo. Tutti i terriori che risultino antropizzati da qualche decennio possono definirsi segnati da una impronta storica. Ma l’Italia, com’è noto, va ben oltre questa generica soglia di caratterizzazione.Ciò che infatti distingue la complessità dei caratteri storici del paesaggio della Penisola - rispetto ad es. ai paesaggi europei - è la molteplicità e stratificazione delle impronte che così tante e distinte civiltà hanno lasciato nel territorio e nelle forme delle nostre campagne.Pensiamo alle modificazioni impresse dall’azione delle bonifiche ad opera dei colonizzatori greci, degli Etruschi, dei Romani, degli Arabi. Queste stesse civiltà, d’altro canto, hanno fornito nel corso del tempo alle nostre campagne un contributo così incomparabilmente ampio di nuove piante, tecniche di coltivazione, forme di piantagioni e di recinzione della terra, modi di captazione e uso dell’acqua, costruzioni e manufatti, che il carattere storico del nostro paesaggio assume un valore del tutto particolare rispetto agli altri Paesi europei. Va d’altra parte ricordato che così come il paesaggio fonde in una sintesi originale la bellezza del sito o della piantagione con il carattere storico del loro uso e della loro manipolazione a fini economici, allo stesso modo i manufatti sparsi nelle nostre campagne, incastonati dentro gli habitat più diversi, esprimono una documentazione di passate civiltà del lavoro agricolo e al tempo stesso costruzioni di valore artistico, opere ammirabili per pregio estetico, per grandiosità e genialità edificatoria. Fanno parte del nostro paesaggio agrario - in parte similmente a quanto avviene in alcune campagne europee, ma con una varietà e ricchezza incomparabile - non solo la centuriatio romana e il disegno geometrico di tante strade e territori, ma anche opere invisibili che spesso sfuggono alla nostra rilevazione immediata e che solo di recente la ricerca archeologica è venuta scoprendo. Si pensi alle briglie montane e collinari con cui già i romani imbrigliavano i corsi alti dei torrenti e rimodellavano il territorio.Alcune di queste - come la briglia di Lugnano in Teverina, in Umbria, continuano ancora oggi a svolgere la loro funzione di difesa del suolo.Ma il nostro paesaggio racchiude nel suo seno una infinità di manufatti che talora costituiscono già isolatamente dei beni artistici meritevoli di specifica tutela. Si pensi agli acquedotti romani, ai ponti, alle strade, ai canali, alle cisterne, alle fontane, ai pozzi appartenenti a diverse epoche. La stessa architettura rurale, espressione di forme molteplici di organizzazione della vita agricola, offre un repertorio di estrema ricchezza e varietà: cascine chiuse e aperte, fattorie, ville, casali, masserie, mulini, frantoi, stalle,ecc.
Infine, ma non certo ultimo in ordine di importanza, un aspetto decisivo dell’originalità del paesaggio agrario italiano. Emilio Sereni distingueva il nostro definendolo verticale, rispetto all’orizzontalità che domina nei paesaggi europei, segnati dall’estesa presenza delle pianure. E in effetti i terrazzamenti e le varie forme di utilizzo delle aree collinari hanno a lungo dato una fisionomia di «agricoltura arrampicata» alle nostre coltivazioni. Ma non c’è dubbio che l’unicità delle forme delle nostre campagne è legata alla varietà incomparabile del habitat naturali che la Penisola ospita nel suo seno. Dalle Alpi alla Sicilia una continua e degradante diversità di climi, di morfologie, di suoli, ha imposto alle diverse civiltà agricole che vi si sono insediate di esprimere in forme molteplici le proprie culture di modellazione degli spazi naturali e di organizzazione degli insediamenti.Ma ha dato ad esse anche l’ opportunità di utilizzare un patrimonio biologico di piante di incomparabile ricchezza - frutto degli apporti secolari di diverse e talora lontane culture agronomiche - con cui hanno saputo valorizzare la varietà dei climi e delle vocazioni ambientali locali che la Penisola offriva.
Come costruire il Catalogo?
E’ questo indubbiamente l’interrogativo a cui è più difficile rispondere. Probabilmente, per ciò che riguarda il punto di partenza, la soluzione più semplice, ma anche quella più fedelmente aderente alla geografia e alla storia del nostro paesaggio, è iniziare dai caratteri naturali dei diversi habitat. Le regioni geografiche della Penisola possono costituire i grandi quadri di insieme all’interno dei quali si sono storicamente collocate le diverse forme di organizzazione dei campi e delle piantagioni, l’uso degli spazi, i moduli costruttivi. I quadri naturali, dunque, come grandi contenitori all’interno dei quali si ritrovano diverse espressioni di paesaggio agrario, magari contigue, che possono essere individuate e analizzate attraverso un processo di progressiva e sempre più ravvicinata focalizzazione. Il Catalogo, in una impostazione siffatta, dovrebbe procedere come per cerchi concentrici, partendo da ampie delimitazioni spaziali per mirare a ricognizioni analitiche sempre più circostanziate. Tale impostazione consentirebbe di concepire il lavoro di costituzione del Catalogo come un processo incrementale. Una volta delineate le macro-aree in cui il paesaggio appare contenibile, e individuate le forme più tipiche e meglio note di esso, occorrerà riempire di indagini sempre più ravvicinate - condotte da rilevatori che operano sul campo - gli schemi generali, in grado di fornirci un censimento significativo dello stato attuale del nostro patrimonio. Va da sé che i quadri di insieme, geografici e storici, del paesaggio dovrebbero trovare una prima e importante espressione e sistemazione, in grado di circolare tra il pubblico, in una edizione cartacea.Un grande atlante del paesaggio agrario italiano che renda visibile e percepibile la vastità e ricchezza dei beni censiti. Ma ad esso dovrebbe seguire un lavoro autonomo destinato a proseguire nel tempo e finalizzato a riempire i quadri generali con le ricognizioni analitiche condotte sul campo. Dunque un catalogo elettronico che si arricchisce continuamente nel tempo e che sarà in grado di fornirci l’archivio generale del paesaggio agrario italiano.
A nessuno sfugge l’interesse e l’importanza di un simile patrimonio conoscitivo.Esso costituirebbe uno strumento prezioso per controllare alterazioni e manipolazioni arbitrarie e per tutelarlo. D’altra parte occorre anche ricordare che il paesaggio agrario non è un museo di reperti chiusi nelle loro teche di vetro. Esso è sede di economie in corso, quindi di uso e frequentazione quotidiana.La geometria delle aziende capitalistiche di pianura è in continua evoluzione. E qui si pone tra l’altro un problema che andrà al più presto affrontato. Una parte cospicua dei territori di pianura è oggi occupata dalle agricolture industriali, che hanno formato anche’esse, una forma nuova di paesaggio agrario: un paesaggio molto regolare e geometrico, fatto di coltivazioni nettamente ripartite, ma che negli ultimi anni, attraverso la plastica bianca delle serre, sta gravemente alterando il profilo e l’estetica delle nostre campagne. Anche per tale ragione un Catalogo, quindi, un «catasto» del nostro patrimonio storico, si rende necessario al fine di fornire alla regolamentazione legislativa i supporti imprescindibili di conoscenza.
Quali paesaggi?
Si potrebbe iniziare, procedendo da Nord verso Sud, dalla Montagna alpina. Qui, dove la natura impervia ha scoraggiato l’intrapresa agricola, fanno tuttavia paesaggio originale i territori a pascolo, dove si svolgeva l’alpeggio del bestiame in estate e le costruzioni delle malghe, in legno o in pietra, per ricoverare uomini e bestie.Ma, sempre in queste aree, più precisamente lungo le valli, un modulo di sfruttamento agricolo originale appaiono oggi i vasti terrazzamenti a viti, degradanti lungo i costoni, che sono così tipici, ad esempio, in Valle d’Aosta.
Più a Sud abbiamo l’Area delle Prealpi, vale a dire il vasto territorio collinare di Lombardia, Piemonte e Veneto. Qui è l’area tradizionale della piccola proprietà, contrassegnata soprattutto dalla presenza del vigneto e di piante fruttifere resistenti al clima continentale. Siamo di fonte a una policoltura collinare inframmezzata da abitazioni sparse e da borghi che andrebbe analizzata nelle sue particolarità e varianti locali. Ma un’attenzione particolare meritano in queste zone anche i boschi misti di rovere, lecci, faggi, ecc, e i residui castagneti, esito di più o meno antiche riforestazioni.
La Pianura padana andrebbe analizzata in due grandi sezioni abbastanza distinte: l’alta e bassa pianura, la Padana asciutta e la Padana irrigua. Nella prima sezione, dove a lungo ha dominato il contratto mezzadrile e la bachisericoltura la coltivazione tradizionale dei cereali si è inframmezzata con diverse forme di piantata: aceri o pioppi a cui far arrampicare la vite, ma spesso gelsi con cui alimentare i bachi da seta.Vari anche qui sono stati i moduli e le soluzioni costruttive dell’archittettura rurale. Più a Sud il paesaggio diventa molto più vario, differenziato e complesso. I campi sono intersecati dai canali, rogge, fontanili: tutti elementi di una agricoltura intensamente irrigua. In tali aree il paesaggio è dominato da campi pianeggianti geometrici, propri delle vaste aziende capitalistiche, in cui si levano, in diverse forme e dimensioni le cascine: piccole cittadelle nel cuore della campagna, dotate spesso di porte e di mura di cinta, in cui viveva e trovava collocazione un manipolo di lavoratori fissi, il bestiame, le derrate, gli attrezzi da lavoro. In questo stesso habitat, ma più decisamente umido, sorge il paesaggio delle risaie, che costituisce una specificazione ulteriore dell’agricoltura irrigua. Più a oriente, verso il vasto Delta del Po, questo paesaggio conserva ancora i caratteri di una vasta terra di bonifica, dove dominano le grandi aziende cerealicole mentre le idrovore, le «chiuse» le cascine e i canali punteggiano i vasti campi coltivati.
La regione dell’Appennino costituisce un ambiente a sé. Qui siamo in un’area dominata dal paesaggio forestale: boschi, soprattutto di castagni, che caratterizzano in maniera particolare alcune zone(Toscana, Lazio settentrionale), ma anche di quercie e lecceti. Siamo di fronte a un territorio punteggiato di borghi e da popolazione rada che ha plasmato il proprio habitat anche con il pascolo, la macchia, i piccoli orti, ecc .
Più a Sud incontriamo la vasta e variegata area delle colline preappenniniche, nelle quali le popolazioni contadine hanno elaborato nei secoli molteplici forme di paesaggio.Un’ area che conserva una propria impronta originale è quella che potremmo definire dei terrazzamenti mediterranei della Liguria: vale a dire le coltivazioni «verticali» delle colline costiere a viti ed ulivi. Il paesaggio delle Cinque Terre è quello meglio noto e più caratteristico di quest’area.Nelle terre interne di tale regione geografica occorrerebbe delimitare e censire il paesaggio dell’incastellamento - frutto del ripiegamento difensivo delle popolazioni nel Medioevo - cosi’ caratteristico, ad esempio, di tante campagne del Lazio.
Più in basso, verso l’area delle colline dell’Italiacentrale, dominio secolare del podere mezzadrile, si distende il bel paesaggio della policoltura contadina, che conosce le sue espressioni più note e pubblicizzate nelle campagne toscane e umbre. Ma anche all’interno di un paesaggio così fortemente caratterizzato occorrerebbe delineare habitat ancora più specifici e distinti, come ad esempio il paesaggio delle crete senesi o dei calanchi volterrani. In questa stessa fascia dell’Italia centrale si rende inoltre necessaria la ricognizione di quell’area - oggi profondamente trasformata dalla bonifica - che per secoli è stata occupata dalla maremma, vale a dire dalla boscaglia, dalle colture e dagli acquitrini che hanno segnato le terre della costa tirrenica dalla Toscana fino al Lazio.
Il paesaggio del Mezzogiorno, nella dorsale appenninica, continua quello dell’Italia centrale.Tuttavia, al suo interno, si rintracciano elementi di novità importanti. Uno di questi è dato senza dubbio dalla presenza di due grandi foreste storiche, come la Sila in Calabria e la Foresta umbra in Puglia. E anche il paesaggio di alcune montagne, sede di insediamenti radi e di attività economiche, e oggi ricadenti nell’ambito di importanti parchi, fanno caso a sé. Penso, in questo caso alla montagna del Pollino e all’impervio e complesso habitat dell’Aspromonte, all’aspro paesaggio montano della Sardegna. Più a valle, nelle aree submontane, sussistono ancora ampi frammenti di quel paesaggio relativamente nudo, utilizzato a pascolo o a seminativo, che Manlio Rossi-Doria definiva il latifondo contadino.
Ma è il paesaggio degli alberi l’impronta più profonda e originale che connota le campagne del nostro Sud. Qui occorre, tuttavia, distinguere e delimitare l’insieme in varie declinazioni locali e tecniche. Nel Sud abbiamo il paesaggio arboricolo misto, che possiamo considerare una tarda evoluzione del giardino mediterraneo: piantagioni di viti, ulivi, mandorli, fichi, noci, fruttiferi vari. In tale ambito credo che una attenzione specifica occorrerebbe dedicare ai terrazzamenti: esistono ancora, infatti - per esempio sulle alture di Scilla, in Calabria. o lungo il Gargano, vertiginosi terrazzi che ospitano vigne o stenti mandorleti, i quali testimoniano un’ età davvero eroica del lavoro contadino. Veri musei dell’agricoltura a cielo aperto che non dovrebbero essere perduti. Ma, accanto ad essi, troviamo le vaste aree dell’arboricoltura specializzata: oliveti e giardini di agrumi. In alcuni casi abbiamo oliveti storici che fanno caso a sé: ricordo la foresta di ulivi giganteschi della Piana di Gioia Tauro. Allo stesso modo gli agrumeti costituiscono un paesaggio unico, ma articolato in modelli alquanto vari di coltivazione: si va dai terrazzamenti della Costiera amalfitana, del Gargano, o di Ciaculli (Palermo), agli impianti per colmata lungo le fiumare calabresi, alle più ampie aziende agrumicole di pianura della Calabria e soprattutto della Sicilia, ma anche della Sardegna. Nelle isole minori, come ad es a Pantelleria, tanto le forme delle coltivazioni che l’architettura rurale formano un disegno così originale del paesaggio mediterraneo da meritare una specifica ricognizione.
Naturalmente all’interno di tali ambiti è possibile rinvenire frammenti di paesaggio ancora più specifici e caratterizzati: penso ad esempio all’agricoltura dei muretti a secco, la campagna della piccola proprietà recintata con pietre che connota così originalmente il territorio intorno ad Alberobello e in altre aree della Puglia contadina.
Nelle zone di pianura e di bassa collina il Sud conserva anche un paesaggio radicalmente diverso da quello degli alberi: è l’habitat del latifondo tipico, un territorio generalmente nudo, punteggiato qua e là da qualche masseria, rade delimitazioni con muretti a secco, ecc che testimonia un utilizzo millenario della terra a coltivazione estensiva alternata al pascolo. Un paesaggio siffatto trova manifestazioni di grandissimo fascino nelle Murge e nel Tavoliere delle Puglie, nel Crotonese, in Calabria, nelle Campagne di Enna e in tante altre aree della Sicilia. Esso ci appare oggi come un mondo inquietante e lunare, lontano dai rumori e dalle velocità del presente, superstite testimonianza paesaggistica di una millenaria pratica di lavoro contadino ormai scomparsa.