Se pensiamo all’agro campano lo vediamo come un territorio sconvolto prima dall’esplosione edilizia, e poi occupato, negli spazi residui, dalle spazzature del Nord e del Sud. È davvero difficile per noi immaginare che cos’era prima della devastazione. Ci aiuta un innamorato di questa terra (e della terra in generale) l’autore di questo libretto. Antonio di Gennaro riesce a restituirci un’immagine vivissima della “terra lasciata”. Ci riesce allineando brani dei racconti di persone, più fortunate di noi, che ebbero la fortuna di scoprire le mille inaudite ricchezze di questi fertili suoli. Collegando con il suo racconto brani di Goethe, Galanti, Sestini, Dickens l’autore dipinge l’affascinante ritratto del frutto del poderoso lavoro plurimillenario che la natura e l’uomo hanno compiuto collaborando, e ci rende consapevoli del livella altissimo di produttività e di bellezza che era stato raggiunto, del “capolavoro” (annotate questa parola) che era stato raggiunto. Un’opera la cui qualità non risiede solo nella struttura e nella forma della campagna e nei suoi incredibilmente ricchi prodotti, ma anche nei rapporti virtuosi che la legano alla città, in uno scambio che rende migliori entrambi.
Bellezza perduta, utilità perduta, ricchezza perduta. Perché, come? Manlio Rossi Doria e Pasquale Coppola, Antonio Cederna e Vezio De Lucia aiutano di Gennaro a raccontarci i modi e le ragioni per cui il “capolavoro” si è trasformato in un immondo ammasso, perché e come il sistema di aree agricole pregiate intorno alla città, è stato deliberatamente trasformato in “spazi vuoti, invisibili e inaccessibili ai più perché occultate da una cortina di degrado” ed è diventato “la grande discarica utilizzata dai Casalesi per smaltire i rifiuti industriali provenienti dal nord”.
Gli interessi, le forze e le debolezze, gli strumenti adoperati per distruggere sono raccontati con efficacia in un racconto che si legge d’un fiato, ma che fa riflettere a lungo. E dopo aver descritto “il progetto pluridecennale di distruzione di Campania felix”, e il significato profondo di ciò che ancora rimane,di Gennaro formula la sua proposta. Non ve la racconto; vi do la parola chiave: “Partenone”. Un progetto impegnativo, ma possibile. Richiede una virtù che è indispensabile perché la civiltà sopravviva: la capacità di guardare, a un tempo, alla nostra storia e al nostro futuro: memoria e lungimiranza.