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Il 1° aprile 1933 è entrata in vigore la nuova legge urbanistica inglese ( Town and Country Planning Act, 1932), che disciplina la formazione e l’esecuzione dei piani regolatori nei territori dell’Inghilterra e della Scozia.
Il provvedimento ha grande importanza non solo perché è il risultato di uno studio accuratissimo, al quale hanno preso parte i più autorevoli urbanisti inglesi (fra essi Raymond Unwin, già Presidente della International Federation for Housing and Town Planning), ma anche perché rappresenta il tentativo forse meglio riuscito fino ad oggi di accordare i diritti dei proprietari con gl’interessi superiori della collettività. Vale quindi la pena di esaminarlo a fondo, anche perché è ben noto con quale meticolosa cura si cerca nei paesi anglosassoni di assicurare la sistemazione degli abitati in modo che risultino rispondenti alle esigenze della vita moderna.
La nuova legge ha modificato, abrogandolo, il Town Planning Act 1925, ma al pari di questo, si riallaccia per determinate procedure alle leggi sull’espropriazione, sull’igiene, sulla costruzione di case e sull’ordinamento delle Amministrazioni locali ( Acquisition of Land Act, 1919; Public Healt Acts, dal 1875 al 1926; Local Government Act, 1894; Housing Act, 1925; Local Government Act, 1929).
Essa fa anche salve le disposizioni speciali emanate a favore della Capitale e particolarmente quelle contenute nei seguenti provvedimenti: a) Metropolis Management Acts, 1855-1893; b) Common Council under the City of London Sewers Acts, 1848-1897; c) London Building Act, 1930; d) London Squares Preservation Act, 1931.
Secondo quanto è affermato nel paragrafo di premessa, il Town and Country Planning Act si propone di:
1) autorizzare la compilazione di piani aventi per iscopo la costruzione su aree urbane o rurali e l’esecuzione delle relative sistemazioni ;
2) assicurare la protezione di bellezze panoramiche (rural amenities) e la conservazione di edifici e altri oggetti interessanti o di particolare bellezza;
3) imporre ai proprietari di immobili compresi nel territorio, cui il piano si riferisce, contributi in relazione ai vantaggi conseguiti;
4) facilitare l’acquisto di terreni per città-giardino.
Il complesso delle norme pone anzitutto in evidenza come la necessità di garantire l’ordinato sviluppo degli abitati abbia indotto il legislatore a conferire alle autorità incaricate di sovrintendere allo svolgimento dell’attività edilizia poteri ben più larghi di quelli che i nostri ordinamenti assicurano ai Comuni e agli organi statali cui siffatto compito è affidato. La legge infatti contempla forme di espropriazione con procedura assai più semplificata (pur con la garanzia, più formale che sostanziale, della conferma da parte del Parlamento) quando il bisogno di controllare lo sviluppo di una città obblighi l’autorità locale ad entrare in possesso di beni privati: ammette che attraverso i piani regolatori possano essere imposte servitù assai gravi sugl’immobili, senza diritto a compenso: affida la determinazione delle eventuali indennità non ai tribunali ma a semplici arbitri: accorda alle amministrazioni locali la partecipazione in misura più che abbondante all’eventuale vantaggio derivato ai beni privati dall’approvazione e dall’esecuzione dei piani.
Una posizione certamente molto favorevole è quindi assicurata alle autorità incaricate della formazione e della esecuzione dei piani regolatori, posizione della quale le amministrazioni comunali italiane sarebbero assai felici poter usufruire.
Vero è che in pratica il rigore delle suddette disposizioni risulta molto attenuato. Poteri altrettanto ampi esistevano infatti anche con la legge precedente e ciò non ha impedito di tendere nella loro applicazione a turbare il meno possibile gl’interessi privati : tuttavia il fatto che il Town Planning Act, 1932 ha reso più gravi le restrizioni che ai patrimoni privati possono essere portate con i piani regolatori sta a dimostrare che presso gl’inglesi il diritto di proprietà ha cessato nel campo urbanistico di essere assoluto.
La materia contenuta nella predetta legge può essere raggruppata come segue: 1) Contenuto dei piani regolatori - 2) Enti autorizzati a compilarli - 3) Procedura per la formazione ed approvazione - 4) Esecuzione dei piani - 5) Disciplina dell’attività edilizia 6) Indennità. - 7) Contributi - 8) Espropriazione - 9) Provvedimenti a favore delle città giardino.
Contenuto dei piani regolatori.
I piani regolatori tendono a porre le amministrazioni locali in grado di controllare1o sviluppo delle costruzioni per assicurare la realizzazione delle migliori condizioni possibili nei riguardi dell’igiene, dell’estetica e della comodità, garantire la conservazione di bellezze naturali e di edifici o altri immobili architettonicamente, storicamente o artisticamente interessanti e in generale proteggere le cose esteticamente importanti situate sia nell’abitato, sia in zone rurali (art, 1 ).
Essi possono comprendere tanto aree nude come zone già coperte da costruzioni. Le aree nude possono essere incluse nel piano quando su di esse si manifesti la tendenza ad un’attività edilizia ovvero quando debbano essere utilizzate nell’interesse di costruzioni esistenti o di quelle che potranno sorgere in avvenire, quando cioè siano necessarie per assicurare la disponibilità di spazi liberi, di parchi, campi sportivi o di giuoco, vie di comunicazione, sede di impianti per servizi pubblici, ecc. Le zone costruite possono essere oggetto di disciplina da parte del piano regolatore quando ciò serva ad assicurare un effettivo miglioramento delle loro condizioni o quando in esse siano compresi edifici aventi speciale interesse dal punto di vista storico, artistico o architettonico.
Il Town Planning Act 1925 limitava a questo secondo caso la possibilità di inclusione di nuclei edilizi nel piano regolatore, ed era perciò da considerarsi più restrittivo dell’art. 86 della legge italiana sull’espropriazione per pubblica utilità, che concede ai Comuni relativamente popolosi di poter redigere piani regolatori anche per rimediare alla viziosa disposizione degli abitati dal punto di vista dell’igiene e della viabilità.
Il Town Planning Act 1932 ha tolto ogni limite all’inclusione di edifici esistenti, e quindi esso garantisce meglio della legge italiana la formazione di aggregati edilizi razionalmente disposti, in quanto fornisce poteri all’amministrazione locale per evitare che le bellezze esistenti vadano disperse: ciò che l’esperienza dimostra essere tanto facile a verificarsi quando non possa adoperarsi l’arma del piano regolatore ma debba farsi ricorso a leggi speciali, quale è presso di noi la legge 11 giugno 1922, n. 778 sulla tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico.
In Italia la facoltà di compilare piani regolatori interni venne limitata dalla legge 25 giugno 1865 ai Comuni con popolazione accentrata non inferiore a 10.000 abitanti, in quanto si ritenne che solo in nuclei abitati con caratteristiche di centro urbano la difettosa disposizione degli edifici potesse dar luogo a inconvenienti seri dal punto di vista del traffico e dell’igiene. La restrizione però fu principalmente motivata dal timore che di un potere così delicato potesse esser fatto abuso da parte di piccoli Comuni, i quali, dando eccessiva importanza a inconvenienti di scarso rilievo in agglomerati edilizi minori, avrebbero potuto essere indotti a imporre pesi gravi e ingiustificati alla proprietà costruita. Preoccupazioni siffatte non esistevano invece per le zone di sviluppo dell’abitato, in quanto agli immobili ivi esistenti il piano non avrebbe recato che il vincolo di una disciplina più rigorosa dell’attività edilizia: e ciò spiega perchè la legge suddetta stabilì una certa distinzione tra piani regolatori e piani di ampliamento, dando ai primi quasi un carattere di eccezione.
Possiamo ritenere che in un paese come l’Inghilterra, dove si cerca, almeno formalmente, di rispettare quanto più possibile il diritto di proprietà, considerazioni analoghe a quelle suesposte abbiano indotto in un primo tempo il legislatore a vietare del tutto i piani regolatori per i nuclei edilizi esistenti, ammettendo solo parziali trasformazioni, dettate da ragioni particolarmente gravi dal punto di vista storico o artistico.
In seguito però si è dovuto costatare che non è possibile provvedere alla città futura senza tener conto di quella esistente, in quanto non si può considerare la vita di un quartiere avulsa da quella dell’intero agglomerato edilizio di cui fa parte. La pratica ha posto in evidenza che i nuovi nuclei abitati alla periferia influiscono grandemente su quelli centrali, aumentandone il traffico, trasformando l’attività commerciale e industriale che in essi si svolge, dando loro e ricevendone mezzi di vita.
Il Town Planning Act 1932 ha finito quindi per ammettere, sia pure in modo abbastanza cauto, che il piano regolatore non possa e non debba restringere il campo d’azione alle zone esterne dei centri abitati, ma detti opportune norme per l’intero territorio, che è o sarà in seguito occupato da costruzioni. E poiché la ragione principale di tale determinazione sta nella stretta connessione fra quartieri vecchi e nuovi, è stata bandita dalla legge urbanistica inglese la distinzione fra piano regolatore e piano di ampliamento, introdotta nella legge italiana del 1865, distinzione dimostratasi in pratica dannosa e quindi abbandonata di fatto anche presso di noi in quasi tutti i piani regolatori approvati fino ad oggi.
Secondo i1 Town and Country Planning Act il piano regolatore deve contenere tutte le disposizioni necessarie per assicurare le migliori condizioni di sviluppo edilizio della zona e in particolare fornire norme circa:
- la costruzione di strade esterne o interne e l’eventuale chiusura o modificazione di quelle esistenti;
- la disciplina delle costruzioni di qualsiasi specie;
- la formazione di spazi liberi, sia pubblici che privati, e la riserva di zone per l’impianto di aeroporti;
- la conservazione di alberi o di boschi;
- il divieto di effettuare depositi di rifiuti o l’eventuale loro disciplina;
- l’impianto di fognature e di smaltimento delle immondizie;
- l’illuminazione e l’approvvigionamento idrico;
- l’estinzione o la modificazione di diritti di passaggio o di altri vantaggi relativamente all’uso delle strade;
- la gestione di terreni acquistati dall’autorità locale o dall’autorità incaricata di sovrintendere al piano regolatore.
Esso deve inoltre disciplinare:
- la facoltà della autorità predetta di modificare o demolire ogni opera che impedisca l’esecuzione del piano e di accordarsi a tal fine con i proprietari o di permettere accordi fra questi;
- la facoltà di ricevere somme per l’esecuzione del piano e la gestione di esse;
- l’emanazione di norme complementari intese ad assicurare l’esecuzione del piano e a determinare le penalità a carico dei contravventori;
- il periodo di validità del piano;
- le norme per la riscossione del contributo di miglioria.
I piani regolatori possono infine contenere disposizioni intese a vietare l’apposizione di pubblicità che diminuiscano la bellezza di determinati ambienti, fatta eccezione per quelle riguardanti affari, trattenimenti, aste o vendite che interessino l’immobile sul quale sorgono, purché conformi per grandezza e tipo alle norme contenute nel piano.
Per quanto si riferisce alle costruzioni i1 piano regolatore deve contenere prescrizioni circa il numero degli edifici e la superficie coperta di ciascuno: deve inoltre attribuire all’autorità incaricata dell’attuazione del piano la facoltà di regolare con disposizioni di carattere permanente la massa, l’altezza e l’architettura dei fabbricati e i materiali da impiegare (quando ciò sia necessario tenuto conto dell’altezza da raggiungere), nonché l’uso dei fabbricati costruiti o da costruire. Sono esclusi da tali disposizioni gli edifici destinati ad usi agricoli. Com’é ovvio rilevare, la legge urbanistica inglese è ben più larga di quella italiana per quanto riguarda la considerazione dei bisogni da soddisfare attraverso la formazione del piano regolatore. La legge italiana ha ammesso che si possa col piano provvedere solo al miglioramento delle condizioni igieniche e di viabilità dell’abitato esistente e tendere ad assicurare una comoda e decorosa disposizione dei futuri quartieri. Il legislatore inglese ha riconosciuto, invece, che le autorità locali devono preoccuparsi di conferire all’aggregato edilizio una sistemazione tale che la vita dei cittadini vi si possa svolgere nelle migliori condizioni ed ha quindi considerato come materia di piano regolatore l’organizzazione di tutti i servizi pubblici, dando alle autorità stesse la possibilità di imporre ai beni privati i vincoli che all’uopo si rendono necessari. I voti, che in questo senso hanno formulato gli urbanisti italiani in vista dell’emanazione di una nuova legge sui piani regolatori, possono quindi, alla stregua dell’esperienza inglese, considerarsi perfettamente giustificati.
Enti autorizzati a compilare piani regolatori.
Il Town Planning Act 1925 faceva obbligo a tutti i boroughs e ai distretti urbani, che al censimento 1921 risultarono avere una popolazione di più di 20.000 abitanti, di provvedere alla formazione del piano regolatore non più tardi del 1° gennaio 1929: ma per quanto l’attività delle Amministrazioni municipali inglesi in questo campo sia stata negli ultimi anni molto intensa, il suddetto termine trascorse senza che la norma avesse ricevuto integrale applicazione.
La legge del 1932 ha confermato il suddetto obbligo, fissando come termine ultimo il 31 dicembre 1938, ed ha inoltre, dato facoltà al Ministro di obbligare anche altri distretti con popolazione inferiore a procedere alla compilazione del piano quando non lo facciano spontaneamente e quando, a suo giudizio, ricorrano le condizioni che fanno ritenere opportuna tale compilazione [1].
Il legislatore inglese ha quindi risoluto in senso affermativo la questione, tuttora in piedi presso di noi, se sia opportuno imporre a determinati Comuni l’obbligo di compilare il piano regolatore, senza voler affrontare un esame a fondo di tale delicata materia, non possiamo fare a meno di rilevare come questa soluzione sia quanto mai opportuna. Il piano regolatore, pur senza caricare la proprietà di pesi insostenibili, offre la possibilità di adottare le cautele necessarie perché le autorità locali possano migliorare le condizioni attuali dell’abitato e renderlo adatto a soddisfare le esigenze future della cittadinanza. Siccome, peraltro, la sua formazione rappresenta nella generalità dei casi un problema assai complesso, il cui studio reca una somma di lavoro e di responsabilità tanto gravi da indurre molti amministratori a disinteressarsene, l’imposizione dell’obbligo risulta, più che utile, addirittura indispensabile.
Le autorità locali inglesi possono procedere esse stesse alla compilazione del piano ovvero delegare tale compito al Consiglio di Contea, trasferendogli tutti i poteri che la legge loro accorda, eccettuato quello di contrarre prestiti e di imporre tasse. La delega può esser fatta sotto certe condizioni e limitata ad un periodo più o meno lungo ovvero a tempo indeterminato. Dell’accordo e delle sue eventuali variazioni deve esser data comunicazione al Ministero dell’Igiene [2].
La decisione di procedere alla compilazione del piano può essere adottata d’iniziativa dell’autorità locale competente oppure su richiesta dei cittadini interessati, i quali hanno facoltà di sottoporre all’esame dell’autorità stessa progetti da loro compilati per la sistemazione di tutto o parte del territorio costituente il distretto.
I cittadini possono anche presentare i loro progetti al Ministro dell’Igiene, il quale, ove li ritenga accettabili, ordina all’autorità locale di adottarli.
Tanto in questo caso come per qualunque altro invito relativo all’adozione di decisioni riguardanti la compilazione del piano, decorso il termine prefisso nell’ordinanza, il Ministro può compilare ed approvare esso medesimo il progetto. Qualora trattisi di un distretto urbano con popolazione inferiore ai 20.000 abitanti può anche dare incarico al Consiglio di Contea di adottarlo, con le modificazioni eventualmente necessarie, in luogo e vece del district council o del borough council, cui spetterebbe per ragioni di competenza territoriale. Rimangono a carico del distretto medesimo le spese cui rispettivamente il Ministero o il county council sono andati incontro per il provvedimento d’ufficio.
Di tutte le proposte relative alla formazione di piani viene data notizia al Consiglio di Contea, il quale deve anche essere consultato in merito all’opportunità di compilare i piani e alla determinazione del loro contenuto.
Procedura per la formazione ed approvazioni dei piani.
Nella formazione dei piani si distinguono tre fasi:
a) deliberazione con la quale viene disposta la compilazione del piano;
h) preparazione del piano di massima (preliminary statement);
c) compilazione del piano esecutivo.
La deliberazione con la quale si decide di far luogo alla compilazione del piano deve essere portata a conoscenza del pubblico mediante avviso contenente indicazioni esatte sull’estensione del piano medesimo. I privati possono nel termine prescritto avanzare proposte tendenti ad allargare o restringere i limiti in essa stabiliti, e di tali suggerimenti l’autorità locale deve tener conto nella formazione del piano.
Il preliminary statement, adottato per iniziativa dell’autorità locale competente ovvero su richiesta degl’interessati o per invito del Ministro, stabilisce in linea di massima il contenuto del piano, indicando quali modificazioni saranno apportate alla zona cui si riferisce. Tali modificazioni debbono essere specificate in una carta topografica da depositare nell’ufficio del distretto, perché chiunque possa prenderne visione.
Il preliminary statement deve essere sottoposto all’esame del Ministro entro 18 mesi dalla data in cui diventò esecutiva la deliberazione relativa alla formazione del Piano. Il Ministro l’approva con o senza modificazioni dopo avere accertato che sussistono le condizioni dianzi enunciate circa gli scopi e l’estensione dei piani regolatori, e previo esame delle osservazioni e dei reclami eventualmente presentati.
Approvato dal Ministro, il preliminary statement è portato a conoscenza del pubblico mediante due inserzioni sulla “Gazzetta di Londra” e in un giornale locale alla distanza di una settimana. Di esso inoltre deve esser fatta notifica entro sei mesi ai proprietari e a coloro che risultino pagare l’imposta relativa ai fondi compresi nel piano, ovvero, nel caso d’immobili non soggetti a tributo, a coloro che occupavano i fondi all’epoca dell’ultimo accertamento compiuto per l’applicazione dello Income Tax Act 1918.
Il preliminary statement può essere revocato in qualunque momento, con l’assenso del Ministro, dall’autorità che lo adottò o annullato dal Ministro, previa comunicazione all’autorità medesima, che può in merito presentare osservazioni.
Diventato esecutivo il preliminarv statement, l’autorità locale ha facoltà di preparare il piano regolatore definitivo per l’intera zona o separati piani per ciascuna parte di essa.
Alla deliberazione relativa sono applicabili tutte le disposizioni riguardanti il preliminary statement circa l’approvazione da parte del Ministro, il deposito delle piante e la notifica agl’interessati.
In caso di ritardo nella compilazione del piano il Ministro può, di sua iniziativa o su richiesta degli interessati, prefiggere un termine, decorso il quale procede d’ufficio.
Il piano deliberato dall’autorità locale e pubblicato nelle forme prescritte, riceve sanzione legale con l’approvazione da parte del Ministro, al quale deve essere inviato entro 18 mesi dall’approvazione definitiva del preliminary statement e in ogni caso entro 3 anni dalla data della deliberazione iniziale.
Il Ministro può negare la sua approvazione o concederla introducendo opportune modificazioni nel piano. In questo caso, peraltro, egli deve informarne l’autorità locale, che entro 28 giorni può richiedere una particolare inchiesta in merito.
Dell’approvazione del piano va data notizia al pubblico a cura dell’autorità che l’ha promossa, la quale deve curare il deposito delle piante in luogo adatto, dove il pubblico possa prenderne visione.
Entro sei settimane dalla pubblicazione chiunque si creda leso dal piano può ricorrere alla High Court, allegando che il contenuto di esso non è conforme alle disposizioni di legge o che qualche formalità è stata omessa nell’approvazione. La Corte, riconoscendo fondato il reclamo, può annullare il piano nel suo complesso ovvero limitatamente alla parte che colpisce la proprietà del ricorrente. Contro tale decisione è ammesso ricorso alla Camera dei Lords solo se la Court of Appeal lo abbia consentito.
Il piano regolarmente approvato può essere successivamente modificato dall’autorità locale che lo deliberò o dal Ministro, il quale, tuttavia, può adottare in proposito determinazioni solo se il cambiamento non rechi una considerevole maggiore spesa.
L’autorità che ha compilato il piano, valendosi degli elementi che gli uffici fiscali sono obbligati a fornirle, compila un registro contenente le generalità di tutti i possessori di immobili compresi nel territorio cui il piano stesso si riferisce. Gl’interessati e le associazioni che li rappresentano possono chiedere l’inclusione dei loro nomi nel registro, avendo cura di chiedere il rinnovo dell’iscrizione ogni tre anni, Dei nomi e degl’indirizzi contenuti in detto registro l’autorità si varrà per rendere più spedito il servizio di notifica dei provvedimenti relativi a eventuali variazioni del piano regolatore e alla sua esecuzione.
L’esposizione della procedura da seguire in Inghilterra per giungere all’approvazione definitiva del piano regolatore ci convince facilmente che, se numerosi ed estesi sono i poteri accordati alle autorità locali per quanto riguarda l’assetto edilizio dei centri abitati anche di minore importanza, non poche sono le difficoltà da superare per entrarne in possesso. Il rispetto tradizionale della proprietà privata aveva indotto il legislatore inglese a sancire nel Town Planning Act 1925 anche l’obbligo per le Autorità locali di interpellare i proprietari degl’immobili prima di adottare deliberazioni in merito alla compilazione dei piani stessi. La legge del 1932 ha soppresso tale obbligo, ma, nonostante la notevole semplificazione derivatane, tali e tante sono le formalità da adempiere (deliberazioni, pubblicazioni, notifiche, ecc.) che qualsiasi podestà in Italia ne sarebbe addirittura terrorizzato e ben difficilmente s’indurrebbe ad affrontare una procedura tanto complicata e pesante.
Un vantaggio tutt’altro che disprezzabile esiste tuttavia, rispetto alla legge italiana: ed è quello della riunione in un solo organo della potestà di decidere in ordine alla definitiva approvazione del piano regolatore.
In Italia l’approvazione viene data per Decreto Reale, ma prima di giungere a questo atto finale e conclusivo numerosissimi organi burocratici e collegi consulti vi debbono esprimere il loro parere, che obbliga spesso le amministrazioni comunali interessate a modificare più e più volte le norme tracciate nel piano; per cui non di rado si verifica che il piano approvato è da considerarsi non più rispondente ai bisogni del centro cui si riferisce.
In complesso quindi l’approvazione di un piano regolatore è da considerarsi più agevole in Inghilterra che in Italia. Questo, oltre che il maggiore interessamento del pubblico inglese ai problemi urbanistici, spiega perché nel 1931 quasi 800 progetti erano colà allo studio e di questi circa 300 già approvati o prossimi ad esserlo [3], mentre in Italia non si era ancora arrivati al centinaio, numero questo che assai difficilmente potrà esser superato in futuro se la tanto auspicata legge urbanistica non porterà notevoli semplificazioni nella complicata procedura stabilita dalle disposizioni oggi in vigore.
Esecuzione del piano regolatore.
L’autorità incaricata di sovrintendere all’esecuzione del piano ha facoltà di adottare tutte le disposizioni necessarie pecche questo sia regolarmente attuato e perciò essa può ordinare:
a) la demolizione o la trasformazione di edifici o di altre opere che siano in contrasto con la sistemazione prevista nel piano o che ostacolino l’esecuzione stessa;
b) la modificazione di opere in progetto, contrastanti con le norme del piano regolatore;
c) il cambiamento dell’uso attuale di determinati beni;
d) l’eliminazione di impianti di carattere pubblicitario, eccettuati, come già si è detto, quelli relativi ad industrie o commerci interessanti i beni sui quali essi sorgono.
L’autorità locale può anche dar corso direttamente a opere di competenza di privati, quando il ritardo nella loro esecuzione possa pregiudicare l’attuazione del piano.
Prima di adottare uno qualsiasi dei provvedimenti suindicati essa deve darne notizia al proprietario e all’occupante o a qualunque altra persona interessata. In caso di demolizione o trasformazione di edifici ovvero di cambiamento dell’uso attuale la notizia deve essere data almeno sei mesi prima; negli altri casi almeno 28 giorni prima.
Le persone diffidate possono ricorrere al tribunale di sommaria giurisdizione: il ricorso ha effetto sospensivo.
Nel caso in cui non sia presentato ricorso o questo venga respinto il privato che prosegua nell’uso vietato va soggetto ad una multa estensibile a 50 sterline, oltre 20 sterline per ogni giorno di ritardo nell’eseguire l’ordinanza notificatagli.
Disciplina dell’attività edilizia.
Allo scopo di assicurare l’attuazione del piano nel modo più idoneo, il piano deve contenere norme intese a vietare o a regolare lo svolgimento dell’attività edilizia e a disciplinare l’esecuzione delle opere e degli impianti in esso previsti, sospendendo, ove sia il caso, regolamenti e ordinanze da qualunque autorità emanate.
Deve inoltre contenere la facoltà per l’autorità locale di emanare ordinanze, denominate supplementary orders, al fine di completare le disposizioni del piano regolatore o variarlo in quelle parti di cui si ravvisi la necessità di opportune modificazioni. L’autorità locale può anche emanare supplementary orders intesi a vietare qualsiasi alterazione di edifici d’importanza storica o architettonica.
Il privato che si creda danneggiato può chiedere al Consiglio la revoca, e in caso di rifiuto ricorrere al Ministro, che deciderà definitivamente, uditi i Commissari ai Lavori Pubblici ( Commissioners of Works) . Diventata esecutiva, l’ordinanza può essere variata solo con l’autorizzazione del Ministro, il quale è arbitro di concedere l’autorizzazione stessa ovvero di rodinanrne la modificazione dopo aver udito il parere dei Commissioners of Works e dopo aver presa visione degli eventuali reclami di proprietari o di elettori del distretto.
L’autorizzazione allo svolgimento dell’attività edilizia in conformità delle norme tracciate dal piano viene data con un’ordinanza dell’autorità locale avente la denominazione di generai development order. Chiunque si ritenga danneggiato dalla mancata emanazione dell’ordinanza ha facoltà di ricorrere al Ministro, che può provvedere in luogo e vece dell’autorità locale.
Prima dell’emanazione del general development order i proprietari possono chiedere l’autorizzazione a svolgere operazioni edilizie e in caso di rifiuto ricorrere al Ministero, che decide inappellabilmente. Con l’assenso del Ministro può essere autorizzato lo svolgimento di attività edilizia anche nell’intervallo tra la deliberazione con la quale si decide in linea preliminare di far luogo alla compilazione del piano e la definitiva approvazione di questo (interim development). La relativa domanda deve dagli interessati essere avanzata all’autorità locale, la quale può subordinarne l’accoglimento all’osservanza di determinate cautele o addirittura respingerla. In questo caso il privato può ricorrere al Ministro, il quale decide in via definitiva, udita la relazione di un suo delegato, al quale tanto il ricorrente quanto l’autorità locale possono esporre le loro ragioni.
Degna di particolare rilievo c la norma in forza della quale l’esercizio dell’attività edilizia è subordinato ad una speciale autorizzazione dell’amministrazione locale. Se poniamo tale disposizione in relazione con l’altra, cui accenneremo in seguito, in forza della quale è permesso all’autorità locale di interdire in via permanente il sorgere di costruzioni laddove queste possono turbare la bellezza dell’ambiente ovvero obbligare l’autorità medesima a spese troppo gravi per l’impianto dei servizi pubblici, rileviamo facilmente quale grande passo sia stato fatto presso gli inglesi in materia di disciplina dello sviluppo dei centri abitati e come non soltanto sia impedito il cosiddetto sporadic development, che tanti danni ha recato all’estetica di molte città, ma sia del tutto abbandonato quel malinteso ossequio al diritto di proprietà che finisce per subordinare gl’interessi della collettività a quelli del singolo, favorendo le speculazioni più sfacciate a carico delle finanze comunali; come è avvenuto in Italia allorché si è dovuto permettere che determinate persone o associazioni, per valorizzare i loro terreni, spingessero con tutti i mezzi la fabbricazione di nuovi nuclei in località inadatte sia dal punto di vista estetico, sia nei riguardi della estensione dei pubblici servizi.
La barriera posta a veri e propri attentati all’estetica degli abitati e alle finanze locali costituisce un esempio notevole, che meriterebbe di essere seguito, soprattutto in un paese come il nostro, dove vige incontrastato il principio che i diritti dei privati non debbano essere conculcati in nessun caso ma l’interesse del singolo cittadino debba sempre cedere il passo a quello superiore della collettività!
Indennità.
Ogni cittadino ha diritto di essere risarcito dei danni che la sua proprietà, il suo commercio, la sua industria o la sua professione hanno risentito dall’entrata in vigore del piano o dalla sua esecuzione anche parziale ovvero dall’esecuzione di ordinanze per la conservazione di determinati edifici. Qualunque persona ha anche diritto di essere rimborsata delle spese che abbia dovuto sostenere per uniformarsi al piano e dalle quali non possa trarre alcuna utilità, salvo che il danno derivi da una disposizione di legge preesistente e richiamata nel piano.
Nessuna indennità è dovuta per le seguenti limitazioni imposte dal piano:
l) obbligo di lasciare spazi liberi intorno alle costruzioni;
2) limitazione del numero degli edifici;
3) obbligo di osservare determinate norme circa la massa, l’altezza e l’architettura degli edifici nonché i materiali da usare nella costruzione;
4) divieto di svolgere attività edilizia prima dell’emanazione del general development order;
5) divieto permanente di costruzione, laddove il sorgere di edifici possa causare danni alla pubblica salute o richiedere eccessive spese per l’impianto dei servizi pubblici;
6) divieto di destinare gli edifici a determinati usi;
7) norme circa l’altezza e la posizione delle recinzioni agli angoli delle strade nell’interesse della sicurezza pubblica;
8) norme circa l’andamento e il numero delle strade di lottizzazione;
9) limitazioni delle sporgenze degli edifici sull’area pubblica;
10) limiti allo stazionamento di vetture in vicinanza di edifici adibiti ad usi commerciali o industriali.
Le suddette restrizioni sono soggette ad omologazione da parte del Ministro, il quale deve accertare che rispondano a un bisogno effettivo e che non siano di ostacolo insormontabile allo svolgimento dell’attività edilizia in generale. Nel caso di divieto di modificazioni agli edifici esistenti il proprietario, avanzando ricorso entro un anno dalla notifica di esso, può ottenere il risarcimento dei danni che gliene siano derivati.
Le questioni che sorgano in merito all’indennità, ove non siano oggetto di amichevole componimento fra le parti, sono risolte da un arbitro ufficiale da nominarsi con le norme stabilite dall’ Acquisition of Land Act, 1919.
Entro un mese dalla decisione dell’arbitro l’autorità ha facoltà di comunicare alla persona da indennizzare la propria volontà di revocare o modificare il provvedimento che dà origine all’indennità e nei tre mesi successivi sottoporre la relativa variante al Ministro.
Non possiamo a meno di rilevare che le suddette disposizioni, riguardanti il pagamento d’indennità per danni derivati dal piano regolatore e dalla sua attuazione, avrebbero potuto essere molto più chiare. La loro lettura ci fa pensare che non pochi dubbi debbano occupare la mente del giudice chiamato a dirimere le controversie fra autorità locali e proprietari, costretto com’è a tener presente il principio generale per cui un adeguato risarcimento è dovuto in ogni caso in cui il vantaggio che il privato ritrae dai propri beni e dalla propria attività subisce diminuzioni e altre norme che consentono l’imposizione di numerose limitazioni senza diritto a risarcimento di sorta.
Sappiamo che l’equità ha grande peso nelle decisioni del giudice inglese ma pensiamo che in un campo così delicato la chiarezza della norma potrebbe assicurare il trionfo della giustizia meglio della parola di un arbitro, che, nonostante l’autorità e l’indipendenza di cui gode, è portato naturalmente a seguire nei propri giudizi punti di vista personali, quando la lettera della legge non ne limiti rigorosamente la discrezionalità.
Contributi di miglioria.
L’autorità che provvede all’esecuzione del piano ha diritto di esigere dai proprietari che ne sono avvantaggiati un contributo estensibile fino al 75 per cento dell’incremento di valore dei beni.
Nelle norme sancite dal piano è determinata la procedura da seguire nell’accertamento e nella riscossione del contributo, tenendo presenti i seguenti criteri:
a) Il contributo può essere richiesto in relazione all’incremento di valore derivato dall’entrata in applicazione del piano, ovvero in relazione all’attuazione di una data opera da esso prevista.
b) L’accertamento deve aver luogo entro 12 mesi rispettivamente dall’entrata in applicazione del piano o dal termine dell’opera.
c) Le norme del piano regolatore possono stabilire, quanto alla riscossione, che questa abbia luogo in una sola volta ovvero a rate nel termine di trenta anni: in questo caso dovranno essere corrisposti gl’interessi nella misura del 4,50 per cento.
d) È obbligatorio dedurre dal contributo il valore di donativi fatti dal proprietario per agevolare l’attuazione del piano.
I beni immobili usati per scopi agricoli, ricreativi, umanitari o religiosi sono esenti dal pagamento del contributo fino a che duri tale uso.
Le questioni sorgenti dalla richiesta e dall’accertamento del contributo sono anch’esse decise da un arbitro ufficiale, il quale deve tener conto delle deduzioni presentate dall’autorità interessata.
Il debito relativo al contributo gode di privilegio rispetto a tutti gli altri derivati dall’entrata in vigore del piano e dall’esecuzione dell’opera per la quale il contributo è dovuto.
A proposito dei contributi di miglioria ci è d’uopo rilevare che mentre in Italia è chiara la tendenza a limitare la partecipazione dell’ente pubblico ai vantaggi che la sua attività ha procurato ai beni dei proprietari, perfettamente opposta è la tendenza nella legislazione inglese.
Presso di noi dalla norma dell’art. 78 della legge 25 giugno 1865, che fissava come aliquota massima del contributo il 50 per cento dell’effettivo incremento di valore conseguito dai beni, si è passati al 20 per cento con l’art. 14 del Decreto-legge 18 novembre 1923, n. 2538, per scendere ancora al 15 per cento con l’art. 238 del Testo Unico sulla finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175.
In Inghilterra, invece, dal 50 per cento fissato dal Town Planning Act del 1925 si è saliti al 75 per cento con la recente legge urbanistica.
Non vogliamo affermare che l’imposizione di un onere così forte sui patrimoni privati, avvantaggiati da opere che molto spesso i singoli non hanno né desiderato né richiesto, sarebbe augurabile in Italia: certo è però che il principio di far ritornare nelle casse dell’ente pubblico gran parte del denaro speso per opere che hanno aumentato il valore dei patrimoni privati, facendo partecipare in misura notevole la collettività a tale beneficio, si basa sopra un principio di giustizia indiscutibile. E se esso potesse essere applicato in modo da diluire nel tempo l’onere per i proprietari, sarebbe certamente accolto con soddisfazione anche in Italia, specialmente da coloro che si preoccupano delle difficoltà di carattere finanziario che impediscono oggi non solo di attuare ma anche di concepire programmi arditi di sistemazioni edilizie cittadine.
Espropriazione.
Ove l’acquisto diretto dei beni necessari per l’esecuzione del piano non risulti possibile, l’autorità locale può sottoporre all’approvazione del Ministro un’ordinanza di espropriazione (compulsory purchase order).
Deve peraltro essere dimostrato che i beni da espropriare sono necessari per uno dei seguenti scopi:
a) per costruire strade;
b) per controllare l’utilizzazione di aree attigue a vie pubbliche;
c) per assicurare l’utilizzazione razionale di una data estensione di aree male lottizzate;
d) per rendere possibile una transazione con persona alla quale siano stati espropriati tutti i beni per l’attuazione del piano.
Sono esenti da espropriazione:
1) i terreni sui quali si trovino antichi monumenti o altri oggetti di interesse archeologico, salvo che l’espropriazione abbia per iscopo di assicurarne la tutela o la conservazione;
2) i beni appartenenti a enti locali o a impresari dello Stato, salvo che questi non vi acconsentano. Il Ministro ha però facoltà di accordare ugualmente l’espropriazione se il consenso risulti rifiutato senza motivo plausibile.
Nessuno può essere espropriato di una parte di edificio, manifattura, ovvero di parte di giardino o parco pertinente ad una casa, ameno che l’arbitro riconosca che l’espropriazione parziale non pregiudica l’utilizzazione dei detti beni o non reca serio danno all’estetica della casa.
Analogamente a quanto è disposto dalla legge italiana, nella determinazione dell’indennità non de ve esser tenuto conto di costruzioni o trasformazioni compiute dopo la pubblicazione dell’ordinanza di espropriazione, se a giudizio dell’arbitro esse furono eseguite per acquistare il diritto ad un aumento dell’indennità.
Prima di sottoporre l’ordinanza all’approvazione del Ministro l’autorità interessata deve darne notizia mediante avviso in un giornale locale, indicando dove la pianta dei beni da espropriare è visibile, e farne notifica ai proprietari, locatari o occupanti (eccettuati coloro che occupino lo stabile per periodo non superiore à un mese).
Il Ministro, ove non siano presentati reclami, può confermare l’ordinanza con o senza modificazioni. In caso di presentazione di reclami la conferma è subordinata a inchiesta sul luogo.
L’espropriazione ordinata dal Ministro ha carattere provvisorio e diventa definitiva solo con la ratifica del Parlamento, a meno che il piano preveda la cessione in cambio di terreno di superficie non inferiore a quello espropriato e di uguale valore, o salvo che si tratti di terreno necessario per la costruzione di una via pubblica giudicata indispensabile.
Disposizioni relative alle città-giardino.
Com’è noto, grande importanza viene data in Inghilterra alla costruzione di quartieri di abitazione a carattere estensivo, come mezzo per assicurare, specialmente a chi lavora, abitazioni quiete e quanto più possibile igieniche. Grande fortuna, pertanto, hanno avuto colà gli aggruppamenti di costruzioni di tipo ridotto, inframezzate da giardini ed orti familiari: ed associazioni importanti si sono formate per dare ad esse un conveniente impulso, fra le quali l’ International Garden Cities and Town Planning Federation, trasformatasi nel 1926 nell’attuale International Federation for Housing and Town Planning.
Senonché l’impiego di considerevoli somme, che dette forme di costruzione esigono, soprattutto per l’acquisto dei terreni, ne ha reso più difficile lo sviluppo in questi ultimi tempi.
Il Town and Country Planning Act 1932 ha voluto ovviare alle conseguenze di questo stato di cose ed a tal fine ha dato facoltà al Ministro per l’Igiene di espropriare a favore delle autorità locali o di associazioni legalmente riconosciute appezzamenti di terreni atti al sorgere di città-giardino o all’ampliamento di quelle esistenti, autorizzando altresì la Commissione dei prestiti per Lavori Pubblici (Public Works Loan Commissioners) a concedere mutui, ad associazioni che si prefiggano la sistemazione di città-giardino, con le facilitazioni previste nell’ Housing Act 1925.
Piani regionali.
Il rispetto, che in Inghilterra si professa all’integrità delle circoscrizioni amministrative esistenti da tempo, ha fatto sì che numerosi siano oggi i centri abitati costituenti un tutto organico dal punto di vista edilizio ma appartenenti a distretti municipali diversi. Per garantire un assetto urbanistico conveniente a siffatti aggregati edilizi e soprattutto per impedire che il loro sviluppo e la conseguente estensione dei pubblici servizi dia luogo a pericolose interferenze fra le varie autorità locali, si è dovuto favorire in tutti i modi la compilazione di piani regolatori abbraccianti il territorio di più circoscrizioni. A tal fine si è creduto opportuno anzitutto autorizzare le amministrazioni locali a comprendere nel proprio piano regolatore zone appartenenti ad altre circoscrizioni, udito il parere delle amministrazioni interessate. (Di questa facoltà si sono vale soprattutto le amministrazioni di comuni urbani nei riguardi di altri comuni aventi rispetto ai primi caratteristiche di città satelliti).
Ma poiché è sotto ogni punto di vista desiderabile che un compito così delicato, quale è quello della disciplina dello sviluppo edilizio, sia assolto con l’intervento, a parità di diritti, di tutte le amministrazioni interessate, la legge da facoltà a queste di provvedervi creando appositi organi collegiali o commissioni miste (Joint Committees) e delegando loro tutti o parte dei propri poteri (eccettuato quello di contrarre prestiti o imporre tasse). Il Joint Committee, al quale si applicano le stesse disposizioni in materia di bilanci e conti stabilite dal Local Government Act 1894 per le autorità locali, può essere costituito anche dal Ministro di sua iniziativa o su domanda di una o più autorità locali. Il decreto relativo, quando le autorità interpellate non aderiscano tutte, deve essere preceduto da inchiesta sul luogo.
I Consigli di contea o le autorità locali di circoscrizioni attigue possono dal Ministro essere autorizzate a nominare un proprio rappresentante in seno al Joint Committee anche in epoca successiva alla sua costituzione: ed il Ministro può invitarle d’ufficio ad addivenire a tale nomina, la quale, peraltro, fa salva l’attività precedentemente svolta dalla commissione.
Alla formazione dei piani regionali si applicano le norme di procedura stabilite per i piani normali, intendendosi il Joint Committee sostituito ai District Councils in tutte le facoltà loro attribuite, salve le riserve che essi abbiano fatto al momento della costituzione della Commissione mista.
Il piano regionale non impedisce alle singole autorità locali di compilare piani regolatori limitatamente a tutto o parte del territorio della rispettiva circoscrizione. Tali piani, che assumono la denominazione di supplementary schemes, debbono essere redatti in perfetto collegamento col piano regionale, e possono contenere, oltre le disposizioni del piano predetto, la cui osservanza è obbligatoria in ogni caso, anche altre in questo omesse, purché comprese fra quelle che la legge urbanistica consente di includere nei piani in genere.
L’esecuzione del piano regionale ha luogo a cura del Joint Committee quando le autorità locali, che lo hanno costituito, gli abbiano delegato tutte le facoltà loro attribuite dalla legge urbanistica. In caso contrario all’attuazione stessa provvedono i singoli distretti sotto il controllo del Ministro, il quale può emanare decreti per l’esecuzione d’ufficio di opere giudicate indispensabili, quando le autorità interessate non aderiscano all’invito loro rivolto di darvi corso entro un certo termine.
Qualunque sia il campo di attività loro assegnato, i Joint Committees possono essere sciolti con decreto del Ministro, quando il loro funzionamento non sia regolare o quando si dimostrino incapaci di raggiungere gli scopi per i quali furono costituiti.
Com’è facile immaginare, la costituzione di Joint Committees per la compilazione di piani regionali interessanti un centro abitato suddiviso in più distretti ha carattere di soluzione di ripiego, che non va esente da gravi mende, specie laddove i singoli distretti si siano riservate facoltà più o meno estese nel campo della disciplina dell’attività edilizia, riserve che rendono assai difficile o addirittura impossibile l’adozione di un indirizzo unico nell’esecuzione del piano regolatore.
Molto più opportuna, quindi, dal punto di vista urbanistico è stata la soluzione adottata su vasta scala in Italia di annettere al comune più importante le circoscrizioni dei piccoli comuni confinanti col suo aggregato edilizio. Ma poiché con siffatto sistema non tutti i problemi relativi allo sviluppo razionale ed organico dei centri urbani possono essere risoluti, e poiché, d’altra parte, quelli relativi alla viabilità e alla tutela delle bellezze naturali possono essere compromessi da iniziative contrastanti, assunte da comuni contermini, anche se i rispettivi abitati distino fra loro notevolmente, chiara appare l’opportunità di introdurre in Italia l’istituto dei piani regionali, quantunque presso di noi esso non possa avere un campo di applicazione così vasto come in Inghilterra.
Quanto abbiamo segnalato a proposito del recente Town and Country Planning Act non c’induce alla conclusione che molte delle norme sancite per la Gran Bretagna potrebbero utilmente essere incluse nelle nostre leggi. Troppo diverso è l’ambiente nel quale esse dovrebbero avere applicazione, sia per quello che riguarda l’organizzazione delle amministrazioni locali, sia per ciò che si riferisce al modo di concepire la posizione dell’individuo rispetto alla pubblica amministrazione. Tuttavia l’identità di molti bisogni e l’analogia dei mezzi necessari per soddisfarli consigliano a meditare profondamente la portata di talune disposizioni, che non possono mancare di produrre gli stessi effetti e di assicurare gli stessi vantaggi sotto qualsiasi clima ed in qualsiasi ambiente fisico e politico.
Sotto questo punto di vista potrà non risultare del tutto inutile la rapida scorribanda che abbiamo fatto nel campo della legislazione urbanistica inglese.
[1]La legge dichiara che la compilazione dei piani spetta alle autorità locali, spiegando che tali devono intendersi il Consiglio della Contea di Londra ( London County Council) e i Consigli dei borghi e distretti di contea ( Councils of County boroughs and County districts).
Non è facile spiegare in poche parole la differenza fra queste varie specie d’autorità locali.
Nella Gran Bretagna infatti esiste una divisione amministrativa ben diversa da quella francese e italiana.
Anzitutto mentre in Italia la gestione dei servizi locali è affidata ai Comuni, fatta eccezione per quelli di maggiore importanza disimpegnati da organi statali (istruzione, pubblica sicurezza, strade di grande comunicazione) e per altri, che interessano tutti gli abitanti di una regione, affidati all’Amministrazione provinciale (strade secondarie, istruzione tecnica, manicomi), in Inghilterra tale gestione è suddivisa fra lo Stato e i seguenti enti locali:
1) la parrocchia. È la più piccola circoscrizione: rappresentata dal parish council, o in mancanza di questo dal parish meeting, provvede alla manutenzione dei sentieri, alla tutela dei diritti di passaggio e alle concessioni di terreni per fabbricare o per coltivazione. Il Consiglio parrocchiale può anche assumere a suo carico l’onere dei fabbricati per uffici o riunioni, campi di giuoco, pompe da incendio, e provvedere alla pubblica illuminazione, ai bagni, ai cimiteri e alle biblioteche, ai musei quando non vi provvedano gli enti di cui appresso.
2) il distretto urbano o rurale. Rappresentato dal district council, costituisce l’autorità sanitaria della circoscrizione e sovrintende alla manutenzione delle vie interne (eccettuate quelle avocate al Consiglio di contea) all’edilizia, ai piani regolatori e all’emanazione dei regolamenti locali. Esso può anche provvedere ai parchi, ai campi di giuoco, alle biblioteche, ai bagni, ai musei, ai cimiteri ecc.
I compiti dei distretti sono stabiliti da leggi varie. I distretti urbani hanno generalmente la possibilità di estendere la loro attività ad un maggior numero di funzioni, ma un General Order del 1931 da facoltà al Ministero dell’Igiene di concedere ai distretti rurali gli stessi poteri di quelli urbani.
3) il Municipal borough. È un distretto urbano più importante dal punto di vista storico e demografico, al quale con Royal Charter è stata concessa tale qualifica. I suoi poteri sono identici a quelli dei distretti urbani. Solo il Borough Council ha talvolta poteri di polizia, che non può invece avere mai il Districr council.
4) la Contea. È una circoscrizione amministrativa, che può in certo modo paragonarsi alla nostra provincia. Il County Council provvede alla manutenzione delle strade e dei ponti, al ricovero degli alienati, alla verifica dei pesi e misure, e sovrintende a determinate materie di carattere sanitario, all’istruzione superiore e a quella elementare, eccettuate le grandi città. Esso dispone altresì, in luogo dei consigli di distretto, circa affari sanitari, viabilità, edilizia e piani regolatori, quando detti consigli non provvedano essi stessi per inerzia o per impossibilità.
Occorre peraltro tener presente che esistono 88 città alle quali, a norma del Local Government Act del 1888, è stata concessa qualifica di County boroughs e come tali hanno al tempo stesso i poteri conferiti ai boroughs e alla County.
Londra forma una Contea a sé che comprende la City (avente una superficie di un miglio quadrato) e 28 metropolitan boroughs aventi gli stessi poteri degli altri boroughs, salvo alcuni che sono stati trasferiti al London County Council per attuare uniformità di azione in tutto il vastissimo aggregato urbano.
[2]Il Ministero dell’Igiene, succeduto nel 1919 all’antico Local Government Board, ha compiti ben più vasti di quelli che il suo nome potrebbe far supporre, avvicinandosi sotto molti punti di vista al nostro Ministero dell’Interno. Fra l’altro esso rappresenta la suprema autorità nel campo urbanistico, essendo competente e decidere in via definitiva su tutte le questioni che possano sorgere fra i vari enti locali o fra questi e i proprietari d’immobili, sia in sede di approvazione del piano regolatore, sia sia durante la sua attuazione
[3] Cfr. Henry Puget, “La législation anglaise en matière d’urbanisme”, Revue Internationale des Sciences Administratives, n. 2 1931.
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