A Firenze, nell'estate del 1984, vengono resi pubblici due progetti d'investimento immobiliare, l'uno della Fiat, nell'area di Novoli, l'altro della Fondiaria. La prima era già proprietaria dell'area, sulla quale sorgeva lo stabilimento fiorentino dell'azienda, e voleva “valorizzarla”. La Fondiaria aveva comprato in vista dell'operazione un vasto compendio di aree nella piana a nord-est della città, lungo una direttrice considerata strategica per la riorganizzazione dell'intera area metropolitana ma destinata dal Prg vigente a “parco territoriale”. L'insieme dei due progetti comportava la costruzione di 4,2 milioni di metri cubi, su 228 ettari, e un investimento valutato in 2 mila miliardi.
Il Comune aveva avviato la redazione del nuovo piano regolatore. Attendere la formazione di questo (affidato a due consulenti di grande prestigio e affidabilità culturale, Giovanni Astengo e Giuseppe Campos Venuti) avrebbe permesso di compiere le scelte sulle aree interessate dall'operazione nel quadro, ed in funzione, delle scelte più complessive sulla città, finalizzando gli interventi nell'area nord-est a un progetto di riqualificazione ambientale, all'esigenza di decongestionare il centro storico, all'obiettivo di una più corretta localizzazione metropolitana delle attrezzature urbane. È quello che suggerisce, ad esempio, la sezione toscana dell'Istituto nazionale di urbanistica.
Ma le esigenze di “valorizzazione immobiliare” non possono attendere. Gli investitori fremono. Acquisiscono le necessarie comprensioni politiche e amministrative, e ottengono dal comune l'approvazione di una variante ad hoc al piano regolatore vigente. Questa viene adottata dal Consiglio comunale (a maggioranza di centro sinistra) nel marzo 1985. La maggioranza (di sinistra), che subentra dopo le elezioni amministrative conferma le decisioni. La variante prosegue il suo iter, tra le polemiche più aspre e la crescente opposizione di un fronte composito e ampio (cui partecipano insieme componenti culturali conservazioniste, associazioni ambientaliste, versi, demoproletari e parte dei comunisti del Pci). Un fronte sostanzialmente “di sinistra”, indebolito dalla posizione defilata, ma favorevole alla variante Fiat-Fondiaria, della maggioranza del Pci.
Prima che la variante giunga alla sua conclusione, un colpo di scena. Nel giugno del 1989 il Segretario del Pci, Achille Occhetto, intima l'altolà. In una riunione del Comitato federale di Firenze, piena di tensione, giungono una telefonata e due messi del Segretario: i comunisti non possono ulteriormente avallare le scelte della Fondiaria e della Fiat per l'area nord-est, il cui destino deve essere tracciato da un vero piano regolatore generale.
La componente comunista della Giunta decide di lasciar ferme le cose, senza revocare gli atti ma senza neppure sollecitarne il completamento. Dc e Psi, da sempre favorevoli all'operazione immobiliare e anzi responsabili del governo cittadino quando essa era stata concepita, sono sconcertati ma non insistono per la ripresa dell'iter. Il Pci, a Firenze e non solo a Firenze, è diviso. Anche chi non era convinto dell'operazione Fiat-Fondiaria esprime preoccupazione per il fatto che sia stata necessaria la “telefonata di un segretario di partito” per correggere scelte sbagliate. Il punto è che non si trattava solo di correggere le decisioni di una federazione o di una giunta. Si trattava anche e soprattutto di indicare, con un gesto forte e chiaro, che l'andazzo seguito per oltre un decennio non era compatibile con il nuovo corso del Pci. Un trauma quindi, certamente, ma un trauma necessario: poiché bisognava superare un vuoto che per troppi anni aveva caratterizzato la politica del Pci nei confronti dell'urbanistica: nei confronti dei metodi e degli strumenti per il governo del territorio.