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Il degrado della burocrazia pubblica
1 Aprile 2004
L'Italia a sacco, Editori riuniti, Roma 1993
Dal CAPITOLO 4 IL VENTO DELL'EMERGENZA NELLE VELE DELLA DEREGULATION I ritardi, se rivelano il carattere pretestuoso delle nuove norme derogatorie, non sono però il male peggiore. L'eccedenza sistematica della spesa a consuntivo sulla previsione è certamente più grave, ma rientra nel generale clima di spreco che caratterizza gli anni 80.

Abbiamo già accennato al contributo che le opere dei mondiali (e quelle delle successive "emergenze") hanno portato allo sfascio delle città e del territorio. Vogliamo aggiungere adesso qualche osservazione su un ulteriore effetto perverso della "logica" dei Mondiali: il degrado della pubblica amministrazione, la cui correttezza tecnica e amministrativa è stata gravemente minata, nel corso degli anni 80, da un ceto politico largamente corrotto e, nel migliore dei casi, distratto.

Prendiamo ad esempio le "conferenze" della legislazione d'emergenza. Esse sono la trasformazione in farsa e sopraffazione di un istituto serio, tradizionalmente adoperato dalla burocrazia ministeriale. La "conferenza dei servizi" era infatti, prima degli anni 80, la concertazione operativa, da parte dei diversi organi dello Stato coinvolti in un programma o in un progetto, del modo in cui esercitare le proprie competenze. La corruzione esercitata dalla legislazione d'emergenza sugli istituti del potere pubblico è uno dei rusultati più devastanti di Tangentopoli.

Le procedure straordinarie, come hanno svuotato le competenze degli organi collegiali delle istituzioni democratiche, così hanno esautorato quelle degli organi tecnico-amministrativi. Così, ad esempio, nell'esame dei progetti si è sostituito, al parere degli organi tecnici di Stato (come il Consiglio superiore dei lavori pubblici, "supremo organo di consulenza tecnica dello Stato"), quello dei cosiddetti "nuclei di valutazione": organismi formati da liberi professionisti e costituiti caso per caso, con criteri di affidabilità politica (cioé lottizzati). Non solo è scomparsa, in tal modo, la memoria storica dell'amministrazione statale (poiché i nuclei di valutazione, una volta esaurito il loro compito, spariscono senza lasciar traccia se non cartacea), ma spesso si sono manifestate consistenti magagne tecniche. Tipico il caso dello svincolo stradale per l'areoporto di Milano-Linate. La frettolosità e l'approssimazione con cui la "conferenza" ha esaminato, e naturalmente approvato, il progetto determinò il fatto che, una volta realizzati i monumentali piloni che dovevano sorreggere l'arteria, si "scoprì" che essi interferivano con il cono d'atterraggio degli aerei. Si dovette smantellare i piloni e rifare ex novo il progetto, questa volta sottoterra. Qualche altro miliardo accollato al contribuente.

Oggi, Vincenzo Lodigiani, uno degli imprenditori coinvolti nell'inchiesta Mani pulite, nello spiegare a un intervistatore che i costruttori erano "obbligati" a pagare tangenti, si lamenta:

Non potevamo ribellarci: la nostra è una categoria molto frantumata, senza nessun potere. E poi, a chi ci saremmo dovuti appellare? Agli organi di uno Stato occupato da quegli stessi partiti che ci chiedevano soldi? Ad una pubblica amministrazione che i partiti avevano lottizzato? In vent'anni, il sistema ha distrutto un Consiglio superiore dei lavori pubblici che funzionava bene, ha stravolto anche le burocrazie più oneste e competenti come per esempio quelle delle Fs o del Genio civile [1].

Peccato che nessuno abbia protestato quando il ministro per i Lavori pubblici, Giovanni Prandini, licenziava dal ruolo di Direttore generale del coordinamento territoriale Vezio De Lucia, e quando lo stesso ministro, proseguendo l'opera del suo predecessore Franco Nicolazzi, trasferiva o costringeva alle dimissioni dall'incarico decine di valorosi funzionari. Il fatto è che tutti erano impegnati ad applaudire quando, per "modernizzare" e "accelerare" e "sburocratizzare", tutte le leggi del decennio dell'emergenza sostituivano la trattativa privata e la concessione alla gara, e alle strutture dell'amministrazione ordinaria affiancavano una vera e propria amministrazione parallela (istituita volta per volta per ciascuna occasione) formata da organi decisionali tutti presieduti da politici, costituiti da componenti nominati dagli stessi politici e supportati da "segreterie tecnico-amministrative" di uguale estrazione.

In realtà a molti dei ceti protagonisti degli anni 80, e alla stessa ideologia della modernizzazione e dell'efficientismo, una burocrazia appena appena scrupolosa e autonoma appariva null'altro che un intralcio dannoso. Bisognava rimuoverne o neutralizzarne gli elementi impermeabili alla "partecipazione agli utili", o all'obbedienza politica.

[1] Intervista rilasciata a Antonio Calabrò, la Repubblica, 6 gennaio 1993.

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