Franco Cassano, Homo civicus, Edizioni Dedalo, Roma 2004, p. 12
Per un lungo periodo i partiti sono stati il punto di condensazione privilegiato della cittadinanza, gli strumenti attraverso i quali i cittadini, anche quelli meno potenti, hanno esercitato il loro peso sulle grandi decisioni. I movimenti della cittadinanza attiva trovavano in essi la loro sede principale, anche se non unica, di espressione. A lungo quindi i partiti e lo sviluppo della democrazia di massa hanno marciato con lo stesso passo. Ma oggi ai partiti s'impone di mutare in modo radicale l'immagine di sé e di evitare di rimanere seduti su una soddisfatta e pericolosa autarchia ad ammirare i trofei vinti nelle passate competizioni. Una volta essi ospitavano, accanto agli interessi organizzati, il dibattito culturale e una straordinaria quantità di lavoro volontario. Troppo spesso invece oggi rassomigliano ad agenzie di collocamento, affollate da creditori impazienti di riscattare gli anni di passione commutandoli in piccole o grandi poltrone, convinti di detenere in modo permanente il monopolio legittimo della rappresentanza. Il briciolo di follia, che accompagnava la militanza volontaria e il dibattito culturale nei partiti, si è spostato altrove, alla ricerca di altri canali e altre forme di espressione civile. Si tratta di una ricerca difficile e, come accade alle ricerche vere, tutt'altro che immune da errori e semplificazioni,che pone un problema di grande rilievo: i partiti non possono più pretendere il monopolio della rappresentanza politica, ma devono accettare la sfida della competizione e del confronto, la sfida della cittadinanza. Noi non crediamo che i partiti siano finiti, ma la qualità della vita che li aspetta è nelle loro mani, dipende dalla loro capacità di muoversi nelle nuove condizioni, di tornare ad intercettare ancora un po' di quella follia.