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Eddytoriale 19 (30 giugno 2003)
2 Gennaio 2008
Eddytoriali 2003
30 giugno 2003 – Bonomia docet, Bologna insegna. Una polemica si è aperta in città. Questa volta non su un gazebo, ma sulla politica urbanistica. Sotto accusa sono i “programmi di riqualificazione urbana” (PRU): uno degli strumenti urbanistici “atipici”, inventati negli anni Novanta per snellire le procedure e rendere operativa l’urbanistica attribuendole risorse, pubbliche e private. Una parte del centrosinistra, all’opposizione a Palazzo d’Accursio, è molto critica. Secondo il documento presentato in Consiglio comunale da gran parte dell’opposizione, e sostenuto da un analogo documento della CGIL, dai 26 PRU proposti dalla giunta Guazzaloca “riemerge una concezione della Riqualificazione non più sostenibile e non più difendibile, che identifica il degrado con dei semplici vuoti urbani e propone come medicina il riempimento edilizio di quei vuoti: ben il 60% infatti dei nuovi interventi riguarda l'edificazione di aree libere,alcune delle quali erano destinate a verde”.

L’episodio si presta a due ordini di considerazioni. In primo luogo, dopo oltre un decennio di esperienza è possibile fare un bilancio dell’applicazione degli “strumenti innovativi” e dei loro effetti sulla città. A Bologna la benemerita Compagnia dei Celestini si è impegnata da tempo in un’analisi accurata. Essa conferma l’esito deludente (perfino in una città nella quale l’amministrazione dell’urbanistica è stata storicamente all’avanguardia) delle “innovazioni” facilone introdotte in Italia. Le valutazioni sugli esiti dimostrano infatti l’inconsistenza da un lato, la negatività dall’altro dei risultati raggiunti. Non hanno cambiato in meglio l’assetto delle città, non hanno introdotto in modo generalizzato (o almeno ampio) nuova qualità urbana, non hanno ridotto i tempi del processo delle decisioni: non hanno insomma prodotto i risultati che dovevano motivarne l’esistenza e lo “strappo” rispetto alla pianificazione tradizionale. Invece, hanno rivelato la loro vera natura: strumenti per restituire alla valorizzazione privata aree destinate dai piani urbanistici a funzioni pubbliche, per derogare alle norme garantiste relative alle densità edilizie e agli altri parametri finalizzati alla vivibilità e all’igiene, in una parola, per derogare nell’interesse privato dei proprietari immobiliari alle norme poste nell’interesse dei cittadini.

Anche a Bologna, e non solo negli anni di Guazzaloca. Il programma dei 26 PRU è infatti il prolungamento (ovviamente peggiorato) di una linea già percorsa dalla giunta Vitali. Il centrosinistra aveva promosso, mediante il medesimo strumento, il doppio delle costruzioni avviate adesso: anche allora, sulla base delle richieste degli immobiliaristi, su aree aventi una diversa destinazione di PRG. La continuità della politica urbanistica della giunta di centrodestra con quella di centrosinistra è probabilmente la ragione per cui i DS si sono presentati divisi sulla valutazione del programma dei 26 PRU.

Una simile continuità, in un campo delicatissimo nel quale da sempre Bonomia docet, ove persistesse sarebbe per il nuovo candidato sindaco Sergio Cofferati uno scoglio forse più duro dello stesso Guazzaloca. Gli auguro di cuore di superarli entrambi: per Bologna ma anche per il significato più generale che una decisa correzione di rotta avrebbe.

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