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Eddytoriale 147 (28 ottobre 2011)
28 Ottobre 2011
Eddytoriali 2010-2012

Eravamo pochi, nel 2005, quando cominciammo a documentare e denunciare l’irrazionalità devastante del consumo di suolo in Italia. Abbiamo salutato con gioia, aderendovi fin dall’inizio, la nascita e la rapida espansione del movimento Stop al consumo di territorio. Seguiamo con attenzione gli sforzi di quanti, dentro e soprattutto fuori dalle istituzioni, si battono per studiare, misurare, denunciare, combattere il consumo di territorio. La proposta di legge che presentammo nel 2006 costituisce ancor oggi, mi sembra, un contributo utile al quale riferirsi.

Credo che oggi quello che è necessario più d’ogni altra cosa sia estendere il movimento per la difesa del territorio da ogni utilizzazione e trasformazione che non sia resa necessaria per inderogabili necessità sociali. La terra, così come la natura e la storia l’hanno consegnata a noi, è un patrimonio che va amministrato con la massima saggezza sapendo che è un valore, che è limitata, che non è riproducibile, e che senza di essa la vita dell’uomo sarebbe impossibile.

Questa è la premessa da cui bisogna partire, e che deve condizionare ogni azione di trasformazione. La sottrazione di un solo metro quadrato di suolo ai ritmi della natura è un prezzo, che può essere pagato solo se è strettamente necessario alla società umana nel suo insieme e se non ci sono modi alternativi di soddisfare l’esigenza che chiede il pagamento di quel prezzo. Nessuna casa nuova, nessuna strada nuova, nessun nuovo piazzale se prima non si è completamente utilizzato ciò che di artificiale già c’è. E di inutilizzato in Italia, malauguratamente, c’è tanto, se si guarda al nostro paese con lo sguardo fuori dalle bende della mitologia proprietaria e di quella economica.

La necessità, oggi, è di far diventare queste affermazioni una consapevolezza di massa. É di rendere cosciente il maggior numero di persone di verità che condizionano la vita di ciascuno di noi: e ciascuno di noi, prima di essere casalinga o banchiere, operaio o poeta, professore o studente, spazzino od orefice, sfruttatore o sfruttato – è uomo e donna, è abitante del pianeta Terra, e la sopravvivenza è la prima esigenza di tutti noi e di ciascuno di noi.

Se guardiamo alla terra da questo punto di vista allora una cosa diventa subito evidente. Combattere il consumo di territorio non significa solo ostacolare l’irrazionale espansione della città, lo sprawl urbano. Certo, questa è un componente essenziale, soprattutto nel nostro paese, in cui il trionfo della rendita immobiliare ha dominato, soprattutto negli ultimi decenni, in ogni aspetto delle politiche territoriali. Difendere il territorio non significa solo tutelare la natura e il paesaggio, la capacità di rigenerazione fisica ed estetica che il territorio fornisce, ma anche quella che è la sua prima funzione: alimentare l’umanità in ciascuno dei suoi componenti.

Combattere il consumo di territorio significa perciò anche difendere l’agricoltura: non necessariamente tutte le agricolture, ma certamente quelle che servono agli uomini che vivono il territorio, e li servono là dove essi lo vivono. Significa combattere la sostituzione delle colture locali con le colture industriali, le colture funzionali a primarie esigenze umane a quelle che sussistono solo perché premiate dal mercato globalizzato. Significa coinvolgere il più ampiamente possibile nella stessa grande vertenza le numerose associazioni (già numerose sono presenti in questa iniziativa) che si impegnano per promuovere la difesa dell’agricoltura, l’approvvigionamento equo e salubre, la filiera corta, la difesa delle diversità colturali.

E significa, al tempo stesso, legare le nostre battaglia - italiane, europee, nordatlantiche - a quelle dei paesi del terzo mondo, soggetti a quella rapina delle terre che ha già devastato le loro economie e la stessa sopravvivenza di interi popoli.

Eddyburg intende impegnarsi ancora di più in questa direzione, anche con una prossima iniziativa della sua Scuola estiva di pianificazione. E partecipa con piena condivisione alla grande manifestazione di domani: grande, anzi grandissima, per i temi che agita e il futuro che indica, altrettanto robusta – speriamo – anche nelle presenze fisiche e in quelle morali.

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