Il primo è la speranza. Il declino di tutto ciò che vale, dintutto ciò che rende la vita degna d’essere vissuta, sembrava accentuarsi ad ogni azione del governo. Sgretolati da un inesorabile degrado sembravano la democrazia e la giustizia, la bellezza dei territori e la vivibilità delle città, il lavoro e le condizioni economiche delle persone, la salute e la cultura, la scuola e la ricerca, la solidarietà e la virtù civile. Troppo blandamente gli autori del declino e del degrado sembravano ostacolati da chi aveva la responsabilità di farlo: la politica dei partiti e, con qualche lodevole eccezione, le istituzioni repubblicane. Il pluridecennale lavorio compiuto dai massmedia per inculcare nelle teste degli italiani un’ideologia antitetica a quella nata nella Resistenza e codificata nella Costituzione sembrava aver trasformato la maggioranza degli italiani, da persone dotate di spirito critico, in spettatori passivi di dementi spettacoli, e da cittadini in clienti. L’ideologia dominante sembrava non avere alternative, poiché le sue parole d’ordine erano accettate su ogni versante dello schieramento politico, e da gran parte delle stesse istituzioni della cultura.
Insomma, la speranza era diventata (là dove, come in questo sito, resisteva) una pallida fiaccola destinata a spegnersi. La forza della volontà alternativa che si è esressa nelle vicende del maggio e del giugno le ha ridato fiato e alimento. Ed è il primo risultato positivo dei tre pronunciamenti popolari; forse il più rilevante.
Il secondo elemento è la rinascita della politica. Non la politica del “palazzo”. Questa ha fornito un ulteriore segno della sua decrepita vecchiezza, della sua distanza dalla società. Non parliamo solo della politica della destra: la miserabile destra italiana, così lontana da quella del resto del mondo atlantico e da quella stessa che costruito lo stato unitario, ha dato nelle vicende dei referendum un’immagine grottesca di sé. Parliamo anche della politica delle sinistre. Innanzitutto di quella del PD, saltato sul carro di una vittoria che solo nelle ultime settimane aveva concorso a costruire, mentre per molti mesi aveva ignorato, a volte sbeffeggiato, spesso ostacolato quelli che i referendum avevano promosso e ottenuto. Ma parliamo anche della politica delle altre sinistre, incapaci di fornire un quadro di riferimento unitario alle tensioni che si rivelavano nella società.
Non è quindi la politica dei partiti che ha iniziato a rinascere, ma quella che (come ha scritto don Lorenzo Milani) si manifesta quando più persone riconoscono che un problema che soffrono è comune, coinvolge molti, e chi ne patisce si mette insieme per affrontarlo insieme. «Compresi che il mio problema era il problema di tutti, e che affrontarlo da soli è l’avarizia, affrontarlo insieme è la politica», fa dire Milani a uno dei ragazzi della Scuola di Barbiana.
Questa rinascente politica si è manifestata ed espressa – e ha raggiunto un risultato sperato solo dai più audaci – perché ha saputo intrecciare “intellettuali” e “popolo”. Perché hanno saputo incontrarsi e lavorare insieme (nei comitati, nelle reti, nei forum) quanti avevano avuto la possibilità di conoscere, studiare, riflettere, approfondire, e insieme la capacità di adoperare parole semplici, e quanti erano disposti ad ascoltare, a comprendere, a condividere, e a far comprendere e condividere agli altri, avendo scoperto in sé l’indignazione per un modo sbagliato di affrontare questioni essenziali della vita: la voglia di rialzare il capo e di riscoprire le capacità di una critica che nasceva dal mondo delle emozioni e dei sentimenti.
Il terzo elemento che occorre sottolineare è l’obiettivo della protesta, ciò che con il voto amministrativo e con la plebiscitaria risposta ai referendum si è voluto colpire. Da un lato, soprattutto con l’adesione al referendum sul “legittimo impedimento” e con il clamoroso sostegno a candidati sindaci atipici come Pisapia, De Magistris, Zedda, si è voluto colpire il modo vecchio di fare politica: un modo che ha sacrificato la ricerca del bene comune agli interessi separati della conventicola , o addirittura del singolo potente. E il merito maggiore del raggruppamento di Di Pietro è stato dia aver compreso(e uno dei torti maggiori del PD è stato di non aver compreso) che Berlusconi non poteva essere un partner politico poiché era l’epitome di ciò che della vecchia politica era più stantio, putrido – e comunque era la smaccata espressione della distanza della “politica” dalle esigenze e dalle speranze del popolo. Con il SI clamoroso al referendum contro il nucleare si è voluto far prevalere il “principio di precauzione” su quelle che sono state percepite come le ragioni di un’economia che allo “sviluppo” sacrifica ogni altra realtà, dimensione, esigenza. Saggiamente i promotori di quel referendum hanno insistito sul SI a nuove forme di utilizzazione dell’energia disponibile nell’universo; c’è semmai da rilevare che e stato lasciato in ombra, almeno a livello di massa, il tema dell’eccesso di domanda di energia peculiare a un sistema economico basato sulla crescita indefinita della produzione e del consumo di merci.
Ma la risposta più interessante è stata quella del referendum sull’acqua pubblica. Grazie a una faticosissima e intelligente azione politica, che è partita da un’élite di intellettuali e si è propagata a livello di massa, con un impiego straordinario di lavoro volontario, di creatività, di capacità di relazione, di ascolto e di parola, si è ottenuto il radicamento - in una parte non più minoritaria di cittadine e cittadini - di alcune verità profondamente innovative, che vale la pena di sottolineare. La nozione di “bene comune”, come qualcosa che deve essere utilizzato da tutti senza discriminazione alcuna perché è un “diritto” per ogni persona umana. La consapevolezza dell’intollerabilità di un sistema economico-sociale, di un assetto della proprietà, delle appartenenze e del diritto che riduce ogni bene a merce, che spinge alla privatizzazione d’ogni bene comune, che sostituisce ogni “governo” (ogni finalizzazione degli strumenti a obiettivi trasparenti e condivisi) a gestione “aziendale”, che finalizza ogni intervento di uso delle risorse all’arricchimento dei soggetti privati che possono venirne in possesso. Ciò che molti economisti non hanno compreso è che la rivendicazione dell’acqua come bene comune non è valutabile mediante il paradigma dell’economia data (quella capitalistica, in sé e nella sua attuale configurazione), poiché pretende un suo superamento e la costruzione di una nuova economia, basata su un diverso paradigma.
Si può dire che la battaglia per l’acqua pubblica sia, proprio per queste ragioni, il possibile fondamento della costruzione di un nuovo paradigma, basato appunto sul concetto di bene comune. In questo senso si può dire della vertenza per l’acqua pubblica che ce n’est qu’un debut, non è che un inizio. Come molti hanno già rilevato (sulle pagine di eddyburg se ne trovano testimonianze numerose) altre vertenze si sono aperte negli ultimissimi anni per difendere dalla mercificazione e dalla liquidazione altri beni comuni, altrettanto importanti per la vita dell’umanità e per il suo futuro: dalla scuola al lavoro, dalla salute all’informazione, dalla formazione alla ricerca, dall’habitat dell’uomo al paesaggio, dalla cultura alla storia.
E’ in questo quadro che si pongono gli interessi specifici di eddyburg. La difesa della città e del territorio, del paesaggio e dei beni culturali come beni non riducibili a merci, come patrimoni dell’umanità di oggi e di quella di domani è parte di un’azione più generale, che esige una costante attenzione alle tre dimensioni della realtà fisica e funzionale dell’habitat dell’uomo (l’urbs), di quella sociale (la civitas) e di quella politica (la polis). Molto cammino resta da compiere perché queste tre dimensioni trovino una sintesi. In particolare, perché la nuova politica, espressa degli eventi recenti, si consolidi in nuove forme capaci di durare nel tempo portando a sintesi, e finalizzando a obiettivi generali, l’insieme delle esigenze di cambiamento profondo di cui gli italiani hanno dimostrato consapevolezza inaspettata.
E’ un cammino difficile e lungo. Con lo sgretolamento del regime di Berlusconi è iniziato: il masso che ostruiva il tunnel nel quale siamo immersi ha cominciato a disgregarsi, si vede la luce. Ma dal tunnel non siamo ancora fuori. E al di là, il panorama che troveremo non sarà dei più allettanti. Molto ci sarà da costruire e ricostruire, con pazienza. Ma la speranze è rinata.