Abbiamo compreso che i sentimenti di paura, disprezzo e arroganza per chi è diverso (perché è povero, ha la pelle di un altro colore, parla un’altra lingua) nutrono l’anima di molti italiani e conducono troppo spesso ad atti barbarici. Abbiamo compreso che razzismo, xenofobia, insofferenza per il povero, paura per lo sconosciuto sono sentimenti diffusi, che rendono più inospitale la città, più piccolo, insicuro, misero il mondo di ciascuno di noi. É anche per questo che mi hanno colpito due episodi avvenuti in Africa, che hanno a che fare col mio mestiere di urbanista e che in queste settimane sono stati riportati alla mia attenzione. Mi riferisco a due strutture sanitarie realizzate da italiani l’una a Ovest l’altra a Est nel Continente nero.
Un ospedale in Senegal, a Kaedi. Costruito secondo un modello completamente diverso da quello occidentale, dove le degenze sono realizzate per ospitare solo il paziente e consentire pochi visitatori. Lì hanno constatato che la malattia è vissuta in modo molto diverso che in Europa. Se un membro della famiglia si ammala tutta la famiglia lo segue, lo assiste, cucina per lui, gli fa costantemente compagnia. Allora a Kaedi l’architetto Fabrizio Carola e i sanitari hanno organizzato una serie di padiglioni circolari, realizzati con materiali poveri e locali e maestranze del posto, disposti secondo tre anelli concentrici. Nei padiglioni dell’anello centrale, tutti i servizi sanitari: le sale operatorie, quelle per le medicazioni, i medici e gli infermieri, i laboratori ecc.; nell’anello intermedio le degenze, destinate ai pazienti; quelli esterni sono per le famiglie. Dei collegamenti tra i padiglioni dei diversi anelli costituiscono le comunicazioni senza interferenze tra i percorsi del personale sanitario e quello delle famiglie. Convivenza e assistenza da un lato, igiene e presenza sanitaria dall’altro sono entrambe garantite. Il rispetto per una cultura diversa e l’attenzione alle risorse locali e a possibilità innovative del loro uso hanno sostituito l’imposizione di modelli calati dall’alto.
Altrettanto significativo l’altro esempio: la realizzazione di un Centro Salam di cardiochirurgia, di elevatissimo livello specialistico, nel deserto del Sudan vicino a Khartoum, realizzato da Emergency con un’equipe di medici e architetti italiani. Anche qui, nella progettazione del complesso, massima attenzione alle risorse e alle abitudini locali: un’architettura solidamente legata al luogo, realizzata con materiali semplici e con largo impiego delle tradizioni e dei materiali locali. E la formazione di personale medico e infermieristico locale, capace di insegnare a sua volta.
Ma anche qualcosa in più: una grande lezione di uguaglianza. Essa emerge dalle parole d Gino Strada (nella prefazione del libro dedicato dall’architetto, Raul Pantaleo, al diario dell’esperienza di cantiere: “Attenti all’uomo bianco”, edizioni Eleuthera, Milano 2007). Qualcuno ha definito il centro Salam una “cattedrale nel deserto”, perché si tratta “di una struttura di assoluta eccellenza, perfino innovativa per molti aspetti, dove praticare una medicina difficile e complessa, che richiede grande impegno di risorse umane ed economiche”. Meglio costruire strutture elementari, ambulatori e dispensari, cliniche di base.
“Noi ci siamo rifiutati di mettere le due scelte in alternativa”, risponde Strada. Alla periferia di Khartoum c’è un centro pediatrico di Emergency che già si occupa della medicina di base. “Ma abbiamo voluto andare oltre. Ci siamo convinti che anche in quei luoghi, dove le poche cure mediche disponibili sono solo a pagamento, sia necessario affermare il diritto a essere curati quando si è feriti o ammalati. Un diritto naturale prima ancora che un solenne principio […] Così si è radicata in noi la convinzione che curare gli esseri umani non possa essere un’attività discriminatoria, solo i neri e non i bianchi, solo le donne e non gli uomini, solo i poveri e non i ricchi”. Curare deve essere un gesto che riconosce a tutti i pazienti (pazienti, non clienti) eguaglianza in dignità e in diritti. “Non possono esistere, nella medicina, pazienti di prima e di seconda classe, cure per i ricchi e cure per i poveri del mondo. Tutti hanno diritto a cure di alto livello e gratuite”. Una lezione. Saremo capaci di seguirla nel nostro paese?
Questo articolo è stato postato suTiscali il 28 gennaio 2009, e lì riceve numerosi commenti, che invito a scorrere per comprendere come sono diventati gli italiani, nel bene e - purtroppo soprattutto – nel male.