È facile dire che non si sta con Saddam. È uno dei peggiori prodotti del nefasto intreccio tra la plurisecolare stagnazione della civiltà mediorientale e gli interessi rapaci e miopi dell’Occidente. È particolarmente facile dirlo anche oggi per quanti hanno protestato ieri per le stragi di curdi, di comunisti e di altri oppositori che Saddam ha fatto quando era strumento dell’Occidente. Nulla da eccepire quindi sul primo “né”.
Ma milioni di persone (in Europa e nelle tre Americhe, in Asia e in Africa e in Australia) hanno già detto che non stanno con Bush: hanno manifestato nelle piazze la loro opposizione alla guerra di Bush, il loro rifiuto netto per la politica dell’attuale gruppo dirigente degli USA. Dice ogni settimana, ormai quasi ogni giorno, che non sta con Bush il Papa dei cattolici, Giovanni Paolo II. Lo dice il Presidente della Repubblica, massimo esponente e rappresentante della nazione. Lo hanno detto anche gli esponenti dei partiti di centro e di sinistra, criticando aspramente il Capo del governo per la sua tiepidezza, per il suo dissimulato servilismo verso Bush.
Siamo davvero in tanti ad aver detto che, oltre a non stare con Saddam, non stiamo neppure con Bush. Allora, perché scandalizzarsi? Dire che non si sta “né con Bush né con Saddam” non significa forse dire semplicemente la verità? Perché non si può, perché non si deve dire una verità così semplice?
In generale, le possibili ragioni per non affermare il vero sono solo tre. O l’ignoranza, o la paura, o l’interesse. È difficile affibbiare l’attributo dell’ignoranza ai parlamentari, ai dirigenti politici, ai giornalisti e agli altri clerici che hanno rimproverato Epifani per la sua frase. È ancora più difficile credere che sia la paura ad animarli: paura di che,di chi? La CIA ha dimostrato davvero di non essere troppo temibile.
Non resta allora che l’interesse. Ma quale interesse può aver spinto a desiderare di annebbiare la verità, di nasconderla? Non certo un interesse economico non stiamo parlando di mercanti di cannoni o imprese di ricostruzione posbellica, ma di stimati dirigenti politici. E neppure un interesse, diciamo così, umanitario: non credo che la morte di qualche soldato americano o inglese possa apparire a qualche stimato dirigente politico piò orrenda della morte di qualche soldato iracheno. Temo che sia solo un piccolo, meschino interesse di politico: anzi, di bottega elettorale. Temo che sia solo la paura di perdere qualche voto su quel versante moderato che magari preferirebbe aver avuto la benedizione dell’ONU alle armate di Bush e Blair, ma che comunque, visto che Bush si è deciso a rompere gli indugi, si è infilato (metaforicamente) l’elmetto in testa e si schierato con i “difensori” dell’Occidente.
La politica di Bush e di Blair ha dato il via a un vero e proprio suicidio dell’Occidente: suicidio morale, per aver calpestato e offeso i valori di giustizia e di libertà, che sono alla base della nostra civiltà; suicidio strategico, per aver scatenato una inevitabile ondata di odio verso tutti noi da parte di una sterminata parte dell’umanità; suicidio politico per aver demolito gli istituti della convivenza internazionale, costruiti con fatica sulle macerie del mondo devastato dal nazifascismo. Che in questo scenario piccoli interessi di bottega politica facciano velo alla pronuncia di parole di verità è veramente, questo si, scandaloso.Post scriptumIl 26 gennaio 1998, anni prima della distruzione delle Twin Tower, della proclamazione dell’orrenda teoria della Guerra preventiva, un gruppo di pressione statunitense PNAC ( Project for the New American Century)scriveva al Presidente Clinton una lettera (l’inserisco qui sotto) in cui si chiede esplicitamente di attuare “una strategia per rimuovere il regime di Saddam dal potere” (“ a strategy for removing Saddam's regime from power”) anche con mezzi militari. La lettera è pubblicata dalla rivista Internazionale, la cui redazione mette in evidenza come tra i firmatari vi siano “alcuni dei nomi più influenti dell'attuale governo degli Stati Uniti. E cioè: Dick Cheney, vicepresidente; Lewis Libby, capo dello staff di Cheney; Donald Rumsfeld, ministro della difesa; Paul Wolfowitz, vice di Rumsfeld; Peter Rodman, responsabile delle ‘questioni di sicurezza globale’; John Bolton, segretario di stato per il controllo degli armamenti; Richard Armitage, vice ministro degli esteri; Richard Perle, ex vice ministro della difesa dell’amministrazione Reagan e ora presidente della commissione difesa; William Bristol, capo del Pnac e consigliere di George W. Bush; e Zalmay Khalilzad, ambasciatore speciale di Bush presso l’opposizione irachena”.