Essa di fatto si manifesta ogni volta che l'iniziativa delle decisioni sull'assetto del territorio non viene presa per l'autonoma determinazione degli enti che istituzionalmente esprimono gli interessi della collettività, ma per la pressione diretta, o con il determinante condizionamento, di chi detiene il possesso di consistenti beni immobiliari. Quando insomma comanda la proprietà, e non il Comune. Ma poiché il potere di decidere sull'assetto del territorio spetta, almeno formalmente, ai Comuni, ecco che, quando i proprietari vogliono incidere in modo sostanziale sulle scelte sul territorio (quali aree rendere edificabili, per che cosa, quanto, ecc.), essi devono contrattare le scelte con i rappresentanti di quegli enti.
Ci fu, nella storia della Repubblica italiana, un altro periodo in cui la subordinazione delle scelte urbanistiche agli interessi privati apparve come uno scandalo. Fu negli anni in cui le scelte di politica economica e sociale compiute per la ricostruzione postbellica (lasciare le briglie sciolte sul collo dell'edilizia privata) provocarono lo sfrenato divampare della speculazione fondiaria ed edilizia. Per ritrovare quei tempi, basta ricordare alcuni episodi degli anni 50 e 60 entrati ormai nella letteratura. Il sacco di Napoli, illustrato da Francesco Rosi nel suo memorabile film Le mani sulla città. Quello di Roma, denunciato dall'Espresso e dagli "Amici del Mondo" e indagato da Antonio Cederna, da Italo Insolera e da Aldo Natoli. E quello di Agrigento, che fornì a Mario Alicata l'argomento per il suo ultimo appassionato discorso parlamentare.
Non è forse allora l'urbanistica contrattata qualcosa di simile a quello che caratterizzò quegli anni? A prima vista, potrebbe sembrare. L'urbanistica contrattata può insomma apparire a qualcuno come una forma semplicemente ammodernata della vecchia, tradizionale speculazione fondiaria. (Così come, del resto, l'intreccio tra politica e affari affiorato a partire dalle iniziative del giudice Di Pietro sembra ad alcuni solo l'ennesima manifestazione della millenaria vicenda degli amministratori pubblici che si lasciano corrompere). Ciò che vorremmo sostenere invece è che l'urbanistica contrattata è qualcosa non solo di nuovo e diverso rispetto alla vecchia e nota speculazione, ma è qualcosa di infinitamente più grave, perché più penetranti e pervasivi sono i suoi effetti e le distorsioni che induce (che ha indotto) sull'intero ordinamento delle istituzioni e della società.
Ieri, si trattava di violazioni del sistema di regole dato. Oggi, della sostituzione, al sistema di regole date, di un nuovo e perverso controsistema di regole. Ieri, erano infrazioni e violazioni puntuali all'organizzazione istituzionale dei poteri. Oggi, è la costruzione di un contropotere.
E non è senza significato la differenza tra le reazioni sociali all'una e all'altra forma (quella di ieri e quella di oggi) della subordinazione dell'interesse pubblico a quello privato. Trenta e quarant'anni fa la speculazione fondiaria ed edilizia appariva immediatamente come uno scandalo, nei confronti del quale l'opinione pubblica (e non solo quella progressista) si ribellava, reagiva con forza e con durezza. Prima dell'indagine Mani pulite l'urbanistica contrattata era invece divenuta una prassi corrente e una procedura legittimata dalla costanza dei comportamenti: c'è da credere che il termine, se non fosse esplosa Tangentopoli, sarebbe comparso nelle prossime edizioni dei manuali di tecnica urbanistica o di diritto amministrativo.
Ma la portata di ciò che l'urbanistica contrattata ha rappresentato e rappresenta, le sue conseguenze per la società italiana, i rischi che essa comporta per la stessa democrazia potranno esser compresi meglio ragionando su alcuni casi concreti. Il caso tipico, quello che, nel 1989, fa esplodere la questione dell'urbanistica contrattata per la dura reazione del nuovo segretario del Pci, è Firenze. Da esso è utile partire in questa sintetica rassegna, non tanto perché sia l'episodio più grave di urbanistica contrattata, ma per il significato emblematico che ha assunto, e per il possibile punto di svolta che ha rappresentato.