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Edoardo Salzano
19991914 Il paesaggio, la storia, l’uomo
24 Marzo 2008
Interventi e relazioni
Intervento di Edoardo Salzano, dell’Associazione culturale Polis , per la 1a Conferenza nazionale per il Paesaggio, Roma, 14-16 ottobre 1999.

Per affrontare le questioni poste in questa sessione – e più in generale in questa conferenza - occorre definire l’oggetto attorno al quale ragioniamo: il paesaggio. A me interessa allora ricordare che il paesaggio è il prodotto storico della cultura e del lavoro dell’uomo sulla natura. Nel paesaggio, nella forma del territorio così come ci appare, natura e storia si integrano variamente nelle varie parti del pianeta. Essi formano così tipi diversi di paesaggio (naturale, agrario, urbano), ciascuno dei quali è caratterizzato da genesi, caratteri, significati, utilità, problemi diversi. È proprio la loro genesi, caratterizzata dalla sintesi tra evento e sito, che definisce quindi l’identità dei luoghi: elemento costitutivo della stessa identità delle comunità, nazionali e locali, che quei luoghi abitano. Prodotto della storia, e identità dei luoghi e delle comunità: questi sono gli attributi del paesaggio che soprattutto mi interessano.

Sottolineare, come mi sembra giusto fare, il ruolo della storia nella formazione del paesaggio (e quindi del suo valore) significa porre l’accento sul ruolo dell’uomo. Occorre allora riconoscere che l’intervento dell’uomo sulla natura ha avuto ed ha segni diversi. A volte (in certe epoche, in certe società, in certi luoghi) un ruolo positivo: ha costruito paesaggi (urbani, agrari, naturali anche) ai quali riconosciamo oggi valore d’insegnamento e valore estetico: con la semplice manutenzione, oppure con la formazione di nuovi paesaggi agrari, oppure con la creazione di opere integrate nel paesaggio preesistente, l’uomo ha aggiunto insomma valore alla forma della Terra. Ma altre volte (con l’incuria e l’abbandono, con l’eliminazione dei segni del passato in nome del profitto immediato, con l’artificializzazione dissennata) ha sottratto valore e distrutto il patrimonio culturale e storico costituito dal paesaggio, ha ridotto la ricchezza della civiltà umana.

Una domanda inquietante dobbiamo allora proporci. È in grado la società di oggi, la cultura che essa esprime, di porsi nei confronti della natura e della costruzione del paesaggio nello stesso modo nel quale si sono posti gli uomini il cui prodotto oggi ammiriamo, e nel quale riconosciamo una componente essenziale della nostra identità? I paesaggi urbani e periurbani, la devastazione delle campagne, la distruzione di ambienti naturali, realizzati in Italia nell’ultimo mezzo secolo, non lasciano dubbi in proposito, e invitano alla massima attenzione di fronte alla tentazione di “abbassare la guardia” dell’azione di tutela.

Lo sviluppo sostenibile

A non abbassare la guardia nell’azione di tutela ci invita del resto il titolo stesso di questa sessione: “Paesaggio e sviluppo sostenibile”. Molti criticano oggi il temine “sostenibile”: in effetti, è diventato un aggettivo passepartout, può essere stiracchiato fino a coprire qualunque contenuto, anche il più devastante. Ma non c’è da meravigliarsi: succede sempre così, quando una parola diventa alla moda. Occorre però allora precisare, oltre al termine “paesaggio”, anche “sostenibilità”.

Io mi riferisco all’accezione del termine che ne è stata data nel Rapporto Brundtland, nella Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo dell’ONU, nel 1983. Per “sviluppo sostenibile - si legge nel Rapporto – si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

A ragionarci bene, è un’interpretazione severa. Non si tratta di trovare un qualche compromesso, tra l’esigenza della conservazione e quella della trasformazione. Non si tratta di scegliere le trasformazioni in qualche modo “compatibili” con la tutela. Si tratta, invece, di rinunciare a quelle trasformazioni che comportino una riduzione delle risorse che riteniamo necessarie, oggi e domani, al genere umano. Oppure (ed è un altro modo di dire la stessa cosa) si tratta di garantire che il bilancio di ogni trasformazione porti a un miglioramento dell’insieme delle risorse disponibili: nel campo che ci interessa, a un miglioramento della qualità del territorio e della vita.

Utilità del paesaggio

Per ricondurre il paesaggio sotto le regole dello “sviluppo sostenibile” occorre allora invertire la tendenza, e imparare di nuovo a governare la natura senza negarla. Ma questo non può essere lasciato alla buona volontà dei singoli, o all’azione di qualche minoranza illuminata. Occorre che la tutela del paesaggio diventi una priorità sociale. Perché ciò avvenga, è necessario rendere evidente a tutti quali sono le ragioni per cui è socialmente necessario tutelare e arricchire la qualità del paesaggio (dei paesaggi). Perché, insomma, il paesaggio serve?

In primo luogo, il paesaggio è memoria. Il paesaggio è un deposito di storia. In esso è rappresentato e testimoniato il nostro passato, il passato della nostra civiltà. Esso è dunque il fondamento della identità delle diverse comunità che abitano il pianeta (dalle nazionali alle locali). Esso serve (a noi, e alle generazioni future) perché è una insostituibile risorsa della civiltà, è la materia vitale che alimenta il futuro. Basterebbe questo a comprendere come una società che voglia esistere debba custodire il paesaggio come una propria risorsa primaria.

Ma il paesaggio è anche risorsa economica. Sempre più, nell’economia moderna, tendono ad accrescere il loro peso (fino a diventare dominanti) i settori legati alla produzione di “beni immateriali”, tra i quali i comparti legati alla ricreazione e al benessere fisico, al turismo, alla conoscenza e al godimento estetico assumono crescente rilievo. In moltissime aree dell’Italia (e dell’Europa) il paesaggio di qualità è luogo e condizione per produzioni enogastronomiche “di nicchia”, caratterizzate dalla qualità e dall’identità, fondamentali sia per lo sviluppo economico e sociale delle aree coinvolte che per la conservazione di valori universali.

A proposito del ruolo economico del paesaggio nei prossimi decenni non va trascurato il peso che può avere per lo sviluppo dell’occupazione in molte regioni italiane un’azione di manutenzione del suolo, di riduzione dei rischi e dei costi del degrado ambientale, di avvio di un’azione di presidio ambientale. Si tratta di ricostituire e manutenere ambienti naturali distrutti dall’incuria dell’uomo (e minacciosi per la sopravvivenza nelle aree a valle del degrado), oppure ambienti caratterizzati da un assiduo rapporto di costruzione del paesaggio agrario.

Alla qualità del paesaggio è legata anche la qualità della vita: La bellezza dei panorami, l’armonia dei luoghi nei quali si svolge la sua vita sono essenziali per il benessere della donna e dell’uomo, del bambino e dell’anziano. Nell’epoca della globalizzazione, la concorrenza tra le regioni e le città assume sempre di più la qualità dell’ambiente (come componente della qualità della vita) come un valore economico da mettere in gioco nel “ marketing urbano”. Ciò pone, una volta ancora, l’esigenza economica di migliorare la qualità del paesaggio anche là dove (come nelle periferie urbane) non si è stati capaci di creare qualità nuove, ma solo di distruggere quelle preesistenti.

Paesaggio e pianificazione

Obiettivo primario che si pone è dunque quello di conferire piena efficacia alla protezione e al godimento dei beni paesaggistici (di quelli esistenti e di quelli da realizzare) da parte delle generazioni presenti e future. Con quali strumenti però?

Non credo nella sufficienza di politiche meramente vincolistiche (sebbene sia convinto, come argomenterò fra poco, che tali politiche siano ancora necessarie). Non credo neppure nella utilità di strumenti che isolino determinate porzioni del territorio e riservino a queste l’azione di tutela. Il paesaggio va governato nel suo complesso, con un’azione cui non sfuggano nè la storicità del paesaggio (e dunque la consapevolezza dell’intreccio tra lavoro e natura che il paesaggio rappresenta ed esprime), né l’esigenza di tutelarlo dinamicamente, governandone quindi l’evoluzione e il rapporto, certo complesso e difficile, con l’azione antropica.

Il paesaggio può essere tutelato con efficacia unicamente se diviene un aspetto, decisivo e vitale, di un’azione di governo del territorio che affronti l’insieme dei problemi e delle esigenze legati al suo uso e alle sue trasformazioni, assicurando in questo quadro la priorità alla tutela e allo sviluppo delle dimensioni qualitative: dunque, del paesaggio. Ecco perché ritengo che la pianificazione territoriale e urbanistica, come insieme di metodi e strumenti volti ad assicurare coerenza alle trasformazioni del territorio garantendo trasparenza e partecipazione al processo delle decisioni, sia l’ambito entro il quale tale obiettivo può essere raggiunto.

Ed ecco perché, per converso, sono preoccupato delle fortune che sempre più stanno ricevendo quegli strumenti urbanistici “anomali”, che dall’inizio degli anni Ottanta stanno rendendo via via più complicata – e più perversa – la pratica della pianificazione. Mi riferisco ai programmi integrati, ai programmi di recupero urbano, ai programmi di riqualificazione urbana, ai contratti di quartiere, agli accordi di programma quadro, ai contratti di programma, ai patti territoriali, ai contratti d’area, ai programmi straordinari di edilizia residenziale, e infine ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio.

Ciò che accomuna la quasi totalità di questi “piani anomali” è che enfatizzano il circoscritto e trascurano il complessivo, celebrano il contingente e sacrificano il permanente, assumono come motore l’interesse particolare e subordinano ad esso l’interesse generale, scelgono il salotto discreto della contrattazione e disertano la piazza della valutazione corale. Abbandonando le metafore, caratteristica comune di (quasi) tutti gli strumenti di pianificazione “anomali” è quello di consentire a qualunque intervento promosso da attori privati di derogare dalle regole comuni della pianificazione “ordinaria”. Di derogare cioè dalle regole della coerenza (ossia della subordinazione del progetto al quadro complessivo determinato dal piano) e della trasparenza (ossia della pubblicità delle decisioni prima che divengano efficaci e della possibilità del contraddittorio con i cittadini).

Indirizzi per la pianificazione

Occorre utilizzare lo strumento e il metodo della pianificazione nella sua reale portata. Ma occorre arricchire e adeguare quest’ultima, definendo nuovi indirizzi che le consentano di farsi carico più compiutamente delle esigenze della tutela del paesaggio. A me sembra particolarmente significativo, da questo punto di vista, il modo in cui la legge 431/1985 (la cosiddetta Legge Galasso) ha posto le premesse per innovare il sistema di pianificazione.

La legge è stata attuata solo parzialmente, e spesso la sua attuazione è stata una elusione delle sue finalità. Ma l’esperienza di attuazione di quella legge, là dove un’attuazione positiva vi è stata, induce ad sottolineare, e a proporre alcuni indirizzi particolarmente significativi. Li enuncerò in termini molto sintetici:

La “attenta considerazione delle valenze paesistiche e ambientali”, che la legge 431 chiede alla pianificazione ordinaria perché abbia efficacia, deve diventare una costante nella pianificazione territoriale e urbanistica ordinaria, a tutti i livelli: nazionale, regionale, provinciale, comunale.

Più precisamente, la prima fase della pianificazione deve essere costituita dall’assidua ricognizione delle qualità naturali e storiche del territorio, come si tentò di fare nell’esperienza della Regione Emilia Romagna del 1985-86 e come hanno prescritto, in modi più o meno chiari, le nuove leggi urbanistiche della Toscana e della Liguria.

La ricognizione delle qualità del territorio deve condurre precettivamente all’individuazione delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili con le caratteristiche proprie di ogni unità di spazio, come condizionenon negoziabile per ogni decisione sulle trasformazione da promuovere o consentire;

La tutela attiva del paesaggio richiede che nel processo di pianificazione vengano integrati tutti gli strumenti disponibili: le politiche e le azioni di settore, gli incentivi finanziari, la partecipazione a programmi e progetti nazionali e sovranazionali, il ricorso all’imprenditoria privata. Questi strumenti non devono essere adoperati in contrasto alla pianificazione oppure come alternativa ad essa, ma - appunto - come suoi strumenti.

Sottolineare l’utilità della pianificazione (come mi sembra indispensabile) significa riconoscere la parzialità, e quindi l’insufficienza, della protezione passiva costituita dai vincoli di tutela. Ma credo che il clima culturale e morale che stiamo attraversando (gli anni Ottanta non finiscono mai!) impongano al tempo stesso di ribadirne l’utilità.

I vincoli, ancorché non sufficienti, sono utili sotto un duplice profilo. In primo luogo, il vincolo è necessario come difesa temporanea, in attesa che la pianificazione consenta di articolare le politiche, sia attive che passive, di tutela. In secondo luogo perché (come dimostra l’esperienza della legge 431/1985) il vincolo agisce strumentalmente come sollecitazione alla pianificazione, e quindi alla possibilità di una tutela più compiuta e di una fruizione dei beni paesaggistici che ne garantisca la conservazione.

Sussidiarietà e intesa

Un ultimo punto vorrei brevemente toccare. La tutela e valorizzazione del paesaggio esprime una pluralità d’interessi collettivi: da quelli nazionali a quelli locali. Occorre evitare sia il rischio del conflitto paralizzante sia quello della negazione di uno o dell’altro degli interessi coinvolti.

Il principio di sussidiarietà è il criterio utilizzabile per individuare a chi spetta la responsabilità della scelta in relazione agli oggetti e aspetti su cui occorre decidere. Lo è, beninteso, se è assunto nella sua accezione corretta, quella elaborata nella recente cultura europea. Non il principio di sussidiarietà inteso come “tutto il potere alla periferia”, ma come riconoscimento del fatto che per ogni decisione c’è un livello giusto al quale quella decisione può essere presa efficacemente. Ma valga il testo ufficiale (Trattato di Maastricht, art.3B):

Nei campi che non ricadono nella sua esclusiva competenza la Comunità interviene, in accordo con il principio di sussidiarietà, solo se, e fino a dove, gli obiettivi delle azioni proposte non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri e, a causa della loro scala o dei loro effetti, possono essere raggiunti meglio dalla Comunità.

È davvero difficile pensare che il paesaggio, essendo elemento fondamentale per la definizione dell’identità nazionale, non rientri pienamente nelle responsabilità (e nelle competenze) dello Stato, essendo appunto questione che si pone a una scala nazionale.

Ma se gli organi centrali dello Stato hanno la responsabilità dell’azione di tutela, essi hanno anche quella di promuovere la concorrenza dei poteri nell’azione di tutela. Se la responsabilità primaria in materia di paesaggio spetta allo Stato, anche i livelli di governo regionale e locale sono legittimati (credo d’averlo argomentato a sufficienza) a concorrere con esso nella azione di individuazione, definizione, tutela.

Come può esercitarsi la concorrenza nel campo della pianificazione territoriale e della tutela del paesaggio? Anche qui vi è un principio, e un istituto già introdotto nel nostro ordinamento, che possono aiutare. È il principio secondo il quale gli strumenti di pianificazione, laddove disciplinino beni dello Stato in termini tali da incidere sulla loro finalizzazione, possono diventare efficaci soltanto previa "intesa" con lo stesso Stato. Questo principio, del resto, è stato introdotto recentemente nell'ordinamento, seppure limitatamente alla pianificazione provinciale, dall'articolo 57 del decreto legislativo 112/1998, il quale stabilisce che:

la regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di coordinamento provinciale [...] assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempreché la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia e le amministrazioni, anche statali, competenti.

Come propone l’associazione Polis, un simile testo normativo può essere esteso al di là del suo specifico contesto, e costituire un modello sulla cui base affrontare compiutamente la questione. È un modello, del resto, che è già stato più volte proposto e applicato in concrete esperienze di governo del territorio e può dar luogo a utili semplificazioni e snellimenti delle procedure. Ciò che è nell’interesse di tutti.

Vedi anche: Ragionando sul paesaggio

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