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Michelangelo Cimino
20050508 Salzano: Napoli, la città dei progetti cambiati prima di essere realizzati
7 Luglio 2008
Interventi e relazioni
Da il Corriere del Mezzogiorno dell’8 maggio 2005. L’occhiello: «L'urbanista analizza il piano regolatore: Strumento ottimo, ma gli intellettuali partenopei non lo hanno capito né difeso»

Lo sguardo di Edoardo Salzano sulle questioni urbanistiche di Napoli, che da decenni attendono una definitiva sistemazione, è quello complesso e articolato dello studioso; e, insieme, del cittadino part time. Salzano, benché di origini partenopee, vive a Venezia, dove insegna urbanistica al Dipartimento di pianificazione dell'Università Iuav.

Professore, trova corretto distinguere tra territorio ideale e reale nel discorso sulla riconversione di Bagnoli: un'area paesaggisticamente unica, ma destinata per tutto il Novecento a luogo di produzione industriale?

“L'urbanistica si occupa del territorio reale, tenendo conto che il territorio reale è come è, perché l'uomo nei secoli l'ha trasformato: alcune volte bene; altre volte male. C'è stata una lunga fase nella nostra storia in cui si è ritenuto che il territorio non avesse delle qualità proprie, valori proprî. E quindi: trasformare un pezzo del deserto più squallido del mondo e trasformare un pezzo della costa dei Campi Flegrei era indifferente”.”Oggi ci si rende conto che il territorio reale contiene una quantità enorme di cose. Perciò, si ripropone il problema di ricostituire la bellezza dove si è perduta”.

Ma come? Affidare il potere di decisione alla politica locale; o lasciare ai tempi lunghi della società il compito di modulare sui bisogni diffusi le future caratteristiche dell'area? L'onorevole Antonio Martusciello, coordinatore regionale di Forza Italia, ha proposto di attrarre investimenti esterni su Bagnoli, per creare “sviluppo e occupazione nel settore turistico » ( ma senza compromettere le superfici già destinate a verde).

“La democrazia moderna ha messo a punto degli strumenti per intervenire sul territorio, coerentemente con le leggi generali della democrazia stessa. Lo strumento che ha inventato per questo, a partire dagli inizi dell' 800, è stata la pianificazione urbanistica. Che cosa fare di quest'area è stato deciso dal Piano regolatore [approvato] dal Consiglio comunale: lungamente discusso e aperto a tutti i miglioramenti apportati; o che erano comunque apportabili nella fase delle osservazioni.

Adesso, si tratta di attuare quelle scelte: perché se una volta che la democrazia ha scelto cominciamo a cambiare, entriamo in quella spirale perversa in cui l'ultimo che parla ha ragione, e distrugge tutto quello che si è accumulato nel tempo. Non conosco nel merito le proposte di Forza Italia, ma se significano cambiare ciò che si è democraticamente deciso, allora direi che sono proposte non accettabili. Il Piano regolatore di Napoli, mi sembra che sia una miniera di occasioni di riqualificazione e di vita migliore per la città. Si tratta di utilizzarle».

Si direbbe che per lei il Piano urbanistico di Napoli sia perfetto e non richieda alcuna messa a punto.

“È un piano ottimo. E non solo a parere mio. È noto che è uno dei migliori piani italiani dell'ultimo decennio”.

In verità, sarebbe pronta un'altra proposta di integrazione. Si tratta di un progetto firmato da una équipe di architetti, coordinati da Vito Capiello, che prevede la pedonalizzazione di un'area di 5000 metri quadri, a cavallo tra la Galleria Principe di Napoli e il Museo Nazionale.

“Non conosco il progetto, ma le finalità mi sembrano giustissime. Non vorrei però che cadessimo nel vizio tutto italiano di non realizzare i progetti che abbiamo costruito, per inventarne ogni volta altri. Vorrei ricordare che ci sono degli interventi essenziali da fare per Napoli, già previsti dal Piano regolatore. In città, mancano dodici milioni di metri quadri di attrezzature; siamo molto al di sotto dello standard di venti metri quadri per abitante. Manca, insomma, quello che serve ad una città per dirsi civile — la cui carenza la rende un mero agglomerato di case e di automobili”.

Può fare un esempio di progetto contenuto nel Piano regolatore che si potrebbe attuare a breve termine?

“C'è un gigantesco progetto di istituzione del Parco della collina e del sistema del verde di Napoli.

C'è, poi, l'altro prodigio napoletano che è il piano della metropolitana urbana: formare un'unica rete mettendo insieme decine di segmenti e spezzoni di ferrovie, funicolari ecc. Sono entrambi progetti che è bene che vadano avanti.

Queste, e molte altre, sono le cose che potrebbero cambiare la faccia della città. E che fanno parte di un disegno organico. La città è un organismo complesso: si riesce a governare bene se si riesce a dominare la complessità. Se si sbrindella il disegno complessivo e si va pezzo per pezzo, elemento per elemento, la città non funziona più, decade”.

Quale ruolo potrebbero ricoprire i poteri pubblici nella trasformazione della città?

“Il primo piano regolatore moderno è nato a New York nel 1811: perché i cittadini e gli imprenditori, indignati che la città si sviluppasse caoticamente hanno chiesto al Comune di fare un piano che regolasse l'espansione della città stessa. Una richiesta all'autorità pubblica nata " dal basso". Il messaggio che è venuto dal mondo dell'individualismo e del mercato, è che il mercato non sa risolvere alcune situazioni. Ci vuole l'autorità pubblica”.

Gli interventi pensati nel Piano regolatore per Napoli vanno in controtendenza rispetto all'uso rapace del territorio, caratteristica comune dell'intera regione Campania? Possono dare un segnale positivo?

“Certamente. Lo possono dare e l'hanno già dato. A me sembra che il Piano regolatore sia ormai entrato nella consapevolezza comune. Meno in quella degli intellettuali, se vuole. Nella vicenda del Piano regolatore, c'è un episodio che mi ha colpito moltissimo. Quando sulle aree libere delle pendici del Vomero, in direzione di Chiaia, è stato posto con la variante di salvaguardia un vincolo di inedificabilità; e quando l'assessore Vezio De Lucia e l'allora sindaco Antonio Bassolino hanno dichiarato che su quelle aree non si sarebbe costruito né ora né mai, ebbene da quel momento gli abitanti hanno cominciato a ripiantare le vigne. Voglio dire che la città — anche gli interessi apparentemente più lontani da una logica di pianificazione e di primato del pubblico nelle decisioni sul territorio — si accorge quando c'è una volontà chiara di procedere.

Mi sembra che anche l'attuale amministrazione sia molto determinata nel difendere il Piano. Vorrei, però, che il Piano fosse inteso non solo come un insieme di regole, ma come un programma di interventi per riqualificare la città, per renderla moderna. Non nel senso di costruire piramidi di cristallo, ma nel senso di avere giardini, parchi, scuole e tutto quello che serve perché una città sia tale”.

Perché gli intellettuali non sarebbero d'accordo con quanto previsto nel Piano?

“Perché noto una certa tendenza all'accademismo. In una civiltà diversa dalla nostra si sarebbe levato un movimento guidato dagli intellettuali per la difesa del Piano regolatore”.

E, invece, cosa è successo?

“È successo che a Napoli esprimiamo vizi e virtù del popolo italiano. E l'individualismo è certamente uno dei nostri vizi peggiori”.

Lunedì alle 17, si svolgerà all'Istituto italiano per gli studi Filosofici un forum dal titolo “Pianificazione, ambiente, sviluppo”.Parteciperanno: Mauro Agnoletti, Piero Bevilacqua, Donato Ceglie, Pasquale Coppola, Vezio De Lucia, Antonio Di Gennaro, Maurizio Franzini, Edoardo Salzano. Coordinerà: Gabriella Corona.

Foto Pozzuoli bay (Napoli - Italy), © 2003 Carlotta Perazzi

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