«Quando si deve decidere qualcosa circa le città e i castelli e le province che, per grazia di Dio, sono sottoposti al nostro governo, non c'è nessuno nella nostra amministrazione che sappia dare informazioni precise sui siti nei quali essi si trovano, sulla loro latitudine e longitudine, sui confini e sui domini limitrofi e così via; e se a qualcuno si chiedono informazioni queste sono spesso diverse a seconda dell'interlocutore, perché ciascuno risponde come crede. Si provveda perciò perché nella nostra Cancelleria e nella sede del nostro Consiglio dei Dieci vi sia, veridicamente disegnata, l'immagine di tutte le nostre città, terre, castelli, provincie e luoghi, talché chiunque voglia decidere e provvedere in merito ad essi ne abbia davanti agli occhi reale e precisa cognizione, e non debba affidarsi all'opinione di chicchessia» (versione dal testo latino pubblicato in G.B. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del Palazzo Ducale di Venezia, Venezia 1868).
Così, mezzo millennio fa (e precisamente il 27 febbraio 1460), Pietro Mocenigo, Bernardo Giustiniano e Marco Donato, i tre capi del Consiglio dei Dieci della Repubblica Serenissima di Venezia, deliberavano di formare la prima cartografia esplicitamente finalizzata al governo del territorio. Già allora quindi, trentadue anni prima del viaggio che portò Crístoforo Colombo ad aprire le strade delle Americhe e la storia a varcare le soglie dell'età moderna, le carte non erano solo un bell'oggetto, l'opera grafica di segno raffinato, la gratificante rappresentazione d'una porzione del mondo: erano soprattutto strumento d'una conoscenza volta al governo, all'azione politica e amministrativa. Già allora, un reggitore della respublica, per essere efficace e corretto nello svolgimento del suo compito, per non essere soggetto alle multiformi e variate opinioni dei suoi interlocutori, doveva disporre d'una cartografia «veridicamente disegnata», tenerla «davanti agli occhi» là dove e quando decideva.
Come delle carte antiche anche del fotopiano a colori del centro storico di Venezia, della moderna forma urbis di questa città preziosa, ciò che in primo luogo e a prima vista colpisce è la bellezza dell'oggetto. Non è un aspetto da trascurare, non foss'altro per il fatto che rende evidente in modo particolare la qualità, la delicatezza (la perfezione, si vorrebbe dire) di quella concreta realtà - fatta di edifici che sono anche valori economici e patrimoni, di acque che sono anche minaccia di allagamentí, di persone che sono anche bisogno di lavoro e di casa: fatta quindi di oggetti e di problemi - che è necessario governare e amministrare per la quale è perciò ogni giorno necessario compiere scelte. Scelte che quella qualità possono salvare e valorizzare oppure, e viceversa, guastare e compromettere.
Anche la bellezza dell'irnmagine, poiché è l'espressione, mediata dalle tecniche più sofisticate oggi esistenti, della bellezza dell'oggetto su cui si esercita l'azione degli amministratori - e di quanti operano, in un modo o nell'altro, nella città e per la città - è un invito ad agire, a scegliere, a decidere perché la ricchezza di quel patrimonio sia conservata e accresciuta: è un invito e una sollecitazione al «buon governo».
Ma se l'amministrazione comunale di Venezia ha deciso d'impegnare una quantità non irrilevante di risorse, e di lavoro, per la costruzione di un nuovo sistema informativo, di cui il fotopiano è il primo elemento, non è certo per una motivazione estetica, né per richiamare se stessa (e gli altri) alle proprie responsabilità. È stato invece per la convinzione che oggi più che mai la conoscenza è il presupposto ineliminabile delle scelte nelle quali consiste l'azione amministrativa e politica.
Quanto più le scelte vogliono essere calzanti con la realtà su cui intervengono, tanto più la conoscenza deve essere precisa, completa, attendibile. Quanto più le scelte vogliono potersi adeguare, con tempestività, ai mutamenti della realtà, tanto più la conoscenza deve essere aggiornabile, in modo altrettanto tempestivo, e sistematico. Perciò si è deciso di procedere, avvalendosi di esperti tra i più qualificati nel settore, all'individuazione delle imprese cui affidare la realizzazione dei sistema cartografico e informativo secondo metodi che garantissero di scegliere le imprese più qualificate a fornire il prodotto più rigoroso. E perciò si è deciso di utilizzare, per la formazione di quel sistema di cui il fotopiano è la componente più ricca di qualità formali immediatamente percepibili, soluzioni tecniche basate sull'impiego delle più sofisticate possibilità dell'informatica.
Una conoscenza quindi, quella di cui il sistema informativo è l'essenziale strumento, che ha una finalizzazione ben più ampia, ricca, complessa di quanto non fosse necessario alla metà del xv secolo. Esso infatti è finalizzato a un modo di governare le trasformazioni nella città che si propone di superare, e radicalmente, i limiti e gli errori che hanno contrassegnato nel recente passato i modi in cui le città si sono modificate. Si sa che - laceratasi con l'età moderna l'unità profonda tra cultura e prassi da cui è stata prodotta la qualità delle città storiche, e la loro capacità di modificarsi di continuo nel rispetto delle regole non scritte che ne determinavano la forma - ai guasti delle trasformazioni operate sotto la sola spinta degli interessi economici privati si è tentato, nei paesi europei, di porre riparo con la pianificazione urbanistica. Ma i modi in cui la pianificazione urbanistica è stata applicata in Italia (e non solo in Italia) sono in questi anni soggetti a una critica di fondo: per il rinvio generalizzato, dai piani generali, a scelte di pianificazione via via più dettagliate; per la rigidità di scelte sull'uso dei territorio compiute una volta per tutte; per il carattere meramente vincolistico delle normative; per l'insufficiente attenzione ai problemi (e all'obiettivo) della qualità urbana; per la separazione tra il momento della pianificazione e quelli della programmazione e della gestione.
Superare questo modo di pianificare esige certo molte cose: intelligenza e capacità di amministratori e di operatori tecnici; adeguamento di leggi; disponibilità di risorse; volontà di innovazione culturale. Tra le altre cose necessarie, non irrilevante è - appunto - la disponibilità di un sistema informativo costruito su misura per un nuovo modo di governare le trasformazioni urbane, ad esso finalizzato: che sia, quindi, così preciso da consentire di evitare il rinvio a successivi strumenti e livelli di piano, così completo da contenere tutte le informazioni necessarie per decidere in relazione agli obiettivi, così aggiornabile da potersi adeguare alle modificazioni via via indotte nella realtà, così flessibile da poter essere impiegato in tutte le fasi del processo di intervento nella città.
Non è certo sfuggito, agli amministratori della città, che realizzare un sistema informativo quale quello del quale qui si sono esposte le ragioni, significa fondare le scelte politiche su un quadro di conoscenze organizzato in modo tale da ridurre fortemente la discrezionalità delle scelte medesime: per meglio dire, da obbligare a rendere misurabili e valutabili gli effetti delle decisioni operate, e da consentire precisi riscontri tra l'enunciazione degli obiettivi e la coerenza con cui da essi derivano concrete conseguenze. Si può allora concludere che il nuovo sistema cartografico veneziano non è solo una innovazione sul piano delle tecniche adoperate e dei metodi di pianificazione cui è finalizzato. Esso è anche (può essere) strumento e sollecitazione a una innovazione sul piano della cultura politica e amministrativa. Ed è significati- vo che una spinta così complessiva, così multiforme, all'innovazione e al progressi venga da una città così antica, e che ha in modo così completo conservato la propria forma urbis: come le tavole qui raccolte limpidamente testimoniano.