Il Gazzettino, 25 settembre 2019. «mi piace pensare che nel giorno in cui Eddy ci ha lasciati le piazze del mondo sono stracolme di giovanissime ragazze e ragazzi (Friday for Future) che chiedono le stesse cose per cui si è battuto per una vita».
Altri diranno e scriveranno di Edoardo Salzano urbanista, scienziato del genius loci degli spazi urbani e dei paesaggi. Cultore della “rivoluzionaria forza del passato” (come diceva Pasolini). Intransigente nemico di ogni mercatizzazione dei beni comuni storici e naturali. Convinto che la bellezza e l’armonia debbano essere condivise tra tutte e tutti, senza discriminazioni, esclusioni, gerarchie di sorta. Altri, i suoi allievi dell’IUAV, gli studenti della scuola estiva, i numerosissimi followers del sito eddyburg, scriveranno della sua innata vocazione pedagogica. Le sue attività sono bene descritte in: Memorie di un urbanista, Corte del Fontego, Verona, 2010. Altri ancora scriveranno di Salzano amministratore locale, consigliere regionale del Veneto, assessore per dieci anni al Comune di Venezia. Altri si ricorderanno di Eddy politico, “cattocomunista”, formatosi nell’amato Pci frequentando Franco Rodano, Claudio Napoleoni e lavorando alla Rivista Trimestrale.
Fany-Blog, 25 settembre. E' morto a 89 anni l'urbanista veneziano Edoardo "Eddy" Salzano, assessore comunale per un decennio nel Comune lagunare...
E' morto a 89 anni l'urbanista veneziano Edoardo "Eddy" Salzano, assessore comunale per un decennio nel Comune lagunare. Ne dà notizia lo scrittore e politico Gianfranco Bettin.
«E' stato un grande veneziano - afferma Bettin in una nota - anche un grande urbanista e un intellettuale a tutto campo, uno dei migliori, dei più appassionati e concretamente attivi del suo tempo, e del nostro: ancora l'8 giugno scorso, in carrozzella, era in calle, in fondamenta e in piazza nella grande manifestazione veneziana contro le grandi navi. Ha contribuito a ripensare e a difendere Venezia, e ogni bene comune, la 'città come bene comune', sia quando l'ha amministrata (1975-1985) fino a oggi». Salzano è stato ambientalista di sinistra fin dalla militanza nel Pci e poi nei movimenti fino all'adesione a Potere al Popolo! e alla vicinanza a gruppi e associazioni impegnati nella difesa dei territori.
Salzano non era però veneziano di nascita ma li viveva dal 1975. Era nato a Napoli nel 1930 nella casa del nonno, il generale Armando Diaz. Grande il suo lavoro ed impegno politico.
Da amministratore, prima al consiglio comunale di Roma, poi a Venezia, dov’è stato assessore all’urbanistica; da progettista, tra i tanti il piano paesaggistico della Sardegna; da professore di urbanistica, alla Sapienza e all’Iuav; da presidente dell’Inu e da fondatore e direttore di urbanistica informazioni (prezioso mensile dell’Inu); da saggista, a cominciare dal fondamentale Urbanistica e società opulenta del 1969, a decine di altre libri, a un numero sterminato di articoli.
Fino alla scoperta di internet, del Web e nel 2003 fonda il sito web Eddyburg.it il sito al quale dal 2003 ha dedicato il meglio della sua energia e della sua intelligenza, facendolo diventare lo strumento più diffuso nel nostro Paese da chi si occupa di urbanistica, di città, di paesaggio.
Non sto qui ad elencarvi tutti i libri e le miriadi di cose che ha fatto.
Un grande abbraccio all'amico Francesco per la perdita del padre e condoglianze a tutta la sua famiglia.
Perunaltracittà. Edoardo Salzano ci ha lasciato. Ha passato il testimone a noi, sue e suoi allievi, amici e compagni, lettori e collaboratori.
Per ricordarlo [sul sito di perunaltracittà] pubblichiamo il saggio che apre il libro di critica collettiva Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia Romagna (2017, a cura di Ilaria Agostini). Il saggio è una brillante sintesi di sette decenni di urbanistica raccontati attraverso alcune tappe fondamentali, dalla vocazione sociale della disciplina, fino alla capitolazione del controllo pubblico sulle trasformazioni urbane e territoriali.
Coraggio Eddy, noi ci siamo!
la Nuova Sardegna, 24 settembre. «Credo che pochi siano stati in grado di spiegare l'urbanistica sino all'ultima rotella dei suoi perversi meccanismi, specialmente quelli riscontrabili più facilmente nel Sud al quale rimproverava soprattutto l'indulgenza verso le violazioni edilizie».
È morto a 89 anni EdoardoSalzano, tra i più illustri urbanistiitaliani, studioso attento e raffinato delle città antiche e contemporanee edei territori erosi da processi di trasformazione e manomissione; relativispesso a beni culturali tutelati, e ambienti/paesaggi storici e naturalipreziosi. Uno dei suoi ultimi impegni professionali ha riguardato la Sardegna.Si è dedicato dal 2004 al 2006 al Piano paesaggistico regionale, quando Renato Soru, onore al merito, lo hachiamato a coordinare il comitato scientifico e il gruppo di lavoroimpegnato nella redazione dellostrumento portato ad esempio in Europa. All'isola e ai suoi habitat speciali siè appassionato, mettendo generosamente a disposizione la sua esperienza perfare prevalere un modello di sviluppo alternativo al consumo delle areecostiere nell'interesse di pochi.
Hoconosciuto Salzano in occasione di una sua amara sconfitta alla base di unanuova vita: il congresso dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (Milano,1990)quando era appunto presidente dell'INU. L' insuccesso in quello scontro, mairicordato con risentimento, quando era stato il bersaglio dei “modernizzatori”della pianificazione che alimentavano, con tesi azzardate, il brutto climadell'Italia di quella fase spericolata. Aveva dato in quel confronto una lezione di deontologia culturale: o diqua o di là per fare chiarezza, diceva, Viva l’efficacia del piano e delle sueregole nella trasparenza dei rapporti pubblico -privato, abbasso l'“urbanistica frutto di contrattazioni” che qualcuno teorizzava e invocavadisinvoltamente.
Era difficile fraintendere la ricetta di Salzano a difesadelle comunità da quell'intrico di comportamenti che un paio di anni doporisulteranno centrali nell’inchiesta giudiziaria di Antonio Di Pietro &C.Ma la maggioranza dei delegati INU preferiva glissare mettendolo in minoranza. Inevitabile l'uscitadi Salzano dall'Istituto: irreversibile. Da allora la sua decisione dirafforzare l'impegno online per raccontare i vizi della politica impegnata perallentare le regole a difesa del bene comune, una anticipazione di quello che abbiamo visto in questi anni, tu chiamale sevuoi "SbloccaItalia". Si rammaricava Salzano: per la classe dirigentedi questo strano Paese che non ha mai fatto adeguata attenzione, salvo rareeccezioni, ai temi del governo del territorio; e pure la sinistra (e anche ilPci a lungo frequentato da Salzano) si èconcessa troppe distrazioni nonostante il discorso sull'austerità di Berlinguerdel 1977, che anche Salzano leggeva come un inascoltato invito anzitempo a nonconsumare il suolo.
Della debolezza dell'urbanistica – le sconfitte che la legano a quelle della sinistra – siparla in varie parti di un suo libroautobiografico Memorie di un urbanista (Corte del Fontego, 2010). Nellosfondo l'idea della “politica come attivazione morale” probabilmente suscitatadalle memorabili discussioni con Franco Rodano. Per contribuire ad arginare questo processo, nel 2003 ha dato vita aeddyburg.it, un sito di successo al quale ha dedicato grande parte del tempo in questi anni. Eddyburg che “si occupa di urbanistica,società, politica (urbs, civitas, polis) e di argomenti che rendono bella,interessante e piacevole la vita”, ha potuto contare su un gruppo di amici collaboratori e su unaimpressionante quantità di accessi al giorno cresciuti continuamente nel tempo,segnale di attenzione per il pensiero del grande urbanista, maestro di tanti. Credo di essermiemozionato tante volte per le sue parole, indimenticabile il suo discorso inoccasione del compleanno per gli 80 anniportati benissimo. Anche quella volta ci aveva ricordato che che «gli insediamenti umani non sono prodotti del mercato, ma il frutto diun lavoro solidale della società». La commemorazione laica nella sede di Ca'Tron dell'Università Iuav a Venezia, dove abitava e dove sino a qualche settimana fa si batteva contro l'ingresso delle grandinavi in laguna.
Globalist.it, 24 settembre 2019. «Scomparso a 89 l’intellettuale che ancora a giugno manifestava contro le “grandi navi” a Venezia».
A 89 anni domenica 23 si è spento Edoardo Salzano, urbanista che considerava la città come luogo collettivo e non di speculazioni private e urbanistiche. Per l’urbanistica la sua disciplina era un mestiere concreto che si misurava con il vivere collettivo e con la politica: dal 2003 che aveva riversato la sua azione in un sito web in grado di ospitare più voci e diventato un riferimento, eddyburg. Dove eddy era il nome con cui lo conoscevano tutti, burg sta appunto per città. Salzano è morto a Venezia, dove viveva dal 1974.
Nato a Napoli nel 1930, nipote del generale Armando Diaz, a Roma dal 1952, laureato in ingegneria, maestro per generazioni di studenti, aveva fuso lo studio delle città e del vivere collettivo con un’idea della politica come servizio pubblico. Sul Manifesto l’urbanista Vezio de Lucia lo ha descritto come uomo «disinteressato alle convenienze personali, inguaribilmente ottimista» e ha ricordato il suo libro più conosciuto, Fondamenti di urbanistica: «Il primato dell’interesse comune sull’interesse del singolo è il principio da assumere come stella polare dell’urbanistica». «Fu tra i primi, più di trent’anni fa, a imporre rigorose regole urbanistiche (cancellate dalle successive amministrazioni) alla devastante penetrazione del turismo in ogni brandello dell’edilizia storica», rammenta sconsolato De Lucia aggiungendo: «la prima cosa che ci ha insegnato è che l’urbanistica è politica, senz’altra qualificazione».
Eddy Salzano ha redatto un piano sulla città storica di Venezia e uno paesaggistico della Sardegna. Ha scritto a lungo su l’Unità. Tra i suoi titoli si annoverano Memorie di un urbanista (Corte del Fontego, 2010, Salzano), dove parlava tra l’altro del piano regolatore di Roma approvato nel 1965 e di una città in preda agli fondiari e immobiliari privati, e il saggio Urbanistica e società opulenta (Laterza, 1969).
Salzano si è sempre definito comunista. Aveva militato nel Pci. Con la compagna Ilaria negli ultimi anni era in Potere al popolo. Come ricorda De Lucia, a giugno era in sedia a rotelle. Ma non si era perso la manifestazione contro le grandi navi. I dimostranti lo hanno salutato con un applauso interminabile.
«È stato un grande urbanista e un intellettuale a tutto campo, uno dei migliori, dei più appassionati e concretamente attivi del suo tempo – ha scritto in una nota Gianfranco Bettin, scrittore e già assessore comunale a Venezia - Ha contribuito a ripensare e a difendere Venezia, e ogni bene comune, la “città come bene comune', sia quando l'ha amministrata fino a oggi». Balzano fu assessore dal 1975 al 1985 in una giunta di sinistra nel Comune lagunare.
Ma dove vivi? - La città raccontata mi portai e mostrai i ciclostilati del 1973 ...
Ma dove vivi? - La città raccontata mi portai e mostrai i ciclostilati del 1973 sulle questioni urbanistiche aperte che lui aveva redatto per la Federazione Romana del Pci e che erano stati distribuiti in tutte le sezioni romane. Mi fa ridere, oggi, l’affermazione “stare sul territorio”, allora non si usava dire così, ma lo si faceva sul serio in una rete organizzata che legava vertici e periferia. Tutto questo è stato poi man mano demolito nelle successive trasformazioni del più grande partito della sinistra.
P.S. Riporto la dedica che mi fece quel giorno, ben conoscendo la mia passione belliana, con quel verso “venissimo a capì che so’ misteri”, a stabilire una sorta di complicità in quella passione stessa. D’altra parte nel sito da lui creato, www.eddyburg.it, non ci son solo contributi (originariamente meglio raggiungibili) di urbanistica o politica, ma anche poesie, brani letterari, canzoni, ricordi personali e perfino ricette di cucina. Tra quei ricordi, interessante e simpatico quello riguardante il nonno materno, Arnando Diaz, che per un colpo di pistola (che non si tirò) divenne poi il grande generale della Vittoria del 1918.
Città e società come naturale impegno politico, riflessione e analisi sempre improntate al benessere della persona. Un sognatore certo, e meno male, un sognatore concreto, analitico e razionale. L'impegno continuato caparbiamente con Eddyburg e da subito con noi. E per noi è stato un compagno gentile e combattivo, la sua storia e competenza messe a disposizione di tutti e tutte.
Oggi con gli occhi pieni di lacrime, domani con il tuo bel sorriso ironico e saggio, Eddy, sarai sempre con noi. Questo era ciò che vedevi in noi e questo è ciò che porteremo avanti anche per te:
"l’esistenza di una realtà politica lucidamente critica e non assoggettata al degrado politico e ancor prima culturale ed etico. Un movimento politico che sta ricostruendo, a partire dai territori, relazioni sociali e pratiche fondate sul contrasto di ogni forma di sfruttamento e prevaricazione tra esseri umani e tra questi e la natura."
Grazie per essere stato con noi!
Un abbraccio immenso a Ilaria, ai figli e ai familiari.
il Fatto Quotidiano, 24 settembre. «Mai rassegnato e sempre fiducioso nei giovani, continuerà a parlarci, tra l’altro, dal prezioso sito eddyburg.it»
In un Paese di palazzinari e abusivismo, di condoni e varianti speciali, mancherà la parola indomita e garbata del sommo urbanista napoletano Edoardo Salzano (1930), spentosi domenica notte a Venezia dove viveva da 45 anni (insegnò a lungo allo IUAV).
Prima come consigliere comunale del PCI in Campidoglio e poi, tra il ’75 e l’’85, come assessore all’Urbanistica nelle giunte socialiste di Venezia, Salzano vide arrivare, e tentò di prevenire e combattere, sia le lottizzazioni che sfigurarono il volto e i contorni di Roma, sia lo spolpamento turistico di Venezia avviato con le fanfare dell’era Cacciari e mai più arrestatosi.
Fedele all’idea della città come bene comune, alla priorità assoluta del controllo pubblico della polis sopra il vantaggio privato, non si limitò alle parole: suo il Piano particolareggiato per il centro storico di Venezia (rapidamente accantonato con le “privatizzazioni” e le “valorizzazioni” degli anni ‘90), suo il Piano paesaggistico della Sardegna, suoi mille interventi nelle grandi e piccole città d’Italia, tutti volti a creare città veramente “sostenibili”, in dialogo con i loro contesti, incentrate sulla condivisione e l’incontro dei cittadini, sulla riduzione delle diseguaglianze, sulla creazione e la difesa di una “qualità urbana” scissa dalle logiche del profitto.
Mai rassegnato e sempre fiducioso nei giovani, continuerà a parlarci, tra l’altro, dal prezioso sito eddyburg.it. Solo poche settimane fa era a manifestare contro le Grandi Navi: un nonagenario che, nipote del generale Diaz, aveva vissuto da vicino l’attentato di via Rasella e la fallita riforma urbanistica di Fiorentino Sullo, l’autunno caldo del ‘69 e la riforma Lupi, sapeva ancora incantare decine di liceali rapiti spiegando loro il rapporto inscindibile fra Venezia e la sua Laguna.
E' scomparso oggi Edoardo Salzano. Non è stato solo un grande urbanista, ma uno dei più importanti intellettuali militanti della sinistra italiana, un compagno che non ha mai smesso di battersi contro la speculazione edilizia, la rendita, la mercificazione della città e del territorio. Un comunista e ambientalista che ha contrastato dagli anni '80 il progressivo affermarsi del neoliberismo che si è aggiunto agli storici vizi del nostro paese che mai si è dato una seria riforma urbanistica. E' stato un protagonista del dibattito politico - culturale e delle battaglie civili e sociali per decenni. Non si è mai lasciato imbalsamare e anche da pensionato ha conservato una vitalità da attivista di movimento creando un sito Eddyburg Eddyburg che è diventato un essenziale punto di riferimento per l'urbanistica e l'ambientalismo ma anche la riflessione sulla sinistra e l'odierno capitalismo, un motore di campagne, consapevolezza, socializzazione dei saperi. Una sacca di resistenza - per dirla in termini zapatisti - che ha messo a disposizione competenze e fatto circolare materiali al servizio delle lotte in difesa dei beni comuni per anni.
Ricordo che fu fondamentale per fermare la famigerata legge Lupi ma purtroppo la proposta di legge urbanistica che aveva elaborato con il gruppo di Eddyburg - tra cui cito Vezio De Lucia e Paolo Berdini - non fu approvata dalla successiva maggioranza di centrosinistra. Ebbi l'onore su loro indicazione di esserne relatore in commissione ambiente nella mia brevissima esperienza parlamentare, ma purtroppo quello che sarebbe diventato il PD l'aveva inserita nel programma dopo un incontro con Prodi prima delle elezioni solo in funzione antiberlusconiana mentre in realtà aveva ormai fatto proprio il punto di vista della deregulation.
La sua vita l'ha dedicata all'Urbanistica. «La scienza sociale», la definiva, «a tutela dei diritti della comunità. «Oggi l'urbanistica non esiste più. Si fanno varianti e accordi con i privati. Si mette "a reddito" il bene di tutti. Siamo nell'epoca dell'urbanistica contrattata». Edoardo Salzano, «Eddy» per gli amici, è morto l'altra notte all'Ospedale civile di Venezia. Avrebbe compiuto fra qualche mese 90 anni, essendo nato a Napoli nel 1930, trasferito a Venezia nel 1974. Eddy aveva un curriculum infinito. Studi e progetti sul paesaggio e sulle città italiane. La guida dell'Inu, l'Istituto nazionale di Urbanistica, l'insegnamento di Pianificazione all'Iuav. E dieci anni da assessore a Venezia, dal 1975 al 1985. Suo il Piano Regolatore che poneva vincoli e garanzie per la residenzialità. Che lo aveva opposto anche ai suoi maestri come bruno Zevi e Leonardo Benevolo.
DA BETTIN A PAOLO CACCIARI
«ERA UN VERO INTELLETTUALE SEMPRE VICINO AI TERRITORI»
« Eddy è stato un grande veneziano. Un intellettuale a tutto campo. Ha contribuito a ripensare e d difendere Venezia. Perfino dissentire con lui era prezioso, perché costringeva ad argomentare, a volte anche a cambiare idea». Così Gianfranco Bettin, presidente della Municipalità di Marghera, ricorda Eddy Salzano. «Era gentile e marxianamente radicale», continua, «un ambientalista di sinistra sempre vicino ai territori e alle associazioni. Resteranno di Eddy i suoi libri, il suo lavoro, Eddyburg, sito e laboratorio necessario di progetti e idee. Guardo oltre ha scritto in uno dei suoi ultimi interventi. Ci lascia molto e ci mancherà molto».
il manifesto, 24 settembre. Lutto a sinistra. Addio a Eddy Salzano
Alla formazione dedica anche i successivi anni. I corsi di urbanistica nell’università di Venezia e i sistematici volumi, come Fondamenti di Urbanistica o la preziosa collana Amministrare l’Urbanistica da lui diretta per conto della Lega delle Autonomie che toccò tutti i temi della cassetta degli attrezzi di un buon amministratore. Nella Venezia degli anni ’80 amministrate da giunte di centro sinistra, Salzano si cimenta anche nella concreta gestione della città come assessore all’urbanistica. Guarda lontano e fa approvare un piano urbanistico di tutela dell’intera città. Dal 1983 al 1991 diviene presidente dell’Istituto nazionale di Urbanistica. Anche in questo caso, mette al centro la formazione culturale e la divulgazione dei temi della città e del territorio, fondando Urbanistica informazioni, punto di riferimento per una generazione di amministratori pubblici e tecnici. Eddy è dunque il punto di riferimento della cultura urbanistica della sinistra negli anni dell’avanzata politica e culturale.
Il trionfo del neoliberismo degli anni ’90 provocò in breve tempo una rottura violenta di questo insieme di azioni. All’interno dell’INU prevalse la cultura della negazione dell’urbanistica. Lo scontro si concluse con la sconfitta di Salzano che dovette abbandonare la presidenza. Fu privato addirittura della direzione della rivista: della sua azione non doveva restare traccia. Il suo fondamentale piano urbanistico di Venezia, costruito insieme al compianto Gigi Scano, fu gettato alle ortiche dalle successive amministrazioni progressiste guidate da Massimo Cacciari. In quel decennio, la sinistra di governo passò dal periodo delle grandi elaborazioni e della spinta ideale ai “piani casa”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la fine del governo pubblico delle città e il trionfo della proprietà fondiaria.
E si trova in questo momento cruciale tutta la genialità e le qualità di Salzano. In quel periodo buio non ebbe infatti mai dubbi o ripiegamenti e si dedicò senza sosta all’ultimo capolavoro. A cavallo degli anni 2000, nella sua stanza di Dorsoduro ideò Eddyburg, uno straordinario sito, unico nel panorama europeo che parla di città, di territori, di benessere sociale e che da quasi venti anni ha preservato i principi dell’urbanistica pubblica. Il metodo Salzano, che antepone gli interessi collettivi a quelli dei gruppi dominanti, ha colmato il vuoto lasciato dal crollo della sinistra di governo. Non per nulla, nel suo ultimo periodo Eddy collaborò a più riprese con tutti i tentativi di dare vita a schieramenti di sinistra in Italia e fu punto di riferimento dei tanti comitati che, a partire da Venezia, si battono per la città come bene comune.
C'era quando abbiamo dato vita all'avventura di Poveglia per tutti, sostenendola e incoraggiandoci: come un contadino inspira l'odore del fieno, così l'urbanista interviene nell'urbe, tradisce ogni cattedra per la piazza. Di lui non ci colpì solo l'indiscussa onestà e la sua capacità di ascolto, per quanto essa divenga rara qualità quando il sapere tende a tracimare il tempo che lo costringe. Ciò che più ci toccava di Eddy era il modo trascinante con cui guardava al progresso umano. Non allo sviluppo, il troppo umano inseguimento della macchina che l'uomo stesso produce e che poi lo asserve, no, proprio al progresso umano, quella precondizione indispensabile alla tutela ambientale dalla specie che oggi più ne minaccia gli equilibri. Quello sguardo sorridente, indubbiamente figlio dell'era delle utopie. E appassionante, minuziosamente attento alle persone, alla valorizzazione del soggettivo. Oltre alla sua vicinanza e al suo sapere è proprio questo ciò che ancora ci mancherà di Eddy, un insegnamento di cui siamo stati involontari allievi e di cui forse un giorno saremo a nostra volta involontari maestri. Perciò grazie Maestro, nulla andrà disperso.
il manifesto, 24 settembre. Si è spento ieri a Venezia Edoardo Salzano, per tutti Eddy, urbanista, studioso di città e di politica che ha formato decine di urbanisti e intellettuali.
Da amministratore, prima al consiglio comunale di Roma, con Aldo Natoli e Piero della Seta, poi a Venezia, dov’è stato assessore all’urbanistica; da progettista, e ricordo solo il piano paesaggistico della Sardegna; da professore di urbanistica, alla Sapienza e all’Iuav; da presidente dell’Inu e da fondatore e direttore di urbanistica informazioni (prezioso mensile dell’Inu); da saggista, a cominciare dal fondamentale Urbanistica e società opulenta del 1969, a decine di altre libri, a un numero sterminato di articoli. Fino alla scoperta di internet, del Web, e quindi di eddyburg, il sito al quale dal 2003 ha dedicato il meglio della sua energia e della sua intelligenza, facendolo diventare lo strumento più diffuso nel nostro Paese da chi si occupa di urbanistica, di città, di paesaggio.
Sulla testata campeggiano le parole Urbs, Civitas, Polis (la città fisica, la società che la vive, la politica che la governa), e si legge che il sito tratta di «argomenti che rendono bella, interessante e piacevole la vita di alcuni e difficile, tormentata, disperata quella di altri».
Grande spazio è occupato da Venezia, di cui Salzano, da amministratore prima, da studioso e attivista poi, è uno dei massimi conoscitori, consapevole che la città e la laguna sono tutt’uno, simul stabunt simul cadent. E fu tra i primi, più di trent’anni fa, a imporre rigorose regole urbanistiche (cancellate dalle successive amministrazioni) alla devastante penetrazione del turismo in ogni brandello dell’edilizia storica.
Ma la sua dimensione suprema è stata la politica. La politica ha racchiuso in sé la sua filosofia di vita, la ricchezza e la complessità dei suoi interessi: la prima cosa che ci ha insegnato è che l’urbanistica è politica, senz’altra qualificazione. Ha cominciato giovanissimo, con Franco Rodano, Claudio Napoleoni e il gruppo di cattolici, comunisti ed ex democristiani (da Tonino Tatò a Mario Melloni, Ugo Baduel, Giancarlo Paietta, Marisa Rodano, Lucio Magri, Giuseppe Chiarante).
Ha scritto di sé «ragazzo di bottega di una scuola di profeti». Su Dibattito politico, la prestigiosa rivista fondata da alcuni di loro, Eddy scrisse lunghi e complessi articoli, non solo di urbanistica, addirittura sulla politica agraria dell’Urss. Ha continuato fino alla fine a dichiararsi comunista, ad avere lo stile del comunista (Rossana Rossanda ha scritto che i comunisti sono stati gli ultimi ad avere uno stile). Negli ultimi tempi, con la compagna Ilaria, ha militato in Potere al popolo.
Nel giugno scorso, in sedia a rotelle, all’ultima affollata manifestazione contro le grandi navi, è stato travolto da un applauso che non finiva mai.
Ciao Eddy, fratello mio.
Su uno c'era una dedica, che era chiaramente una affettuosa bugia, ma che in quel momento mi fece molto bene al cuore (era una assemblea molto difficile per me quella, politicamente ma soprattutto emotivamente). C'era scritto: «Alla mia compaesana, molto più brava di me, con amicizia. Eddy».
L'ho conosciuto poco dopo a Mestre. Nessuno ha mai fatto un intervento più divertente a un'iniziativa politica. Sì, era divertente e gentile e accogliente. Per me è stato questo, non il "nostro Lefebvre", il mostro sacro, non il politico o l'accademico autorevole, ma un compagno speciale.
L'ho conosciuto molto meno di quanto sperassi, mi sarebbe piaciuto tanto fargli vedere l'opg, che potesse tornare nella sua Napoli ancora una volta per raccontargli e soprattutto farci raccontare tante cose. Grazie di tutto Eddy, cercheremo di fare del nostro meglio per ricordarti continuando le nostre battaglie con creatività e allegria.
A Ilaria va l'abbraccio fortissimo mio e di tutti i compagni napoletani.
L'avevo sempre sentito nominare, ascoltato più volte, ma mai incontrato. Dopo una chiacchierata in cui volle sapere soprattutto che cosa volevamo da lui e che cosa pensavamo del futuro, accettò di occuparsi di Asolo. E lo fece con una passione e un impegno straordinario, salendo più volte in municipio, incontrando gli amministratori, i residenti del centro, gli operatori. Senza risparmiarsi. Fu una bellissima esperienza, condotta con Mauro Baioni ed altri amici, che fruttò mille chiacchierate e un interessante studio sul futuro di Asolo, assolutamente attuale. Pretese il tu, come se ci conoscessimo da sempre.
Napoletano di nascita, veneziano nell'anima, nella sua vita aveva fatto di tutto: il consigliere comunale a Roma, l'assessore all'urbanistica a Venezia (fu il padre del Piano regolatore generale), il consigliere regionale in Veneto, il presidente degli urbanisti italiani. Era il più bravo. Riusciva a coniugare la pianificazione con la cultura, consapevole che l'Urbanistica è sempre legata all'attività umana e alla sua qualità. Una persona di grande spessore e di grande umanità. Ci siamo rivisti in seguito, alla scuola estiva di Eddyburg, la comunità di giovani che ha coltivato con grande generosità. Eddyburg è anche il sito che sino all'ultimo ha cercato di alimentare, con tutto il meglio della pubblicistica legata all'urbanistica e all'ambiente che si trova in Italia. Un punto di riferimento imprescindibile. Ci eravamo dati un appuntamento reciproco, appena pochi mesi fa, per un incontro che non sono riuscito a realizzare. Resterà tra i miei rimpianti.
Ciao, Eddy
Ci ha lasciato Edoardo Salzano, un pezzo di storia dell’urbanistica italiana che molti conoscono attraverso l’incredibile sito da lui fondato, Eddyburg che si occupa “di città, società, politica (urbs, civitas, polis) e di argomenti che rendono bella, interessante e piacevole la vita“, dal quale Carteinregola ha spesso attinto articoli e riflessioni e che ha spesso ospitato articoli di Carteinregola. Ma soprattutto Eddy era un uomo che voleva rendere il mondo migliore, un sognatore, un lucido analista, e un antifascista e un difensore degli ultimi. E tante altre cose che lasceremo raccontare a chi ha diviso con lui pezzi di vita e di impegno. Qui, un’intervista registrata a Venezia il 15 marzo 2017 tratta da Autoritratti. L’Urbanistica italiana si racconta” (AMBM)
INU, 23 settembre 2019. «È stato un grande animatore all’interno dell’Inu, fino a ricoprirne la carica di Presidente dal 1983, dopo il XVII° Congresso dell’Istituto, al 1990».
Salzano ha abbandonato l’Istituto l’anno dopo, in polemica con la nuova linea culturale tracciata nel XX° Congresso di Palermo del maggio 1993, che ha chiuso un biennio di aspro – ma franco e interessante – confronto interno a valle del XIX° Congresso di Milano del settembre 1990, significativamente titolato Il territorio dell’urbanistica. Dal 2003 ha poi affidato al sito eddyburg.it le riflessioni e il pensiero sui temi disciplinari, di ricerca, sulla città, la società e la politica.
Era nato a Napoli il 5 febbraio 1930 e laureato a Roma nel 1957 in ingegneria civile edile. Dopo una robusta attività di ricerca nella scuola romana di Federico Gorio, una significativa attività professionale, nonché una consistente attività politica nella sinistra comunista, ottiene la libera docenza in urbanistica nel 1967, e la conferma nel 1972, quando viene chiamato da Giovanni Astengo, come professore incaricato di materie attinenti l’urbanistica dal 1972 al 1976, nel neonato Corso di laurea in Urbanistica dell’Istituto universitario di architettura di Venezia (Iuav), dove sarà anche professore straordinario di Urbanistica nel 1976 e infine professore ordinario dal 1979.
Allo Iuav ha insegnato Progettazione del territorio dal 1979 al 1993 e poi Fondamenti di urbanistica.
È stato presidente del Corso di laurea in Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale dello Iuav dal 1994 al 2001 e Preside della Facoltà di Pianificazione del territorio dal 2001 al 2003.
A questa attività istituzionale ha sempre affiancato una significativa attività politica (consigliere comunale a Roma dal 1966 al 1974, consigliere comunale a Venezia dal 1975 al 1990, e assessore all’urbanistica dal 1975 al 1985, consigliere regionale del Veneto dal 1986 al 1990), una altrettanto significativa attività negli organi di supporto alle pubbliche amministrazioni centrali e locali (membro esperto del Consiglio superiore dei lavori pubblici dal 1971 al 1974, componente della Commissione regionale tecnico-amministrativa della Regione Toscana dal 1972 al 1992), e soprattutto una robusta e costante attività di progettazione di numerosi piani provinciali e comunali.
Salzano era anche un grande ed instancabile divulgatore intorno ai temi della città, dell’urbanistica e della società. Capì, prima di molti altri, che fare urbanistica era soprattutto una operazione culturale. La sua produzione di testi, riflessioni, libri, articoli è stata davvero straordinaria e costituisce un patrimonio disciplinare e uno spaccato dell’Italia repubblicana.
L’INU nazionale si unisce al cordoglio e alla vicinanza ai cari del professore Salzano.
la Repubblica, 23 settembre 2019. Il teorico della città come bene comune, "casa di tutti", è morto a Venezia a 89 anni. Urbanista, laureato però in ingegneria, ha formato generazioni di allievi.
Edoardo Salzano ripeteva spesso che la città non è un ammasso di case, ma la casa di tutti. E se incontrava qualche resistenza nell’interlocutore, incalzava: «La città non è solo un prodotto del mercato, è una creatura sociale, frutto di lavoro collettivo e storico». E se ancora non bastava, attingeva al repertorio classico: «È urbs, struttura fisica, è civitas, cioè società, ed è polis, governo”. Edoardo Salzano, Eddy per chiunque lo conoscesse, si è spento a Venezia, dove viveva dal 1974. Aveva 89 anni.
Eddy Salzano era un urbanista, laureato però in ingegneria, ed è stato maestro per generazioni di allievi, quelli che allo Iuav di Venezia frequentavano i suoi corsi, ma anche quelli che si sono formati sui suoi libri, primo fra tutti Fondamenti di urbanistica (Laterza). Ha redatto impegnativi e coraggiosi piani. Basti ricordarne solo due per afferrare i punti cardinali del suo orientamento politico e culturale: quello della città storica di Venezia e quello paesaggistico della Sardegna. Della città lagunare è stato assessore, dal 1975 al 1985, in una giunta di sinistra guidata dal socialista Mario Rigo.
La sua genealogia intellettuale vede iscritti i nomi di Luigi Piccinato e di Giovanni Astengo, di Federico Gorio e poi di Leonardo Benevolo, dal quale lo divisero aspri dissensi proprio a proposito di Venezia. A questi apporti, non solo disciplinari, vanno affiancati quelli di Franco Rodano e di Claudio Napoleoni, animatori della Rivista trimestrale, intorno alla quale si riuniva il gruppo degli intellettuali comunisti di provenienza cattolica. Salzano, che era nato a Napoli nel 1930 ed era nipote del generale Armando Diaz, era arrivato a Roma nel 1952 e, iscritto al Pci, scriveva per l’Unità e fu eletto consigliere comunale.
In Memorie di un urbanista, uscito dalla Corte del Fontego nel 2010, Salzano racconta gli anni della estenuante gestazione del piano regolatore di Roma, poi approvato nel 1965, e di come Roma sotto i suoi occhi crescesse assecondando solo interessi fondiari e immobiliari, comunque privati. Nel 1969 uscì un suo saggio, Urbanistica e società opulenta (Laterza), che non piacque ad autorevoli architetti come Bruno Zevi, ma che influenzò fortemente chi in quegli anni si laureava.
Per Salzano è rimasto un punto fermo il controllo pubblico delle trasformazioni urbanistiche. La città, ripeteva, non è un aggregato edilizio: se si lascia fare al solo mercato immobiliare o, tutt’al più, a una contrattazione in cui il contraente pubblico si piega ai voleri di quello privato, ecco che la città perde la propria ragion d’essere, perde qualità e danneggia la civitas. È compito dell’urbanistica disegnare l’assetto di una città considerando i bisogni e le aspirazioni di chi la vive. L’urbanistica è una scienza eminentemente sociale, non un freddo manuale di norme.
Non è andata come avrebbe voluto. In pensione, Eddy Salzano si è inventato un altro mestiere. O, meglio, ha cercato nuovi mezzi per raccogliere le sue riflessioni e per coinvolgere giovani e meno giovani ricercatori, militanti di associazioni, persone affezionate alla civitas e alla polis. E, sebbene avanti nell’età, ha esplorato la potenza della rete e ha fondato eddyburg, che oggi è il più attrezzato sito in materia di territorio, paesaggio, città, ambiente. È un repertorio di documentazione insostituibile, destinato a tutti, orientato e trasparente dal punto di vista politico e apprezzato anche da chi non ne condivide la radicalità.
Eddyburg è stata la seconda vita di Eddy Salzano, ne ha rinnovato l’energica e ironica lucidità, ha nutrito il gusto della conoscenza e della militanza, gli ha garantito freschezza intellettuale. Fino all’ultimo, fino a che gli occhi lo hanno assistito, anche seduto su una chaise longue davanti a una porta a vetri affacciata su un canale, dietro campo Santa Margherita, la sua preoccupazione era aggiornare eddyburg.
E una seconda vita gli ha assicurato Venezia, dove fu chiamato un po’ per ragioni universitarie un po’ spinto dalla militanza politica. Nella città lagunare, da amministratore, aveva messo le basi per evitare che ci si consegnasse mani e piedi all’economia turistica. Non è andata come avrebbe voluto neanche questa volta.
Ma Venezia non gli sembrava una città per la quale doversi rassegnare. Era in prima fila, su una carrozzella a rotelle, durante la manifestazione in bacino San Marco dopo l’incidente provocato da una delle grandi navi che solcano la Laguna. Troppa qualità nella storia urbana di Venezia, nel suo assetto, nella tenacia di tanti suoi abitanti per finire travolta da un turismo predatorio. Su eddyburg si può leggere quel che Marco Polo dice al Kublai Khan nelle Città invisibili di Italo Calvino: «Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia». «Così è Venezia anche per me», chiosava Eddy.
Molte anime belle, comprendenti gran parte delle persone con cui condivido pensieri, analisi, critiche e moventi, continuano a rivolgere le loro attese, le loro speranze e i loro appelli a soggetti le cui storie e le cui posizioni li rendono assolutamente improponibili come promotori e attivisti di una fase di reale e radicale cambiamento.
Continuano così a rivolgersi a questo o a quel governo, a questa o quella formazione politica presente sul teatrino della politica politicante. Compiendo così un duplice errore: trasmettere la fiducia nella possibilità di quei soggetti a promuovere un cambiamento del mondo che essi stessi hanno contribuito a determinare, e impedire così alla cittadina e al cittadino lontani da quel teatrino incapaci di comprendere ciò che realmente accade e quindi a rendersi disponibili a un reale mutamento.
Parlare oggi di un parlamento democratico significa evocare un mito di cui si sono perse le tracce negli anni recenti. Significa evocare un tempo nel quale i diversi progetti di società espressi in funzione dei differenti interessi di parti della società trovavano insieme il luogo del confronto dialettico e quello della composizione del conflitto fra le parti. Ogni parte aveva dignità, la sua storia, la sua cultura e i suoi esponenti potevano testimoniare la coerenza con la storia personale e di gruppo.
Il parlamento era il luogo dello Stato, rappresentante degli interessi di ogni nazione entro il quale si svolgeva la dialettica. In questo quadro si svolgeva il momento delle elezioni. Queste erano lo strumento mediante cui si verifica quale fosse il consenso ottenuto da ciascuna delle parti e il Parlamento era il luogo istituzionale nel quale si definivano le alleanze necessarie per assicurare il governo dello stato.
Oggi tutto è cambiato. Al posto dei partiti sono nati raggruppamenti elettorali costituenti meri serbatoi di voti raccolti in nome di slogan superficiali, da leader che si sono resi accattivanti mediante tecniche analoghe a quelle che fanno la fortuna dei capipopolo o dei guitti dell’avanspettacolo o, nel migliore dei casi, di una popolarità acquisita attraverso la sapiente modulazione di campagne mediatiche.
Ecco perché oggi ciascuna formazione politica conta in misura dell’ampiezza dei voti di cui essa può contenere, spostandola a seconda della convenienza del momento da una sigla a un’altra, dal rosso al verde, dal bianco al nero, o per dar luogo ai più bizzarri intrecci di colori.
In tal modo la politica quale l’abbiamo conosciuta in tempi ormai lontani è scomparsa del tutto dall’insieme degli interessi quotidiani della più gran parte delle persone. Ecco perché l’astensionismo è endemico così come il richiudersi degli interessi dei potenziali elettori nei microcosmi più legati alla loro quotidianità.
Che fare per uscire da questo stallo? È un problema che si pone in modo particolarmente drammatico negli anni in cui eventi catastrofici minacciano il pianeta, in cui gli interventi e la riduzione del consumo energetico e l’uso parsimonioso delle risorse disponibili sono vitali.
Si pensi solo all’immane spreco di risorse che viene effettuato ogni giorno in misura crescente per alimentare il complesso militare e incrementare la spesa diretta e indiretta per futuri sforzi bellici, dove addirittura le guerre sono inventate, fomentate e usate per sostenere una crescita economica volta ormai solo alla distruzione.
Le bandiere arcobaleno sono ormai archiviate nei musei, ma nessuno dei raggruppamenti politici che usano e abusano della loro presenza nei parlamenti, in cui dovrebbero assumersi impegni, sembra accorgersene.
La risposta non può essere cercata nei blandi richiami del Presidente della Repubblica, che dovrebbe essere il tutelatore della corrispondenza fra le scelte politiche e i principi di fondo della Costituzione repubblicana, ma solo da un movimento di fondo delle speranze deluse, delle attese frustrate, dei tradimenti patiti, aprendo la strada a una nuova fase costituente basata sulla disponibilità a guardare con occhi nuovi la storia.
La laguna è per sua natura condannata da due diversi e opposti destini. Se vince la forza dei fiumi terragni, se prevale l’accumulo dei depositi solidi ecco allora che la laguna da instabile e multiforme specchio d’acqua si trasforma in uno stagno, poi in una palude, e finalmente, magari bonificata dalle umane opere, in un campo. Se vince la forza delle onde marine, l’erosione asporta terra trasformando la laguna in un braccio di mare, baia o golfo.
Contro questi due destini la Serenissima ha combattuto vittoriosamente per mille anni perché ha impegnato in questo obiettivo tutte le intelligenze presenti, le tecnologie adeguate, le risorse mobilitabili, l’autorità disponibile, le capacità di amministrazione saggiamente costruite. La scommessa era mantenere un sistema permanente. Sistema: un organismo costituito da un complesso di elementi, ciascuno dei quali essenziale e vitale, e ciascuno legato agli altri da precise relazioni, non modificabili a piacere senza condurre il sistema al collasso. Permanente: capace di rimanere tale nel tempo, governato dalle medesime leggi mutevoli della natura, benché soggetto agli ulteriori cambiamenti che gli eventi esterni e l’azione dell’uomo producevano. Soprattutto, significava adoperare le leggi della natura con un’accortezza ancora maggiore di quelle che la natura stessa avrebbe impiegato, poiché si trattava di rendere permanente un sistema che essa avrebbe cancellato, in un modo o nell’altro.
La caduta della Repubblica di Venezia (1797) fu senza dubbio la causa più appariscente del cambiamento: la fine di un governo unitario della Laguna. Eventi più vasti erano accaduti e il mondo era cambiato. Il trionfo del sistema economico-sociale capitalistico aveva introdotto modi nuovi di governare i rapporti tra gli uomini e quelli degli uomini con la natura e il mondo circostante. Ogni frutto prodotto dall’uomo o dalla natura, da bene (oggetto dotato d’una sua individualità e di un suo valore d’uso) era stato trasformato in merce (mero deposito di valore di scambio, oggetto fungibile con qualsiasi altro). L’individualismo, molla potente del progresso quantitativo, aveva via via cancellato le regole della comunità, soprattutto là dove queste minacciavano il “diritto” all’appropriazione privata dei beni disponibili. L’ambiente naturale, fino ad allora rispettato e temuto compartecipe dell’essere umano nel suo progetto di trasformazione e utilizzazione del mondo, era diventato semplice materia prima dello sfruttamento capitalistico. Lo Stato era diventato strumento per l’affermazione d’ogni borghesia capitalistica, nella concorrenza feroce per l’impossessamento di “ambienti” diversi, di “nature” diverse da sfruttare, trasformare, alienare.
Questi grandi mutamenti si riflettono sulla Laguna di Venezia. Dissolto l’ombrello protettivo delle regole che tutelavano i regimi proprietari, e la stessa consapevolezza della laguna come bene comune, parti estese del territorio lagunare sono privatizzate (bonificate o trasformate in bacini chiusi da argini) e usate in vista di tornaconti immediati. Ridotto così (di circa un terzo in mezzo secolo) l’ambito dove potevano estendersi le maggiori alte maree e le piene dei fiumi sversanti in Laguna, sono aumentate le frequenze e le intensità delle inondazioni dei centri abitati. Analogo effetto ha avuto l’approfondirsi dei maggiori canali d’accesso e delle stesse bocche di porto per i dragaggi effettuati onde consentire l’ingresso alle zone industriali di navi di grande pescaggio. Masse imponenti d’acqua si sono riversate dal mare in Laguna ogni volta che la fase lunare, il vento e la depressione atmosferica aumentavano il dislivello tra l’acqua esterna e quella interna. Questi effetti sono stati aggravati da due ulteriori eventi. Da un lato, il venir meno dell’attività di manutenzione continua della rete canalicola nelle zone più lontane dalle bocche di porto ha reso le parti marginali della laguna più difficilmente raggiungibili dall’onda di marea, e quindi ha ridotto ancora il bacino d’espansione efficace. Dall’altro lato, le esigenze della produzione industriale hanno provocato, nella terraferma, l’attivazione di numerosi pozzi di prelievo dell’acqua di falda, causando l’abbassamento del livello di quest’ultima e, con essa, di quel soprastante strato solido di argilla compattata da millenni (il caranto) che sorregge i limi e le sabbie su cui sorgono Venezia e gli altri centri lagunari.
L’equilibrio della Laguna viene progressivamente compromesso. L’acqua del 1966, per l’effetto congiunto della tracimazione dei fiumi e di un’eccezionale alta marea marina, minaccia di distruggere Venezia e gli altri insediamenti lagunari. Si apre un vasto dibattito per comprendere come si può salvare Venezia. Emerge la verità: le logiche di trasformazione otto-novecentesche, incuranti delle caratteristiche peculiari dei territori, producevano danni irreversibili, occorreva cambiare radicalmente indirizzo e trattare la Laguna come un sistema. Un primo risultato di quel dibattito fu la legge 171 del 1973. In realtà la legge apparve il frutto del compromesso tra due logiche. Così le descrive Luigi Scano nel libro Venezia: terra e acqua: la logica che «concepisce la laguna veneziana come un comune bacino d'acqua regolato da leggi essenzialmente meccaniche», e quella che «intende invece la laguna come un delicato ecosistema complesso, regolato da leggi che, con qualche forzatura, sono piuttosto apparentabili alla cibernetica, e rivolge i propri interessi alla conservazione e al ripristino globale delle sue essenziali caratteristiche di zona di transizione tra mare e terraferma attraverso un complesso coordinato di interventi diffusi». Si procedette anche alla redazione di un Piano comprensoriale dei comuni della Laguna di Venezia e Chioggia avente il compito di delineare l’insieme delle soluzioni territoriali da adottare per l’intera area. Il piano non giunse mai all’approvazione finale. All’unità di governo e alla lungimiranza della Serenissima, la pasticciata Repubblica italiana aveva sostituito un farraginoso meccanismo, espressione delle volontà contrastanti (e quindi paralizzanti) di poteri dei Comuni e della Regione, nonché di uno Stato, che attraverso il Ministero dei lavori pubblici (e il suo braccio operativo locale, quale era divenuto l’antico e glorioso Magistrato alle acque), agiva secondo le sue logiche. Infatti, mentre il Comune di Venezia elaborava, attraverso un gruppo di studiosi (con la direzione scientifica di Andreina Zitelli e il coordinamento politico-amministrativo di Luigi Scano) una proposta fortemente guidata dalla visione ecosistemica del problema, il ministro Franco Nicolazzi (PSDI) affidava la salvaguardia di Venezia al Consorzio Venezia Nuova (CVN), un consorzio privato di imprese vocate e interessate alla scelte di soluzioni finalizzate alle opere edilizie anziché alla tutela dell’ambiente. La proposta del Comune, contenuta nel documento Ripristino, conservazione ed uso dell'ecosistema lagunare veneziano, descriveva come il processo degenerativo della Laguna tendesse a farne scomparire i connotati specifici e forniva un quadro organico e coordinato di azioni e interventi necessari, iscritti in una predefinizione globale ma costantemente ricalibrabile e collocati in sequenze temporali che ne garantissero ed esaltassero le sinergie positive.
La proposta sistemica del Comune fu sopraffatta dalla logica speculativa e meccanicista rappresentata dal Mose e dall’affidamento dei poteri di progettazione, realizzazione e gestione a un consorzio privato di imprese afferenti al settore delle costruzioni. Il MoSE si presentava come un grosso affare, e così è stato. L’opinione pubblica è stata persuasa che la salvezza di Venezia fosse garantita da quel progetto, nel quale erano riposte tutte le speranze. Speranze fallaci, come è stato facile dimostrare.
Tre sono i danni principali che il Mose ha prodotto. Il primo è la devastazione ambientale e la rottura del legame ecologico tra l’habitat del mare e quello della Laguna, dovuto all’inserimento delle gigantesche strutture di calcestruzzo nelle quali sono innestate le paratìe mobile. Il secondo è la spesa addossata al contribuente. La spesa per il MoSe è attualmente valutata in 5.500 milioni di euro e l’opera non è ancora finite. A questi si aggiungono i costi di esercizio e di manutenzione stimati in 100-130 milioni all’anno. L’onere é ulteriormente aggravato dal fatto che non è per nulla sicuro che il sistema progettato sia realmente attivabile senza rischi ancora maggiori di quelli dell’alta marea eccezionale. Esistono infatti notevoli dubbi mai fugati, sulla tenuta delle cerniere che legano i portelloni mobili al basamento e sulla capacità del sistema di far fronte alle maggiori altezze marine dovute ai cambiamenti climatici. Il terzo danno è costituito dalla gigantesca azione di corruzione esercitabile e in gran parte già esercitata, sulle istituzioni e su importanti settori della società veneziana. Il CVN non è concessionario dello Stato per il solo MoSE, il complesso degli interventi che gli sono stati attribuiti (senza alcuna gara d’appalto o altra forma di pubblico confronto) è di circa 8.333 milioni di euro. A fronte di questi soldi, meccanismi non trasparenti, interessi enormi e racconti di favori. Sono molti i dipartimenti universitari e le altre istituzioni culturali, gli istituti di ricerca, gli studi professionali, le testate giornalistiche e altri organi d’informazione che hanno goduto di benefici e contributi, diretti o indiretti, dal CVN.
Ad opera dei suoi stessi governanti, divenuti complici, il governo della città e della Laguna sono stati interamente affidati a operatori interessati unicamente alla massima estrazione di valore dal prodotto di una storia millenaria. Al progressivo degrado della laguna dovuto al sistema MoSE, che ha anche precluso lo studio e l’implementazione di interventi più efficaci, adatti e lungimiranti, si è aggiunto l’effetto devastante di forme del turismo dominate dagli interessi strutturalmente legati al profitto da esso ricavabile. C’è quello di massa, il turismo “mordi e fuggi”, quello che invade Venezia senza conoscerla, che l’ammira come una raccolta di cartoline, senza comprenderla. E c’è il turismo d’élite, quello dei ricchi, che ambisce a un palazzo sul Canal Grande, o almeno a un pied-à-terre modernamente attrezzato. Tutti ugualmente concorrono a cancellare una delle caratteristiche che fanno della città un unicum e un modello per qualunque città che voglia essere davvero vivibile: l’equilibrio tra pietre e corpi, tra spazi e abitanti, tra città e comunità; quell’equilibrio che si può ancora vivere in qualcuno dei campi lasciato alla sua vita quotidiana. Un equilibrio minacciato anche dalla pressione sul mercato immobiliare. Le grandi navi cariche di turisti, dal canto loro, inquinano l’aria e le acque, distruggono la morfologia dei fondali, la biodiversità e l’equilibrio ecologico della Laguna; ma rimangono poiché dietro di esse prosperano interessi locali e globali, tutti solidali nello sfruttamento turistico.
Ancora una volta, il destino della città e il destino della sua laguna sono strettamente intrecciati. La ricchezza effimera portata dal turismo, come degrada la città, così compromette la Laguna. Se vi fosse una classe dirigente degna di questo nome, essa assumerebbe come punto di partenza il rapporto equilibrato e dinamico che si manifestato per secoli (e forse ancora sopravvive), tra gli elementi fisici della città e dell'ambiente e il concreto e complesso tessuto sociale ed economico (la popolazione, le attività produttive, i commerci, l'insieme insomma della vita quotidiana).
Un futuro realmente moderno dovrebbe fondarsi sulla consapevolezza che le qualità accumulate in un lungo, sistematico e intelligente lavoro di padroneggiamento della natura e della storia sono un patrimonio da amministrare con saggezza e lungimiranza. Ma chi oggi gestisce il potere non lo comprende e perciò lo distrugge.
Articolo scritto per il Semestrale dell'ANPI «Resistenza e Futuro» che quest'anno compie vent'anni. In corso di pubblicazione e presto consultabile sul sito dell'ANPI Venezia.
La rabbia scatenata dal ministro italiano contro i fuggiaschi è il vento che ha prodotto la tempesta della vendetta dell'autista senegalese. L'autista senegalese pagherà il suo atto violento e sarà incriminato. Salvini invece è già stato esonerato dal Senato ad essere processato. La proposta poi di attribuire a Rami, uno dei ragazzini dell'autobus di origini egiziane, la "cittadinanza per meriti speciali" per il suo atto di coraggio che gli ha permesso di portare in salvo i compagni, trasforma la rivendicazione di diritto, quello di cittadinanza, in "premio". Cittadinanza che viene negata a migliaia di persone in nome di un concetto asfittico, quello dello iure sanguinis, (cioè si è italiani se si nasce o si è adottati da cittadini italiani). Infatti sono residuali le possibilità di acquisire cittadinanza in altri modi, per esempio per iure soli o per residenza. Il principio dello ius cultura continua ad essere ignorato.
Oggi 21 marzo 2019, 237 senatori hanno negato alla Magistratura l’autorizzazione a procedure contro Matteo Salvini accusato di sequestro di persona aggravato, per non aver concesso lo sbarco ai 137 migranti della Diciotti. (segue)
La disposizione era stata introdotta nel sistema legislativo italiano per evitare che una magistratura di un particolare colore politico potesse perseguitare membri del parlamento ingiustamente. Si tratta di una disposizione fedele al principio della separazione dei tre poteri (legislative, esecutivo, giurisdizionale) introdotta dalla rivoluzione borghese nel 1789 in opposizione al principio monarchico dell’unità in un unico soggetto dei tre poteri.
I 237 senatori che hanno negato l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini hanno dunque palesemente dimostrato di anteporre gli interessi di casta e di appartenenza politica a quella dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Con il numero di Febbraio 2019 della rivista Dialoghi Urbani, comincia una sezione dedicata al dibattito sempre attuale sulla rendita, e sul ruolo che essa ha nelle trasformazioni urbane e nel consentire o meno l'accesso di tutti alla casa, agli spazi pubblici, ai servizi necessari per una vita dignitosa.
La riflessione sulla rendita della rivista di Urbanistica - Architettura - Territorio - Società parte dagli scritti di Raffaele Radicioni, già assessore all’Urbanistica del Comune di Torino e rigoroso sostenitore della necessità di eliminare l'appropriazione privata della rendita urbana per rendere possibile la realizzazione di una città al servizio dei cittadini.
Raffaele Radicioni è scomparso nell'ottobre del 2017, si leggano le parole di Diego Novelli che lo ricorda come un uomo mite ma molto rigoroso che «rispondeva con pacatezza, punto su punto, anche alle accuse più grossolane che gli venivano rivolte, ad esempio, di voler ostacolare lo sviluppo della città, di essere un antiquato conservatore, contro la modernità e la crescita urbana e quindi anche economica.»
Segnaliamo inoltre un articolo di Radicioni scritto per eddyburg nel 2014 "La rendita fondiaria urbana oggi. Che fare" in cui vengono illustrati principi e direzioni di marcia per avocare alla collettività i valori della rendita urbana.