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Eddyburg
Proposta di legge di eddyburg: la relazione
8 Settembre 2007
Urbanistica, proposte
La Relazione alla proposta di legge “Principi fondamentali in materia di pianificazione del territorio” elaborata da un gruppo di amici di Eddyburg (17 maggio 2006)

1 “Governo del territorio” e “pianificazione del territorio”

La presente proposta di legge intende dare risposta a un’esigenza di costruzione dell’ordinamento legislativo italiano di cui è particolarmente avvertita l’urgenza già da molti decenni: quella di determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale in merito alle finalità, agli obiettivi, alla titolarità, ai caratteri essenziali, alle facoltà e alle efficacie, ai procedimenti decisionali, dell’attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la cui disciplina di dettaglio compete, fin dalle origini dell’assetto costituzionale repubblicano, alla legislazione regionale. Ciò sia al fine di tracciare alla produzione legislativa regionale un quadro di orientamenti unificanti, che garantissero a tutto il territorio nazionale, alle sue risorse, ai suoi beni e valori, nonché a tutti i cittadini in esso dimoranti, l’eguaglianza dei livelli essenziali delle tutele e delle prestazioni offerte, sia al fine di supportare la medesima legislazione regionale, innanzitutto e soprattutto ove vi fosse interferenza con questioni di riserva di legge nazionale, come a esempio in merito alla latitudine delle facoltà connesse con il diritto di proprietà.

Già a norma del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione della Repubblica italiana entrata in vigore il 1° gennaio 1948 spettava alle regioni emanare, per le “materie” ivi elencate, tre le quali l’”urbanistica”, “norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni”.

Al momento della concreta costituzione delle regioni, al fine di consentire alle regioni stesse di iniziare immediatamente a legiferare nelle “materie” di competenza (senza attendere l’emanazione di leggi statali enuncianti i “principi fondamentali” della disciplina di ognuna di esse) la legge 16 maggio 1970, n.281, dispose che la produzione legislativa regionale poteva svolgersi “nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti” (articolo 17, ultimo comma). Questa seconda possibilità implicò la necessità che le regioni si impegnassero a sceverare i contenuti ai quali riconoscere la natura di “principi fondamentali”, relativamente alla materia denominata “urbanistica”, nell’ambito delle disposizioni, essenzialmente, della legge 17 agosto 1942, n.1150, e successive modificazioni e integrazioni.

Con il tempo, l’accezione del termine costituzionale “urbanistica” è stata evolutivamente riconosciuta assai larga dalla dottrina, dalla giurisprudenza, e anche dal diritto positivo: basti citare, per quest’ultimo, la definizione data dall’articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.616, per cui l’”urbanistica” concerne “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. In buona sostanza, si dava della “materia” denominata “urbanistica” una definizione tale da avvicinarla al concetto di “governo del territorio”, quand’anche quest’ultimo concetto possa avere un’ancora più vasta latitudine.

Nei fatti, relativamente a non pochi degli argomenti che la definizione appena sopra riportata riconduce nell’ambito dell’”urbanistica” la legislazione statale si è arricchita, dopo la concreta costituzione delle regioni, e ancor più dopo l’enunciazione della suddetta definizione, di provvedimenti più o meno integralmente innovativi: da quello sulla difesa del suolo a quello sulle aree naturali protette, da quello sulle trasformazioni edilizie a quello sulle espropriazioni di immobili, a quelli sulle opere pubbliche, e l’elencazione potrebbe proseguire.

Per converso, ancora prima della concreta costituzione delle regioni (ma avendo ben chiara la sua imminenza), cioè nei primi anni ’60, iniziarono i tentativi di definire provvedimenti legislativi statali innovativi relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui s’è detto all’inizio di questa relazione, tentativi che si succedettero, nei decenni che seguirono fino a tempi recentissimi, seppure con variabile intensità di frequenza: sostanzialmente, nessuno d’essi andò in porto, se si eccettua la cosiddetta “legge ponte” del 1967 (che, anziché costituire una tappa intermedia del percorso di costruzione di una nuova legge urbanistica, si risolse ed esaurì nella più incisiva integrazione e modificazione della legge 1150/1042), e se si eccettuano le leggi essenzialmente rivolte a innestare e a fondare sulla pianificazione le politiche finalizzate a dare risposta alle esigenze di edilizia abitativa economica e popolare, nonché la legge 28 gennaio 1977, n.10 (che, per ricordare soltanto i suoi contenuti più significativi, generalizzava l’obbligo posto a carico degli operatori delle trasformazioni di immobili di contribuire alle spese di attrezzamento del territorio, e l’introduceva l’istituto della programmazione nel tempo degli interventi previsti e disciplinati dalla pianificazione).

La proposta di legge nasce quindi dalla convinzione dell’urgenza, non ulteriormente dilazionabile, di provvedere a determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui s’è detto all’inizio di questa relazione, per i fini ivi pure sinteticamente enunciati.

Si avverte infatti, come e forse più che nel periodo ultraquarantennale del quale dianzi si è tracciato il ricordo, la necessità, che si vorrebbe fosse riconosciuta tra le priorità nazionali, di rilanciare con forza la “cultura” (e la prassi) della pianificazione territoriale e urbanistica, quale attività relativa a un patrimonio comune non negoziabile (in quanto, tipicamente, non riproducibile e non fungibile), di titolarità irrinunciabilmente pubblica, volta al perseguimento esclusivo, o almeno prioritario, di interessi collettivi, neppure essi tra loro “equiordinati”, ma piuttosto gerarchizzati secondo un ordine che veda la priorità della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale dello stesso territorio, da preservare anche per le generazioni future.

E’ sufficiente l’enunciazione dei concetti appena sopra sinteticissimamente espressi circa le finalità e i caratteri della pianificazione territoriale e urbanistica per evidenziare come i contenuti della presente proposta di legge siano radicalmente antitendenziali rispetto alla “cultura” (e alla prassi) via via sempre più protervamente affermatasi a partire dagli anni ’80, e che stava, nella scorsa legislatura, per ricevere la sua consacrazione in termini di “principi fondamentali della legislazione dello Stato” grazie al disegno di legge divenuto noto, dal nome del suo presentatore, come “legge Lupi”, approvato dalla Camera dei Deputati il 28 giugno 2005, trasmesso al Presidente del Senato il giorno successivo (Atti Senato n.3519), e in tale ramo del Parlamento fortunatamente (e grazie all’impegno di alcuni, pochi, Senatori) arenatosi.

E’ per converso doveroso riconoscere che la presente proposta di legge rinuncia a priori a configurarsi come la legge statale “organica” nella materia che il comma terzo dell’atuale articolo 117 della Costituzione denomina “governo del territorio”.

Ciò in ragione del fatto che una concezione adeguatamente matura (o almeno non più riduttiva di quella alla quale la legislazione ordinaria di attuazione della previgente normativa costituzionale era giunta nel definire l’estensione della materia allora denominata “urbanistica”) della nozione di “governo del territorio” non può non comprendervi, in tutto o in parte, materie che lo stesso comma terzo del novellato articolo 117 della Costituzione enumera, assieme al suddetto “governo del territorio”, tra quelle parimenti “di legislazione concorrente” (nelle quali, a norma del quarto comma del medesimo novellato articolo 117 della Costituzione, “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato”): protezione civile; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Come non può non ricomprendervi anche, almeno in parte, una materia che lo stesso novellato articolo 117 della Costituzione ha inserito nell’elenco, di cui al secondo comma, delle materie nelle quali lo Stato ha “legislazione esclusiva”, e cioè la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, come ha chiarito la dottrina della Corte costituzionale nelle pronunce con le quali ha negato la pretesa dello Stato di inibire alla legislazione regionale di dettare disposizioni in tale materia, peculiarmente prevedendo che alla tutela dei beni culturali, paesaggistici, naturalistico-ambientali, si provveda anche attraverso la pianificazione territoriale, ordinaria e specialistica.

Per cui un provvedimento legislativo statale effettivamente “organico” dovrebbe trattare, unitariamente, tutte le materie che sono state appena sopra richiamate, dettando solamente “principi fondamentali” in quelle “di legislazione concorrente” (salvo stabilire anche disposizioni direttamente operative destinate ad avere vigore sino alla definizione di quelle correlative regionali), e statuendo sia disposizioni immediatamente vincolanti erga omnes che precetti richiedenti l’intervento specificativo della legislazione regionale in quella che la ricordata dottrina della Corte costituzionale ha chiamato una “materia-attività”. E’ possibile che a definire un siffatto provvedimento legislativo statale si riesca a pervenire, nonostanti le indubbie gravosissime difficoltà tecniche (per non fare neppure cenno a quelle politico-istituzionali), e non si vuole negare che, se ciò mai accadesse, tutti i soggetti, pubblici e privati, in qualsiasi misura e modo interessati alle trasformazioni e alle utilizzazioni del territorio, ne apprezzerebbero l’utilità: la qual cosa, peraltro, non esime dal rifiutare risolutamente di considerare il porvi mano neppure paragonabile, per importanza, urgenza, rispondenza all’ordine gerarchico e temporali degli interessi pubblici del Paese, alla definizione dei contenuti della presente proposta di legge, a ai fini che a essi sono sottesi.

2. I principi per il governo del territorio

La proposta che qui si presenta concerne quindi il solo campo della pianificazione urbanistica e territoriale,:come del resto le medesima “Legge Lupi”, e gran parte delle leggi regionali che recano invece il titolo di “governo del territorio. Ciò non significa peraltro che, nel definire finalità, strumenti e procedure della pianificazione non si sia tenuto conto di un insieme di principi che - si ritiene - dovranno ispirare l’insieme degli atti normativi relativi al”governo del territorio”.

Nel corso della discussione della proposta ci si è anzi più volte domandati se fosse opportuno inserire esplicitamente nell’articolato una più ampia enunciazione d1 “principi per il governo del territorio”. Si è convenuto di preferire un impianto il più snello possibile,e finalizzato al massimo di efficacia nel campo prescelto. È peraltro opportuno, in questa sede, enunciare i principi sui quali si era convenuto,e che costituiscono in qualche modo il substrato delle norme elaborate.

Il governo del territorio, qualunque sia lo specifico campo al quale si riferisce, viene esercitato ponendo come obbiettivo di ogni atto di conservazione e trasformazione, il benessere dei cittadini, il miglioramento delle condizioni di qualità, sicurezza, e fruibilità collettiva del territorio, dando priorità alla conservazione della natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risorse primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli spazi urbani, dell’architettura, delle infrastrutture. A tal fine gli obiettivi di conservazione, tutela e valorizzazione fanno parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di incidere sulle condizioni dell’ambiente urbano, del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale.

Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasformazione del territorio, debbono pertanto essere informate dai seguenti principi:

- prevalenza dell’interesse generale su quello particolare e dell’interesse pubblico su quello privato;

- attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario per la collettività;

- promozione di un uso del territorio che favorisca l’equità, estenda la partecipazione e la democrazia nella consapevolezza che il territorio è un bene comune ed ogni azione compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere ispirata e compatibile con questo principio.

Le amministrazioni che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

- promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso 1) l’offerta di spazi e servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali 2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi 3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

- sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura, dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

- affermare il valore imprescindibile della unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali

3. La direttiva europea sulla valutazione degli effetti della pianificazione sull’ambiente

La presente proposta di legge, nel determinare i “principi fondamentali” della legislazione statale in merito alla pianificazione del territorio, provvede doverosamente a recepire, per quanto di competenza della legislazione e statale e con esclusivo riferimento alla medesima pianificazione del territorio, la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Ciò non (soltanto) ai fini del formale adempimento a un obbligo sovrastatale, ma (soprattutto) in ragione della profonda adesione, che sottende all’insieme della medesima presente proposta di legge, e che si manifesta in molteplici sue disposizioni, per cui la valutazione degli effetti ambientali delle scelte pianificatorie e programmatorie deve essere inclusa nei processi conoscitivi, dapprima, e decisionali, quindi, propri dell’attività pianificatoria e programmatoria, anche a evitare che il ricorso a separate procedure di valutazione dell’impatto ambientale di singole opere, trasformazioni, azioni comunque modificative del territorio, finisca con l’essere utilizzato, come troppo spesso è accaduto da non pochi anni, come un “grimaldello” mediante il quale (concedendo come contropartita, tutt’al più, qualche sistemazione “mitigatoria”) scardinare quelle complessive coerenze sistemiche nelle quali sussiste l’essenza della pianificazione e della programmazione.

Il recepimento della direttiva è realizzato sia sottolineando l’obbligo, nel corso del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione (articolo 11), di plurimi momenti di confronto con la cittadinanza, non limitandosi al tradizionale ricevimento delle osservazioni dei diversi soggetti ai documenti costitutivi dello strumento adottato, sia dettando (articolo 16) specifiche disposizioni in merito all’effettuazione della valutazione degli effetti sull’ambiente.

Alle tematiche di cui si è trattato appena sopra è strettamente legato l’indirizzo volto a promuovere la conoscenza diffusa dei processi di pianificazione e delle azioni di trasformazione del territorio, anche mediante la costituzione di forme organizzative autonome rispetto all’amministrazione attiva (articolo 6). E, a ben vedere, è a esse connessa anche la previsione per cui gli elaborati della pianificazione del territorio di competenza comunale, una volta che abbiano recepito e/o specificato tutti i contenuti degli strumenti di pianificazione, e degli altri atti incidenti sulla disciplina del territorio, sovraordinati, ordinari, specialistici e settoriali, costituisce la “carta unica del territorio”, cioè l’unico riferimento per la verifica di ammissibilità degli strumenti di specificazione attuativa, e dei progetti delle trasformazioni (articolo 17). E altresì la previsione per cui i comuni, le province o città metropolitane, le regioni e lo Stato devono concorrere alla costruzione e alla gestione di un sistema informativo territoriale integrato (articolo 18).

4. La competenza della pianificazione del territorio

Ribadito l’assunto fondamentale e irrinunciabile della titolarità pubblica della pianificazione del territorio (articolo 2, comma 1), si provvede sia ad attribuire le competenze relative alla formazione degli strumenti di pianificazione ordinaria esclusivamente agli enti territoriali dotati di organismo decisionale elettivo di primo grado (assumendo un aspetto essenziale e strutturale del nuovo ordinamento degli enti locali instaurato dalla legge 8 giugno 1990, n.142, e sanzionato dal Testo unico approvato con il decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267), sia anche a ricondurre ai medesimi suddetti enti territoriali, sulla base dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza, le competenze decisionali finali in merito agli strumenti di pianificazione specialistica e settoriale la cui predisposizione sia ragionevolmente necessario affidare ad altre pubbliche autorità (articolo 2, commi 2 e 4).

E’ il caso di sottolineare che si propone (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni, nonché delle province o città metropolitane, sia operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza legislativa esclusiva (a norma della lettera p. del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) di definizione delle funzioni fondamentali di tali enti territoriali, conseguendone che alle regioni “a statuto ordinario” sarebbe inibito sottrarre, in toto o sostanzialmente, le predette competenze pianificatorie a una delle indicate categorie di enti territoriali (essendo ciò invece legittimamente fattibile da parte delle regioni cui i relativi “statuti speciali” abbiano attribuito ogni determinazione in merito all’ordinamento e alle funzioni degli enti locali subregionali).

E’ inoltre, da altre disposizioni della presente proposta di legge (articolo 10, comma 1), ribadito e precisato che spetta alla legislazione regionale la puntuale specificazione delle pubbliche autorità competenti alla formazione dei diversi strumenti di pianificazione, nonché dei contenuti, delle efficace, degli archi temporali di riferimento, dei procedimenti di formazione dei medesimi predetti diversi strumenti di pianificazione. Vale la pena di sottolineare come venga esplicitata un’accezione del principio di sussidiarietà effettivamente omogenea, a differenza di quelle frequentemente espresse, con quella presente nei trattati costitutivi dell’Unione europea, per cui le competenze decisionali relativamente alle diverse scelte tipiche dell’attività pianificatoria devono essere attribuite al soggetto istituzionale che possa operarle con il massimo dell’efficienza e dell’efficacia, rispetto agli interessi dei cittadini amministrati, in ragione dell’ambito di incidenza delle scelte considerate e dei loro effetti (articolo 10, comma 2).

Quanto all’attività pianificatoria di competenza dello Stato, essa è sostanzialmente ricondotta a quella definizione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” che era già prevista dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 616/1977, e relativamente alla quale vengono specificati sia i contenuti essenziali che la procedura decisionale (articolo 9).

Riaffermata la competenza degli strumenti di pianificazione a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, ivi comprese, salvo pochissime eccezioni puntualmente circoscritte, quelle indotte da atti e azioni delle pubbliche amministrazioni, si ribadisce il carattere, già riconosciuto dalla giurisprudenza pressoché costante, e certamente consolidata, nel sessantennio trascorso, di piena discrezionalità culturale, tecnica e politica, dell’attività pianificatoria, comprensiva della possibilità di variare, anche radicalmente, le possibilità di trasformazione precedentemente attribuite a determinati immobili, o complessi di immobili, o componenti territoriali, con l’unico limite di non incidere sulle facoltà riconosciute da un provvedimento abilitativo già rilasciato, e, anche in questo caso, a condizione che tali facoltà siano state attivate entro un predeterminato periodo di tempo (articolo 3).

In piena coerenza concettuale con l’attribuzione in via esclusiva agli strumenti di pianificazione della competenza a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, l’istituto degli accordi di programma, di cui all’articolo 34 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, è ricondotto alla sua originaria, preziosissima funzione, di strumento di coordinamento per l’attuazione di interventi che richiedano l’azione integrata e combinata di più soggetti pubblici, escludendo che essi possano comportare variazioni ai vigenti strumenti di pianificazione (articolo 12).

5. I diritti alla città e all’abitare

Per la prima volta, si propone di riconoscere, nell’ordinamento legislativo della Repubblica, quali diritti dell’uomo, quelli all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali (articolo 4, comma 1).

La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (a norma della lettera m. del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) è posta come fondamento del ribadimento dell’attribuzione alla legislazione dello Stato del compito di determinare le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni (articolo 4, comma 2). Si mantiene pertanto un assunto che era stato giudicato (oltre che essenziale al fine di perseguire la qualità degli insediamenti urbani, e della vita in essi dei singoli e della collettività) di grande valenza egualitaria, in aderenza a uno dei principi fondamentali della lettera e dello spirito della carta costituzionale, sin da quando era stato posto, per le opere di urbanizzazione e gli spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, dall’ottavo comma dell’articolo 41-quinquies della legge 1150/1942, in esso introdotto dall’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n.765 (cui poi era data attuazione con il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 1968, n.97), e, per l’edilizia sociale, dal terzo comma dell’articolo 2 della legge 28 gennaio 1977, n.10, sostitutivo del primo comma dell’articolo 3 della legge 18 aprile 1962, n.167.

Anche ai fini del soddisfacimento dei diritti di cui appena sopra s’è detto è ribadito il principio per cui ogni trasformazione urbanistica deve concorrere al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria (articolo 5).

6. Il contenimento dell’uso del suolo e

il patrimonio edilizio storico

La prima e fondamentale disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge riguarda la finalità di contenere al massimo l’utilizzazione del territorio non urbanizzato, sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale, per realizzarvi nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali, e comunque manufatti diversi da quelli strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale. Per ciò viene perentoriamente affermato (articolo 7, comma 1) che “nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. E allo stesso fine vengono dettati (articolo 7, commi 2 e seguenti) i principi fondamentali da rispettarsi nella legislazione regionale per disciplinare le trasformazioni (fisiche e/o funzionali) ammissibili nel territorio non urbanizzato, riproponendo un modello di disciplina già sperimentato, seppure a diversi livelli di compiutezza e di rigore, ma comunque per consistenti periodi di tempo, in diverse regioni (Calabria, Campania, Lazio, Emilia – Romagna, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, Provincia autonoma di Bolzano), e, anche per tale ragione, assunto come ottimale.

L’operazione viene rafforzata dalla proposta (formulata dal comma 1 dell’articolo 19) di aggiungere alle categorie di elementi e componenti territoriali qualificati ope legis quali beni paesaggistici a norma del comma 1 dell’articolo 142 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, quella del “territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”.

La seconda disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge concerne il patrimonio edilizio storico. Riprendendo suggerimenti avanzati già dalle Commissioni istituite dal Parlamento o dal Governo, negli anni ’60, per elaborare proposte relative alla riforma della legislazione sui beni culturali e paesaggistici, nonché l’istanza posta uno specifico disegno di legge presentato, due legislature or sono, dal Ministero per i beni e le attività culturali, e assumendo come modello procedimentale quello definito, con riferimento ai beni paesaggistici, dalla Parte terza del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, viene previsto (articolo 8) che siano qualificati come beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province o città metropolitane, delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, purché d’intesa con la competente Soprintendenza:

- gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

- le unità edilizie, e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

E si stabilisce altresì che, laddove le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili sopra ndicati siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province o città metropolitane, delle regioni, d’intesa con la competente Soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengano luogo delle speciali autorizzazioni dell’amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

7. I vincoli di tutela, quelli a contenuto espropriativi e la perequazione

La presente proposta di legge si fa altresì carico di tradurre in statuizioni di diritto positivo la giurisprudenza della Corte costituzionale, definita a partire dalla storica sentenza 29 maggio 1968, n.56, e brillantemente riassunta, in tempi relativamente recenti, dalla sentenza 20 maggio 1999, n.179, relativamente ai casi in cui il problema di un indennizzo in conseguenza dell'apposizione di vincoli, cioè di limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, non si pone (articolo 13).

Per converso, la medesima presente proposta di legge si fa carico di dare una soluzione reale e definitiva alla questione (si riportano virgolettate le espressioni della citata sentenza della Corte costituzionale 179/1999) dell’”alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell'efficacia del vincolo" che si pone ove i vincoli "siano preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati”, i quali imprimano una destinazione di interesse pubblico a specifici immobili individuati discrezionalmente in un contesto di immobili aventi connotati sostanzialmente analoghi.

A tale questione si propone di dare una soluzione alternativa a quella individuata a partire dalla legge 19 novembre 1968, n.1187, consistente nella fissazione di una “durata massima dell'efficacia del vincolo”, per stabilire invece (articolo 14) che gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione, e dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di inizio dell'efficacia della suddette disposizioni, scaduto inutilmente il quale termine gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente, avendo i relativi proprietari diritto al pagamento del loro controvalore, determinato secondo i criteri stabiliti per la determinazione dell'indennità di espropriazione. E si stabilisce altresì che valgano in tali casi le medesime disposizioni dettate per quelli di acquisizione pubblica secondo il modello dell'"espropriazione sostanziale" (e assunte dai più maturi e organici approdi della giurisprudenza della Cassazione, alla quale si deve la definizione di tale modello, susseguente alla creazione giurisprudenziale della figura dell’”accessione invertita”).

E’ infine stabilito (articolo 15) che le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, quali i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane e significative variazioni funzionali, devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione di tipo attuativo specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni. E che tali strumenti di pianificazione devono garantire la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono, essendo la partecipazione ai benefici e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici eventualmente esistenti.

Ma anche che, nel caso di interventi, previsti dalla pianificazione, di particolare rilevanza urbanistica ed economica, nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, si possa dichiararne la pubblica utilità quale premessa dell’acquisizione pubblica dell’insieme degli immobili interessati.

8. Vietare i condoni edilizi?

Nel corso della elaborazione della proposta si è più volta posto l’interrogativo sulla possibilità di evitare, con una legge ordinaria, la pratica devastante (malauguratamente posta in atto reiteratamente nell’ultimo decennio) di condonare le trasformazioni del territorio avvenute in difformità alla strumentazione urbanistica. I condoni edilizi sono stati infatti una delle maggiori cause della delegittimazione della pianificazione del territorio e, insieme alla cattiva pianificazione, della devastazione del patrimonio comune. Che senso ha – ci si è domandati – costruire un sistema di norme garantista dell’interesse collettivo, se poi subentrano ulteriori condoni a svuotarne l’efficacia?

Si è ragionato sulla possibilità di inserire in una “legge di principi” norme che rendessero più efficace la repressione dell’abuso, più tassativo l’obbligo di riduzione in pristino e più aspre le sanzioni. Esiste già negli atti parlamentari una proposta in talsinso,presentata dall’on. Gianni Mattioli,cui è possibile ricollegarsi ma – si è ritenuto – in un distinto atto legislativo.

Una maggiore efficacia delle norme repressive non peraltro sufficiente a impedire al legislatore ordinario a non modificare le proprie determinazioni. Si è periò ritenuto necessario limitarsi,m in questa sede, ad auspicare un intervento del legislatore costituzionale che introducesse,nelle modifiche alla Costituzione,una norma che esplicitamente facesse divieto agli organi di governo a tutti i livelli di promulgare a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione provvedimenti di condono di uso del territorio in deroga ai piani territoriali.

Crediti

L’iniziativa di questa proposta di legge è di Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sulla legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso,modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano, Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti della “Legge Lupi” che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella proposta. Tra questi hanno espresso consenso e/o formulato proposte di correzione e integrazionePiergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Francesco Indovina; delle loro proposte si è tenuto conto nell’ultima stesura del testo e,dove ciò non è stato ritenuto possibile od opportuno, se ne fatti cenno nella relazione.

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