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Bruno Gabrielli
Promemoria per una nuova legge urbanistica / 2. Questione di rendita
6 Novembre 2011
Urbanistica, proposte
Il secondo intervento su il Giornale dell’Architettura (n. 42, luglio-agosto 2006) sui necessari contenuti di una nuova legge urbanistica nazionale

Il Giornale dell'Architettura ha chiesto ad alcuni dei più importanti urbanisti italiani d'indicare un punto che il Parlamento non dovrà dimenticare nella redazione della nuova bozza di legge urbanistica. Alla discussione aperta da Edoardo Salzano con un articolo sul Consumo di suolo segue ora l'opinione di Bruno Gabrielli.

Un urbanista che si rispetti non può che essere d'accordo con quanto scritto da Edoardo Salzano nel numero scorso. Contenere il consumo di suolo è certamente una priorità. Ma è suffìciente l'enunciazione di principio? Davvero si può risolvere la questione con un divieto generalizzato imposto da una nuova legge urbanistica?

Pongo una questione di metodo, non di merito: ho idea che si debba ormai ragionare in maniera «integrata» per colpire un fenomeno che non è causa ma conseguenza d'altri fenomeni, ed è a essi che occorre, almeno contemporaneamente, mirare. Hanno tra l'altro contribuito al consumo di suolo: a) il settore pubblico attraverso le realizzazioni dei quartieri d'edilizia economica e popolare: si pensi alle enormi «167» realizza te da Comuni come quello di Paternò, dove s'è assistito al quasi completo trasferimento degli abitanti e a una «desertificazione» del pur cospicuo centro storico; b) gli operatori privati, attraverso lo strumento della lottizzazione; c) i «piccoli» operatori privati utilizzando le aree a bassa densità dei PRG o costruendo abusivamente.

Una nuova legge urbanistica potrebbe dare la necessaria chiarezza prescrittiva per evitare i primi due punti. Per quanto riguarda il primo, sarebbe sufficiente smetterla (questo sta già avvenendo) di realizzare quartieri d'edilizia popolare e provare invece (questo non sta avvenendo) a realizzare «parti» di città ove collocare quote d'edilizia popolare pubblica.

La questione sollevata al terzo punto ha invece radici economiche, sociali e culturali legate alla formazione della domanda. Trionfa un modello culturale che nega la città contemporanea e che premia, allo stesso tempo, i centri storici e le casette sparse. Ho idea che nel merito non vi sia legge che tenga: sono gli architetti, gli urbanisti e gli amministratori pubblici che debbono saper dimostrare che si può realizzare una città contemporanea vivibile.

Consumo di suolo e rendita fondiaria sono, del resto, due questioni indissolubilmente legate ed è questo, a mio avviso, il punto che il legislatore non dovrà dimenticare nel prossimo testo urbanistico. Bella scoperta, si dirà. Ma da questo discendono la possibilità d'un reale governo pubblico del territorio, la qualità della città contemporanea (che è un obiettivo essenziale) e l'equità dei processi trasformativi (che è un principio irrinunciabile dell'urbanistica). Una nuova legge può garantire tutto questo? Non può garantirlo, ma può fornire strumenti per renderlo possibile.

La nuova legge potrebbe conferire al piano la possibilità di ridistribuire la rendita che, attraverso un meccanismo di perequazione diffusa, renderebbe indifferente la proprietà dei suoli; è questo l'unico strumento che garantirebbe la densificazione come alternativa alla dispersione. Lo sprawl è infatti anche un fenomeno di rendita minuta, d'interessi di piccoli proprietari che possono trovare soddisfacimento con il trasferimento di quelle possibilità edificatorie che provengono dall'equa distribuzione delle quantità poste in essere dal piano. Questa strada potrebbe condurre all'attuazione di servizi pubblici senza problemi d'espropri o d'indennità o di decadenze di vincoli. Il piano urbanistico (e non la legge, che deve però consentirglielo) può fissare i criteri d'un modello perequativo precisamente adattato a quelle specifiche realtà urbane e territoriali che deve governare, conferendo alle amministrazioni pubbliche un reale potere di scelta e di responsabilità.

Vedi sull'argomento l'Eddytoriale n. 92

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