Silvio Berlusconi pensa di incarnare l’Italia intera e gli italiani che lo votano pensano di essere dei piccoli berlusconini. È questo, probabilmente, il corto circuito che spiega le esternazioni contraddittorie del presidente del consiglio accusato dal manifesto di essere “un casinaro”. Prima dice che tutti possono rifarsi la casa come vogliono, le regole sono oppressive e non ci permettono di rilanciare l’economia anche attraverso qualche abuso, che volete che sia. Poi, trascinato dall’entusiasmo popolare, promette che farà un decreto legge sulla casa: tutti possono costruire, demolire, rifarsi il balcone, allargando l’immobile fino al 35 per cento. Poi, visto che il presidente Napolitano è intervenuto per mantenere un minimo di decenza istituzionale, il premier ha fatto una parziale marcia indietro: sono stato frainteso – ha detto - non era quello il testo sui cui ci eravamo accordati e via sproloquiando. Berlusconi ha capito che se è vero che ha alle sue spalle il popolo della libertà (e dell’abuso), è anche vero che deve alla fine fare i conti con i governatori delle Regioni, anche con quelli della sua squadra, come Formigoni. Vedremo come se ne uscirà. Lo sapremo in queste ore.
È interessante però nel frattempo ragionare sul succo di questa faccenda, ovvero sulla identificazione di milioni di persone con il pensiero (e i comportamenti) di un uomo che si vanta di essere il nemico delle regole, il più fiero avversario della magistratura. Perché gli italiani sono tanto sensibili a questo richiamo della foresta? Perché il ministro Brunetta può permettersi di dire (durante un forum con i colleghi dell’Unità) che “troppe regole producono schifezze?”. Perché il ministro del lavoro Sacconi può permettersi di dire che il problema della sicurezza sul lavoro sono le regole, l’eccesso di regole?
Conosco una famiglia di romani che ha ereditato una piccolo casolare di campagna. Accanto al rustico (una sessantina di metri quadrati) sorgeva una vecchia porcilaia che è stata demolita perché pericolante e quindi pericolosa. Nel progetto di ristrutturazione era inserita anche la porcilaia che deve però essere ricostruita laddove sorgeva all’origine, non può essere cioè accorpata al rustico come vorrebbe la famiglia per avere a disposizione una stanza in più. Risultato: la porcilaia non si ricostruisce perché, così lontana dalla casa non serve a nulla, sarebbe una dependance di una trentina di metri, dove non si può costruire un bagno, non si possono mettere gli altri servizi per renderla vivibile. Insomma la porcilaia deve rimanere una porcilaia. La famiglia di romani, che usa il rustico per le vacanze e prendere un po’ d’aria buona, non possiede maiali, quindi di una porcilaia non sa che farsene.
I nostri amici sono dei sinceri democratici, credono perfino nella giustizia sociale, e non vogliono infrangere la regola. Si guardano però intorno nella loro bella campagna e scoprono ville e villini (per un refuso avevo scritto villani) che si possono fotografare nella loro magnificenza fuori dalle regole: portici giganteschi che sono diventati stanze chiuse, tetti sopraelevati, porcilaie che sono diventate splendidi salotti con tanto di vetrate sul prato e sui boschi, giardini d’inverno. La nostra famiglia di amici si ricorda anche di quanto l’Unione europea, quella che ci insegna le leggi più civili del nord, è intervenuta per dare ragione ai costruttori che avevano edificato l’eco mostro che è stato demolito perché abusivo. Ma la demolizione dell’ecomostro – disse la civile Europa in quell’occasione – è stato un errore, anzi una violazione di un diritto fondamentale: quello della proprietà.
Non ci sarà mica la storia di questa piccola porcilaia e dell’ecomostro dietro questa ennesima baraonda berlusconiana che ci ricorda terribilmente il Corrado Guzzanti della casa degli italiani, quella in cui ognuno fa quel c..che gli pare?