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XV legislatura. Proposta di legge Migliore e altri (Rifondazione comunista)
22 Febbraio 2007
Urbanistica, proposte
Camera dei Deputati, N. 2086, Proposta di legge d'iniziativa dei deputati Migliore, Acerbo, Cacciari, Falomi, Perugia: ”Riforma della legislazione urbanistica”. Presentata il 19 dicembre 2006 (d.v.).

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La presente iniziativa legislativa è ispirata in via esclusiva da uno schema redatto da Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sul progetto di legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso, modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano e Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti del cosiddetto “progetto di legge Lupi” (atto Senato n. 3519, XIV legislatura) che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella presente proposta di legge. Tra questi hanno espresso il loro consenso o formulato proposte di correzione e integrazione Piergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi e Francesco Indovina.

La presente proposta di legge ha l’ambizione di determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale in merito alle finalità, agli obiettivi, alla titolarità, ai caratteri essenziali, alle facoltà e alla efficacia, nonché ai procedimenti decisionali dell’attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la cui disciplina di dettaglio compete, fin dalle origini dell’assetto costituzionale repubblicano, alla legislazione regionale. Ciò sia al fine di tracciare alla produzione legislativa regionale un quadro di orientamenti unificanti, che garantiscano a tutto il territorio nazionale, alle sue risorse, ai suoi beni e valori, nonché a tutti i cittadini in esso dimoranti, l’eguaglianza dei livelli essenziali delle tutele e delle prestazioni offerte, sia al fine di supportare la medesima legislazione regionale, innanzitutto e soprattutto ove vi sia interferenza con questioni di riserva di legge nazionale, come, ad esempio, in merito alla “latitudine” delle facoltà connesse al diritto di proprietà. Già a norma del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione, nel testo entrato in vigore il 1°gennaio 1948, spettava alle regioni emanare, per le “materie” ivi elencate, tra le quali l’”urbanistica”, “norme legislative nei limiti dei princıpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni”.

Al momento della concreta costituzione delle regioni, al fine di consentire alle stesse di iniziare immediatamente a legiferare nelle “materie” di competenza (senza attendere l’emanazione di leggi statali enuncianti i “principi fondamentali” della disciplina di ognuna di esse) la legge 10 febbraio 1953, n. 62, dispose che la produzione legislativa regionale poteva svolgersi “nei limiti dei princıpi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti” (articolo 9, primo comma, come sostituito dalla legge n. 281 del 1970). Questa seconda possibilità implicò la necessità che le regioni si impegnassero a sceverare i contenuti ai quali riconoscere la natura di “principi fondamentali”, relativamente alla materia denominata “urbanistica”, nell’ambito delle disposizioni, essenzialmente, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.

Con il tempo, l’accezione del termine costituzionale “urbanistica” è stata evolutivamente riconosciuta assai larga dalla dottrina, dalla giurisprudenza e anche dal diritto positivo: basti citare, per quest’ultimo, la definizione data dall’articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, per cui l’”urbanistica” concerne “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. L’atto con forza di legge avvicinava il lemma “urbanistica” a quello di “governo del territorio”, ancorché esso potesse e può tuttora avere un significato ancora più vasto.

Nei fatti, relativamente a non pochi degli argomenti che la definizione riportata riconduce nell’ambito dell’“urbanistica”, la legislazione statale si è arricchita, dopo la concreta costituzione delle regioni, e ancora più dopo l’enunciazione della suddetta definizione, di provvedimenti più o meno integralmente innovativi: per esempio sulla difesa del suolo, sulle aree naturali protette, sulle trasformazioni edilizie, sulle espropriazioni di immobili e sulle opere pubbliche.

Per converso, ancora prima della concreta costituzione delle regioni (ma avendo ben chiara la sua imminenza), iniziarono i tentativi di definire leggi statali innovative, relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica; tentativi che si sono succeduti, fino a tempi recentissimi, seppure con variabile intensità di frequenza, senza successo. Fa eccezione la cosiddetta “legge ponte” n. 765 del 1967 (che, anziché costituire una tappa intermedia del percorso di costruzione di una nuova legge urbanistica, si risolse e si esaurì nella più incisiva integrazione e modificazione della legge n. 1150 del 1942), e fanno eccezione le leggi essenzialmente rivolte a innestare e a fondare sulla pianificazione le politiche finalizzate a dare risposta alle esigenze di edilizia abitativa economica e popolare, nonché la legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che, per ricordare soltanto i suoi contenuti più significativi, generalizzava l’obbligo posto a carico degli operatori delle trasformazioni di immobili di contribuire alle spese di impiantistica del territorio e introduceva l’istituto della programmazione nel tempo degli interventi previsti e disciplinati dalla pianificazione).

La presente proposta di legge nasce quindi dalla convinzione dell’urgenza, non ulteriormente dilazionabile, di provvedere a determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui si è detto all’inizio di questa relazione, per i fini ivi enunciati, seppure sinteticamente.

Si avverte, infatti, forse più che nel periodo ultraquarantennale del quale dianzi si è tracciato il ricordo, la necessità, che si vorrebbe fosse riconosciuta tra le priorità nazionali, di rilanciare la cultura (e la prassi) della pianificazione territoriale e urbanistica, quale attività relativa a un patrimonio comune non negoziabile (in quanto, tipicamente, non riproducibile e non fungibile), di titolarità irrinunciabilmente pubblica, volta al perseguimento esclusivo, o almeno prioritario, di interessi collettivi, neppure essi tra loro “equiordinati”, ma piuttosto gerarchizzati secondo un ordine che veda la priorità della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale dello stesso territorio, da preservare anche per le generazioni future.

È sufficiente l’enunciazione dei concetti espressi circa le finalità e i caratteri della pianificazione territoriale e urbanistica per evidenziare come i contenuti della presente proposta di legge siano radicalmente in controtendenza rispetto alla “cultura” (e alla prassi) via via sempre più protervamente affermatasi a partire dagli anni ’80, e che stava, nella scorsa legislatura, per ricevere la sua consacrazione in termini di “princıpi fondamentali della legislazione dello Stato” grazie al citato disegno di legge noto, dal nome del suo presentatore, come “legge Lupi”, approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005, trasmesso al Presidente del Senato della Repubblica il giorno successivo (atto Senato n. 3519), e in tale ramo del Parlamento fortunatamente (e grazie all’impegno di alcuni, pochi, senatori) arenatosi.

È, per converso, doveroso riconoscere che la presente proposta di legge rinuncia a priori a configurarsi come la legge statale organica nella materia che il terzo comma dell’attuale articolo 117 della Costituzione denomina “governo del territorio”. Ciò in ragione del fatto che una concezione adeguatamente matura della nozione di “governo del territorio” non può non comprendervi, in tutto o in parte, materie che lo stesso terzo comma del novellato articolo 117 della Costituzione enumera, assieme al suddetto “governo del territorio”, tra quelle parimenti di legislazione concorrente quali: protezione civile; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Come non può non ricomprendervi anche, almeno in parte, materie nelle quali lo Stato ha “legislazione esclusiva”, e cioè la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Un provvedimento legislativo statale effettivamente “organico” dovrebbe quindi trattare unitariamente tutte le materie che sono state richiamate, dettando solamente “princıpi fondamentali“ in quelle “di legislazione concorrente“ (salvo stabilire anche disposizioni direttamente operative destinate ad avere vigore sino alla definizione di quelle correlative regionali), statuendo sia disposizioni immediatamente vincolanti erga omnes che precetti richiedenti l’intervento specificativo della legislazione regionale in quella che la ricordata dottrina della Corte costituzionale ha chiamato una “materia-attività”. È possibile si riesca a pervenire ad emanare un siffatto provvedimento legislativo statale, nonostante le gravosissime difficoltà tecniche (per non fare neppure cenno a quelle politico-istituzionali), ma oggi tale possibilità è remota.

La proposta di legge che qui si presenta concerne quindi il solo campo della pianificazione urbanistica e territoriale come, del resto, la medesima “legge Lupi” e gran parte delle leggi regionali che recano, invece, il titolo di “governo del territorio”. Ciò non significa peraltro che, nel definire finalità, strumenti e procedure della pianificazione non si sia tenuto conto di un insieme di princıpi che – si ritiene – dovranno ispirare l’insieme degli atti normativi relativi al “governo del territorio”.

Il governo del territorio, qualunque sia lo specifico campo al quale si riferisce, viene esercitato ponendo come obbiettivi di ogni atto di conservazione e di trasformazione il benessere dei cittadini, il miglioramento delle condizioni di qualità, sicurezza e fruibilità collettiva del territorio, dando priorità alla conservazione della natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risorse primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli spazi urbani, dell’architettura e delle infrastrutture. A tale fine gli obiettivi di conservazione, di tutela e di valorizzazione fanno parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di incidere sulle condizioni dell’ambiente urbano, del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale.

Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasformazione del territorio devono, pertanto, essere informate ai seguenti princıpi:

a) prevalenza dell’interesse generale su quello particolare e dell’interesse pubblico su quello privato;

b) attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario per la collettività;

c) promozione di un uso del territorio che favorisca l’equità e l’estensione della partecipazione e della democrazia;

d) consapevolezza del fatto che il territorio è un bene comune e che ogni azione compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere ispirata e compatibile con questo principio.

Le amministrazioni pubbliche che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

a) promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso: 1) l’offerta di spazi e di servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali; 2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi; 3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

b) sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura e dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

c) affermare il valore imprescindibile dell’unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali.

La presente proposta di legge, nel determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale in merito alla pianificazione del territorio, provvede doverosamente a recepire, per quanto di competenza della legislazione statale e con esclusivo riferimento alla medesima pianificazione del territorio, la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Tale recepimento non rappresenta un adempimento formale di un obbligo comunitario, ma trova ragione nella profonda adesione allo spirito della direttiva.

Il recepimento della direttiva è realizzato grazie ad una duplice opera. Sottolineando l’obbligo, nel corso del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione (articolo 11), di plurimi momenti di confronto con la cittadinanza, non limitandosi al tradizionale ricevimento delle osservazioni dei diversi soggetti ai documenti costitutivi dello strumento adottato, nonché dettando (articolo 16) specifiche disposizioni in merito all’effettuazione della valutazione degli effetti sull’ambiente.

È previsto, poi, che gli elaborati della pianificazione del territorio di competenza comunale, recepiti o specificati tutti i contenuti degli strumenti di pianificazione, e degli altri atti incidenti sulla disciplina del territorio, sovraordinati, ordinari, specialistici e settoriali, costituiscono la “carta unica del territorio”, cioè l’unico riferimento per la verifica di ammissibilità degli strumenti di specificazione attuativa e dei progetti delle trasformazioni (articolo 17). La citata direttiva comunitaria si realizza altresì con la previsione per cui i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato devono concorrere alla costruzione e alla gestione di un sistema informativo territoriale integrato (articolo 18).

Ribadito l’assunto fondamentale e irrinunciabile della titolarità pubblica della pianificazione del territorio (articolo 2, comma 1), si provvede: ad attribuire le competenze relative alla formazione degli strumenti di pianificazione ordinaria esclusivamente agli enti territoriali dotati di un organismo decisionale elettivo di primo grado nonché a ricondurre ai suddetti enti territoriali le competenze decisionali finali in merito agli strumenti di pianificazione specialistica e settoriale la cui predisposizione sia necessariamente affidata ad altre pubbliche autorità (articolo 2, commi 2 e 4).

È il caso di sottolineare (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni – nonché delle province e delle città metropolitane – deve essere operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza legislativa esclusiva (a norma della lettera p) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) di definizione delle funzioni fondamentali di tali enti territoriali. In conseguenza di ciò le regioni ordinarie sarebbero inibite nell’esercizio sostitutivo delle predette competenze pianificatorie rispetto a una delle indicate categorie di enti territoriali (essendo ciò invece legittimamente fattibile da parte delle regioni cui i relativi statuti speciali abbiano attribuito ogni determinazione in merito all’ordinamento e alle funzioni degli enti locali subregionali).

È inoltre, da altre disposizioni della presente proposta di legge (articolo 10, comma 1), ribadito e precisato il fatto che spetta alla legislazione regionale la puntuale specificazione delle pubbliche autorità competenti alla formazione dei diversi strumenti di pianificazione, nonché dei contenuti, della efficacia, degli archi temporali di riferimento e dei procedimenti di formazione dei predetti diversi strumenti di pianificazione. Vale la pena sottolineare come venga esplicitata un’accezione del principio di sussidiarietà effettivamente omogenea con quella presente nei trattati istitutivi dell’Unione europea. In forza di questa accezione, le competenze decisionali relativamente alle diverse scelte tipiche dell’attività pianificatoria devono essere attribuite al soggetto istituzionale che possa operarle con il massimo dell’efficienza e dell’efficacia, rispetto agli interessi dei cittadini amministrati, in ragione dell’ambito di incidenza delle scelte considerate e dei loro effetti (articolo 10, comma 2).

Quanto all’attività pianificatoria di competenza dello Stato, essa è sostanzialmente ricondotta a quella definizione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” che era già prevista dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 (successivamente abrogata dal decreto legislativo n. 112 del 1998) e relativamente alla quale vengono specificati sia i contenuti essenziali che la procedura decisionale (articolo 9).

Riaffermata la competenza degli strumenti di pianificazione a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, ivi comprese, salvo pochissime eccezioni puntualmente circoscritte, quelle indotte da atti e azioni delle pubbliche amministrazioni, si ribadisce il carattere, già riconosciuto dalla giurisprudenza pressoché costante, e certamente consolidata, nel sessantennio trascorso, di piena discrezionalità tecnica e politica dell’attività pianificatoria, comprensiva della possibilità di trasformazione precedentemente attribuita per determinati immobili o complessi di immobili o componenti territoriali, con l’unico limite di non incidere sulle facoltà riconosciute da un provvedimento abilitativo già rilasciato e, anche in questo caso, a condizione che tali facoltà siano state attivate entro un predeterminato periodo di tempo (articolo 3).

In piena coerenza concettuale con l’attribuzione in via esclusiva agli strumenti di pianificazione della competenza a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, l’istituto degli accordi di programma, previsto dall’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è ricondotto alla sua originaria, preziosissima funzione di strumento di coordinamento per l’attuazione di interventi che richiedano l’azione integrata e combinata di più soggetti pubblici, escludendo che essi possano comportare variazioni ai vigenti strumenti di pianificazione (articolo 12).

Si propone di riconoscere, per la prima volta nell’ordinamento legislativo della Repubblica, quali “diritti dell’uomo”: quelli all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché alla proprietà (articolo 4, comma 1).

La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (a norma della lettera m) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione), posta come fondamento dell’attribuzione alla legislazione statale del compito di determinare le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni (articolo 4, comma 2).

Anche ai fini del soddisfacimento dei diritti citati, è ribadito il principio per cui ogni trasformazione urbanistica deve concorrere al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria (articolo 5).

La prima e fondamentale disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge riguarda la finalità di contenere al massimo l’utilizzazione del territorio non urbanizzato, per realizzarvi nuovi insediamenti di tipo urbano, ovvero ampliamenti di quelli esistenti, nuove infrastrutture, ovvero attrezzature puntuali, e comunque manufatti diversi da quelli strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale. Perciò viene perentoriamente affermato (articolo 7, comma 1) che “Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. Vengono al contempo dettati (articolo 7, commi 2 e seguenti) i princıpi fondamentali da rispettare nella legislazione regionale per disciplinare le trasformazioni (fisiche e funzionali) ammissibili nel territorio non urbanizzato, riproponendo un modello di disciplina già sperimentato, seppure a diversi livelli di compiutezza e di rigore, ma comunque per consistenti periodi di tempo, in diverse regioni (Calabria, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, provincia autonoma di Bolzano) e quindi assunto come ottimale.

L’operazione è rafforzata dalla proposta (formulata dal comma 1 dell’articolo 19) di aggiungere alle categorie di elementi e di componenti territoriali qualificati ope legis quali beni paesaggistici ai sensi del comma 1 dell’articolo 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quella del “territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”.

La seconda disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge concerne il patrimonio edilizio storico. Riprendendo suggerimenti avanzati già dalle Commissioni istituite dal Parlamento o dal Governo, negli anni ’60, per elaborare proposte relative alla riforma della legislazione sui beni culturali e paesaggistici, nonché l’istanza posta da uno specifico disegno di legge presentato, due legislature or sono, dal Ministro dei beni e delle attività culturali, e assumendo come modello procedimentale quello definito, con riferimento ai beni paesaggistici, dalla parte terza del citato codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, vengono previsti (ex articolo 8) come beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, purché d’intesa con la competente soprintendenza:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non comprese nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

Si stabilisce altresì che, laddove le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati siano oggetto di disposizioni immediatamente cogenti definite dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane o delle regioni, d’intesa con la competente soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengano luogo delle speciali autorizzazioni dell’amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

La presente proposta di legge ribadisce la giurisprudenza della Corte costituzionale, definita a partire dalla storica sentenza 29 maggio 1968, n. 56, e brillantemente riassunta, in tempi relativamente recenti, dalla sentenza 20 maggio 1999, n. 179, relativamente ai casi in cui il problema di un indennizzo in conseguenza dell’apposizione di vincoli, cioè di limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, non si pone (articolo 13).

La presente proposta di legge si fa carico, altresì, di dare una soluzione reale e definitiva alla questione (si riportano virgolettate le espressioni della citata sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999) dell’”alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo” che si pone ove i vincoli “siano preordinati all’espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati”, i quali imprimano una destinazione di interesse pubblico a specifici immobili individuati discrezionalmente in un contesto di immobili aventi connotati sostanzialmente analoghi.

A tale questione si propone di dare una soluzione alternativa a quella individuata a partire dalla legge 19 novembre 1968, n. 1187, consistente nella fissazione di una “durata massima dell’efficacia del vincolo”. Si sostiene invece (articolo 14) che gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione e dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative devono essere utilizzati solamente per funzioni pubbliche o collettive. Si stabilisce altresì che valgano in tali casi le medesime disposizioni dettate per quelli di acquisizione pubblica secondo il modello dell’”espropriazione sostanziale” (assunte dai più maturi e organici approdi della giurisprudenza della Cassazione, alla quale si deve la definizione di tale modello, susseguente alla creazione giurisprudenziale della figura dell’”accessione invertita”).

È infine stabilito (articolo 15) che le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione di tipo attuativo specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni. Tali strumenti di pianificazione devono garantire la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono, essendo la partecipazione ai benefıci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici esistenti.

Si stabilisce anche che, nel caso di interventi, previsti dalla pianificazione, di particolare rilevanza urbanistica ed economica, nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, si possa dichiararne la pubblica utilità quale premessa dell’acquisizione pubblica dell’insieme degli immobili interessati.

Nel corso della elaborazione della proposta di legge si è più volte posto l’interrogativo sulla possibilità di evitare, con una legge ordinaria, la pratica devastante (malauguratamente posta in atto reiteratamente nell’ultimo decennio) di condonare le trasformazioni del territorio avvenute in difformità alla strumentazione urbanistica. I condoni edilizi sono stati, infatti, una delle maggiori cause della delegittimazione della pianificazione del territorio e, insieme alla cattiva pianificazione, della devastazione del patrimonio comune. Che senso ha – ci si è domandati – costruire un sistema di norme garantista dell’interesse collettivo se poi subentrano ulteriori condoni a svuotarne l’efficacia?

Si è ragionato sulla possibilità di inserire in una “legge di princıpi” norme che rendessero più efficace la repressione dell’abuso e più tassativo l’obbligo di riduzione in pristino.

Una maggiore efficacia delle norme repressive non è peraltro sufficiente a impedire al legislatore ordinario di non modificare le proprie determinazioni. Si è però ritenuto necessario limitarsi, in questa sede, ad auspicare un intervento del legislatore costituzionale che introduca, nelle modifiche alla Costituzione, una norma che esplicitamente faccia divieto agli organi di governo a tutti i livelli di promulgare a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione provvedimenti di condono di uso del territorio in deroga ai piani territoriali.

Testo degli articoli

CAPO I

FINALITÀ

ART. 1.

(Pianificazione del territorio).

1. La presente legge reca norme in materia di pianificazione del territorio.

2. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nell’ambito delle specifiche competenze.

3. La pianificazione del territorio è lo strumento fondamentale attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione denominata “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, nonché delle seguenti materie oggetto di legislazione concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo articolo 117 della Costituzione: protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, nonché di materie oggetto di legislazione esclusiva delle regioni, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo 117 della Costituzione, quali viabilità e opere pubbliche di interesse regionale e locale.

4. La pianificazione del territorio è altresì lo strumento attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della tutela del paesaggio ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione.

5. Relativamente a ogni aspetto delle materie di cui ai commi 3 e 4 non disciplinato dalle disposizioni della presente legge valgono i relativi atti normativi, nel rispetto delle competenze costituzionalmente garantite dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato.

6. La presente legge provvede altresì al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

ART. 2.

(Titolarità pubblica della pianificazione del territorio).

1. La pianificazione del territorio compete esclusivamente a pubbliche autorità.

2. La formazione degli strumenti di pianificazione del territorio spetta ordinariamente ai comuni, alle province, alle città metropolitane, alle regioni e allo Stato.

3. Il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, è operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza esclusiva di definizione delle funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane.

4. La legislazione dello Stato e quella regionale possono attribuire competenze nel campo della formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette, all’erogazione di servizi di interesse collettivo e similari, ad altre autorità pubbliche, con la concorrenza di diversi enti territoriali, fermo restando che anche in tali casi la competenza decisionale finale spetta all’ente territoriale nella cui circoscrizione rientra l’intero ambito oggetto dello specifico strumento di pianificazione.

5. La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, specificano i casi di prevalenza degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale di cui al comma 4 sugli ordinari strumenti di pianificazione e le modalità di adeguamento di questi ultimi alle disposizioni specialistiche o settoriali. Sono altresì specificati i casi in cui il raggiungimento di intese con le autorità pubbliche competenti conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni le valenze e le efficacie dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

ART. 3.

(Strumenti di pianificazione).

1. Gli strumenti di pianificazione sono rivolti a regolare le trasformazioni, fisiche o funzionali, del territorio e degli immobili che lo compongono nonché a conferire loro coerenza, in relazione alla loro collocazione nello spazio e alla loro successione nel tempo.

2. Gli atti e le azioni delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi a strumenti di pianificazione. Fanno eccezione unicamente gli atti assunti nei casi di straordinaria necessità con interventi urgenti utili alla difesa del territorio nazionale, alla prevenzione di calamità naturali e di catastrofi o al ripristino dell’equilibrio preesistente a tali eventi.

3. Le facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili non possono essere annullate o modificate da sopravvenuti strumenti urbanistici quando le medesime trasformazioni sono state attuate sulla base di uno specifico provvedimento abilitativo e poste in essere secondo i tempi previsti dalla normativa in materia.

ART. 4.

(Diritto alla città e all’abitare).

1. La pianificazione assicura che l’impiego delle risorse territoriali non ne comprometta la consistenza. L’utilizzazione di tali risorse è garantita in condizioni equi- valenti a tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché al diritto di proprietà.

2. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la legislazione dello Stato determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurati negli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.

3. In particolare, il comune, per ridurre le condizioni di disagio abitativo, definisce, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione, le localizzazioni e le modalità realizzative per ampliare l’offerta di edilizia sociale.

ART. 5.

(Oneri della trasformazione urbanistica).

1. L’attività di trasformazione urbanistica presuppone l’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie per la mitigazione ambientale.

2. Ogni trasformazione urbanistica concorre alla copertura degli oneri relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste.

3. La legislazione regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti che ne sono sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da pervenire a un equilibrio tra somme introitate dal comune e oneri da sostenere. Le opere di urbanizzazione generale sono ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sulla base dell’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.

ART. 6.

(Partecipazione e condivisione delle conoscenze).

1. La partecipazione dei cittadini alla formazione delle scelte della pianificazione del territorio è condizione essenziale per la loro efficacia. Essa ha la sua necessaria premessa nella condivisione di tutte le informazioni riguardanti il territorio, la pianificazione e le trasformazioni.

2. Gli enti pubblici promuovono la costituzione di strutture atte a garantire la diffusione di esaurienti e adeguate forme di conoscenza continua e di monitoraggio attinenti ai processi di pianificazione e di trasformazione urbane, nelle loro premesse, formazione e attuazione.

ART. 7.

(Contenimento dell’uso del suolo e tutela delle attività agro-silvo-pastorali).

1. Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.

2. Le leggi regionali assicurano che, sul territorio non urbanizzato, gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, demolizioni e ricostruzioni o consistenti ampliamenti di edifici, se non strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all’estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalla legislazione vigente in materia.

3. Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma 2 sono assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali è prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale è assentita la trasformazione.

4. Le leggi regionali stabiliscono l’impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici, o di loro parti, attivando utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente all’estensione richiesta per la trasformazione ammessa.

5. Le leggi regionali disciplinano, altresì, le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e di risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e di ricostruzione.

6. Le leggi regionali prevedono la demolizione senza ricostruzione dei manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici, qualora tali manufatti perdano la destinazione originaria.

7. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre ulteriori limitazioni, fino alla totale modificalità, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico e storico-testimoniale del patrimonio edilizio esistente.

ART. 8.

(Tutela degli insediamenti storici).

1. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, per effetto dell’individuazione operata dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come beni culturali:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non compresa nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

2. Resta ferma la competenza dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali di integrare le individuazioni operate dagli strumenti di pianificazione ai sensi del comma 1 con propri provvedimenti amministrativi.

3. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati al comma 1 sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, definite ai sensi della legislazione regionale. Qualora tali trasformazioni siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive definite di intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni hanno luogo delle speciali autorizzazioni dei competenti organi del medesimo Ministero richieste ai sensi della legislazione vigente in materia.

CAPO II

STRUMENTI E PROCEDURE

ART. 9.

(Linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale).

1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro delle infrastrutture, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento ogni tre anni, nonché quando se ne presenti la necessità.

2. Nella formazione delle linee fondamentali di cui al comma 1 è inserito e reso coerente il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale e, in particolare, il piano dei trasporti, il piano energetico, i piani delle aree naturali protette e i piani paesaggistici.

3. Ai fini della formazione delle linee fondamentali di cui al comma 1 si tiene altresı` conto della normativa e delle altre deliberazioni emanate dall’Unione europea comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

ART. 10.

(Strumenti e atti di pianificazione).

1. Le leggi regionali stabiliscono l’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti e, in particolare, per ciascuno di essi:

a) la pubblica autorità competente, in base ai princıpi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;

b) i contenuti, l’efficacia, l’arco temporale di riferimento e le modalità di attuazione;

c) le procedure di formazione.

2. È attribuita alla pianificazione provinciale e regionale la competenza relativa alle scelte per le quali il livello comunale e, rispettivamente, provinciale, non è adeguato a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. Il presente comma si applica, in particolare, per gli interventi di riordino delle aree conurbate, che devono essere attuati promuovendo il contenimento della dispersione insediativa.

ART. 11.

(Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione).

1. Le leggi regionali, in relazione alla natura degli strumenti di pianificazione e delle trasformazioni da questi disciplinate, stabiliscono, oltre a quanto espressamente previsto dall’articolo 16, le procedure di formazione dei piani specialisti di settore di cui all’articolo 9, comma 2.

2. Le scelte oggetto degli strumenti di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e da atti amministrativi nonché dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione.

3. Precedentemente all’adozione degli strumenti di pianificazione, deve essere assicurata la partecipazione al processo di definizione delle relative scelte degli enti territoriali competenti alla definizione degli atti amministrativi, con particolare riferimento agli strumenti di pianificazione sovraordinati, nonché di qualsiasi altra autorità responsabile della tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

4. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del processo di formazione degli strumenti di pianificazione; a tale fine devono essere stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.

5. Nel provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione, l’amministrazione procedente illustra il modo in cui ha tenuto conto dei pareri espressi dalle altre amministrazioni nonché dei risultati delle consultazioni dei cittadini previsti dal comma 4.

6. Successivamente al provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurato un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prendere visione degli strumenti di pianificazione adottati e presentare una formale osservazione.

7. A decorrere dalla data di adozione degli strumenti di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, in contrasto con i predetti strumenti, ovvero tali da comprometterne o da renderne più gravosa l’attuazione. Può essere previsto che, anche in fasi antecedenti del processo di formazione degli strumenti di pianificazione, gli atti amministrativi appartenenti a tale processo possano inibire l’effettuabilità di determinate trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte che si intendano assumere.

8. Deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e con gli strumenti di pianificazione sovraordinati, mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza delle amministrazioni interessate.

9. Nel provvedimento di approvazione, l’amministrazione procedente deve controdedurre alle osservazioni pervenute, motivando le determinazioni assunte.

10. Le eventuali variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente giustificate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.

ART. 12.

(Accordi di programma).

1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, di programmi di intervento, di opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richiedano l’azione integrata e coordinata di comuni, province, città metropolitane, regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. Gli accordi di programma previsti dal comma 1 sono stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente.

3. Gli accordi di programma stipulati ai sensi del presente articolo che prevedono la partecipazione di soggetti privati devono rispettare i princıpi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti, nonché dimostrare l’interesse pubblico alla loro realizzazione.

ART. 13.

(Vincoli di tutela).

1. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili considerati, sotto il profilo dell’interesse culturale, oppure sotto il profilo delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

2. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovano in predefinite relazioni con altri immobili, ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti e di altri luoghi di pubblico interesse.

3. Non danno, altresì, luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.

ART. 14.

(Vincoli a contenuto espropriativo).

1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportano la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle citate disposizioni.

2. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 1, gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente. I proprietari di tali immobili hanno diritto a una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi della legislazione vigente in materia, con riferimento al momento del perfezionamento del loro acquisto da parte del soggetto pubblico. Tale diritto si estingue ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile. Tale somma è rivalutata di anno in anno con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati accertate dall’Istituto nazionale di statistica. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto, fino alla data di liquidazione.

3. Gli strumenti di pianificazione possono stabilire che non si applicano le disposizioni di cui al comma 2 quando l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili, anche se per funzioni pubbliche o collettive, non comporti necessariamente la loro preventiva acquisizione e la loro gestione, da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni gestibili nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, anche se regolata da convenzioni che garantiscono gli obiettivi di interesse generale.

ART. 15.

(Attuazione degli strumenti di pianificazione).

1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specifica unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni.

2. Gli strumenti di cui al comma 1 garantiscono la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono. La partecipazione ai benefıci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli nonché degli edifici eventualmente esistenti.

3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dai piani relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali è coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il comune può dichiararne la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.

ART. 16.

(Procedure di valutazione).

1. Gli strumenti di pianificazione sono soggetti alla valutazione ambientale durante il loro procedimento di formazione, ad esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, la valutazione ambientale non è necessaria.

2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti sull’ambiente delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante l’elaborazione e prima dell’adozione dei suddetti strumenti.

3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e con il minore impatto negativo sull’ambiente. A tale fine, ove necessario, devono essere sottoposte a confronto le proposte alternative.

4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:

a) del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione raggiunti alla data di adozione dello strumento di pianificazione;

b) dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;

c) della fase in cui gli strumenti di pianificazione si trovano nel processo decisionale;

d) della misura in cui taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio.

5. Le leggi regionali assicurano che:

a) qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea, siano previste adeguate forme di consultazione con tale Stato;

b) qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, la consultazione sia allargata alle autorità responsabili della tutela dell’ambiente e agli enti territoriali della medesima regione.

6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tale fine le regioni, o gli enti da esse delegate, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali sono evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.

7. Al fine di perseguire un’uniforme applicazione della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è adottato uno specifico atto di coordinamento recante criteri e linee guida per lo svolgimento della valutazione ambientale.

ART. 17.

(Carta unica del territorio).

1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da disposizioni di legge. Essa costituisce la carta unica del territorio e rappresenta l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.

ART. 18.

(Sistema informativo territoriale).

1. I comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato, singoli o associati, partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione e per la verifica dei loro effetti.

2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:

a) l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio;

b) la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;

c) la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazione del territorio.

3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.

CAPO III

NORME TRANSITORIE E FINALI

ART. 19.

(Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).

1. Anche ai fini del contenimento dell’uso del suolo previsto dall’articolo 7 della presente legge e della conservazione del paesaggio aperto, per il contributo che esso fornisce a uno stabile assetto del territorio, al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 142:

1) al comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

“m-bis) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”;

2) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

“4-bis. I comuni, di intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell’ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui al comma 1, lettera m-bis).

4-ter. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 4-bis, il territorio di cui al comma 1, lettera m-bis), coincide con l’insieme delle zone comprese nella lettera E) dell’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti.

4-quater. L’utilizzazione del territorio di cui al comma 1, lettera m-bis), al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali, può essere definita ammissibile, nei nuovi strumenti di pianificazione, di intesa con la competente soprintendenza, soltanto ove non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti”;

b) al comma 2 dell’articolo 143 è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

“i-bis) previsione degli obiettivi e degli strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato nel territorio di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m-bis)”.

2. Nel territorio individuato ai sensi della lettera m-bis) del comma 1 dell’articolo 142 del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, introdotto dal comma 1, lettera a), numero 1), del presente articolo, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai princıpi fondamentali dettati dalla presente legge nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio, fatta eccezione per le modificazioni finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.

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