la Nuova Venezia, 18 aprile 2018. L'intervista di Vera Mantengoli al sociologo veneziano Giovanni Semi, sul nuovo capitalismo finanziario che fagocita soprattutto le città d'arte, a cominciare da Venezia. (m.p.r.) con riferimenti
Venezia, città degli espulsi. È questo il rischio che corre se non si spezza l'incantesimo della monocultura turistica. Un incantesimo che ha l'effetto di far credere ai cittadini che l'unico mercato possibile sia quello turistico, che i palazzi siano destinati a decadere se non interviene un privato, che botteghe e realtà locali abbiano un valore solo se inserite in circuiti turistici. Tutto questo ha un nome: è il nuovo capitalismo finanziario che fagocita soprattutto le città d'arte, Venezia in primis. Ne parla il veneziano Giovanni Semi, classe 1976, docente di Sociologia all'Università di Torino, autore di Gentrification. Tutte le città come Disneyland? e relatore al convegno sugli usi civici del patrimonio pubblico, organizzato a Palazzo Badoer da Poveglia per tutti e dai cittadini de La Vida.
Cosa si intende per meccanismo di estrazione di valore degli immobili?
«Per capirlo dobbiamo iniziare a domandarci chi sono i produttori di città oggi. Se infatti è vero che le città sono tutte diverse, è anche vero che l'impasto urbano è simile ovunque. Le città d'arte sembra stiano vivendo una nuova fase dell'oro grazie al rilancio del turismo internazionale. Tuttavia il motore delle città sta nel continuo estrarre valore dagli immobili, per esempio usando le piattaforme di affitti a breve termine. Oggi siamo di fronte al fenomeno di città i cui molteplici proprietari di immobili estraggono rendita dal puro fatto di essere proprietari».
Quali le conseguenze?
«La conseguenza è che il divario sociale è sempre più forte. Si toglie spazio di affitto per la popolazione, quindi si sottrae una parte di vita alla città. Le famiglie che in passato sono riuscite a diventare proprietarie possono sperare di estrarre rendita dalla casa, tutti gli altri sono in gravi difficoltà perché non riescono a stare dove vorrebbero e sono costretti ad andarsene. Parlo anche della classe medio alta che comunque non riesce a diventare proprietaria perché nelle città globali i prezzi sono troppo alti e i residenti vengono espulsi».
Qual è l'effetto?
«La monocultura urbana del turismo di fatto accelera i meccanismi di espulsione e di disuguaglianza abitativa. Le città che stanno meglio sono quelle che possono contare su economie differenziate. Io sono nato e cresciuto qui, ma ogni volta che torno provo un grande dolore perché il panorama urbano che conoscevo è scomparso molto velocemente».
La città soffre di un degrado urbano notevole.
«Il degrado urbano è collegato alla pressione del turismo, ma è molto facile dare la colpa al turista. Ricordiamoci che la parte visibile del degrado è il turista che bivacca, ma è solo la punta dell'iceberg perché la parte invisibile è la molteplicità di interessi che hanno portato al turista che bivacca. Non ci sarebbe il turista che si lancia da Rialto se non ci fosse l'infrastruttura che glielo lascia fare. Si tende a colpire l'ultimo anello della catena perché è quello più visibile, ma per spezzare l'incantesimo bisogna mostrare tutta la catena, altrimenti il rischio è arrivare a volere solo turisti ricchi e civili, senza rendersi conto che questa non è la soluzione, ma è seguire ancora quella monocultura che vuole solo il turista ricco che porta soldi. Dopo la selezione di veneziani, quella sui turisti».
Venezia città degli espulsi?
«Le vicende di Venezia si inscrivono in questo meccanismo. È troppo bella per passare inosservata, troppo redditizia per non sollevare appetiti locali. Il flusso di capitale che scorre sotto la crosta terrestre rende Venezia un vero vulcano che, quando emerge in superficie, travolge tutto. È un vulcano voluto anche dalle amministrazioni locali che hanno consapevolmente lavorato per permettergli l'emersione, salvo poi lamentarsi che la lava distrugge tutto. La sociologa Saskia Sassen ha integrato questo tipo di dinamica urbana in un modello di sfruttamento che procede per espulsioni successive».
In che senso?
«Secondo Sassen il capitalismo globale si avvale di formazioni predatorie che estraggono risorse da ogni possibile ambito del pianeta. Parliamo qui di risorse economiche. Non ci rendiamo conto di come questo tipo di estrazione stia minacciando l'espulsione degli abitanti, soprattutto quelli delle città reputate belle. Per questo ho detto che Venezia è città degli espulsi, perché incarna il processo della monocultura».
Che ruolo hanno le piattaforme come Airbnb?«La monocultura turistica si è espansa durante la crisi finanziaria del 2008, anno in cui è nata la piattaforma Airbnb. In quel momento Airbnb ha salvato molte famiglie dal collasso, ma ha avuto successo perché si è rotta gran parte dell'economia e della redistribuzione. Queste piattaforme seguono una logica di monopolio, come si vede anche dal nuovo Airbnb Experience che promuove esperienze locali. Si tratta di una sorta di monopolio dell'identità perché questa enfasi nella produzione dall'alto delle cosiddette esperienze autentiche locali è la negazione dell'autenticità stessa. Se una realtà è autentica lo è senza doverlo affermare».
Come opporsi?
«Sarebbe già tanto riconoscere questo meccanismo e chiamarlo con il nome che ha, processo di estrazione di rendita, senza farsi intrappolare dalla retorica che lo chiama innovazione sociale o smart city. In realtà siamo di fronte a un processo di espulsione degli abitanti e di omologazione delle città che stanno diventando uguali, arrivando a quella che i sociologi chiamano disneyzzazione del panorama contemporaneo. I cittadini in questo momento hanno poco spazio perché la monocultura del turismo fa credere che si possa vivere solo di questa. Riconoscere che non è così potrebbe portare a una consapevolezza diversa. Paccottiglia e hotel che nascono a dismisura sono la parte visibile. Sotto la pelle della città scorre un fiume di capitale pronto a salire in superficie. Questo fiume non si vede, ma c'è. Noi abbiamo il compito di svelarlo perché si possa almeno discutere se è ciò di cui abbiamo davvero bisogno per vivere. In questo modo c'è la possibilità di spezzare l'incantesimo».