Il piano casa, approvato in via definitiva il 1 luglio 2009 dal consiglio regionale, pur corretto in alcuni punti grazie all’insistenza di alcuni consiglieri dell’opposizione, rimane una brutta legge che apre la strada ad un nuova massiccia densificazione del territorio e che, a fronte di benefici assai modesti sotto il profilo ambientale, avrà gravi conseguenze sulla forma e sull’immagine delle città venete.
Gli aspetti migliorativi introdotti riguardano: l’esclusione dei centri storici dal disordinato aumento di volumetria indotto dalla legge, l’obbligo della compatibilità urbanistica dell’area per poter ricostruire ed ampliare gli edifici non residenziali e la soppressione del “silenzio assenso” nel caso in cui i comuni non decidessero nei termini quali aree tutelare dall’applicazione della legge. Restano però troppi aspetti negativi che inducono a confermare decisamente la bocciatura della legge.
Non si è tenuto in alcun conto l’accordo Stato-Regioni sottoscritto il 31 marzo 2009. Il Consiglio regionale ha voluto eccellere nella “deregolazione”, consentendo l’ampliamento per tutte le tipologie di edifici, residenziali e no, indipendentemente dal volume esistente e senza alcun limite massimo di volumetria. Anche i condomini potranno essere ampliati, purché sia unicamente rispettato il regolamento interno. Ognuno può immaginare quale effetto sulla qualità dell’ambiente urbano delle periferie comporterà questa attività edilizia senza regole.
L’aspetto peggiore della legge riguarda però la possibilità di ampliare gli edifici non residenziali.
Tutti i documenti di analisi, allegati ai piani urbanistici comunali e sovracomunali, hanno denunciato la dispersione insediativa che ha caratterizzato lo sviluppo del territorio, sia per quanto riguarda il sistema residenziale che quello produttivo. Logica vorrebbe che la Regione prescrivesse che all’interno dei Piani di Assetto del Territorio comunali (PAT) ed intercomunali (PATI), che i comuni stanno elaborando, fosse prevista la razionalizzazione degli insediamenti attraverso l’accorpamento delle aree produttive. Invece, la possibilità di demolire ed ampliare fino al 50% del volume esistente tutti edifici produttivi, anche quelli incongrui, di fatto vanifica qualsiasi intento di riordino del territorio e di riqualificazione delle aree cementificate disperse e atomizzate.
Un altro aspetto negativo si configura nel fatto che l’obiettivo di incentivare il ricorso all’edilizia ecocompatibile ed alle fonti rinnovabili di energia, risulta debole e residuale rispetto a quello, di gran lunga prevalente, di riaprire i cantieri edilizi. L’ampliamento del 20% è concesso a tutti, così come il 30% in più in caso di ricostruzione. Per le buone tecniche della bioedilizia e del risparmio energetico sono previsti solamente un bonus di volume aggiuntivo del 10% e la riduzione degli oneri di costruzione. Ci si sarebbe aspettato che una legge orientata a promuovere l’edilizia sostenibile subordinasse la possibilità di ampliare gli edifici, in deroga alle norme urbanistiche, al rispetto integrale di precisi requisiti prestazionali sia per l’utilizzo di materiali ecocompatibili che per il conseguimento del risparmio energetico. Il “Piano Casa” regionale, invece, non prescrive nessun requisito prestazionale per ottenere l’ampliamento volumetrico e si presta, pertanto, a facili furbizie (basterà un’autocertificazione che attesti di aver inserito qualche riduttore di flusso nei rubinetti o una vernice di origine naturale o un pannello solare, dai costi irrilevanti) per avere diritto ad un significativo aumento di cubatura e di plusvalore dell’immobile. L’unico parametro preciso di risparmio energetico prescritto dalle norme è quello per ottenere l’annullamento del costo di costruzione nei casi di ampliamento e di demolizione con ricostruzione. Sicuramente un dispositivo molto generoso per i costruttori, che vengono addirittura “pagati” con la riduzione degli oneri per costruire in modo ambientalmente sostenibile.
Ultimo appunto contrario al disposto regionale è quello relativo all’assenza di Valutazione Ambientale Strategica (VAS). La direttiva comunitaria 2001/42/CEE impone la VAS per i piani e programmi elaborati nel settore della pianificazione territoriale e della destinazione dei suoli che abbiano effetti significativi sull'ambiente. Non v’è dubbio che la legge regionale approvata ha un impatto assai rilevante sul territorio e produrrà, di conseguenza, effetti significativi sull’ambiente. La VAS pertanto era obbligatoria. Avere approvato la legge in sua assenza ipotizza un vizio di legittimità, che potrà essere impugnato presso il tribunale amministrativo, e che costituisce, in ogni caso, un’infrazione alle leggi comunitarie passibile di sanzioni da parte della comunità europea.
Lorenzo Cabrelle è membro del direttivo Legambiente Padova