Si allarga a iniziative culturali urbane di medio periodo l'impulso dei movimenti politici dalle primavere arabe all'Europa e Usa, con risultati e spunti di grande interesse. Il manifesto, 13 aprile 2013, postilla (f.b.)
«Le strade sono per danzare»: con questo slogan si è aperto a San Paolo del Brasile la seconda edizione del Festival BaixoCentro, una manifestazione autopromossa e autofinanziata di occupazione civile delle strade e delle piazze dell'area centrale della città con oltre cinquecento eventi di musica e teatro, danze, installazioni e laboratori creativi che il movimento BaixoCentro - una rete di attivisti e di associazioni culturali indipendenti che operano nella zona del centro paulista - ha messo in scena per portare fuori di casa i paulistani e offrire loro un'esperienza di vita urbana meno cupa e meno opprimente di quanto sia nella quotidianità di tutti i giorni.
Chi conosce San Paolo sa infatti che il centro città non è il luogo dei bistrot e dei café frequentato da intellettuali e bourgeois-bohèmes come a Parigi o nelle capitali europee; al contrario i quartieri del centro, Santa Cecília, Vila Buarque, Campos Elísios, Barra Funda, Luz, sono tra i più malridotti e disgraziati della città, luoghi del degrado e dell'emarginazione, soffocati dal traffico e ipercontrollati da telecamere e guardia civil che dopo le nove di sera diventano territorio off limits . Eppure in questi barrios della «periferia in centro» pulsa l'anima della città: dietro la fatiscenza e le polveri dell'inquinamento si intravedono eleganti edifici in stile coloniale e modernista che lasciano trasparire una bellezza d'altri tempi; ci si imbatte nelle pareti e nei muri rivestiti dai graffiti dei pixações , gli artisti funamboli che nella notte si arrampicano sulle facciate dei palazzi abbandonati per disegnare le loro meravigliose opere d'arte; si attraversano piazze coloniali con enormi piante tropicali che seppur malandate danno l'idea di trovarsi in giardini botanici pubblici. In questa «periferia in centro» si trova quella stratificazione urbana che per quanto non sia antica e di profondità, è pur sempre una stratificazione di memorie e identità che meriterebbero di essere riscoperte e valorizzate.
Ma in una città relativamente giovane, cresciuta rapidamente e oltremisura, senza regole e senza cognizione della storia e dei tempi storici (qui tutto comincia a metà Cinquecento con l'arrivo dei gesuiti), il patrimonio è un concetto astratto e la riqualificazione non è intesa come riabilitazione urbana ma come rimozione e sostituzione di quanto è scassato, non però nel nobile senso benjaminiano di uno sprigionamento di energie distruttive per costruire un mondo migliore sulle ceneri del vecchio. Nella dura realtà paulista è il mercato a dettare le regole e non meraviglia che la speculazione edilizia abbia messo gli occhi sui quartieri della città delle crepe per far fruttare i suoi interessi: diversi palazzi storici sono stati buttati giù o scarnificati per realizzare torri di uffici e appartamenti duplex o triplex che non solo sono parecchio bruttini, ma sono anche inaccessibili alle tasche dell'abitante medio del centro di San Paolo che guadagna un terzo del costo di queste nuove case.
Ma per accorgersi di tutto ciò e tentare di rimediare agli inganni del mercato c'è molto da cambiare, prima di tutto la cultura dell'abitare e la percezione dei luoghi. È con queste intenzioni che gli attivisti del movimento BaixoCentro hanno lanciato la sfida «occupy»: per ribaltare il punto di vista e promuovere «una utopia possibile, fatta per le persone e dalle persone» in contrasto con una condizione urbana vissuta come destino immodificabile. Per una decina di giorni il festival e i tanti eventi che quotidianamente sono in cartellone (basta visitare il sito www.baixocentro.org per farsi un'idea) costituiscono motivo per uscire di casa e camminare per le strade e le piazze di Cracolândia, senza la paura e l'indifferenza che caratterizza la vita della megalopoli, scoprendo quanto è bello lo spazio pubblico.
Luogo prescelto per dare inizio a questa rivoluzione copernicana è il Minhocão, la sopraelevata Costa e Silva che i paulistani preferiscono chiamare con il nome del tarlo della foresta amazzonica invece che con quello di uno dei generali della dittatura, il quale costituisce il boulevard e l'asse principale del festival. Lungo 3 chilometri e mezzo e sollevato di 3 metri e mezzo rispetto alla quota della città, il Minhocão è il simbolo dell'autoritarismo e della crudeltà urbana: la sopraelevata fu concepita e costruita negli anni della dittatura militare dagli allora sindaci della città José Vicente Faria Lima e Paulo Maluf per dare una soluzione ai problemi di traffico e di circolazione che a San Paolo erano divenuti insostenibili già negli anni sessanta, senza però tenere in alcun conto il contesto delle case circostanti: è così che il Minhocão ha tagliato in due il quartiere di Santa Cecilia passando a soli 5 metri dalle finestre dei fabbricati posti ai due lati!
Come spesso accade però, il tempo ha modificato la percezione del Grande Verme e oggi il contestato mostro urbano è diventato un «oggetto amico», grazie anche al divieto di transito notturno e alla chiusura del fine settimana che hanno permesso agli abitanti di riappropriarsene. Ogni venerdì sera una volta chiuso al traffico automobilistico, il Minhocão comincia la sua seconda vita: escono allo scoperto gli artisti di strada, i pixações i venditori ambulanti di acqua gelata e cocco e per tutto il weekend il viadotto diventa una piazza e un balcone urbano accessibile e aperto a chiunque.
A partire dagli usi informali del mostro, il movimento BaixaCentro ha pensato insieme a dei collettivi di artisti e architetti di lanciare la proposta del Parco Minhocão, un parco urbano dei divertimenti di cui è stato presentato un «estratto» durante il festival: secchiate di colore gettate sull'asfalto, strati di erba artificiale, vecchi pneumatici dei camion adattati a sedute, teli appesi alle travi e piscine gonfiabili sono serviti ad allestire uno spazio comune dove per tutta la durata del festival è possibile recarsi per fare un picnic, nuotare, giocare a calcio, vedere un film, dondolare appesi alle travi in cemento o anche semplicemente per incontrarsi. Sulla falsa riga di quanto è già avvenuto a New York con la High Line e a Parigi con la Promenade Plantée dove vecchie strade ferrate e sopraelevate dismesse sono state trasformate in passeggiate, giardini, orti urbani e piste ciclabili invece di essere abbattute, il movimento BaixaCentro ha voluto lanciare un'opa a favore della riabilitazione del Minhocão per restituire alla cittadinanza un diritto alla città e mostrare che la rigenerazione urbana non è un'imposizione dall'alto, ma un processo condiviso fatto insieme alle persone e agli abitanti.
Nella testa dei suoi ideatori, il Parco Minhocão dovrebbe infatti essere un laboratorio delle idee e della creatività da costruirsi interamente con materiali e oggetti riciclati e in modo collettivo insieme ai cittadini e soprattutto insieme agli studenti e ai bambini delle scuole della zona per riprendersi, civilmente, un luogo e uno spazio che gli interessi economici e speculativi, ancora una volta in maniera autoritaria, vorrebbero destinare alla demolizione. Il Minhocão diventerebbe così, il primo caso di parco urbano a «chilometro zero», autocostruito e autogestito, riproducibile in altri contesti e in altre situazioni urbane senza diritti di copyright. Ecco perché la vera novità del progetto Parco Minhocão (per ora solo una proposta) è il suo manuale di istruzioni, un volumetto illustrato da rendere disponibile su internet per spiegare i criteri e i metodi di assemblaggio del parco e delle sue costruzioni (pensiline, gazebi, chioschi, pavimentazioni, giochi, panchine, aree di sosta, installazioni espositive) e consentire ad altri nel mondo di copiarlo e costruirlo.
Per fortuna, il festival non si limita alla stimolante proposta di un parco urbano auto da sé; la straordinaria partecipazione della gente agli eventi del festival dimostrano che il cambiamento è possibile e che una umanizzazione dell'urbanistica è un'utopia realizzabile. Basta mettere in atto le strategie e gli strumenti giusti.
Postilla
L'aspetto forse più importante e interessante di questa, e altre, iniziative che si fregiano del marchio Occupy, diventato una specie di franchising globalizzato del progressismo, è quello di affrontare la questione urbana come merita e pretende, ovvero nelle forme articolate e complesse che corrispondono al contesto in cui si calano i singoli progetti. Con un approccio che pare collocarsi molto lontano, e per fortuna, da altre in sé pur rispettabili idee (sempre evocate, ultimamente) come quelle del riuso tradizionale di spazi e strutture, come l'ubiqua High-Line, che ormai ha scavalcato la Settimana Enigmistica quanto a tentativi di imitazione, di solito campati per aria. Le quali iniziative finta fotocopia della High-Line, altro non sono se non l'esatta riproposta, sotto mentite spoglie, del medesimo approccio solo progettuale, per nulla organico e complesso, che ha creato gli antichi problemi di mobilità, scarsa abitabilità, ingiustizia ecc. che ora si vorrebbero risolvere con la società che dilaga nei quartieri prima segregati. Ecco: si badi a non segregarli di nuovo, magari con le migliori intenzioni. Teniamolo presente, che anche gli antichi segregatori erano quasi sempre animati da sentimenti identici (f.b.)