Da : "Un italiano scomodo", a cura di M.P.Guermandi, V.Cicala, Bologna, BUP, 2007.
Gli anniversari possono rivelarsi scadenze ambigue, a volte ingombranti o pretestuose, che si appiattiscono in formali commemorazioni, funzionali ai rituali accademici; a volte invece divengono necessarie rivisitazioni e analisi rese più lucide dal decantarsi delle contingenze. Talvolta, anche, si tramutano in tagliole della memoria in cui si impigliano ricordi, rimpianti e qualche senso di colpa. Due lustri sono in fondo uno spazio temporale adeguato per una prima decantazione che possa enucleare i motivi fondanti di un’opera, evidenziarne i metodi e dall’altro lato per verificarne la validità in tutto o in parte. E per tentare dei bilanci, anche quelli così limitati e così manichei, di vittorie e sconfitte. In questo anno di commemorazioni uno dei leit motiv che hanno percorso tante delle riletture dell’opera cederniana è costituito proprio da questa ansia di bilanci: credo che questo si debba innanzi tutto al fatto che Cederna è stato, prima di ogni altra definizione, un combattente di una infinita battaglia per la civiltà.
In fase di elaborazione del percorso di ricerca che è all’origine di questo volume ho cominciato in maniera frammentaria per modalità, ma sistematica per ampiezza, la lettura del corpus cederniano edito: mi accompagnavano in queste letture i racconti personali di alcuni dei suoi compagni di viaggio, molti dei quali qui riuniti ad analizzarne percorsi, iniziative, aree d’intervento oppure (o assieme) semplicemente a restituirci un ricordo dell’uomo Cederna.
La sua produzione letteraria, costituita per lo più da articoli su quotidiani e settimanali, poteva ben prestarsi ad un esercizio, per contingenze personali, un po’ discontinuo. Eppure, rileggendo quelle pagine, assieme al disagio crescente spesso provocato da talune descrizioni, risultato certo dell’efficacia della sua prosa, ma ancor più dell’ineluttabilità e dell’evidenza, così attuale e così scomoda, di certe conclusioni e di molte previsioni, uno dei caratteri che mi hanno più colpito è che l’opera di Cederna, pur procedendo per episodi circoscritti - per carattere editoriale e diversificazione di soggetti - possiede una propria straordinaria organicità tanto da risultare persino monolitica quanto a coerenza ideologica.
Cederna tende, fin dalla prima fase della sua attività, a inquadrare gli episodi che descrive, i fenomeni che analizza, in un orizzonte più vasto, per risalire alle cause, certo, e perché possiede una concezione sistemica del territorio e dei suoi problemi. Il territorio è quindi un sistema complesso e fragile in quanto tale, perché in esso ogni elemento che vi viene alterato ne scompone tutto l’equilibrio come nel più delicato degli ecosistemi. E di conseguenza i centri storici sono da interpretare non come insieme di monumenti eccellenti, ma nell’insieme del loro tessuto connettivo, come articolazione organica, complesso contesto di strade e palazzi e così i beni culturali non come emergenze isolate, ma inseriti nel problema più complesso delle città e del paesaggio.
Allo stesso modo Cederna contesta, come arretrata e dannosa, la visione della natura come paesaggio, quando sia inteso come sommatoria di panorami e quindi quasi esclusivamente interpretato nelle valenze estetiche. Possiede, è stato detto, una visione strategica dell’urbanistica nella quale individua lo strumento privilegiato per il governo del territorio. E’ stato detto che Cederna fosse un vero e proprio urbanista: in realtà egli non fu mai (e non ne ebbe mai l’intenzione) un professionista della pianificazione [1], ma seppe portare la divulgazione dei temi urbanistici a un tale livello di chiarezza e inquadrarne i problemi in una visione della città così coerente e ribadita nel tempo da diventare per certo una delle figure di riferimento dell’urbanistica italiana. Fra i primi a capire, con assoluta tempestività di analisi, che le arretratezze delle nostre città in campo urbanistico sono il perverso effetto della costante difesa della rendita fondiaria a livello politico – legislativo; in anticipo su tutti, a livello di comunicazione di massa, diffuse concetti come quello della irriproducibilità e fragilità del suolo. E in controtendenza con il provincialismo che caratterizzava la nostra stampa (e la nostra cultura) pose da subito grande attenzione alle esperienze più avanzate, in campo urbanistico, di ambito europeo - Amsterdam, Stoccolma, Copenaghen, Zurigo - a più riprese additate come modelli a cui ispirarsi. All’ imprinting culturale ereditato dalla borghesia lombarda di stampo illuminista occorrerà far risalire senz’altro la sua vocazione divulgativa e la tenacia assertiva.
Tutti questi elementi connotano l’evidenza della sua attualità, tante volte proclamata e raramente interpretata, forse perché fastidioso sintomo della nostra cattiva coscienza di cittadini distratti e della nostra pigrizia intellettuale. Cederna è attuale non solo perché molte delle sue battaglie sono purtroppo ancora aperte, perché molte delle sue accuse e delle sue descrizioni potrebbero essere riproposte tal quali a venti, trenta, quarant’anni di distanza, lo è ancor più proprio nella capacità di inquadrare i tanti episodi e fenomeni, per lo più negativi, riportandoli sempre ad una analisi complessiva e a ragioni strutturali con le quali ci ritroviamo a fare i conti ancor oggi.
E bisogna leggerle, le date di questi articoli in cui sulla stampa periodica e quotidiana Cederna veniva componendo il suo ritratto - Iliade e Odissea assieme - dell’Italia del dopoguerra, del boom economico, di tangentopoli.
Né apocalittico, né integrato, Cederna, come è stato sottolineato in molti contributi di questo volume, non fu mai solo un critico e un oppositore del mutamento, ma fu studioso in grado di proporre anche soluzioni operativamente efficaci e concretamente realizzabili (il parco dell’Appia, la proposta di legge per Roma Capitale). E i suoi scritti di sintesi si concludono quasi sempre con un’agenda propositiva, in cui il primo punto è invariabilmente dedicato alla necessità di censire, studiare, documentare: conoscere di più per fare meglio: “non si salva, ciò che non si conosce” [2]. La sua azione sempre combattiva e dispensatrice di idee, di iniziative, di alternative non è quella di un semplice conservatore: è per lo sviluppo guidato dalla mano pubblica, per una città moderna ispirata ai criteri dell’urbanistica di stampo nordico che vive accanto alla città storica e per questo ne permette la conservazione nella maniera migliore e più congrua per uno sviluppo ordinato e vitale delle proprie funzioni e in cui la qualità della vita sia garantita a livelli decorosi per tutti.
Né marxista, né crociano, non fu mai contro la proprietà privata intesa come possesso giuridico di un bene, criticando nel marxismo, soprattutto, la sottovalutazione dei problemi del territorio intesi come sovrastrutturali e nell’idealismo la concezione del paesaggio come visione estetica e relegata ad un’apparenza soggettiva e inafferrabile.
Proverbiale la sua pignoleria nella documentazione e nell’elaborazione scritta (sette ore a cartella, il minimo prescritto per ottenere un risultato decente) e l’attenzione che si percepisce per il materiale iconografico, non accessorio, ma parte integrante delle sue analisi. Alla base delle sue inchieste sempre ripetuti sopralluoghi oltre che il vaglio di innumerevoli materiali di prima mano: arrivò a studiare l’olandese per tradurre il piano urbanistico di Amsterdam e poterlo illustrare con precisione d’analisi. Frequentatore attentissimo di convegni, dei quali proponeva accurati resoconti critici, degni, per contenuto, di pubblicazioni specialistiche, ma esemplari per chiarezza e capacità di individuazione degli snodi culturali.
Nel 1949 comincia la collaborazione a “Il Mondo” [3] sulle cui pagine prende a denunciare, fra l’altro, l’urbanizzazione selvaggia che si scatena negli anni delle ricostruzioni postbelliche. L’attività di Cederna, così come è stato messo in rilievo da Francesco Erbani, è perfettamente complementare all’ideologia progressista e laica del periodico di Pannunzio, che in quegli anni veniva denunciando le arretratezze culturali della classe politica e di quella accademica, quando non la loro acquiescenza agli interessi privati più retrivi ed aggressivi e i guasti di un capitalismo distorto, che si poneva al riparo dal rischio d’impresa, rifugiandosi nella passività della rendita immobiliare e fondiaria o nella corruzione [4].
Intanto nasce Italia Nostra (è il 1955) e Cederna ne è tra i fondatori e sarà sempre uno dei soci più attivi in veste di presidente della sezione romana: per Italia Nostra, negli anni, scriverà alcune delle sue sintesi più efficaci e di assoluto rilievo storico [5].
Nel 1956 esce la prima raccolta degli articoli pubblicati su “Il Mondo”, I vandali in casa, dove già presenti sono le tesi di fondo che saranno incessantemente ripercorse e riproposte nell’arco di oltre quarant’anni: quelle per una pianificazione come metodo imprescindibile e garanzia di trasparenza e democraticità; per la tutela della natura e del territorio nel suo complesso perché bene non reintegrabile; il nesso di complementarietà fra antico e moderno per cui, per salvare l’antico, bisogna saper costruire il moderno secondo i criteri di un’urbanistica modernamente intesa. L’incipit de I vandali in casa è una chiamata alle armi a partire da una separazione netta fra chi è vandalo e chi non lo è. Cederna si propone di organizzare contro i distruttori del bello una vera e propria ‘persecuzione metodica e intollerante’ [6]. E inizia una delle battaglie di fondo che caratterizzerà la sua attività nel tempo: quella per la diffusione di una cultura, urbanistica e non, più moderna e per l’incremento di una sensibilità più attenta e profondamente motivata per i temi della tutela dei beni culturali e, in sostanza, per l’allargamento, nell’opinione pubblica, del sentimento di riappropriazione del patrimonio collettivo di città e paesaggio.
Ma nell’introduzione-manifesto de I vandali in casa è anche l’esposizione di uno dei suoi temi privilegiati: la conservazione integrale dei centri storici, premessa obbligata alla loro tutela: la città è cultura, ‘civiltà stessa del vivere e del costruire’ [7]. Da questi assunti trovano linfa, ad esempio, le straordinarie vittorie contro gli sventramenti del tessuto storico di via Vittoria, progettati dalle giunte capitoline dei primi anni Cinquanta e sventati grazie agli appelli di un gruppo di intellettuali, fra i quali Cederna, e assieme la denuncia, quasi solitaria, della progressiva distruzione del centro storico milanese. E inizia, con un famoso articolo del 1953, su “Il Mondo”, I gangsters dell’Appia, la battaglia di una vita, quella per la tutela dell’Appia antica.
Nella furia accusatoria Cederna non fa sconti a nessuno: gerarchie ecclesiastiche, organi di tutela deboli e neghittosi, amministrazioni pubbliche (quella capitolina in primis), classi politica e accademica nel loro complesso, fra cui spiccano, per ignoranza e boria, gli architetti.
Ma oltre che per la solidità e la novità dei contenuti, la polemica cederniana si distingue e si distinguerà sempre per la cifra stilistica che la connota e che ne costituisce elemento di efficacia e riconoscibilità immediato. Nella sua prosa di carattere oratorio e dall’aggettivazione incalzante, i toni variano dall’indignazione all’ironia più acuminata, al sarcasmo vero e proprio: in certi casi Cederna predispone, con le sue descrizioni, quasi una scenografia di una commedia all’italiana di stampo monicelliano, quando non si apparenta alle disarmonie inquietanti di Hieronymus Bosch.
Nei suoi scritti egli dà sfoggio di un uso sapiente degli strumenti retorici finalizzati a dar voce ad uno sdegno in cui l’icasticità della scrittura riproduce la forza emotiva che anima i contenuti. Quelli dell’ironia: tropoi, metalessi, domande retoriche, antifrasi e quelli dell’invettiva: anafore, iperboli, amplificazioni e accumulazioni caotiche, enumerazioni e climax in progressione semantica. E nella reiterazione non esiste quasi mai ripetizione pedissequa, fra un testo e il successivo: Cederna aggiunge sempre qualcosa, approfondisce un’analisi, incrementa i dati documentali, colora di nuovi aspetti la descrizione di un evento, di una situazione, ne definisce più in profondità le conseguenze, ne amplia i paralleli e i confronti. E potremmo in fondo riconoscervi anche in questo caso, l’uso, per così dire espanso, della figura retorica della commoratio: l’indugio ripetitivo sulle idee comunicate finalizzato al loro arricchimento concettuale. Certo i concetti ritornano, e Cederna stesso ammetteva, con civetteria provocatoria: “Scrivo da sempre lo stesso identico articolo, finchè le cose non cambieranno continuerò imperterrito a scrivere le stesse cose” [8], ma il ricorrere dei concetti è una sorta di necessità reiterativa dovuta al loro carattere episodico, ma ancor di più all’intento pedagogico che lo anima.
Parafrasare Cederna è una sfida linguistica piuttosto frustrante, perché si finisce piuttosto per ricopiarlo, arrendendosi all’evidenza che meglio di così quel fenomeno, evento, meccanismo, luogo non poteva essere descritto o definito. L’Italia è, di volta in volta, ‘paese a termine’, ‘espressione topografica delle manovre della speculazione e della rapina privata’, ‘crosta repellente di cemento e asfalto’. E la ‘città a macchia d’olio’ costituisce la prima definizione italiana di sprawl urbano. Gli sventramenti dei centri stirici sono come i clisteri per i medici di Molière, gli obelischi di via della Conciliazione come vecchi candelieri su un comò di campagna. L’assimilazione del Colosseo ad uno spartitraffico è di Cederna, in Mirabilia Urbis [9]. I beni culturali sono vacche sacre: intangibili, ma indesiderati; crosta Adriatica è la riviera romagnola. Espressioni che abbiamo usato tutti, prima o poi, tanto efficaci e lapidarie da diventare insostituibili.
E così le sue unità di misura costruite per evidenziare l’enormità di eventi, progetti e situazioni e la gravità delle loro conseguenze: l’albergo Hilton come misura di ecomostri e lottizzazioni in genere [10]; due sigarette la spesa annuale dello Stato per abitante destinata alle indagini geologiche; mezzo foglio di carta protocollo la dotazione di verde per ogni cittadino romano fra il 1945 e il 1960.
All’inizio degli anni Sessanta Cederna diviene strenuo sostenitore del disegno di legge urbanistica Sullo (è il 1962) di cui sottolinea la novità e la capacità di riallineamento della nostra legislazione alle più progredite normative e prassi europee, riconoscendone anche il merito di aver inserito, per la prima volta, la tutela del paesaggio e dei centri storici all’interno della pianificazione urbanistica [11].
Nel frattempo continua a dedicare molta parte della sua attività giornalistica e non, a Roma, da lui amatissima, pur non essendone la città d’origine e pur così lontana dalla sua impostazione culturale ispirata ad un’etica severa, ma senza moralismi. E a Roma è dedicata la seconda raccolta: Mirabilia Urbis (è il 1965). In essa scopriamo fin da subito l’analista di spietata acribia di documenti ministeriali, il narratore satirico di interminabili sedute comunali capitoline [12] e il ritrattista di feroce sarcasmo di personaggi politici o accademici: valga per tutti l’insuperabile descrizione del “sindaco nero” Cioccetti [13].
In Mirabilia Urbis è la cronaca sempre più dolente dello stravolgimento del piano urbanistico del 1957, ‘il piano degli urbanisti’, elaborato da tecnici competenti e che avrebbe potuto ridare una dignità di pianificazione ad una città preda della speculazione e dell’anarchia edilizia postbellica. Su quel fallimento si innesta la decomposizione urbanistica di Roma ed il definitivo assalto speculativo dei grandi costruttori oltre che l’ammasso delle periferie più tetre e degradate di Europa (le borgate di pasoliniana memoria), al destino dei cui abitanti Cederna riserverà sempre accorati accenti di indignazione sociale.
La raffinata sovracopertina einaudiana anticipa il testo dei risvolti e, nel volume, la sequenza fotografica iniziale - ad opera della moglie Maria Grazia - sintetizza visivamente, con tecnica panoramica precinematografica, l’assunto di fondo dell’insieme testuale: la degradazione della capitale in cui si è già realizzato, nel 1965, lo stravolgimento ironicamente preannunciato nel titolo. E Cederna denuncia anche il totale disinteresse dell’amministrazione nei confronti del problema del verde urbano, la svendita dei parchi delle ville patrizie, lo scempio della costruzione dell’Hilton. E continua la battaglia per l’Appia.
Agli esempi romani sono infine dedicati i primi mirabilia urbis: sorta di vademecum turistici al contrario, di guide rosse dello sfacelo e del degrado che Cederna andrà compilando, nel tempo, col puntiglio del topografo (Appia antica, Campi Flegrei, Palermo, la penisola sorrentina), segnalando abusi, incurie, rovine.
Con l’arrivo al “Corriere” (è il 1967), durante gli anni di Giulia Maria Crespi [14], il suo raggio d’azione si allarga, anche perché nel frattempo è divenuto il vero e proprio collettore di denunce, segnalazioni, proposte che gli provengono da ogni parte d’Italia, il punto di riferimento di quella opinione pubblica ‘qualificata’ (oppure, con termine di nobili ascendenze e di rinnovato successo, ‘società civile’) che va cominciando a formarsi anche per merito della sua attività.
Palermo, Venezia, Firenze, Lucca, Selinunte, Bologna, la situazione dei parchi naturali, delle coste, dei musei. Vere e proprie pagine di storia urbanistica di esemplare documentazione sono gli articoli inchiesta su Napoli del 1974 [15]. Tanto che Leonardo Benevolo ebbe a dire, in quegli anni, scherzosamente:“pensate cosa sarebbe l’Italia se Cederna non fosse pigro”.
La distruzione della natura in Italia, raccolta a tematica più dichiaratamente ambientalista, è del 1975 (dieci anni prima della Galasso): Cederna, che ironizza sugli ecologisti e guarda con sospetto al termine ‘paesaggio’, vi antepone la sintesi ‘Lo sfacelo del Bel Paese’ in cui si scaglia contro il paese delle eterne emergenze, delle calamità che ‘naturali’ sono solo per ipocrita convenzione, che scopre l’urbanistica solo dopo il crollo di Agrigento e la geologia dopo l’alluvione di Firenze. In quelle pagine bacchetta anche i padri costituenti perché disinteressati, nella stesura dell’articolo 11, al problema della conservazione della natura, nelle sue implicazioni urbanistiche e sociali [16]; denuncia ancora “la privatizzazione sistematica del suolo nazionale in nome della rendita parassitaria e della rapina privata” [17], il rifiuto delle politiche di piano in ogni settore e la rincorsa, da parte di una classe di governo miope e ottusa, ad un profitto facile e immediato per lo più a vantaggio del privato. Quale rimedio vi contrappone – ancora e sempre – la pianificazione urbanistica come regola suprema di governo del territorio e la conservazione della natura come obiettivo primario di ogni società civile. Talune considerazioni paiono persino anticipare temi degli studiosi della postmodernità, Rifkin in particolare [18].
A seguire, un’analisi senza sconti dei parchi nazionali dell’epoca e della loro gestione, la denuncia della cementificazione delle coste ridotte, per chilometri e chilometri, a informi ‘città lineari’, del dilagare insensato dei porti turistici e degli impianti di risalita e infine, un tema a lui caro, il verde urbano, ridotto nelle nostre ‘città omicide’ a percentuali da prefisso telefonico. Evidenzia, ancora una volta in anticipo su tutti, i danni della ‘valorizzazione (termine che non gli piace) turistica’ in Costa Smeralda, del turismo elitario e di rapina che non regala che briciole all’economia locale e si trasforma in una forma di colonizzazione.
E non manca l’attenzione alle implicazioni economiche: è più vantaggioso risanare, conservare che costruire ex-novo, è più economico prevenire, studiare, che fronteggiare i danni del dissesto idrogeologico. Il recupero dei centri storici creerà nuovi posti di lavoro in quantità maggiore e più qualificati rispetto alla nuova edilizia.
Intanto si schiera a sostegno delle iniziative bolognesi di Sarti e Cervellati per il recupero dell’edilizia abitativa in centro storico [19], denuncia lo ‘scorticamento’ della sua Valtellina, l’assedio del cemento ai siti archeologici, in particolare Paestum; sua l’idea, assieme a Paolo Ravenna, dell’addizione verde di Ferrara che porterà al restauro delle mura cittadine.
Accusatore implacabile del carattere retrogrado e passatista della nostra archeologia della prima metà del ‘900: un coacervo di eruditi incapaci di ergersi a difensori dell’antico contro la montante speculazione e assertori di una concezione retriva e nazionalista della romanità di impronta spesso scopertamente fascista. Per questo lui, archeologo, si scaglia, fin dai primi interventi, contro i retori dell’archeologia e dell’antichità. Summa delle sue battaglie il volume monografico del 1979, Mussolini urbanista nel quale attraverso l’analisi minuziosa delle cronache e degli avvenimenti che ridisegnarono il volto della capitale nel ventennio littorio, Cederna ricostruisce, di fatto, il quadro culturale di un’epoca, e non solo dal punto di vista archeologico-urbanistico. Il risultato di quelle operazioni e i danni irrimarginabili procurati al tessuto urbano e agli stessi monumenti archeologici che si volevano esaltare, sono raccontati con autentico dolore, tanto che le descrizioni cederniane delle ‘povere reliquie disastrate’, dei monumenti come ‘denti cariati’, ‘macerie e ossami calcinati’ sono ormai divenute proverbiali. Ma Cederna non dimentica che il risultato dell’ ‘abbellimento’ del centro storico fu anche e soprattutto il processo di espulsione e ghettizzazione degli abitanti delle classi popolari, condannati, con il trasferimento nelle fatiscenti borgate periferiche, alla marginalità urbana e sociale.
Il volume uscirà in un clima di rinnovata attenzione al patrimonio archeologico romano gravemente minacciato dall’inquinamento: sarà la miccia per accendere il dibattito sul riassetto dell’area archeologica centrale, che vedrà Cederna fra i protagonisti e fra i più accesi fautori della rimozione di via dei Fori Imperiali e dell’elaborazione del progetto Fori che lo vedrà impegnato, quale protagonista, accanto ad Argan prima e a Petroselli poi e a un drappello di urbanisti e intellettuali, nel sostegno del più innovativo progetto urbanistico che Roma abbia conosciuto nell’ultimo secolo, connesso topograficamente e ideologicamente alla creazione del Parco dell’Appia antica, battaglia che continua dopo il successo (temporaneo) del decreto Mancini di destinazione a parco di 2500 ettari di campagna dell’Appia (è il 1965). Nel “Progetto Fori”, al contrario di altri intellettuali, Cederna vede l’archeologia - quella stratigrafica, ‘progressista’, che, ereditando la lezione di Bianchi Bandinelli, prende piede in Italia a partire dai tardi anni sessanta e si raccoglie soprattutto attorno alla rivista “I Dialoghi di Archeologia” - come mezzo per perseguire una finalità urbanistica e come parte di un ragionamento sull’insieme dell’assetto urbano. Il progetto costituirà uno dei punti cardine della proposta di legge per Roma Capitale presentata da Cederna nel 1989 in veste di deputato della Sinistra indipendente: in esso ci si misurava non solo con una visione nuova di Roma, ma la forma urbis diviene l’immagine di una rinnovata ideologia del governo della città.
Più difficili gli anni di “la Repubblica” (dal 1982 al 1996 [20]), più complicati, frastagliati, i rapporti. Come lo stesso Cederna rileva ormai nell’amarissima introduzione a Brandelli d’Italia, l’ultima raccolta (è il 1991), l’attenzione della stampa quotidiana è ormai spasmodicamente tesa alla notizia intesa come evento, catastrofe, disastro. Al contrario Cederna disprezza il “culto maniacale della notizia”, il giornalismo per lui è sempre stato “battaglia costante, continua, tempestiva e preventiva” [21], non semplice registrazione e al più deplorazione di un tragico evento. La continuità della sua denuncia, lo slancio che vi immette avevano fatto dei suoi articoli delle vere e proprie campagne stampa. Negli anni del “Corriere”, in specie, Cederna riesce ad imporre un livello di attenzione per questi problemi impensabile per la stampa odierna, non solo quella quotidiana: nel 1972, in 12 giorni, trasmette 9 articoli sulla conferenza ecologica ONU a Stoccolma . Adesso, negli ultimi anni, lui, urbanista ad honorem, comincia a scontrarsi con il muro di opacità nei confronti dei problemi dell’urbanistica e si deve adeguare ad un sistema mediatico ormai incapace di proporre visioni e analisi complessive e dove è finito il giornalismo d’inchiesta e che si limita a richiamare solo gli eventi spettacolari e mediaticamente spendibili, relegando per lo più i temi urbanistici alle cronache locali.
Persino il linguaggio muta, l’ironia sarcastica che si esaltava nell’aggettivazione a volte feroce e nell’accumulo definitorio in crescendo, lascia il posto ad una amarezza dolente e senza sorriso, come si avverte nei commenti a corredo degli articoli riuniti in Brandelli d’Italia.
Nonostante questo, le sue battaglie conoscono ancora episodi di grande clamore e successi insperati, come quella contro la cementificazione della piana di Castello a Firenze[22]. Sostiene la legge Galasso, ritorna a più riprese a illustrare lo stato di degrado dei musei, in particolare la situazione del museo Torlonia e della Galleria Nazionale di Palazzo Barberini. E’ fra i pochi oppositori delle costruzioni per il Mundial del 1990. E da ultimo, la vittoria, al termine di una appassionata, notturna perorazione di fronte al consiglio comunale capitolino, per lo spostamento del futuro Auditorium al Flaminio[23].
“Conosciamo i giornalisti, si stancano presto”[24]: così la previsione di un funzionario della Pubblica Istruzione, riportata da Cederna stesso, sulle polemiche da lui innescate a proposito del degrado della regina viarum su “Il Mondo” (è il 1953). Oltre 140 gli articoli che scriverà sull’Appia in quarant’anni di infinita battaglia[25]. Censita in ogni metro, ogni centimetro, come quando (L’Appia in polvere) Cederna compila, da perfetto archeologo, il puntiglioso catalogo dei frammenti archeologici abusivamente impiegati a decorazione del muro di cinta della villa di una nota attrice, al civico 223. Sull’Appia seppe mantenere alta l’attenzione fin dai primi anni Cinquanta, quando più arrembante era l’assalto della speculazione, fino alle prime, contrastate vittorie e all’istituzione del Parco Regionale (è il 1988)[26]. Ancora oggi si succedono sull’Appia episodi di degrado, mentre ancora intatte - anche in presenza di ordini di demolizione - permangono alcune delle costruzioni abusive contro cui egli si battè. Solo il 5% del Parco dell’Appia è di proprietà pubblica e continua lo stillicidio delle costruzioni abusive che ha tratto nuova lena dal condono del 2003. A questo le risibili risorse della Soprintendenza poco possono opporre. Però quando Cederna cominciò la sua battaglia, l’Appia era sentita come terreno privilegiato per l’urbanizzazione di alto livello, mentre ora, nella coscienza dei romani, è ormai vissuta come il Parco dell’Appia: patrimonio della città e dei suoi cittadini. E da qualche mese (luglio 2006) è stata inaugurata, nella villa di Capo di Bove lungo l’Appia, recentemente acquisita dallo Stato, la sede destinata ad ospitare la Fondazione Cederna.
‘Cederna non ha vinto. Non poteva vincere’. Così scrisse nel suo necrologio Nello Ajello [27] Certo nello scorrere di una contabilità spicciola tante sono state le sconfitte e, per loro natura, più rumorose delle vittorie e se la sensibilità della cultura nei confronti delle distruzioni dei singoli monumenti e dei beni culturali nel loro complesso è sicuramente aumentata, in altri campi le sue battaglie sono ancora apertissime.
Il prevalere della rendita fondiaria come motore privilegiato di produzione di ricchezza, è ancora un tarlo che mina nel profondo non solo la nostra economia, condannandola in un limbo di arretratezza, ma anche una più sana dinamica sociale e financo democratica. E molto Cederna si preoccuperebbe di questa liaison dangereuse che oggi collega i nostri beni culturali al turismo, in un abbraccio soffocante e in cui riaffiora, al di sotto della nuova patina garantista, la nefasta equazione “beni culturali come petrolio” di una indimenticata, ma non indimenticabile stagione politica e culturale che egli combattè aspramente [28].
Però la diffusione di una più matura consapevolezza culturale della fragilità del nostro patrimonio e del nostro territorio è da annoverare come uno dei risultati più importanti e duraturi della sua attività. Cederna in fondo rappresenta, ante litteram, uno dei migliori esponenti di quella società civile che egli stesso contribuisce a creare e che pur faticosamente si affaccia sulla scena politica e culturale italiana, società civile intesa come insieme di cittadini che credono che perché l’Italia possa divenire un paese moderno e progredito occorre che ciascuno dia il proprio contributo.
Anche grazie a lui, certi scempi non sono più possibili e molto Cederna si sarebbe rallegrato dell’abbattimento del Fuenti (tre asterischi nella sua guida rossa al contrario).
Si sarebbe compiaciuto del recentissimo piano paesaggistico della Sardegna che si propone, fra l’altro, una tutela integrale di quelle coste sulle quali Cederna, fra i primissimi, aveva fatto scattare l’allarme e intravisto tutti i possibili danni di una speculazione miope e senza ritorni per gli abitanti dell’isola.
Come pure avrebbe festeggiato per il recentissimo ampliamento e la riapertura in una sede finalmente consona, della Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini.
Per concludere, non casuale appare che di questo omaggio alla memoria di Cederna si sia fatto carico il nostro Istituto che pur vive una situazione non semplice di transizione, nella quale forse più acutamente diventano necessarie le figure di riferimento, quasi a conforto di un cammino che pare ancora non privo di difficoltà. Lo spirito di Cederna è in fondo molto vicino alle iniziative e attività che l’Istituto Beni Culturali (IBC), anche se con profilo più istituzionale, ha svolto in questi anni e Cederna stesso guardò sempre con molto apprezzamento alla nostra vicenda[29]. Molti di quelli che annoveriamo fra i nostri padri fondatori ne hanno condiviso l’amicizia e le battaglie, da Andrea Emiliani a Pierluigi Cervellati, da Giovanni Losavio a Lucio Gambi[30].
Al termine di questo percorso, ci pare adesso che il sottotitolo prescelto per il nostro volume – attualità e necessità di Antonio Cederna -sia da leggersi in realtà come un’endiadi: Cederna ci è necessario perché è tuttora attuale e la sua attualità risiede soprattutto nell’inalterata necessità di proseguire la sua battaglia di civiltà.
Sull’attualità di Cederna non tutti convengono: soprattutto in campo urbanistico la sua visione sembra attardata e poco moderna in tempi di concertazione propugnata in varie accezioni. Secondo questi parametri, Cederna, che rivendicò sempre sui temi del governo del territorio il primato del pubblico, è visto come un arcaico. Eppure il dibattito politico di questi ultimi mesi, almeno ad alto livello, ha riproposto il tema del ‘bene pubblico’, dell’ ‘interesse generale’ inteso come tutto quello che il singolo (individuo o gruppo) non può tutelare da solo, nei tempi lunghi e diviene quindi, per definizione, interesse e cura della res publica, delle sue leggi e delle sue istituzioni; Cederna, fra i primissimi in Italia, individuò nel territorio e nel patrimonio culturale uno di questi preziosissimi beni comuni: anche per questo Cederna il ‘visionario’, come fu definito tante volte con accentazione negativa, semplicemente ci ha anticipato. E’ tempo di raggiungerlo.
Riferimenti bibliografici e documentari
Testi
A. Cederna, I vandali in casa, Roma-Bari, Laterza, 1956, Seconda edizione, Laterza, 2006 (prefazione e postfazione di Francesco Erbani).
A.Cederna, Mirabilia Urbis, Torino, Einaudi, 1965.
A.Cederna, La distruzione della natura in Italia, Torino, Einaudi, 1975.
La Difesa del territorio. Testi per Italia Nostra di Antonio Cederna, Italo Insolera, Fulco Pratesi, Milano, Mondadori, 1976
A.Cederna, Mussolini Urbanista. Lo sventramento di Roma negli anni del consenso, Roma-Bari, Laterza, 1979;seconda edizione Venezia, Corte del Fontego, 2006 (prefazione di Adriano La Regina, postfazione di Mauro Baioni).
A.Cederna, Brandelli d’Italia, Roma, Newton Compton, 1991.
G. Gallerani, C. Tovoli (a cura di), In nome del bel Paese. Scritti di Antonio Cederna sull’Emilia Romagna (1954-1991), Bologna, Quaderni IBC, 1998.
CD
Beni culturali, urbanistica e paesaggio nell’opera di Antonio Cederna, a cura di Ministero per i beni e le Attività Culturali e Centro di Documentazione Antonio Cederna, 1999 (con dossier)
In rete:
Sul sito IBC: Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna. Scritti on-line a cura di Maria Pia Guermandi
Sul sito eddyburg: Antonio Cederna
Sul sito del Parco dell’Appia Antica: Antonio Cederna e la nascita del Parco
Meritorio, anche se non esaustivo e con qualche imprecisione, il censimento degli articoli di Cederna usciti sulle principali testate, pubblicato da Italia Nostra all’indomani della sua scomparsa:
Bollettino Italia Nostra n. 331, agosto 1996: Il Mondo
Bollettino Italia Nostra n. 332, settembre 1996: L’Espresso
Bollettino Italia Nostra n. 333, ottobre 1996: Il Corriere della Sera
Bollettino Italia Nostra n. 334, novembre 1996: la Repubblica
[1] Assieme a Leonardo Benevolo, i suoi interlocutori privilegiati, in questo ambito rimarranno, sopra tutti gli altri, Pierluigi Cervellati a partire dall’esperienza bolognese del risanamento conservativo nel centro storico e Vezio De Lucia, per il piano delle periferie napoletane e le varianti urbanistiche della prima consiliatura Bassolino.
[2] A. Cederna, Territorio, ambiente e dintorni, in Il “rovescio” della città. Catalogo della mostra, Bologna, 13 luglio -23 agosto 1987, Bologna, Labanti & Nanni,1987, p. 14.
[3] La collaborazione con “Il Mondo” terminerà nel 1966, quando la testata chiude; dal 1966 al 1969 Cederna scriverà anche per le riviste “Abitare” e “Casabella”.
[4] F.Erbani, Introduzione, in A. Cederna, I vandali in casa. Cinquant’anni dopo, II ed., Roma-Bari, Laterza, 2006.
[5] Cfr. soprattutto i due dossier a ciclostile, diffusi, nei primi anni Settanta, dalla sezione milanese di “Italia Nostra”, dal titolo, Città senza verde e Appunti per un’urbanistica moderna, pubblicati, nel 1975, nel volume miscellaneo La difesa del territorio, Milano, Mondadori.
[6]A. Cederna, Introduzione, in I vandali in casa, Roma-Bari, Laterza, 1956, p. 31.
[7]Ibidem, p.4.
[8] Si tratta della parafrasi di una citazione da Voltaire. Cfr. C.Cederna, Il mondo di Camilla, Milano, Feltrinelli, 1980, p.241.
[9] Cfr.A. Cederna, in Mirabilia Urbis, Torino, Einaudi, 1965, p. 219. La definizione, ripresa più volte, entrerà poi nell’uso comune.
[10] La cubatura dell’Hilton a Monte Mario contro la costruzione del quale Cederna si era inutilmente battuto, diviene metro di paragone per eccellenza per determinare l’impatto di costruzioni in genere, cfr., ad esempio, a tal proposito, la variante Fiat Fondiaria di Firenze il cui ingombro è misurato in “cinquanta alberghi Hilton di Roma”, v. A. Cederna, Editoriale, in “Bollettino di Italia Nostra”, n. 255, gennaio-febbraio 1988, p.4.
[11] Cfr., fra gli altri, A. Cederna, La difesa del territorio, cit., pp. 69 ss.
[12] Cederna sedette nel Consiglio Comunale capitolino una prima volta dal 1958 al 1961 e, successivamente, dal 1989 al 1993.
[13] Cfr., soprattutto, A. Cederna, Il sindaco nero, in Mirabilia Urbis, cit., pp. 84-95.
[14] Cederna scriverà per il “Corriere” dal 1967 ai primi mesi del 1982.
[15] Si tratta in particolare degli interventi usciti fra giugno e luglio del 1974 e riuniti nel capitolo Napoli città omicida, in Brandelli d’Italia, Roma, Newton Compton, 1991, pp.141-160.
[16] Cfr. A. Cederna, La distruzione della natura in Italia, Torino, Einaudi, 1975, pp. 7 ss.
[17] Cfr Ibidem, p. 11.
[18] Cfr. soprattutto J.Rifkin, The Age of Access, New York, Penguin Putnam Inc., 2000.
[19] Cfr. il capitolo La conservazione dei centri storici in Italia, in G.Gallerani, C. Tovoli (a cura di), In nome del Bel Paese, Quaderni “IBC”,Bologna, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia Romagna, 1998, pp. 53 ss., che raccoglie gli articoli di Cederna usciti sul “Corriere della Sera” nel novembre 1972.
[20] Nel 1986 inizierà anche la collaborazione con “L’Espresso”, mentre carattere più saltuario ebbero i suoi interventi su “l’Unità”, risalenti, soprattutto, agli anni dell’attività parlamentare in veste di deputato della Sinistra Indipendente: 1987 -1992.
[21] Cfr. A. Cederna, La distruzione della natura in Italia, cit., p.XV; A. Cederna, Notizia, maledetta notizia, in “Oasis”, 1993 e l’Editoriale, in “Bollettino di Italia Nostra”, 325, dicembre 1995.
[22] Si tratta dell’opposizione contro la variante urbanistica della Fiat Fondiaria presso Firenze, sostenuta in particolar modo da “Italia Nostra” e sulla quale cfr. l’Editoriale di Cederna in “Bollettino di Italia Nostra”, 255, gennaio-febbraio 1988, interamente dedicato alla vicenda.
[23] Cfr. A. Cederna, Coscienza urbanistica, in “il manifesto”, 9 giugno 1991.
[24] Cfr. A.Cederna, La valle di Giosafat, in “Il Mondo”, 2 novembre 1954.
[25] Sull’Appia cfr. in rete, la sezione a lui dedicata nel sito del Parco dell’Appia Antica.
[26] Nel 1993 Cederna fu nominato Presidente dell’Azienda Consortile per il Parco dell’Appia antica e si adoperò in ogni modo perché il progetto del parco decollasse, a volte con contrasti anche aspri con l’amministrazione Rutelli.
[27] N.Ajello, L’uomo che voleva sconfiggere il cemento, in “la Repubblica”, 28 agosto 1996.
[28] Sul tema cfr. M.P.Guermandi, Turisti, eventi, metropolitane e beni culturali: o delle relazioni pericolose, in “IBC”, XIV, 4, 2006, pp. 38-40.
[29] Cfr. soprattutto A. Cederna, Un “fondo europeo per i monumenti” forse potrà salvare i centri storici, in “la Repubblica, 22 ottobre 1983 e A. Cederna, l’Italia che finisce, in “la Repubblica”, 2 ottobre 1984.
[30] Ad un’idea di Lucio Gambi, primo presidente dell’IBC recentemente scomparso, si deve il volume che raccoglie gli scritti di Cederna sull’Emilia Romagna, nel 1998: G. Gallerani, C. Tovoli (a cura di), In nome del bel Paese, cit.