La lettera che pubblichiamo, rivolta al Consiglio Nazionale di Italia Nostra, smonta un’operazione di falsificazione del pensiero e dell’opera di Antonio Cederna, purtroppo non isolata: già in altre occasioni, su eddyburg, avevamo segnalato come il nome di Cederna venga utilizzato per giustificare operazioni che poco o nulla hanno a che fare con quanto il giornalista e intellettuale milanese ha affermato per tutta la vita. In maniera limpidissima e priva di ogni ambiguità come sa anche chi ha una superficiale conoscenza dei suoi scritti.
Ma in questo caso la mistificazione è ancor più inaccettabile perchè giunge ad uno stravolgimento completo di quello che è uno dei cardini metodologici ed ideali per i quali Cederna ha combattutto tutta la vita: la necessità di un’urbanistica guidata dalla mano pubblica come primo e indispensabile requisito di un governo del territorio corretto, mirato al raggiungimento di un migliore livello di qualità urbana e moderno nel senso europeo del termine.
La puntuale analisi critica contenuta nella lettera rimette le cose a posto, apre una ferita in Italia Nostra (l’Associazione di cui Cederna fu protagonista fin dalla fondazione) che dovrà essere sanata al più presto, ma ci testimonia anche, in maniera inequivocabile, dell’importanza del suo pensiero: così attuale ed imprescindibile da dover essere richiamato, seppur per rovesciarne il senso, tutte le volte che si parla di urbanistica e così vitale da trionfare contro le miserie di qualche malaccorto mistificatore.
Vezio De Lucia, Maria Pia Guermandi
Roma, venerdì 17 dicembre 2010
Gentile Presidente,
tempo fa una telefonata dalla sezione milanese di Italia Nostra ci annunciava il proposito di raccogliere e pubblicare una selezione di articoli di Antonio Cederna dedicati a Milano e alla Lombardia, sul modello di quanto già fatto a Roma e in Emilia Romagna. Fiduciosi nell’operato dell’associazione per la quale nostro padre si è speso dal 1956 fino alla morte, accogliemmo il progetto con il consueto entusiasmo e creammo il contatto con l’Archivio Antonio Cederna, al quale, com’è noto, abbiamo donato le carte, gli articoli, i volumi della sua biblioteca.
Una settimana fa abbiamo finalmente ricevuto copia del volume - Antonio Cederna, Scritti per la Lombardia. E’ facile immaginare la nostra sorpresa quando abbiamo scoperto che tra i promotori della meritoria iniziativa editoriale figura il noto urbanista Luigi Mazza, autore nel 2000 del documento di Inquadramento urbanistico di Milano che ha aperto le porte all’urbanistica contrattata a Milano e altrove, un piano che Antonio Cederna avrebbe avversato con tutte le sue forze. La lontananza di Mazza dal pensiero e dall’opera di Antonio Cederna è del resto dichiarata in una vecchia recensione al libro Brandelli d’Italia ripubblicata oggi, chissà perché, proprio nella sezione introduttiva del volume in esame. Nel testo, scritto ben 18 anni fa (è del 92 e non del 95 come riportato nel volume), l’autore definisce “leggi e divieti” - ovvero piani regolatori e vincoli - “scorciatoie brevi per sciogliere i nodi che un’attenta coscienza civile saprebbe risolvere senza atti di imperio”, e imputa alla cultura dei centri storici “di aver sottovalutato l’incidenza dei costi di ristrutturazione e di manutenzione dell’edilizia degradata, e l’impossibilità, una volta assunti standard di qualità, di procedere al suo recupero con le risorse disponibili per l’edilizia economica e popolare”.
L’articolo attribuisce inoltre ad Antonio Cederna sentenze non sue. Scrive ad esempio Mazza: “il blocco della crescita della città, spesso invocato da Cederna, ha come contropartita proprio un aumento della pressione speculativa sui centri storici che si vuole difendere”. Scriveva Cederna nel 1956 (introduzione ai Vandali in casa): “Un vecchio rione si salva e insieme si risana solo se si dà modo alla gente di poterci continuare a vivere ed abitare più umanamente, se si allontana da esso il peso del traffico e degli affari, inconciliabile con la sua antica struttura, e se si garantiscono alla città razionali possibilità di ampliamento: unica mira dei vandali è invece quella di realizzare immensi guadagni speculando sulle aree da vendere e sui fabbricati da ricostruire, scaraventando gli infelici abitanti in qualche infame borgata periferica…”.
Scrive Mazza: “Cederna a differenza di molti urbanisti, sa che l’esproprio è pochissimo usato da quei paesi che si assumono come modello di governo urbanistico, e lo scrive ma di fronte alla situazione italiana non vede altra risorsa che l’intervento della legge”. Nel 1992 Cederna aveva posto un grande punto interrogativo a margine dell’articolo che riportava questa frase (la recensione con l’appunto originale è conservata nell’Archivio Cederna, fascicolo 605). Diciotto anni fa le tesi di Mazza offrivano un’immagine discutibile, parziale e in parte caricaturale dell’impegno di Antonio Cederna (“l’importanza e il valore dei suoi contributi non sono da cercare nella congruità delle sue affermazioni tecniche, ma nella radicalità delle sue prospettive…”), dell’intera cultura urbanistica italiana e quindi dell’operato stesso di Italia Nostra, dei suoi cinquant’anni di storia e di battaglie. Diciotto anni dopo Italia Nostra Lombardia sceglie di ripubblicarle sic et simpliciter nella sezione introduttiva di un libro a firma di Antonio Cederna, senza un aggiornamento, una nota, un commento da parte dell’organizzazione, senza degnarsi di ospitare l’opinione di uno dei tanti urbanisti che la pensano in modo diverso, e che diciotto anni dopo avrebbero potuto spiegare come “senza atti d’imperio”, ovvero a partire dal piano firmato Luigi Mazza, si sia andata sviluppando in questi ultimi dieci anni Milano e quali mirabili progressi abbia fatto registrare la “coscienza civile” e la pratica della città in materia di ambiente e di urbanistica.
A chiarire quale sia oggi la visione strategica della sezione milanese di Italia Nostra, e in quale considerazione tenga le opinioni di nostro padre, ci pensa d’altra parte un altro promotore, Alberto Ferruzzi, che in un’amabile corrispondenza epistolare con Cederna - che purtroppo, com’è noto, non gli può più rispondere – lo aggiorna oltretomba sulle novità del paesaggio milanese: come Milano e i grandi comuni abbiano conosciuto “un’innaturale esplosione di costruzioni, largamente in soprannumero rispetto alle richieste di mercato”, “come il paesaggio urbano sia minacciato dall’esagerata contemporaneità di nuove costruzioni, quasi tutte di buon livello, spesso interi quartieri che non si sa a chi siano destinati”, come la nuova disciplina urbanistica – che oggi si chiama Piano di Governo del Territorio (e che ha ulteriormente contrattato al ribasso il piano del professor Mazza) abbia “trasformato il vecchio Piano regolatore in un cantiere sempre aperto che vive comunque dell’offerta dei privati”.
Davanti a una situazione tanto preoccupante, il Ferruzzi si perita di comunicare al “caro Cederna” una serie di considerazioni personali: “non so come riusciremo a gestire questo documento, ma la novità comunque ci affascina (!!!). Ho cercato di capire se in qualche modo viene preservato il paesaggio urbano, quella specie di vestito grigio di cui tu spesso parli nei tuoi articoli che coincide però con l’aspetto che amiamo di questa città (!!!). E non l’ho trovato (?)”. Per poi aggiungere: “(Nel piano) è ricomparsa latente la famosa grande strada di attraversamento che ti aveva fatto orrore quando si chiamava Racchetta e il cui sedime in parte è riconoscibile nel centro di Milano per l’esagerata sezione stradale di Piazza Santo Stefano fino a piazza Missori, con i ruderi artificiali di San Giovanni in Conca che tu hai salvato. Ora è sotterranea (il che è sicuramente meglio)”. Peccato che Cederna abbia speso decine di articoli proprio per denunciare il supposto “salvataggio” della Chiesa ad opera dell’Immobiliare nel 1948 e poi all’inizio degli anni Cinquanta, ovvero la “fabbricazione artificiale di un rudere con tutta l’apparenza dell’autenticità”, un “miserando reliquato monumentale in mezzo alla strada” che sorge “entro un salvagente semicircolare, rallegrato da prato e aiole” che “appare adesso come un antipatico moribondo che non vuol morire”: “chi ignora che questa misera rovina era un’antica e bella chiesa distrutta per pura bestialità in questi anni si meraviglia che Milano sappia con tanto amore richiamare in vita monumenti di cui nessuno sospettava l’esistenza” (si veda Lo sventramento di Milano, maggio 1954, purtroppo assente dalla raccolta).
Ma è nella conclusione del suo intervento, che il Ferruzzi dà il meglio: “Caro Antonio, come vedi alcune tematiche permangono: la paura dei grattacieli e i parchi archeologici, la mancanza di riguardo per la facies di Milano, e purtroppo la mancanza di approfondita informazione storica in chi conduce le battaglie di tutela dei beni monumentali usando strumentalmente la loro tutela: l’esempio della questione del parcheggio di Sant’Ambrogio docet. Non riesco a rassegnarmi invece per aver perso contro l’alterazione della Scala, la cui inutilità mi viene confermata assistendo ad ogni spettacolo“.
Et voilà, l’operazione è compiuta. La pubblicazione degli articoli di nostro padre viene utilizzata per veicolare tesi opposte a quelle che ha sempre sostenuto. A Cederna viene riservato lo stesso trattamento della Chiesa di san Giovanni in Conca: il suo pensiero viene sventrato, demolito, fatto a pezzi, raschiato, semiincastrato nei palazzacci costruiti da altri.
Ognuno è libero di pensare e scrivere ciò che vuole su Antonio Cederna, nessuno può permettersi di appropriarsi impunemente della sua opera per farla a pezzi. Per questo ci chiediamo e le chiediamo se e come questa operazione abbia potuto ottenere l’assenso di Italia Nostra nazionale; se le opinioni espresse a nome della sezione milanese sul presente e il futuro della città riflettano il pensiero di tutta l’associazione; che cosa intende fare Italia Nostra a livello nazionale per ristabilire la verità e riparare il torto intollerabile commesso nei confronti della memoria di nostro padre.
Con i migliori saluti,
Giulio, Camilla, Giuseppe Cederna