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Gerardo D'Ambrosio
Ultimo atto
12 Dicembre 2005
Articoli del 2004
Più che malgoverno: distruzione sistematica dello stato sociale e dello stato di diritto. Un bravo giudice, in prima linea tra quelli che tentarono di ripulire l'Italia, commenta uno degli episodi più gravi, su l’Unità del 3 dicembre 2004. L'immagine è del manifesto di ieri

Il 1° dicembre 2004, giorno in cui il Parlamento, ma forse sarebbe meglio dire la maggioranza di centrodestra ha approvato, in via definitiva, la legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario, segna una svolta, non certo positiva nella vita democratica del nostro paese.

L’approvazione dell’ordinamento giudiziario, infatti, non è che l’ultimo atto della politica giudiziaria posta in essere dalla maggioranza di centrodestra.

Detta politica, com'è noto, non è stata indirizzata alla soluzione dei veri problemi della Giustizia quale quello dei tempi assolutamente inaccettabili della definizione dei processi sia penali che civili, ma è stata invece indirizzata verso il tentativo di risolvere, per via legislativa i problemi giudiziari del Presidente del Consiglio.

Il primo tentativo fu posto in essere con la legge sulle rogatorie, che avrebbero dovuto rendere inutilizzabile l'intero quadro probatorio dei noti procedimenti pendenti a Milano a carico dello stesso Presidente del consiglio e dell'on. Previti, la cui prova era fondata quasi esclusivamente su documenti acquisiti per rogatoria internazionale.

Il secondo tentativo fu posto in essere con la legge sul falso in bilancio che con la diminuzione delle pene ed il conseguente dimezzamento dei termini di prescrizione avrebbe dovuto far dichiarare estinti per prescrizione tutti i relativi reati ascritti al Presidente del Consiglio.

Il terzo, quando questi primi due tentativi fallirono, fu posto in essere con l'approvazione della legge Cirami, quella sulla remissione dei processi per legittimo sospetto. Quando anche questo tentativo fallì, perché le Sezioni Unite della Cassazione respinsero le istanze presentate da Berlusconi e Previti al fine di ottenere che i processi a loro carico, per legittimo sospetto, venissero trasferiti da Milano a Brescia, venne dato il via all'approvazione del disegno di legge delega per la riforma dell'ordinamento giudiziario.

Non credo quindi si possa fare a meno di sospettare che, con la riforma dell'ordinamento giudiziario, si volesse dare sfogo ad un desiderio, più o meno conscio di controllare, in un qualche modo, la magistratura.

Significativo a tal proposito è il contenuto del maxiemendamento messo a punto nella seduta fiume del Consiglio dei Ministri, tenutasi appena un mese dopo la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite.

Con detto emendamento non solo si gettavano i presupposti per la separazione delle carriere ma si poneva una seria ipoteca sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Si prevedeva, infatti, che per accedere al concorso in Magistratura gli aspiranti avessero l'obbligo di indicare nella domanda se intendevano accedere alla funzione giudicante o a quella requirente del Pubblico Ministero, che le prove d'esame fossero distinte e diverse a seconda che si fosse chiesto l'accesso ad una o all'altra delle funzioni e che per passare da una funzione all'altra il magistrato dovesse attendere cinque anni e dovesse trasferirsi in una diversa sede di Corte d'appello.

Si prevedeva poi che il Procuratore Capo divenisse unico responsabile dell'ufficio di Procura; potesse delegare ai sostituti singoli atti o l'intera indagine, rimanendo sempre responsabile di tutti gli atti da questi compiuti.

Si prevedeva ancora che l'interpretazione del giudice che si discostava nettamente dalla lettera della legge e dalla volontà del legislatore costituisse illecito disciplinare (il riferimento alla interpretazione data dai pubblici ministeri e dai giudici in occasione della nuova legge sulle rogatorie era sin troppo evidente, posto che pubblici ministeri prima, e giudici dopo, erano stati, senza perifrasi, accusati di rifiutarsi di applicare quella legge contro il volere del Parlamento).

Com'è facile intuire la diversità delle prove d'esame, i numerosi ostacoli da superare per passare dall'una all'altra funzione, la previsione di complessi meccanismi che rendevano praticamente impossibile dopo cinque anni il passaggio da una all'altra funzione, avrebbero comportato, almeno di fatto, la separazione delle carriere. E ciò nonostante che la Comunità Europea, il 2 ottobre 2000 avesse raccomandato agli stati membri di adoperarsi perché venisse assicurata non solo l'indipendenza del Pubblico Ministero, ma anche l'interscambiabilità dei due ruoli: quelli di giudice e di Pubblico Ministero. Nonostante che gli Stati della Comunità a noi più vicini per tradizioni giuridiche, Spagna, Francia e Germania, quella interscambiabilità avessero sempre avuta e neppure lontanamente si fosse mai discusso di abolirla.

Quelle norme quindi, avrebbero potuto costituire il primo passo per sottoporre di nuovo il P.M. all'esecutivo, come richiesto d'altra parte, esplicitamente, da autorevoli esponenti di partiti del centro destra e dagli stessi rappresentanti dell'avvocatura.

È sin troppo facile rilevare che l'Italia, aveva già vissuto l'esperienza della subordinazione del P.M. all'esecutivo durante il ventennio della dittatura fascista e proprio per quelle esperienze, certamente non positive, per tutelare i principi fondamentali della democrazia appena nata, i nostri padri costituenti si preoccuparono di fissare, nella Costituzione, il principio dell'indipendenza dell'intera magistratura, del P.M. oltre che della giudicante, da ogni altro potere e di creare, per il governo della stessa magistratura, un organo di rango costituzionale: il Consiglio Superiore della Magistratura.

Ciò nonostante, c'erano voluti decenni perché alcuni Capi degli uffici di Procura si scrollassero di dosso i condizionamenti nei confronti dell'esecutivo.

Non a caso le sedi più importanti delle Procure, per essere gestite da Capi di ufficio in perfetta sintonia con il potere, erano state definite “porti delle nebbie”.

La sottoposizione del P.M. all'esecutivo, poi, avrebbe reso superflua la tutela dell'indipendenza del giudice.

A che sarebbe servito, infatti, un giudice indipendente, se il Pubblico Ministero, che è l'organo promotore dell'azione penale, seguendo i desiderata dell'esecutivo, non gli avesse sottoposto i casi in cui l'indipendenza avrebbe dovuto essere esercitata? Se le notizie di reato fossero state trattenute nel cassetto dal P.M., anziché trasmesse al GIP per l'archiviazione o, peggio ancora, archiviate con la corrispondenza ordinaria “al protocollo”, sul quale esercitano il controllo solo funzionari dello stesso Ministro di Giustizia, com'era avvenuto in passato ?

I rilievi mossi al testo del disegno di legge delega, ed al testo del maxiemendamento in particolare, da parte della Magistratura Associata, dalle forze dell'opposizione in parlamento, da autorevoli esponenti del mondo universitario e da eminenti costituzionalisti, alcuni dei quali avevano anche ricoperto la carica di Presidente della Corte Costituzionale, indussero la maggioranza a modificare, prima della approvazione del testo definitivo da parte dei due rami del parlamento, i punti maggiormente presi di mira.

Le modifiche non hanno però riguardato l'organizzazione verticistica, organizzazione che, comportando la possibilità per il Procuratore della Repubblica di gestire in prima persona tutte le notizie di reato e di imporre la sua volontà ai sostituti, anche con la revoca della delega, suscita non solo perplessità, ma desta serie preoccupazioni.

Né è stata abolita la progressione anticipata in carriera, per concorso per esami e titoli, progressione che crea i presupposti perché i magistrati che si dedicano ai concorsi siano predestinati a diventare i capi degli uffici. E ciò è particolarmente pericoloso posto che l'esperienza insegna che proprio coloro che privilegiano la carriera sono più sensibili alle lusinghe o alle pressioni dell'esecutivo.

Con i concorsi poi, si rischia non solo di spostare preziose energie dall'amministrazione della Giustizia di primo grado, la più importante certamente, in quanto una sentenza sbagliata allunga i tempi di definizione dei processi, ma anche di incentivare i magistrati a preoccuparsi più della carriera che del valore intrinseco delle proprie decisioni, inducendoli ad appiattirsi sulle interpretazioni della legge che sono state esplicitamente gradite dal governo e dalla maggioranza.

Con questo non voglio dire che l'ordinamento giudiziario non dovesse subire alcuna modifica. Ci mancherebbe altro. Quando nella precedente legislatura fu avanzata dal centro sinistra una prima proposta di modifica dell'Ordinamento Giudiziario che prevedeva, tra l'altro, una netta separazione delle funzioni, fui il primo a dichiararmi favorevole. Come condivido molti punti della nuova legge delega quali, l'istituzione della scuola superiore della Magistratura, la nuova composizione dei Consigli Giudiziari, la temporaneità degli incarichi direttivi, il controllo periodico della quantità e della qualità del lavoro svolto dai magistrati.

Intendo solo dire che una riforma così importante non doveva essere approvata, ignorando non tanto le osservazioni della magistratura, ma quelle dell'opposizione, alla quale o si è impedito di proporre ulteriori riforme all'originario disegno di legge, ricorrendo alla fiducia, com'è avvenuto alla Camera nel giugno 2004 o assegnando tempi di discussione ristrettissimi, come è avvenuto al Senato nel novembre successivo e di nuovo alla Camera da ultimo.

Non si può, insomma, procedere a colpi di fiducia quando una riforma deve essere fatta, e non può non essere fatta, nell'interesse di tutti i cittadini, perchè sia loro assicurata una una giustizia molto più rapida e giusta. Ed in tale direzione sarebbe stato certamente utile prevedere la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, dettando i criteri direttivi per individuare le dimensioni minime a renderli funzionali in relazione alla struttura accusatoria del processo. Sarebbe stato utile affidare le funzioni monocratiche, il potere cioè di decidere da soli, non ai magistrati di prima nomina come è stato fatto, ma a magistrati che avessero svolto per almeno tre anni funzioni collegiali, dando prova di professionalità, equilibrio e rispetto delle idee degli altri e delle funzione delle altre parti del processo.

Questo atteggiamento della maggioranza ci rende naturalmente diffidenti sulla volontà di destinare maggiori risorse ed attenzioni alla Giustizia e ci induce a ritenere che saranno ancora approvate ulteriori disposizioni legislative ad personam, quale la riduzione dei termini di prescrizione.

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