IL TRENO parte dal binario 8 alle 9.30 del mattino. Porta via Romano Prodi, sua moglie, qualche centinaio di pendolari e le illusioni di una sinistra unita. Via dai palazzi del potere, dai vicoli della Capitale, via dalle riunioni di partito a porte chiuse i cui resoconti, sui giornali del mattino, vanno letti due volte come le versioni difficili a scuola: due volte per capirne almeno il senso.
Al binario, una moglie al marito: "Guarda, c'è Prodi". Lui: "Macché Prodi, gli somiglia. Non vedi che porta le valigie?". Prodi porta le valigie, due borsoni di cuoio, il malcontento in faccia e un telefono che squilla a vuoto in tasca.
La moglie Flavia prova a parlare dei giorni che verranno: il Natale, le vacanze quest'anno così brevi, i figli. Il treno è un po' in ritardo, il telefono squilla ancora. Allora professore, è davvero finita? "Viaggiamo insieme? Bene. Leggiamo prima i giornali, poi ne parliamo". Sorriso: "Mi dia un momento. Mi faccia elaborare il lutto".
Il lutto per elaborarlo ci vogliono due ore, non molto. A Orte il rincrescimento, a Chiusi l'amarezza, a Firenze il fastidio.
Siamo a San Benedetto Val di Sambro quando è il momento del congedo "da chi divide anziché unire". Da quella parte della coalizione che ha decretato la fine delle liste unitarie e - per il momento almeno - di Uniti nell'Ulivo. "Hanno un'alternativa? Vadano avanti. C'è un altro candidato? Ottimo. Sono disposto ad appoggiare chiunque porti avanti il progetto unitario. Faccio un passo indietro, l'avevo già detto a Rimini: non resterò un minuto in più di quel che serve. Non ho un problema di leadership, davvero. Ho avuto tutto, in questo senso, dalla vita: sono stato presidente dell'Iri, del Consiglio dei ministri, della Comunità europea. Mi posso ben permettere di dire: o va avanti il disegno unitario o niente. E' un disegno storico: creare una solida base riformista che tenga insieme, in questo paese di clericali e anticlericali, i cattolici e i laici di centro e di sinistra. Un disegno grande, io credo un percorso inevitabile che prescinde dalle persone e dai loro interessi particolari. Se non sarò io, se non saremo noi a portarlo avanti verrà qualcun altro. Quando penso al futuro non vedo altre strade per un'opposizione che voglia tornare a governare, e per il Paese. Posso perciò puntare i piedi, è per qualcosa in cui credo fermamente. Non starò lì a vegliare sullo stillicidio delle piccole battaglie fra vicini di stanza. Sono nelle condizioni di tirarmi indietro di fronte a quel che non capisco o che non condivido, ed è quello che intendo fare".
Passano con il caffè, "buongiorno presidente", siamo a mezz'ora da casa, Roma già lontana. I giornali del mattino carta vecchia, piegati storti e infilati fra le poltrone. Nel pomeriggio il professore ha appuntamento con il presidente di Confindustria Luca di Montezemolo, poi la sera un dibattito alla Casa del popolo di Corticella. "Vede qual è la questione? Ero la settimana scorsa alla parrocchia di Dozza, sono stasera alla Casa del popolo: uso le stesse parole, dico le stesse cose e la gente delle parrocchie e delle sezioni risponde con lo stesso entusiasmo. Questo vorrei che si facesse, anziché disfare la notte la tela che si è tessuta di giorno: ascoltare la gente. Ho detto alla Margherita: se volete io posso essere un valore aggiunto, posso lavorare ad aggregare quel che è separato". Invece non vogliono, ma a chi giova? "Non lo so, non lo capisco. Tornano sempre sul risultato elettorale delle europee: c'è da stabilire se il 31,1 è molto o è poco. Io dico che è molto, per cominciare. Loro non la pensano così".
"Loro" intende Rutelli? Pensa di ottenere un risultato elettorale migliore correndo da solo? "Guardi, io non voglio parlare delle persone perché fa il male della coalizione. Se mi chiede quale sia il loro progetto, posso fare due ipotesi. Una è che pensino sia meglio avere un ruolo forte in un posto piccolo piuttosto che un ruolo paritario in un posto grande. L'altra è che non credano nel bipolarismo, e che pensino piuttosto di affrancarsi dalla sinistra per creare un grande centro, aspettando che i centristi di destra vadano da loro". Aspettando Casini e Follini? "Ecco appunto, non suona bene neanche a sentirla. Con alcuni dei centristi del Polo siamo stati giovani assieme: tutti quelli che ora sono a destra da ragazzi erano alla mia sinistra. Io ho tenuto ferma la barra, ho un percorso di coerenza. La Margherita è la mia casa, anche se non ho la tessera, e il padrone di quella casa è Rutelli. E' lui che decide, io ho sempre e solo detto: mi auguro che lo faccia per il meglio". Si diceva del risultato elettorale. "Ecco, sì. Non credo neppure che lo scopo delle liste separate sia fare uno o due punti in più per partito. Naturalmente auguro alla Margherita il massimo successo elettorale, ma credo che ci sia soprattutto un problema di ruoli. La Margherita, è noto, ha il timore che nel giorno in cui si arrivasse alla Federazione i Ds farebbero la parte dei padroni".
Dicono che sembra più un indipendente di sinistra, ormai. "Se è per questo mi hanno anche indicato come quello che faceva alleanze segrete con Bertinotti. Ma domando, ed è questo il punto, questa la svolta storica: i Ds di oggi sono il Pci di vent'anni fa? Sono forse una forza radicale, o sono approdati a un riformismo del tutto omogeneo alle ragioni delle forze centriste? E allora, cosa c'è ancora da temere, al netto delle visibilità personale? La questione alla fine è una: bisogna decidere, come si direbbe nel linguaggio accademico, se ottimizzare il risultato generale o quello particolare". Se vincere uniti o se perdere vincendo sull'alleato.
"Le scelte per le regionali sono andate così, ormai. Va bene. Adesso bisogna far decantare la questione, riflettere. Lavorare per vincerle coi candidati comuni, è ovvio. Ma dopo? Credo che ci sia ancora un piccolo margine, se però ci si lavora da subito: la federazione. Muoviamoci svelti, dopo le elezioni, in quella direzione. Nessuno assorbirà nessun altro, sarà una casa comune di identità diverse. Quanto a Bertinotti: starà fuori da alleato, non dentro da federato. C'è un accordo chiaro, guardi come è finita per la Puglia". Con le primarie per scegliere il candidato, se Vendola o Boccia. "Appunto, benissimo. Le primarie sono una sferzata vitale, per la politica. La politica è questo: andare fra la gente ed ascoltarla, poi tornare nelle stanze e decidere. Non il contrario, per favore". Stazione di Bologna. La città dove si vive meglio in Italia, dicono i giornali di stamani. Sarebbe quasi da restarci. "Ho tanti amici, qui, tanta gente che ci crede e spera. Bisogna essere realisti, ma anche stare attenti a non deludere queste persone". Sotto casa lo aspetta un gruppo di cittadini con uno striscione che dice "Forza Romano, siamo i tuoi Prodi". Sorride con la moglie, nei loro discorsi privati torna tante volte il nome di Andreatta: l'amico, il maestro. "Alla scuola di Nino si sono formati tanti giovani capaci, una risorsa della coalizione. C'è un grande problema di rinnovamento delle classi dirigenti, ci sarebbe tanto bisogno di una generazione nuova. A Roma e nelle periferie, fra i quadri locali e nazionali".
Dice che bisogna passare la mano, professore? "Prepararsi, certo. Io, per il progetto in cui credo, mi do ancora un piccolo margine e una speranza. Quando poi dovesse essere chiaro, come dicevo a Rimini, che non c'è più bisogno... Ho provato a parlare di programmi, a Montecatini e a Milano". L'hanno applaudita dal pubblico e sul palco. "Sì, poi però quando si tratta di prendere delle decisioni sembra che dei programmi non importi più niente. Spero ancora che ci sia il tempo per ragionare insieme: sul programma e sul disegno unitario. Per qualcosa, non contro. Se poi qualcuno ha un'idea migliore, l'ho detto e sottoscrivo: mi faccio da parte, non sarò io il problema".