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Tor Bella Monaca: periferie in fondo a destra
24 Agosto 2010
Periferie
Dai giornali del 24 agosto 2010, notizie e prime opinioni di politici e intellettuali sull'ultima sparata di Alemanno, e non solo. Non si discute di una battuta estiva, ma di questioni di fondo. Con postilla

la Repubblica

"Abbattere Tor Bella Monaca", a Roma è polemica

di Paolo G. Brera e Rory Cappelli

«Tor Bella Monaca? Va rasa al suolo e ricostruita». Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, dice che sarà la sua «Rivoluzione d´Ottobre» (proprio così, quella bolscevica): «Dobbiamo demolire quegli obbrobri e ricostruire sul modello della Garbatella», trasformando la più degradata e violenta delle borgate romane nello splendido quartiere d´edilizia popolare realizzato nel Ventennio, un idillio di villette con giardini che oggi costano un occhio. Addio ai casermoni di cemento e ai laghi d´asfalto, addio a sporcizia e delinquenza, promette il sindaco in un intervento a "Cortina Incontra" travolgendo la sonnolenta politica estiva capitolina. «Un piano così gigantesco non lo ha mai realizzato nessuno al mondo: costerebbe uno sproposito e non eliminerebbe il degrado», taglia corto l´urbanista Paolo Berdini, ricordando che non è proprio uno scherzetto abbattere un quartiere con 35mila residenti che sopravvivono nelle case popolari: «Praticamente una città come Velletri, ma senza servizi sociali e senza manutenzioni».

«Una boutade estiva e un´inutile propaganda», la bolla il centrosinistra ricordando che, nonostante le promesse elettorali di abbattere e ricostruire Corviale - un serpentone di degrado assoluto con 1.200 appartamenti - «a metà del suo mandato il sindaco non ha demolito e ricostruito un solo metro cubo». «Prima che ci riesca, i romani abbatteranno lui alle elezioni», chiosa Massimiliano Valeriani (Pd). E a sentire gli abitanti di Tor Bella Monaca sembrerebbe proprio così: «Qui non ci manca niente, abbiamo anche l´orto. Tutta Roma ci invidia» si fermano a dire Veronica e Perla, mentre con la spesa rientrano a casa passando nei lunghi camminamenti del retro delle "torri": la prima indossa un ciondolo d´oro con la croce celtica, la seconda una maglietta con la faccia del duce stampata sopra. «Certo, poi ci sono molti problemi» dice Perla agitando la mano avanti e indietro come un rapper newyorkese. «Per esempio la sporcizia: venisse a pulire Alemanno, invece di pensare a buttare giù le nostre case».

Sull´idea di Alemanno sono intervenuti in tantissimi: «Se una decisione del genere dovesse essere presa per un mero fatto estetico» ragiona il critico e scrittore Alberto Asor Rosa «tre quarti della Roma post bellica dovrebbe essere abbattuti». C´è anche chi plaude trovando la «proposta coraggiosa e all´altezza delle problematiche della zona» come ha detto Michele Placido, l´attore che ha legato il proprio nome alla conduzione artistica del Teatro Tor Bella Monaca. Anche l´architetto Paolo Portoghesi ha "benedetto" l´idea del sindaco spiegando che si era «partiti dall´idea di un quartiere modello: è diventato un ghetto senza vitalità. Si capisce che dietro l´idea di Alemanno c´è la scelta di imboccare la strada per cambiare la città senza commettere gli errori del passato».

E Alemanno, intanto, rilancia: «Chi parla di una boutade estiva si sbaglia: a fine ottobre presenteremo un masterplan della zona e faremo un referendum con i residenti. Il costo? Puntiamo a edificare le aree circostanti con premi di cubature da dare ai costruttori, senza esborsi per il Comune». «I conti non tornano - replica Berdini - i residenti in eccesso dove pensa di trasferirli, in una città con diecimila famiglie in occupazione abusiva?».

Corriere della Sera

Cittadini ostaggio di periferie malate

di Giangiacomo Schiavi

Ci sono posti che diventano frontiere dell’invivibilità. Milano, quartiere Corvetto: vigili accerchiati e aggrediti da giovani teppisti. Roma, Tor Bella Monaca: porto franco di illegalità. Ma i casi aumentano ogni giorno anche ai margini di altre città, dove con il degrado cresce la paura dei cittadini onesti. E se abbattessimo le periferie?, ha proposto il sindaco di Roma, Alemanno, annunciando un progetto per tirar giù le torri ghetto di Tor Bella Monaca. Tra boutade estive ed emergenze vere, con la bagarre politica si riapre la questione sicurezza. Ma non basta dire «rottamiamo i ghetti invivibili» per uscire dall’emergenza che penalizza gli abitanti dei quartieri difficili, dove rimbomba periodicamente la parola «coprifuoco» e dove la presenza delle forze dell’ordine è considerata prioritaria per garantire la vivibilità. Tor Bella Monaca, a Roma, è un’enclave malata dove i problemi irrisolti si sono accumulati negli anni insieme alle risse, allo spaccio, alle aggressioni, alle occupazioni abusive e dove gli interventi di recupero sono risultati fallimentari per l’incapacità di portare nel quartiere servizi, cultura, assistenza sociale e creare quel mix abitativo in grado di rompere l’omertà collusa sulla quale prospera l’illegalità.

È così anche a Milano, nelle zone rosse dell’emergenza abitativa, dentro gli osceni tuguri del quartiere Stadera, nell’isola della droga di via Capuana a Quarto Oggiaro, o nelle vie perdute del Corvetto, dove gli appartamenti si occupano con il passaparola mentre l’anziana titolare va in ferie, e guai a chi sgarra o denuncia, perché si bruciano le auto come niente o compaiono subito scritte minacciose sulle porte.

È da questi spazi privati di una vera socialità, in qualche caso ridotti a squallidi dormitori dall’immigrazione clandestina, che bisogna partire per chiudere la ferita aperta delle nostre periferie. Abbattere è stata una parola tabù fino a pochi anni fa, ma in certi casi oggi la richiesta la fanno le stesse Aler: i costi per rimettere a nuovo i grattacieli coi muri sgangherati e cadenti sono più alti di una ricostruzione vera e propria. Tanto varrebbe buttar giù qualche muro, cancellando così anche la vergogna dell’urbanistica sbagliata degli anni Sessanta.

Ma queste operazioni, sicuramente vantaggiose per l’edilizia e per l’estetica, necessitano di qualcosa d’altro per restituire una dignità abitativa e un’anima ai quartieri, per dare a chi ci vive onestamente la sensazione di non essere figli di un dio minore: servono negozi, scuole, asili, centri culturali, più controlli e più vigili. La parola rottamare porta con sé l’idea negativa dell’inutilità: meglio sarebbe dire salvare. Per dare davvero una mano ai cittadini che, a Roma come a Milano, chiedono di essere ascoltati e aiutati.

Corriere della Sera

«Tor Bella Monaca sarà rasa al suolo»

di Paolo Foschi

ROMA — «È solo demagogia, è il solito annuncio che non avrà alcun seguito», urlano dal centrosinistra. «No, è un progetto vero e presto lo presenteremo», replicano dal Pdl. Dopo le polemiche per la tassa sui cortei, accende il dibattito politico anche la nuova proposta di Gianni Alemanno: radere al suolo e ricostruire il quartiere degradato di Tor Bella Monaca, periferia est della Capitale.

Il sindaco anche stavolta ha lanciato l’idea dal palco della manifestazione estiva Cortina Incontra. Lo ha fatto domenica sera in pillole, annunciando solo a grandi linee il piano. E ieri ha dettato un primo embrionale cronoprogramma: «Non è una boutade estiva, ci stiamo lavorando da mesi e a ottobre presenteremo il master plan agli abitanti. Non è una questione estetica ma funzionale, in quella case piove dentro. E noi non vogliamo cacciare i residenti, ma spostarli in appartamenti di qualità. Penso a una città-giardino sul modello della Garbatella». Nel piano del sindaco invece non c’è la demolizione del serpentone di «Corviale, quello è un discorso diverso».

Due architetti di calibro, e cioè Paolo Portoghesi e Massimiliano Fuksas hanno espresso già parere favorevole, anche se condizionato. «Non vale la logica della tabula rasa - ha detto Fuksas - ma bisogna lavorare con cesello e attenzione. Abbattere alcune zone, riqualificarne altre». E Portoghesi: «È una buona iniziativa, ma poi bisogna ricostruire con qualità». Resta l’incognita dei fondi: il bilancio del Campidoglio è in profondo rosso. E il centrosinistra affonda il coltello nella piaga: «Sono progetti velleitari, la giunta Alemanno non è riuscita a realizzare un solo metro cubo di nuovi alloggi popolari», ha sottolineato Roberto Morassut, assessore all’Urbanistica ai tempi di Walter Veltroni sindaco. E dal Pd ricordano che «appena eletto Alemanno voleva spostare la teca di Meier dell’Ara Pacis a Tor Bella Monaca, ora vuole radere al suolo il quartiere. Il prossimo anno che cosa proporrà?». Stefano Pedica, segretario regionale dell’Idv, rincara la dose: «Parole, parole, parole. Dove sono i 6 mila nuovi alloggi popolari promessi in campagna elettorale?». Fra i contrari c’è anche i l critico e scritto Asor Rosa, ex dirigente del Pci: «La proposta andrebbe commentata con una risata. Perché allora andrebbero abbattuti 3 quarti della Roma post bellica. Anziché abbattere Tor Bella Monaca, il comune investa sui servizi . . . » . Rosa Russo Iervolino, sindaco di Napoli, ha invece espresso parere favorevole.

Nel centrodestra, molti i sostenitori. «Idea realizzabile e concreta», ha sintetizzato Francesco Giro, sottosegretario ai Beni culturali. Secondo Vittorio Sgarbi, «Alemanno ha ragione, ma la sua proposta rischia di restare simbolica e senza conseguenze pratiche». Vena polemica invece nelle parole di Teodoro Buontempo, assessore regionale alla casa nella giunta Polverini: «Bene, a patto che non sia solo un proclama di Ferragosto».

Corriere della Sera

Spaccio e pestaggi Il quartiere milanese dei ragazzi gangster

di Gianni Santucci

MILANO — «Se qua si mettesse una targa per ogni balordata, ormai non ci sarebbe più spazio sui muri», sorride a mezza bocca un anziano, si gira da una parte e dell’altra, poi indica e mormora: «In quest’angolo hanno massacrato una brava persona, un uomo che s’era solo lamentato per un motorino sul marciapiede». Quell’uomo aveva 52 anni, s’è fatto un mese in rianimazione e, quattro anni dopo, porta ancora addosso i danni di quel pestaggio. L’ultima targa della memoria nera del Corvetto starebbe venti metri più giù, al centro del quartiere, dove sabato sera un maghrebino s’è ritrovato con la faccia spappolata dai calci per aver oltrepassato la linea che segna spazi, regole e comportamenti dello spaccio. Si gira l’angolo e nell’altra strada, dopo la rissa dell’altra sera, un vigile è stato circondato e assalito da una ventina di persone del quartiere, che hanno «liberato» un arrestato. Ieri gli agenti sono tornati in cinquanta, in borghese, e hanno arrestato due di quelli che hanno partecipato alla rivolta. Erano rimasti nelle loro strade, all’estrema periferia Sudest di Milano. Qui dove i ragazzi che vogliono fare i gangster urlano «Corvetto comanda» (l’hanno fatto anche sabato, mentre «salvavano» il loro compagno dalle manette).

È tutto in una manciata di strade e nemmeno un chilometro quadrato d’asfalto, il Corvetto. Con una memoria criminale stratificata da decenni. Uno dei pochi posti della città dove si reagisce ai controlli e alle forze dell’ordine. Uno dei ragazzi arrestati ieri ha 25 anni, precedenti per rissa, spaccio, rapina; era agli arresti domiciliari ma sabato sera è uscito comunque a picchiare il vigile; ieri pomeriggio gli investigatori l’hanno trovato ancora in strada. Quando li ha visti s’è messo a scappare; quando l’hanno preso l’ha fissati e è rimasto muto (è in carcere anche per l’evasione). L’altro arrestato è ancora più giovane, 22 anni. Un minorenne è stato identificato e denunciato. C’era bisogno di dare una risposta immediata all’aggressione e ora il sindaco, Letizia Moratti, dice: «A Milano non ci sono zone franche».

Sembrano una sequenza di freddi dettagli di cronaca, le storie del Corvetto, ma dicono qualcosa in più: raccontano che negli ultimi quattro anni, in questo quartiere, è cresciuta una generazione di ragazzini che ha avuto il suo «battesimo del fuoco» assaltando nel 2006 il comando di zona della polizia locale. E che poi, mese dopo mese, ha picchiato, spacciato, sparato. Il Corvetto è chiuso in una ventina di strade che in pomeriggio d’agosto si percorrono a piedi in un paio d’ore e restituiscono la memoria di una violenza quotidiana: il disabile massacrato con la sua stampella in piazza Gabriele Rosa perché s’era lamentato dopo che avevano investito il suo cane; una pistola e un fucile a pompa scaricati contro un addetto alla sicurezza di una discoteca che aveva rifiutato l’ingresso nel privé (in via Fabio Massimo); gli otto motorini bruciati all’inizio di corso Lodi l’anno scorso come sfregio ai rivali di spaccio, i maghrebini di piazza Ferrara, che è a 500 metri di distanza. È anche il quartiere del «coprifuoco», dove dall’inizio di agosto un’ordinanza del Comune ha ridotto gli orari d’apertura di bar, kebab, centri massaggi: «Non risolverà tutto — spiega il vice sindaco, Riccardo De Corato — ma il nuovo provvedimento porta più presenza e attenzione su alcuni punti critici della zona. Le istituzioni devono lavorare insieme e oggi dobbiamo ringraziare la Procura che ha dedicato un magistrato alle pratiche per sequestrare le case affittate in nero a decine di immigrati clandestini». Come succede in un intero palazzo di via Bessarione, dove si dorme a turni, di giorno e di notte.

La storia criminale del Corvetto è ormai un palinsesto di livelli sovrapposti e rappresenta in qualche modo l’evoluzione della malavita al Nord. Questo quartiere, dagli anni Settanta, è stato un feudo dei clan della mafia siciliana. All’epoca, in via Romilli, per coprire i traffici di droga aveva aperto un negozio di tessuti Gaetano Fidanzati, che a Milano è stato arrestato lo scorso dicembre (era considerato l’ultimo grande vecchio di Cosa Nostra in libertà). Proprio intorno al Corvetto, poco prima dell’arresto, erano arrivati a cercarlo con una serie di blitz i carabinieri di Palermo. I vecchi clan hanno però abbandonato da anni il controllo del territorio, e la violenza di oggi sembra più sporca e più gratuita.

La notte scorsa le pattuglie dei vigili sono tornate in strada per i controlli, c’era anche il comandante della polizia locale, Tullio Mastrangelo: «Stiamo lavorando — dice — per arrivare a identificare l’intero gruppo della rivolta». I controlli stradali servono più che altrove, al Corvetto, perché il quartiere è una delle centrali di smistamento di auto e moto rubate in tutta Milano (gli italiani lavorano con i clan zingari). Nel 2006 fu proprio il sequestro di alcuni motorini a scatenare la banda del Corvetto in un pomeriggio di guerriglia. Con la violenza dicevano : « Qui c o mandi a mo noi». Alcuni di quei ragazzi allora erano minorenni, altri non furono processati perché c’era l’indulto. In questi quattro anni stanno finendo in carcere uno dopo l’altro.

La Stampa

Demolire Tor Bella Monaca

di Flavia Amabile

Forse era una provocazione ferragostana,o forse no, e l’idea di Gianni Alemanno è davvero destinata a cambiare un pezzo di Roma. «Tor Bella Monaca va demolita, rasa al suolo». L’aveva definita «una cisti urbana» e spiegato che «è necessario demolire e ricostruire ampie aree della città, recuperando anche terreno urbano». La platea ascoltava, piuttosto stupita. In molti avevano pensato ad un’esagerazione, alla voglia di catturare un titolo sui giornali.

In realtà ieri Alemanno ha confermato ogni parola e aggiunto anche qualche dettaglio annunciando un master plan e un referendum: «Sbaglia chi pensa che sia una boutade estiva: a fine ottobre presenteremo un master plan della zona e faremo un confronto diretto con i residenti, anche con un referendum, perchè vogliamo attuare una urbanistica partecipata e non calata dall’alto».

Se urbanistica partecipata deve essere, allora l’idea è già morta perché gli abitanti di Tor Bella Monaca non hanno mostrato molto entusiasmo all’idea di veder distrutte le loro case. «Invece di pensare a queste cavolate spenda i soldi per costruire dei centri a buon mercato per le famiglie che non se lo possono permettere, in modo che i ragazzi possano andare tranquillamente a fare attività sportiva e toglierli così dalla strada». E, un altro: «È tutta una speculazione per poter lavorare, prendere appalti, subappalti, sub subappalti, e i poveri disgraziati vivono sempre come vivono». Oppure: «Quando è venuto qui a prendere voti non doveva radere al suolo Tor Bella Monaca!»

Alemanno vorrebbe abbattere le torri e alcuni dei lunghi palazzi orizzontali del quartiere, e poi ricostruire non con i grattacieli ma sulla falsa riga della città giardino, modello Garbatella. «I grattacieli servono - spiega - per realizzare servizi e non residenze. Lo schema edilizio verticale è fallito. Penso per Tor Bella Monaca a case come quelle della Garbatella», cioè basse e con ampi spazi verdi.

Questione di estetica, certo, ma non solo, tiene a precisare Alemanno. «Nelle case di Tor Bella Monica ci piove dentro, la qualità di vità dei cittadini è pessima perchè spesso si tratta di prefabbricati spinti, e tra una lastra e l’altra ci sono crepe ed infiltrazioni. Forse Asor Rosa questo aspetto non lo conosce».

È stato anche affrontato il versante economico: «Puntiamo ad edificare le aree circostanti con premi di cubature da dare ai costruttori, quindi senza esborsi per l’amministrazione comunale». Diversa per il sindaco la situazione dell’altro quartiere periferico di Corviale. «Non c’è un problema funzionale, non piove dentro le case. C’è un problema di organizzazione bisogna abolire il condominio unico e crearne diversi, puntare sui servizi. Su questo sono d’accordo con Asor Rosa, non si può abbattere soltanto per un pregiudizio estetico».

Si parlava di un progetto urbanistico, di una proposta tecnica ma il mondo politico ha risposto secondo blocchi compatti e contrapposti come se già fosse in corso una pre-campagna elettorale. Il via libera govenativo arriva con Francesco Giro, Pdl, sottosegretario del ministero ai Beni Culturali.

Ma le voci a favore sono davvero tante, da Buontempo a Gramazio. E Massimiliano Lorenzotti, tessera del Pdl in tasca e presidente dell’VIII municipio, quello di Tor Bella Monaca, in totale disaccordo con i suoi amministrati, si augura che sia «un sogno che si possa realizzare» perché «Tor Bella Monaca è diventato un ghetto, un quartiere insicuro con sacche di microcriminalità, tanto che le persone per bene non riescono a viverci, non c’è più vita sociale. La manutenzione è poi difficilissima, perchè gli edifici sono vecchi e mal costruiti».

Ironia e condanna da parte dell’opposizione.«Con quali soldi fare una nuova Tor Bella Monaca?» Se lo chiede il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della Commissione affari europei e dirigente del Pd di Roma. Oppure Luigi Nieri, ex assessore alle periferie del Comune che ricorda il fascino degli sventramenti fascisti anche sulla maggioranza attuale.

ed ecco che cosa ne pensano alcuni architetti

Fra gli entusiasti innanzitutto Paolo Portoghesi che a Roma ha costruito la Moschea. «Un’ottima idea, auspicabile - commenta - Perchè Tor Bella Monaca è uno dei grandi fallimenti dell’urbanistica romana degli anni ’70/’80. Ormai è un ghetto senza vivibilità. e consuma energia in modo terribile perchè realizzato con modelli di prefabbricazione sbagliata. Costa meno abbatterlo e ricostruirlo che riqualificarlo».

Vittorio Sgarbi non è un architetto ma come esperto d’arte ha voluto dire la sua e chiesto un quartiere che sia «una seconda Eur».

Nessun architetto sosterrebbe che Tor Bella Monaca sia un capolavoro ma abbatterlo ad alcuni sembra un po’ troppo. E, senza rifiutare del tutto l’idea, propongono alternative.

Renato Nicolini, ad esempio, che quel quartiere l’ha trovato appena costruito quando è entrato nella giunta Petroselli. «Si deve seguire l’esempio francese e tedesco, costruendo sopra quello che esiste. La demolizione è impraticabile, il pubblico non ha soldi per pagarla». Per Nicolini, si può intervenire «con una finezza maggiore. Si recupera, si riqualifica, si costruisce, si trasforma. Quindi, si densifica creando spazi per la vita culturale e sociale. Ma sto parlando di un progetto da portare avanti con i privati, non con enti pubblici».

Anche Massimiliano Fuksas non è del tutto contrario. «Il quartiere di Tor Bella Monaca può essere in parte integrato, in parte abbattuto. C’è spazio per costruire nuove architetture con qualità ambientali e sociali, oltre che culturali. Fare tabula rasa è possibile, ma solo in alcune condizioni estreme. Negli altri casi, come ho verificato ad esempio durante un intervento a Marsiglia, in un grande quartiere sociale si può in alcuni casi diminuire la densità, in altri aumentarla, intervenire sull’esistente e anche abbattere gli edifici che non hanno nè qualità sociale nè qualità architettonica».

Andrea Bonessa, milanese, e idee molto diverse da quelle di Alemanno, dà ragione al sindaco di Roma. «Ma si deve avere coraggio fino in fondo e ricostruire senza più seguire la logica dei quartieri-dormitorio altrimenti è del tutto inutili abbattere».

Postilla

Non è una battuta estemporanea. Con la sortita di Alemanno si è aperta una questione seria. Ne vogliamo sottolineare due elementi.

1) La proposta di Alemanno riassume tutti i connotati della politica della destra neoliberista , a proposito di residenza, di città e di società. Si distruggono le immagini di una politica volta (dal Tiburtino III al Corviale) a realizzare il diritto alla casa e alla città. Si svuota la più avanzata pratica di intervento nell'edilizia residenziale, quella avviata con la legge 167/1962 che oggi i paesi dell'Europa evoluta stanno imitando. Si demolisce patrimonio pubblico per cedere le aree alla proprietà privata, che dovrà "subire" per qualche anno qualche prezzo convenzionato per poi entrare trionfalmente in possesso di una inaspettata rendita fondiaria. Si affronta in modo meramente represssivo una questione sociale, che solo l'incuria dei governanti di ieri e di oggi ha provocato e lasciato incancrenire. Si propaganda il modello edilizio più favorevole sia al consumo di suolo che al trionfo dell'individualismo sociale. Si sprecano risorse che per anni si sono negate alla manutenzione ordinaria e, quando occorre, straordinaria. Si favorisce un pugno di imprese edilizia che da decenni hanno abbandonato ogni spirito imprenditivo per tuffarsi a capofitto nella speculazione edilizia.

2) Le risposte, possibiliste o addirittura favorevoli, di alcuni autorevoli esponenti della cultura architettonica e urbanistica rivelano a loro volta il profondo degrado nel quale, nel nostro paese, quella cultura è precipitata negli ultimi anni. L'egemonia della destra neoliberista sull'intellettualità italiana, su cui ragionava Fausto Curi sul manifesto di qualche giorno fa, sta ricevendo altre conferme. Ma su questo bisognerà tornare, riprendendo questioni che già altre volte erano emerse a proposito di periferie e "casermoni", e degli "errori" che certamente negli anni 60 e 70 sono stati compiuti, ma che sono ben diversi da quelli che permeano il senso comune (e l'ideologia di destra).

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