il Manifesto,
Lo scontro tra l’Italia e il resto dell’Europa sui migranti sta probabilmente arrivando alla fine e il risultato, qualunque dovesse essere, rischia di decretare molti perdenti e nessun vincitore. Le speranze che dal Consiglio europeo di oggi possano uscire soluzioni condivise per quanto riguarda la gestione dei migranti, col passare delle ore si sono infatti ridotte sempre più al lumicino al punto che già ieri sera a Bruxelles giravano voci preoccupate circa non solo la possibilità che l’Italia possa non firmare il documento finale del vertice, ma anche che i 28 leader europei possano ritrovarsi presto a far fronte a un’eventuale chiusura delle frontiere tra Germania e Austria e tra Austria e Italia. Decisione catastrofica che comporterebbe di fatto la fine di Schengen e il definitivo isolamento dell’Italia.
Intervenendo ieri in parlamento proprio per illustrare i contenuti del Consiglio europeo di oggi, il premier Conte è stato chiaro: per l’Italia punti come la condivisione tra gli Stati della responsabilità dei migranti, l’apertura dei porti europei alle navi che effettuano i salvataggi e il superamento del regolamento di Dublino rappresentano condizioni imprescindibili. «Bisogna scindere il piano dell’individuazione del porto sicuro da quello dello Stato competente a esaminare le richieste di asilo», ha spiegato tra gli applausi della maggioranza.
Senza avere prima incassato questi risultati, per Conte non vale neanche la pena discutere di come bloccare i movimenti secondari dei richiedenti asilo, praticamente l’ultima boa alla quale è aggrappata la sopravvivenza politica della cancelliera Angela Merkel. Ma il premier ha anche fatto suo, senza citarli, il lavoro svolto negli ultimi cinque anni dai governi Letta e Renzi, ricordando come l’Italia abbia salvato l’onore dell’Europa prestando soccorso a decine di migliaia di vite nel Mediterraneo. Un riconoscimento attribuito per la verità nel 2017 al nostro Paese dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, che probabilmente all’epoca non pensava certo di dover discutere un giorno con il leader di un Paese il cui ministro degli Interni liquida come «retorica» le torture subite dai migranti in Libia.
Proprio il rapporto con Salvini è del resto per Conte uno dei punti più complicati da gestire. Giusto per facilitare il lavoro del premier in vista del consiglio di oggi, ieri il leghista è tornato a insultare il presidente francese: «Macron fa il matto perché è al minimo della popolarità nel suo Paese», ha esternato lasciando la Camera dopo aver sentito l’intervento del premier. Una complicazione in più per Conte, diviso dalla necessità di muoversi senza marcare in maniera evidente la distanza con il suo vicepremier e quella di non urtare leader europei con i quali seppure sottotraccia – vedi la cena segreta di due sere fa a Roma proprio con Macron e consorte – cerca disperatamente di scongiurare una possibile rottura. Raccomandazione che ieri sera, in un incontro al Quirinale, gli avrebbe rivolto anche il presidente Mattarella.
La strada è dunque in salita, anche se a Conte arrivano segnali incoraggianti. Il leader spagnolo Pedro Sanchez, che ha scelto di schierarsi con Germania e Francia – ha fatto sue alcune richieste italiane chiedendo «l’individuazione di porti sicuri» in modo che la responsabilità de migranti sia distribuita tra tutti i Paesi membri. E aperture in questo senso sarebbero arrivate anche dalla Francia e dalla cancelliera Merkel. Decisa, però, a far rispettare lo stop dei richiedenti asilo che dopo aver presentato domanda di protrzione nello Stato di arrivo si muovono all’interno dell’Unione europea. Punto sul quale l’ennesima bozza di documento finale del vertice non a caso ribadisce come fondamentale, chiedendo agli Stati di adottare «misure interne legislative amministrative» per bloccare i movimenti secondari.
Unico punto in comune a tutti a questo punto è la volontà di esternalizzare le frontiere europee aprendo campi profughi in Paesi terzi. Anche questa però, a poche ore dall’inzio del vertice, sembra essere una strada tutta in salita. In un documento circolato ieri la Commissione Juncker ha escluso che i campi profughi possano sorgere in Paesi europei che non fanno parte dell’Ue, come possono essere i Balcani nella proposta avanzata dall’Austria. E per quanto riguarda la possibilità di collocarli in Nordafrica continuano ad arrivare rifiuti da parte dei Paesi in teoria interessati. Tutti segnali che non lasciano prevedere niente di buono. «La posta in gioco è molto alta e c’è poco tempo per trovare una soluzione», spiegava ieri il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk.