L'intervento, nel quale l’attuale Presidente di Italia Nostra rivendica, con grande determinazione e lucida analisi, la necessità di proseguire la battaglia contro le distorsioni “storicistiche “ di ieri e di oggi, è stato tenuto in occasione del convegno: “Politiche culturali e tutela: dieci anni dopo Antonio Cederna”. Sull'iniziativa, che si è svolta a Roma, nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme, il 6 giugno 2007, occasione di ricordo di Antonio Cederna, ma anche di discussione sugli attuali problemi della difesa del patrimonio culturale e paesaggistico e sulla situazione dell'urbanistica italiana ed in particolare romana, v. su eddyburg (m.p.g.)
E’ certamente presente alla intelligenza di chi ha progettato e curato questo originalissimo libro la consapevolezza che anche la più appassionata e insieme lucida commemorazione può nascondere qualche insidia. Nel momento in cui si rivendica la persistente attualità e fecondità del patrimonio ideale che resta documentato nella pagina scritta (oggi riletta con i più raffinati strumenti di analisi testuale) può accadere di non resistere alla tentazione di storicizzare anche talune delle fondamentali proposizioni della riflessione di Cederna. E farle figlie della suggestione di quei tempi duri (ci si misurava allora con la folle proposta di sventramento nel cuore di Roma per un rettifilo da via Margutta a piazza Augusto Imperatore). Se dunque la fermezza e il rigore di certi principi erano imposti dalla necessità di fermare la violenza distruttiva minacciata negli anni cinquanta del novecento alla integrità delle nostre città storiche, anche il diktat della Carta di Gubbio (figlia diretta della riflessione di Cederna) con la sua assolutezza non sarebbe più lo strumento adeguato ad affrontare le forme nuove che l’aggressione alla città e al territorio storici è venuta assumendo nei dieci lustri da quel tempo. Insomma storicizzare Cederna per liberarlo dalle occasioni di allora, meglio comprenderlo e renderlo perciò maestro anche dell’oggi. E anzi c’è chi si è sforzato di cogliere nello sviluppo della sua stessa riflessione i segni di un progressivo adeguamento al nuovo. (Anche il sindaco Veltroni ha storicizzato Cederna e in una recente manifestazione commemorativa in Campidoglio ha detto compatibile con la sua memoria lo sventramento del Pincio per farne il sottile involucro di una autorimessa multipiano).
Ma se è certamente vero che il prontuario dettato dalla Carta di Gubbio è di per sé insufficiente ad assicurare una efficace tutela di quella realtà composita e assai complessa che era, è ancora, vogliamo che sia, il centro storico, perché, si dice, anche del risanamento conservativo si è impossessata la speculazione edilizia e alla preservazione del tessuto edile fisico può non corrispondere quella altrettanto e forse più decisiva del tessuto sociale, è all’urbanistica allora e alla politica della città che spetta di apprestare i più adeguati strumenti di intervento perché i principi cui la Carta si ispira non ne risultino travolti. La fermezza di quei principi Cederna non vide ragione di attenuare e anzi li riaffermò con la consueta acribia in uno dei suoi ultimissimi scritti, quello letto a Napoli nel dicembre del 1995 al convegno di Italia Nostra sui centri storici. Volle riprendere alla lettera il pronunciamento di una ventina di giovani (allora, 1957) architetti pubblicato nel primo numero del bollettino di Italia Nostra. Il pronunciamento era stato provocato da una proposizione di Roberto Pane ancora fondata su una attitudine selettiva dei tessuti antichi e su una concezione tutta esteriore dei centri storici, la cui tutela poteva essere affidata alla mera conservazione del rapporto volumetrico, con divieto di superare, in caso di ricostruzione, cubature e altezze degli edifici preesistenti. Il pronunciamento dunque “enunciava alcune inoppugnabili verità:
I. L’epoca attuale per la prima volta nella storia ci pone in grado di accostarci con eguale capacità di comprensione alle opere e agli ambienti di tutte le epoche passate: e questo ha fatto sorgere l’esigenza tutta moderna della loro conservazione integrale.
II. Di qui l’obbligo tassativo della rinuncia a introdurre nuovi edifici nei centri storici, limitando gli interventi al risanamento conservativo, al restauro, alla dotazione dei servizi essenziali.
III. Non è questione di progetti più o meno belli: uno dei presupposti della modernità è quello di sapersi adeguare alle scelte urbanistiche e quindi di rinunciare, ove occorra, a costruire.
IV. Il vero problema non è architettonico, ma urbanistico: il piano regolatore deve assicurare ai centri storici destinazioni compatibili con il loro tessuto antico, sistemando altrove le strutture moderne che hanno esigenze. scala e funzioni del tutto diverse”.
E’ una sintetica parafrasi, si riconoscerà, degli articoli che Cederna andava scrivendo sul Mondo dai primi anni cinquanta del novecento e in particolare di quello del febbraio 1954 (che avrei visto con piacere scelto da uno degli autori di questo nostro libro) dove indicava le ragioni di cultura della tutela che si opponevano alla operazione Wright in Canal Grande (la “laguna organica” ironizzava in un occhiello sul titolo) e che valgono, tali e quali ancor oggi, per resistere alla forza intimidatrice delle archistars internazionali.
Questi sono i principi, disse, che “considero indiscutibili, immutabili, perenni da qui all’eternità. Da riaffermare con forza, da diffondere, da acquisire in questo paese in cui nulla è dato per acquisito e dove anche le cose ovvie che dovrebbero essere patrimonio comune vengono rimesse in discussione. E da riaffermare con forza oggi che tante cose vanno cambiando nelle nostre città e nuove minacce si addensano sui centri storici”. Forse è dir troppo, francamente, “immutabili indiscutibili perenni” e converrà – fuor dalla consueta iperbole cederniana- relativizzare l’affermazione; ma certo diremo principi fermissimi fino a persuasivi argomenti che abbiano dignità concettuale e l’efficacia di contrastarli e ancora non abbiamo udito, perché continuano a venir opposti, e pure da chi altrimenti benemerita della cultura, quelli vecchi di allora, dell’antistorico storicismo per intenderci, come li irrideva Cederna, e cioè che non si può fermare la storia, che sempre si è fatto così, che il linguaggio autentico dell’architettura di oggi deve potersi esprimere pure nei contesti antichi e dunque è solo questione di controllo della qualità, garantita, se il caso lo richiede, da autorevoli giurie internazionali. In ogni caso sono lì pronti a intervenire pure una apposita direzione generale e un comitato tecnico scientifico per la qualità architettonica e urbana e per l’arte contemporanea, costituiti, forse proprio a questo scopo, presso il ministero per i beni e le attività culturali. E appunto un concorso internazionale, promosso e gestito dalle stesse istituzioni della tutela, ha prescelto Arata Isozaki per la inutile pensilina a proteggere l’uscita dagli Uffizi (moderna loggia dei Lanzi, secondo l’assicurazione del progettista) voluta per arricchire il disadorno posteriore prospetto sulla piazza Castellani della fabbrica del Vasari. Insomma all’antistoricostoricismo si è adeguata l’amministrazione della tutela, approvando pure lo scatolone dell’Ara Pacis che completa il quadrilatero littorio della piazza Augusto Imperatore e schiaccia le chiese di San Rocco (facciata del Valadier) e di San Girolamo degli Illirici (facciata tardocinquecentesca rinfrescata dai getti della fontana sul sagrato). E approvando la nuova Scala Botta-Piermarini con la vertiginosa moltiplicazione dei volumi, che neppure rispetta non solo il piano regolatore milanese (capovolto il principio cederniano della subordinazione dell’architettura all’urbanistica), ma pure la regola aurea che Pane aveva suggerito per l’architettura minore.
A contrastare la cultura ufficiale e ormai pervasiva dell’antistorico storicismo ci manca la lucida contestazione di Cederna che aveva, con ragioni rimaste inconfutate, negato anche al sommo Wright il diritto sul Canalgrande. E si era rifiutato di discutere il suo progetto (certamente di qualità), perché opponeva ragioni di principio e di metodo che neppure la più alta qualità formale dell’architettura può valere a superare. Sono i principi nei quali Cederna aveva espressamente indicato, nel suo intervento di Napoli del 1995, “le radici di Italia Nostra”. Pure con il rischio (accettato) dell’isolamento Italia Nostra rimane fedele a quei principi.